29 ottobre 2020

JOE BIDEN / IL BOTTINO DIVISO A META’ CON IL FIGLIO HUNTER


Piove sul bagnato per Joe Biden, il candidato democratico nella corsa alla Casa Bianca.

C’è un giallo nel giallo dentro allo scandalo – scoperto dal New York Post – delle mail che documentano tresche & affari di Hunter Biden, il figlio, in Ucraina attraverso la società energetica Burisma.

Sta emergendo, infatti, che i grossi profitti (fra emolumenti e tangenti) incamerati dal rampante Hunter e finiti sotto gli occhi degli 007 a stelle e strisce, poi, venivano divisi a metà col caro babbo.

Fifty fifty, come si conviene nelle educate famigliole americane.

La clamorosa circostanza emerge dalle mail che a sua volta Hunter ha inviato alla figlia Naomi e che fanno capolino nella marea di messaggi ora nel mirino e pubblicate grazie al New York Post, l’unico quotidiano statunitense che osa rompere il muro di gomma eretto intorno al tanto democratico Biden nella sua galoppata verso la Casa Bianca.

In una mail, un patetico Joe rammenta a Naomi che non può più continuare a vivere come la figlia di un miliardario perché suo padre è al verde.

In un’altra le promette di “non pretendere mai la metà del suo stipendio come fa suo nonno”.

Sorge a questo punto spontaneo l’interrogativo: come mai Joe avrebbe acconsentito al trasferimento di metà delle sue entrate al padre?

Forse – si chiede e chiede il quotidiano di New York – il padre stava ricattando il figlio?

O, per la precisione, chiedendo la spartizione a metà del bottino perché Joe, per mandare a segno le sue operazioni milionarie, aveva speso il nome del padre?

Domande che meritano una risposta, soprattutto per far comprendere meglio ai cittadini americani il profilo dei candidati da votare. Trump è – come si suol dire – una “carta conosciuta”. Molto meno lo è Joe Biden, nonostante la sua super decennale navigazione nei tempestosi mari della democrazia (sic) degli States.

Ma c’è poco da stare allegri.

Visto che l’FBI preferisce non vedere e passare oltre, preoccupandosi non del bollente contenuto delle mail, quanto della loro provenienza.

Come indagare sulla luna, ma sul dito puntato.

Tanto che Adam Schiff, il capo della Commissione Intelligence al Senato, uno dei principali ‘fabbricanti’ del taroccato “Russiagate”, intervistato dalla CNN non è riuscito altro che a balbettare parole sconnesse, uno sconclusionato gingle circa fantomatiche prove delle intese tra Putin e Trump.

Prove che non ha mai fornito.

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