Verrebbe voglia di parafrasare il vecchio William Shakespeare: Much Ado about nothing, "Molto rumor per nulla". E invece nossignori: non è così. Stavolta il rumore è per qualcosa.
Permettetemi un'oziosa premessa da professore di storia, che non vuol dir nulla e non dev'essere accolta come jettatoria (però, se avete un cornetto di corallo da qualche parte dateci una passata: non si sa mai…). Sapete qualcosa della "guerra di San Saba"? E della "guerra di Crimea"? E magari del Great Game?
Se non avete mai sentito nominar nulla di tutto ciò, non è grave. Si tratta di due episodi bellici e di una lunghissima tenzone durata quasi un secolo. Nel 1257-1258, veneziani e pisani da una parte e genovesi dall'altra se le dettero di santa ragione nel porto di Acri (oggi Akko in Israele): la rissa coloniale si trasformò in una guerra combattuta nel Tirreno e nell'Adriatico. Nel 1854, un banale incidente in Terrasanta (una stella d'argento trafugata in una basilica dove convivevano – malamente – cattolici e ortodossi) causò una guerra durata due anni che coinvolse francesi, inglesi e turchi tutti schierati contro la Russia zarista; vi s'intrufolò per volontà del conte di Cavour anche il Piemonte, che non c'entrava nulla ma che intendeva lucrare un bonus diplomatico presso le potenze occidentali. Fu la guerra di Crimea, quella della carica di Bataclava; ne fu testimone d'eccezione il conte Tolstoj, in uniforme zarista. Quanto al Great Game, fu la contesa per l'egemonia in Asia giocata tra le truppe russe, che scendevano dalla Siberia, e quelle inglesi, che salivano dall'India lungo i passi afghani. Ce l'hanno raccontata Kipling e Verne. E fu una guerra principalmente di spie (guarda guarda…) che per poco non si trasformò in un enorme conflitto eurasiatico.
Che le guerre occidentali comincino in Oriente non è una regola generale, ma quasi: da quando i persiani hanno invaso la Grecia due millenni e mezzo or sono. Ora, che alcuni esuli russi muoiano abbastanza spesso in terra britannica, che il governo inglese reagisca prima con noncuranza e quindi (tuttanbotto, direbbero a Napoli) con repentina energia espellendo – senza produrre grandi prove, a onor del vero – ventitré diplomatici accreditati ma bollati senza complimenti come spie e che un di solito discreto e compassato statista russo reagisca ricordando che "non si minaccia con leggerezza una potenza nucleare", non è – consentite – cosa da farci dormire su due guanciali. Sarà un fuoco di paglia, d'accordo: ma anche i fuochi di paglia possono esser pericolosi: specie se c'è del combustibile nei paraggi.
E qui ce n'è anche troppo. E si sta accumulando almeno dal 2011, quando un paio d'iniziative non troppo felici – francese di Sarkozy la prima, francoinglese di Hollande e Cameron l'altra – scatenarono il finimondo, sfruttando l'abbrivio delle cosiddette "primavere arabe" per toglier di mezzo due statisti per loro ingombranti: il libico Gheddafi e il siriano Assad. In entrambi i casi, l'intenzione strategica era un mutamento di governo e una ridefinizione di territori e d'influenze. Nel primo caso si riuscì a eliminare l'obiettivo dell'operazione ma non a dare al territorio libico l'assetto auspicato dall'Eliseo e dalla Total. Nel secondo ci s'infilò in un terribile ginepraio nel quale entrarono turchi, curdi, irakeni, iraniani e indirettamente anche sia i russi, sia gli americani, la NATO e Israele. Alla crisi del 2011 tenne dietro, in stretta correlazione, quella siro-curdo-irakena protagonista della quale fu il "califfato musulmano" detto ISIS o più propriamente DAESH, una realtà statuale-terroristica nata nel '14 e sostenuta da alcune potenze arabo-sunnite, specie quelle affiliate alla setta wahhabita, le quali immisero nella già tormentata questione orientale il veleno della fitna, la guerra civile e religiosa tra sunniti e sciiti.
