“Molte di queste conclusioni verosimili sono probabilmente false; altre sono parzialmente false e, infine, qualcuna ha un alto grado di probabilità di essere mescolata al falso. Ma, soprattutto, queste versioni hanno tutte un unico difetto: sono senza storia, non spiegano perché le cose sono accadute. Come se chi le ha presentate fosse affetto da amnesia totale o parziale. Resterebbe da spiegare perché il sistema mondiale dei media (e quel sottoinsieme rappresentato dai media italiani, che ne è parte integrante) sia stato generalmente incapace di offrire ai propri lettori e spettatori qualcosa di meglio delle versioni ufficiali, qualcosa di più corposo della verosimiglianza”.
“E allora, sulla base di quello che ho visto, sentito e letto, la mia risposta è nettamente negativa. Il sistema dei media non ha fornito né una buona informazione (corrette, scrupolosa), né un’informazione esauriente. Al contrario, questa guerra ha evidenziato una totale vulnerabilità dei media ai progetti manipolatori dei poteri politici, nazionali e internazionali”.
“Le bugie si sovrappongono alle bugie, in un intrico senza fine e senza pudore”.
“Non sto parlando di una defaillance, di un’eccezione che confermerebbe la regola di una buona informazione sostanziale. Il fatto è che anche le fotografie che abbiamo visto per mesi nei telegiornali e sulle prime pagine dei giornali, erano spesso false ed erano spesso falsi i colpi di cannone, di bazooka, le sventagliate di kalashnikov”.
“Si può toccare con mano che la faccenda non è il ‘fateci vedere da vicino la guerra’, ma il ‘lasciateci fare il nostro mestiere’: riprendere e documentare ciò che c’è e non ciò che pretendono i nostri gusti o i desideri dei capiredattori a New York o a Roma. In realtà, non importa a nessuno che le immagini siano false. Ciascuno è preoccupato di confezionare esattamente ciò che vuole la casa madre, a prescindere dai fatti. A chi scrive si chiede più ‘colore’, per ‘tenere su’ la guerra perché, altrimenti, il pubblico si annoia. (…) Interessa un bel titolo di prima, non la verità o la correttezza dell’informazione o, peggio ancora, qualche noioso approfondimento”.
“Così si forma una nuova generazione di inviati speciali e reporter. Vanno alla guerra senza idee e senza criteri deontologici. (… ) Ma poi lavorano al servizio innanzitutto di se stessi e, in seconda battuta, dei loro editori di riferimento, nei confronti dei quali devono essere leali. E’ per questo – e qui mi riferisco ai media italiani in modo particolare, perché sono i più corrivi – che poi riempiono i giornali e i telegiornali di soft news, di infotainment, cioè informazione più entertainment, di pagine e pagine di dettagli del Palazzo, talmente insignificanti che solo il Palazzo li legge, insieme ai direttori di giornale”.
“La musica di fondo, assordante e pervasiva, nega il pluralismo, lo annulla alla radice. Si apre così una questione centrale che riguarda la responsabilità professionale dei giornalisti. Il loro esercizio critico è essenziale affinchè milioni di telespettatori e lettori possano formare il proprio giudizio. Certo, manca una buona informazione, ma manca soprattutto la volontà di sottoporre i poteri al vaglio di una critica serrata, senza riguardi. Che è poi l’abc del giornalismo. Pare però che molti giornali e giornalisti lo abbiano dimenticato. E ora che gli spazi di democrazia si vanno restringendo, in Italia e altrove, si vedono già legioni di servi pronti a genuflettersi. Ma i maggiordomi non li si forma in un attimo, occorrono corsi di formazione professionale. Evidentemente questi corsi sono stati seguiti nell’ultimo decennio da centinaia di nuove leve del giornalismo, educate al servilismo dalla generazione democratica che le ha precedute”.
“E’ vero che la propaganda di guerra funziona sempre. Ma un giornalista deve chiedersi se sia giusto farla – e diventare complice – oppure se la si debba respingere. Non siamo di fronte ad un’oziosa e astratta disputa. Qui si tratta di decidere non da che parte stare, se con la ‘patria’ o con il nemico, ma se trasformare la propria professione in uno strumento di manipolazione della gente”.
