10 giugno 2024

Pennetta, il commissario irpino che scoprì la verità su Matteotti



L'arresto dei colpevoli e la pista del petrolio

C'è un superpoliziotto da romanzo nella tragica storia del delitto Matteotti, di cui avrebbe scoperto anche il mandante politico se non fosse stato fermato a un passo dalla verità dagli "ordini superiori" impartiti proprio da quest'ultimo, il Capo del Governo, e dittatore in pectore, Benito Mussolini.

"Epifanio Pennetta, colui che dopo l'assassinio di Matteotti aveva fatto catturare pressochè tutta la banda in 48 ore", lo definisce in uno dei suoi libri sul Fascismo lo storico francese Luc Nemeth. Dopo due mesi di misteri, polemiche e depistaggi, che avevano portato finanche alle clamorose dimissioni da Capo della Polizia di uno dei gerarchi più in vista del regime, il quadrumviro della Marcia su Roma Emilio De Bono, l'inchiesta condotta dal commissario Pennetta aveva portato al ritrovamento del cadavere del deputato socialista, il 16 agosto 1924, nel bosco della Quartarella, e prima ancora all'arresto degli esecutori materiali del rapimento, avvenuto il 10 giugno a Roma sul Lungotevere Arnaldo da Brescia: Amerigo Dumini, il capo della banda dei sequestratori, fermato dalla Polizia la sera del 12 giugno alla Stazione Termini, gli altri tre picchiatori fascisti e i complici "eccellenti" Filippo Naldi e Filippo Filippelli, quest'ultimo direttore del "Corriere italiano", che aveva fornito la sua automobile, la Lancia Kappa, per il rapimento del deputato socialista.

Chi intuì la verità sin dagli inizi fu probabilmente Pennetta, capo dell’Ufficio di polizia giudiziaria”, confermano gli storici Mauro Canali in Il delitto Matteotti (Il Mulino, 2004) ed Enzo Sardellaro nel saggio Aldo Finzi e il delitto Matteotti.  

Una duplice verità, come attestò Pennetta nella deposizione al processo: “Gli esecutori materiali e i loro mandanti immediatamente si prefissero la vendetta politica; altri invece avrebbero approfittato per la difesa di interessi particolari”.

Matteotti sarebbe stato quindi messo a tacere non solo per le coraggiose denunce alla Camera sui brogli elettorali ma anche per le rivelazioni, non meno clamorose, che si apprestava a fare in Parlamento nella seduta dell’11 giugno su un giro di corruzione e tangenti che vedeva coinvolti una multinazionale americana del petrolio, la Sinclair Oil, e i vertici del partito fascista, fino a risalire ad Arnaldo Mussolini, fratello del duce, di cui Filippelli era il segretario particolare. Per dirla ancora con Pennetta: “La causa del delitto non va ricercata in sole ragioni politiche, ma nella necessità di far tacere l’On.Matteotti che si era prefisso di sollevare uno scandalo a carico dei gruppi finanziari in rapporti con uomini politici”.

A lungo trascurata dagli storici, la pista affaristica (denunciata con grande clamore all’epoca solo dalla stampa inglese più vicina al Labour Party) è stata riaperta di recente dalla storiografia europea sulla base di nuovi e importanti documenti, tra i quali una memoria postuma del principale esecutore del delitto, il pugnalatore fascista Dumini. Ed è un fatto inoppugnabile che a poche settimane dalla deposizione di Pennetta fu Mussolini in persona a dover revocare la convenzione siglata il 4 maggio 1924 tra il governo italiano e la Sinclair Oil (che prevedeva lo sfruttamento esclusivo dei giacimenti petroliferi individuati in Emilia Romagna e in Sicilia), per dar vita nel 1926 a una società pubblica nazionale: l’AGIP (Agenzia Generale Italiana del Petrolio).

Chi era dunque questo Pennetta, detective brillante ma finora sconosciuto che ha avuto un ruolo di primissimo piano nella storia giudiziaria dell’Italia del Novecento?

...continua:

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