Paziente uno dove sei? Da dove arrivi veramente? Nessuno più sembra interrogarsi sull’originaria fonte di contagio che ha sterminato gli abitanti delle province di Bergamo, Brescia, Cremona e città limitrofe. Se non per la bella notizia, arrivata qualche ora fa, che è nata la bambina di Mattia, considerato da sempre il “paziente uno”. Lo ricorderete, quel trentottenne alto e robusto di Codogno, che avrebbe infettato la Lombardia e l’Italia intera per essere andato a cena con un collega di ritorno da un viaggio d’affari in Cina.
Ma sono davvero andate così le cose? E la leggenda, in qualche modo ormai rassicurante, sul “portatore sano” del virus (l’amico di Mattia tornato dalla Cina, sulla cui identità e sul cui destino mancano notizie), basta a spiegare ciò che finora rimane avvolto da un macabro, pesante mistero, e cioè l’esplosione, in quelle produttive e ordinate province lombarde, dotate di presidi sanitari all’avanguardia in Europa, di un contagio che non ha e non avrà mai uguali, per numero di infetti e di deceduti, in nessun’altra parte del mondo intero?
Di sicuro, dati alla mano, Brescia resta uno dei tragici focolai della malattia, con 1.753 morti (ad oggi, 8 aprile) dall’inizio dell’epidemia, di cui 58 solo nelle ultime 24 ore: un boom di contagi sulle cui cause nessuno ha saputo finora offrire una spiegazione logica, o quanto meno accettabile. E nel giorno in cui finalmente la Procura di Bergamo – notizia di questi ultimi minuti – apre un’inchiesta per accertare quali siano state le cause effettive della strage in zona, gli interrogativi sono sempre più legittimi.
Ma davvero questa ecatombe può essere dipesa solo dall’amico dell’atleta Mattia?
E quali imprese locali avevano – ed hanno – intensi rapporti commerciali pressoché quotidiani con la Cina, o addirittura imponenti filiali laggiù?
La risposta, per chi ha seguito attentamente l’andamento da brivido dell’epidemia in Italia, è scontata. Dal punto di vista delle localizzazioni, è Brescia il quartier generale della Copan, l’unica multinazionale che, grazie ad uno straordinario brevetto registrato nel 2004, fornisce tamponi per analisi virologiche in tutto il mondo. Compresa la Cina, dove l’azienda ha una sede stabile da anni a Shangai (oltre a quelle in Giappone, Stati Uniti e Porto Rico). Ed è proprio attraverso quel materiale brevettato che ogni tampone effettuato consente di raccogliere fino all’80 per cento in più di materiale biologico potenzialmente infetto da analizzare.
La Copan di Brescia, diciamolo subito, è un’azienda modello, autentico vanto del nostro Paese. Una di quelle imprese nate dalla tenace passione di un industriale locale, Giorgio Triva, tanto lungimirante da aver intuito già venti e passa anni fa le potenzialità di sviluppare la ricerca nel settore delle più avanzate analisi di laboratorio, sbaragliando poi, grazie al brevetto sui tamponi, ogni possibile competitor anche su scala internazionale.
IL FANTASMA DI HEILBRON
L’exploit arriva nel 2011 quando la tragica scomparsa della piccola Yara Gambirasio da Brembate di Sopra fa balzare la Val Seriana sui media di mezzo mondo e il pm di Bergamo Letizia Ruggeri decide di far “tamponare” mezza Lombardia (oltre 18.000 persone) per cercare l’inafferrabile “Ignoto 1”. Ruggeri affida alla Copan di Brescia l’incarico di fornire i tamponi, costati allo Stato italiano quasi tre milioni di euro.
In un articolo dell’epoca pubblicato sul periodico online linkiesta, per spiegare quanto risultino delicate simili analisi, si ricorda che negli anni novanta investigatori di mezza Europa erano all’inseguimento del serial killer soprannominato il “Fantasma di Heilbron”, il cui Dna fu repertato in diversi omicidi e rapine tra Austria, Francia e Germania. Ma «solo nel 2009 si scoprì che i tamponi di cotone usati per il prelievo del Dna dalle scene del crimine, prodotti tutti da una stessa ditta in cui erano impiegate donne dell’Europa dell’Est, non erano conformi agli standard e quindi il Dna delle lavoratrici, che si era sparso per tutta Europa veicolato da quei tamponi, combaciava con quello fantasma».
«La soluzione del mistero – chiariva a luglio 2017 il Corriere della Sera – è a un tratto lampante: dietro la donna senza volto, in realtà, si nasconde un caso di materiale contaminato… La polizia svolge nuovi test. In poche settimane il fantasma di Heilbronn ha finalmente un nome e un volto, ma non sono quelli di un serial killer. È l’ignara impiegata di una fabbrica di cotton fioc, che aveva contaminato con il suo Dna decine di tamponi, destinati alle polizie scientifiche di mezza Europa. “Avevano un doppio incarto, pensavamo che fossero la Mercedes dei tamponi”, dirà alla Bild un investigatore incredulo».
Ecco, quello che vale la pena di domandarci ora è se non possa essere accaduto involontariamente qualcosa di simile a Brescia, dove il colosso Copan presumibilmente intrattiene di regola scambi continui con la filiale cinese.
«La Copan – scrive lo scorso 2 marzo il Giornale di Brescia – con sedi a Shanghai (Cina), a Kobe (Giappone), a Murrieta (California) e Aguadilla (Porto Rico), già da fine gennaio si era impegnata nella consegna dei suoi tamponi in Oriente per contrastare appunto l’epidemia del coronavirus».
A marzo l’azienda bresciana era peraltro già finita sui media per l’invio di una massiccia fornitura di tamponi agli Stati Uniti (partiti con voli militari dalla base Usa di Aviano), proprio mentre l’Italia e la Lombardia erano alla disperata ricerca di quei presidi sanitari. La Copan aveva tempestivamente risposto, spiegando che si trattava di una fornitura già da tempo commissionata e che ciò non avrebbe impedito il normale rifornimento alle aziende ospedaliere nostrane. Il che, a quanto risulta, si è puntualmente verificato, grazie anche ai ritmi contingentati del lavoro ed all’alta professionalità, sia del management che degli addetti. Con 110 milioni di fatturato, 450 addetti, di cui 300 donne, già prima che nel mondo divampasse la pandemia Copan produceva 250 milioni l’anno di tamponi per indagini patologiche forniti alle polizie di mezzo mondo. Comprese Scotland Yard, FBI e Jǐngchá, la Polizia della Repubblica Popolare Cinese.
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