“Questa è esattamente la propaganda di guerra. E, del resto, non se ne fa mistero. Tutti hanno usato più o meno le stesse espressioni spiegando che la guerra più difficile è la ‘conquista della pubblica opinione’. Guai, dunque, a tutti coloro che osano chiedere spiegazioni, che cercano di operare distinzioni razionali, che denunciano la propaganda o anche gli eccessi inutili. Sono quinte colonne, amici dei nemici, nemici della civiltà, nemici dell’Occidente”.
“Le nuove guerre di cui sarà fatta la Super Guerra dell’Impero saranno combattute con questa logica, non meno violenta e distruttrice di quella dei bombardieri. Il sistema mediatico mondiale è diventato lo stormo di B-52. E’ carta, sono immagini e bit ma fanno più danni dei bombardieri veri. Purtroppo – lo si deve riconoscere, come preliminare condizione per poter eventualmente organizzare un’opera di risanamento – quasi nessuno (o pochi) tra chi lavora in posizioni dirigenti nei giornali, nelle televisioni, nelle radio, nelle riviste, fa il suo mestiere pensando di esercitare un’attività culturale. Se così fosse, rientrerebbero categorie come il rispetto della verità, la responsabilità di fronte al pubblico e così via. Si lavora, invece, per produrre profitto (non importa se per sé o per chi paga) e controllo sociale (leggi manipolazione)”.
“In questo contesto, le porcherie che producono, in guerra o in pace, sono in gran parte effetti deliberatamente programmati e, in parte minore, sono scarti di lavorazione. Ma non ci hanno pensato”.
Sapete quanti anni fa sono state scritte queste profetiche parole da Giulietto Chiesa? Esattamente 20 anni fa, maggio 2000, quando ‘Feltrinelli’ pubblicò uno dei suoi testi di maggior valore morale e politico: “La Guerra Infinita”, firmato prima dell’attacco alle Torri Gemelle, sul quale poi scriverà, a quattro mani con un altro ‘grande’, Ferdinando Imposimato, una relazione (su incarico della ‘Corte Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità’) proprio sul giallo delle Twin Towers e il ruolo più che attivo svolto da CIA e FBI per ‘formare’ e ‘coprire’ il capo commando, Mohamed Atta.
Anche Giulietto, così come Ferdinando, è stata una delle grandi firme della ‘Voce’: entrambi ci hanno sostenuti nei momenti più difficili, soprattutto con le loro memorabili inchieste, veri capolavori sul fronte del giornalismo d’inchiesta.
Così come lo dimostrano, in modo plastico, i passaggi salienti del capitolo ‘Propaganda War’, tratto appunto da ‘La Guerra Infinita’.
Un libro che vi consigliamo caldamente di leggere: non solo per capire la ‘logica’ delle guerre imperialiste Usa di ieri, ma soprattutto per capire l’oggi, i motivi che ‘costringono’ gli Stati Uniti a una belligeranza continua, la quale oggi prende di mira la Russia, domani la Cina. Mentre la solita dormiente (anzi, mai nata) Europa sta a guardare, genuflessa davanti ai diktat Usa, Italia in pole position.
Leggete quanto scrive delle guerre di ieri (Jugoslavia, Iraq) Giulietto, e osservate se quanto oggi siete costretti e sentire dai pollai pubblici e privati tivvù o a leggere dai giornali spazzatura non sia proprio quello che allora dettagliava il profetico Giulietto. Provate, stasera, domani sera e troverete anche voi quanto Chiesa abbia anticipato di 20 anni i fatti. Un altro Fahrenheit 451.
Un’ultima notazione. Nel 2015 Giulietto aveva scritto un reportage che scavava a fondo sulla questione ucraina. E si poneva una drammatica domanda: è se il terzo conflitto mondiale dovesse partire proprio da lì? Potete rileggere l’articolo della Voce cliccando sul link in basso.
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