Le vicende di quella che per tre anni è stata presentata come l'operazione di "polizia internazionale" contro i tagliatori di teste del califfo al-Baghdadi, e che si è sempre più chiaramente configurata come un tentativo di mutare sia il regime, sia l'assetto politico-territoriale di Siria e d'Iraq, hanno condotto alla presenza sempre più massiccia nell'area di contingenti sia turchi, sia russi, sia iraniani, sfiorando il coinvolgimento d'Israele, mentre la guerra civile in Siria non è stata risolta e noi occidentali abbiamo avuto – grazie ai nostri media – l'impressione che l'ISIS/DAESH non esista più e che gran parte di quel che accade in Siria risalga alla responsabilità del governo di Assad che infierisce contro il suo popolo. Risultato: contingenti della NATO impegnati nel Vicino Oriente, sottomarini nucleari russi nella acque siriano-libanesi, Israele quasi mobilitata: frattanto, si sta profilando un'inedita alleanza militare turco-russo-iraniana. Si tratta di un accordo fra tre storici nemici geopolitici: dal Cinquecento chi governa a Istanbul è nemico di chi governa a Mosca (o a San Pietroburgo) e di chi governa a Teheran. Prodigi della diplomazia occidentale, e negli ultimi mesi in particolare di quella statunitense di Trump bravissimo nel farsi nemici dappertutto?
Il caso May-Putin
Ma ora, la rapidità della reazione britannica a un supposto (solo supposto, a quel che finora sembra) colpo di mano russo su un esule politico, ha lasciato perplessi. La diplomazia russa ha risposto ironicamente, parlando di un'iniziativa pretestuosa, di un "circo equestre". Senonché, la repentina – quanto meditata? – discesa in campo di statunitensi, francesi e tedeschi al fianco del governo di Londra ha ricreato d'un tratto un clima da "guerra fredda". Né gli umori dei britannici sono concordi. Il leader della sinistra Jeremy Corbin ha ricordato che l'ex-spia Aliksandr Litvinbenko fu ucciso in circostanze misteriose nel 2006 ma che solo nel 2014 s'istituì al riguardo una commissione d'inchiesta: il passo di lumaca finora usato stride al confronto con la fulminea rapidità con la quale adesso, nel giro di poche ore, si espellono ben 23 diplomatici e si mette su una coalizione internazionale. Che tutto ciò abbia a che vedere col fatto che da tempo la City londinese funziona come centro di riciclaggio di molto denaro sporco, tra il quale c'è anche quello di alquanti oligarchi russi compresi alcuni che nell'isola di Albione possiedono perfino squadre di calcio e quotidiani? Da noi, i media hanno prontamente reagito proclamando il filoputinismo di Corbyn (vergogna!…) e assicurando che ormai in Inghilterra il fazioso iperlaburista è un isolato. Peccato solo che così non paia, in realtà.
Insomma, un Occidente diviso dalla guerra dei dazi scatenata dal neoprotezionista Trump si ricompatta politicamente e riscopre l'Impero del Male di reaganiana e bushista memoria. La revolverata di Sarajevo, in quel lontano luglio del '14, fece sulle prime quasi meno rumore. Magari non succederà per nulla, sarà un altro much Ado about nothing. Ma chissà. Ora che anche grazie a loro zar Putin ha vinto le elezioni nel suo paese – a colpi di brogli e d'intimidazioni, senza dubbio… -, i nostri lungimiranti leaders occidentali potrebbero anche decidere di rifarsi alzando il tiro.
Intanto, quanto meno, la serrata campagna di disinformazione continua. C'avete fatto caso, come avrebbe detto il grande e compianto Aldo Fabrizi, che ormai da mesi tutto il tormentato mondo vicino e mediorientale, dallo Yemen dove le aeronautiche saudite ed egiziane massacrano gli sciiti fino all'Iraq dove continua la fitna sunnita e all'Afghanistan dove ormai da quasi quarant'anni non comanda più nessuno ma si muore tutti i giorni, è scomparso dalle cronache mediatiche e televisive? Che ne è di Daesh e del suo califfo più volte morto e risorto? Dove sono finiti i "terroristi islamici" dei quali siamo stati nutriti dal 2001 fino all'altro ieri a colazione, pranzo e cena? Nulla, Nacht und Nebel, oscurità e bruma. I morti che da anni sono seminati dalla libera e prode coalizione delle potenze occidentali, ormai, non si contano nemmeno più: anzi, sono scomparsi. E' semplice: basta spegnere i riflettori mediatici incautamente puntati su di loro e voilà, loro non esistono più e noi per l'ennesima volta ci autoassolviamo come siamo abituati da fare da mezzo millennl, da quando è cominciato il colonialismo, salvo – quando prorpio non se ne può fare a meno – trovare lo Hitler o lo Stalin di turno ai quali addossare tutte le colpe.
