Da vent’anni, dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa e nel mondo, la Chiesa è profondamente travagliata dalla pedofilia, diffusa tra le file dei chierici: un fenomeno che ha assunto le dimensioni di una vera epidemia.
Resisi conto della gravità dell’accaduto, i vescovi statunitensi avevano prontamente reagito convocando a giugno una Conferenza episcopale a Dallas, che si pronunciò per una vigorosa azione di risanamento, affidando a un importante studio di criminologia, il John Jay College of Criminal Justice della New York City University, la stesura di un rapporto sugli abusi sessuali i cui risultati furono resi noti nel febbraio del 2004. La linea di fermezza promossa dalla Conferenza episcopale statunitense si esaurì per le resistenze dell’ala tradizionalista e conservatrice del clero, ma da allora la richiesta di delineare un quadro dettagliato dell’abuso clericale sui minori ha sempre accompagnato la progressiva emersione del problema su scala globale.
Se infatti al tempo di Giovanni Paolo II la Curia poteva ancora sostenere che gli abusi sui minori fossero un fenomeno essenzialmente statunitense, Benedetto XVI da subito (2005) dovette confrontarsi con l’esplosione del caso irlandese. Una serie di inchieste governative, confluite nei rapporti Ferns, Ryan e Murphy, produssero nell’opinione pubblica di uno dei Paesi più cattolici del mondo uno shock enorme, che causò una vistosa diminuzione del numero dei sacerdoti e cattolici praticanti.
Il problema però, come si vide bene nel 2010, non era solo irlandese. In quell’anno, che può essere considerato un vero e proprio momento buio della storia della Chiesa, si registrò la più grande serie di scandali del cattolicesimo moderno, capaci di coinvolgere numerosi cardinali, decine di vescovi e migliaia di preti e religiosi. La progressione dei casi rivelati di pedofilia si fece incalzante: dalla Svizzera al Belgio, dal Regno Unito ai Paesi Bassi, dall’Austria alla Germania, dappertutto si verificò un’esplosione di segnalazioni, che segnarono duramente la fase terminale del pontificato di Ratzinger e contribuirono forse a spingerlo alle dimissioni.
Il 2010 può essere considerato un vero e proprio momento buio della storia della Chiesa: la progressione di casi rivelati di pedofilia si fece incalzante e furono coinvolti cardinali, vescovi, preti e religiosi
Il nuovo papa, Francesco, per fronteggiare la situazione, e le accuse provenienti dalla Commissione per i diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite che continuava a chiedere alla Santa Sede di rispettare la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, modificando opportunamente il Codice di diritto canonico, ha tentato varie mosse – la nascita di una commissione per la tutela dei minori aperta alla partecipazione dei laici, riforme della normativa ecclesiastica e vari interventi morali e teologici, tra cui la lettera apostolica in forma di motu proprio Come una madre amorevole, del 2016 – caratterizzate da un notevole rigore.
Ma intanto il tema della pedofilia aveva varcato i confini europei. Se nel caso australiano una commissione governativa dimostrava la consistenza, ampiezza e durata del fenomeno (di recente si è mossa anche la Nuova Zelanda), lo scandalo della pedofilia ecclesiastica si è propagato in tutta l’America Latina, trasmettendosi come un’onda sismica avvertita negli episcopati cileno, brasiliano, colombiano, argentino, ecuadoregno, costaricano, peruviano, e perfino in quello del piccolo San Salvador.
Da allora taluni episcopati europei hanno preso l’iniziativa di promuovere indagini: è stato il caso della Polonia e poi della Chiesa francese. Quest’ultima, nel 2018, ha deciso di avviare un’inchiesta, diretta da un alto funzionario statale cattolico, Jean Marc Sauvé, che nel dicembre scorso ha consegnato il suo rapporto, suscitando enorme clamore per aver rivelato un fenomeno di grande ampiezza (300 mila vittime). Nel gennaio di quest’anno, poi, anche la Chiesa portoghese si è mossa in questa direzione, avviando un’indagine che è in corso. Negli stessi giorni, in Germania, vi è stato l’annuncio dei risultati dell’inchiesta promossa nelle sedi di Frisinga e di Monaco (centinaia di abusi perpetrati dal 1945 al 2019; dozzine di chierici coinvolti), con l’accusa mossa a Ratzinger di avere insabbiato alcuni casi al tempo in cui era arcivescovo della diocesi bavarese. Il papa emerito si è difeso in modo assai confuso, senza fugare i gravi sospetti di negligenza o di complicità.
In altri contesti però gli episcopati sono riluttanti a mappare la questione: nel caso spagnolo, malgrado un’inchiesta condotta da «El País», la Chiesa locale non appare intenzionata a promuovere un’indagine, che – taluni vescovi temono – potrebbe travolgerla. Similmente, nel caso italiano, si osserva una forte resistenza all’apertura di un’inchiesta per valutare ampiezza e gravità di un fenomeno che potrebbe avere dimensioni ancora maggiori di quelle di altri paesi. Certo, è passato del tempo dal 2010, anno in cui il segretario della Cei, Giuseppe Betori, poteva dichiarare impunemente che la pedofilia tra le fila del clero è un «fenomeno estremamente limitato»: grazie soprattutto all’azione di papa Francesco, l’orientamento culturale è significativamente mutato. Ora anche nella Cei v’è chi si ripromette di lanciare un’indagine conoscitiva interna, ma tutto è stato rimandato a maggio, quando chi sostituirà Gualtiero Bassetti dovrà decidere il da farsi.
A sollecitare un’inchiesta indipendente, pubblica e non condizionata dalle cautele dell’episcopato italiano, affidata a una commissione autorevole, è adesso un coordinamento di associazioni, in gran parte cattoliche, alcune delle quali, fin qui non troppo visibili, riuniscono le vittime degli abusi che hanno rotto il silenzio (Rete l?Abuso, Comitato Vittime e Famiglie). Del coordinamento, che ha ricevuto l’appoggio di «Left» e dell’agenzia di stampa Adista – punto di riferimento dei fedeli più progressisti – fanno parte l’Osservatorio interreligioso dulle violenze contro le donne e Donne per la Chiesa. In modo significativo, il comunicato che ha chiesto a gran voce di avviare l’inchiesta, emanato il 12 febbraio di quest’anno, tre giorni prima della presentazione pubblica dell’iniziativa, si è avvalso dell’hashtag #ItalyChurchToo, con riferimento alla campagna mondiale contro la violenza sulle donne (#MeToo) che ha riscosso successo partendo dagli Stati Uniti. I promotori ricordano che ad avere diritto a conoscere l’entità del fenomeno non sono solo le vittime e le loro famiglie, ma anche tutti i sinceri cristiani, le cittadine e i cittadini della nostra Repubblica.
Ad avere diritto a conoscere l’entità del fenomeno della pedofilia non sono solo le vittime e le loro famiglie, ma anche tutti i sinceri cristiani, le cittadine e i cittadini della nostra Repubblica
Negli stessi giorni è stata resa nota su «Domani» una lettera del 2015, vergata dall’allora segretario e ora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Luis Ladaria, che ha contribuito a suscitare indignazione, nonostante la distrazione di una parte della stampa italiana intorno a questo tema. Nella missiva, infatti, si suggeriva all’arcivescovo di Lione Philippe Barbarin di intervenire nel caso di don Bernard Preynart, che avrebbe travolto i vertici della diocesi francese, ma senza suscitare scandalo.
«Scandalo» è la parola che torna in documenti analoghi che l’ex Sant’Uffizio – investito da secoli delle materie di adescamento sessuale del clero, e dunque anche dei peccati e delitti di pedofilia – ha indirizzato ai pastori d’anime di tutto il mondo, Italia compresa. Essa ci ricorda che il diritto canonico continua a mettere al riparo le colpe occulte, dei laici e del clero, tentando di risolverle e di riconciliarle senza clamore (e senza imporre la denuncia al magistrato civile). È una lunga storia, quella del segreto e della prassi penitenziale dei tribunali della Chiesa, che abbiamo provato a raccontare in un libro (Peccato o crimine. La Chiesa di fronte alla pedofilia, Laterza, 2021), cercando di mettere in luce come oggi l’opinione pubblica non sia più disposta a comprendere e a tollerare le norme canoniche, che appaiono come astute regole di tutela corporativa che coprono diffuse abitudini sessuali del clero in spregio alle vittime (le vittime fragili e non consenzienti di un abuso sentito come particolarmente grave perché tocca l’infanzia e l’adolescenza).
Eppure, come si legge nel Vangelo (Mt 18,7; Lc 17,1), occorre che lo scandalo accada, che venga alla luce; e guai a chi lo provoca. Guai a chi tenta di tenerlo lontano dai riflettori, lasciando le vittime da sole. Perciò l’iniziativa di questa rete di associazioni ci sembra importante, e non deve essere lasciata cadere nel silenzio né stravolta con un’inchiesta interna della Cei. Perché anche in Italia, nel giardino di casa dei papi, si faccia piena chiarezza sull’entità di comportamenti che per troppo tempo la Chiesa ha faticato ad avvertire come criminosi.
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