Ma ora, negli ultimi mesi, siamo proprio diventati bravi. Appena è apparso chiaro al di là di ogni evidenza che dietro la mano dei fanatici di al-Qaeda prima, del Daesh poi, ci poteva essere quella di qualche saudita, e da essa magari era non troppo impossibile risalire addirittura a qualche israeliano e a qualche statunitense, il terrorismo fondamentalista islamico che quotidianamente ci accompagna ormai da quasi vent'anni si è misteriosamente dissolto, fatta salva la surrealistica "spiritosa invenzione" (come l'avrebbe chiamata l'avvocato Carlo Goldoni) di Trump il quale, incurante del fatto ch'esso sia di marca squisitamente sunnita e wahhabita, ne ha denunziato una leadership iraniana e sunnita. Al suo posto, è subentrata l'attività criminale del trio assadista-iraniano-russo (su Erdoğan lorsignori non sano ancora troppo bene come regolarsi), non solo accusato – e purtroppo, va detto, giustamente – di sbagliar politica con i curdi che si sono ben guadagnato il loro diritto all'ìindipendenza lottando eroicamente contro la gentaglia di al-Baghdadi (ma chi appoggiava, fin dai lontani Anni Ottanta, il dittatore Saddam Hussein che era ancora quello definito da Kissinger il "presidente del sorriso", e massacrava i curdi a colpi di bombe e di gas asfissiante?), ma altresì accusato di ogni nefandeza contro la malcapitata popolazione civile siriana.
E' risaputo che il "nuovo Hitler" Assad massacra il suo stesso popolo. Ce lo ha ripetuto un elegiaco Massimo Gramellini sul "Corrierone" del 17 marzo scorso (Il bimbo nella valigia), a proposito dell'esodo dei poveri civili del quartiere Goutha alla periferia di Damasco, bombardato dai siriani lealisti dell'esercito di Assad. Ma quanti poveri civili muoiono continuamente nei villeggi afghani senza posa bombardati da un quarantennio, e dei quali abbiamo perduto ormai il conto? Ma, di grazia, a Gaza non ci sono forse anche dei poveri civili, oppure pensate che ci siano soltanto dei fanatici terroristi di Hamas che si fanno scudo dei corpi dei loro bambini che le forze armate israeliane sono quindi costrette ad uccidere?
I nostri media insistono sulle malefatte dei russi e dell'esercito lealista di Assad nella provincia di Idlib, Siria del nordovest, ancora occupata dai ribelli che piacciono tanto agli Amis de la Syrie confortabilmente installati a Parigi e lodati da Bernard-Henri Lévy tra una soirée all'Opéra-Bastlle e l'altra. Si lamentano altresì i raids delle congiunte forze di Mosca e di Damasco ai danni dei curdi e delle milizie antiassadiste della provincia di Rojava, a nordest (ma tra Idllb a ovest e Rojava a est non esiste continuità territoriale: nel mezzo c'è un'enclave occupata dall'esercito turco e dai siriani antiassadisti suoi alleati: con quanta gioia die curdi, è immaginabile). E giustamente si rende il dovuto omaggio al periodico di "Medici senza Frontiere", che nel suo numero del gennaio scorso denunzia quella in Siria come Una guerra senza regole né pietà e sottolinea (p. 5) che quella benemerita organizzazione umanitaria "non è presente nella aree controllare dal governo (di Assad), nonostante abbia ripetutamente richiesto l'accesso a Damasco". E' cosa gravissima: che è doveroso denunziare e stigmatizzare. Ma, di grazia, giornalisti e politici vari, dove siete – e che cosa leggete – quando "Medici senza Frontiere" denunzia altresì, come fa di continuo, situazioni infami e intollerabili dal Bangladesh al Myanmar, dallo Yemen al Lago Ciad? O esistono forse vittime di serie A e di serie B, a seconda che la loro presenza serva o meno alla propaganda di chi vi tiene sul suo registro-paga oppure, al contrario, ostacoli il business di certe multinazionali? Oppurevogliam dire che quelli fatti da Assad sono "morti buoni", mentre magari quelli provocati dalla multinazionali del petrolio sono solo ingombranti fetentissimi cadaveri nemici del progresso da far sparire al più presto possibile?
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