Per LA VOCE DELLE VOCI Pier Paolo Pasolini non è, non è mai stato, semplicemente un’icona culturale buona per tutti gli usi, ma un alto riferimento etico, un testimone scomodo e coraggioso, un uomo che oltre alle parole e alle immagini ha messo in campo la propria faccia e il proprio corpo per sfidare il fascismo oscuro che ancora si annida nella società italiana.
Potremmo dire che per noi è stato un (illustre e gradito) compagno di viaggio, che condivide il percorso – difficile e controcorrente, come la sua vita e le sue opere – della nostra testata fin dal 1984. Un percorso che i nostri lettori potranno scoprire a mano a mano, nell’anno del centenario di Pasolini, rileggendo i tanti articoli che hanno provato a ripercorrere e a sottolineare, con l’aiuto di amici e studiosi del poeta-regista, le sue qualità artistiche ma soprattutto il suo impegno politico, il coraggio ideale, il suo essere vicino e partecipe alle ansie e alle lotte del Sud d’Italia e di tutti i Sud del mondo, sempre dalla parte dei poveri, dei deboli, dei dimenticati.
Per questo, oltre ad attingere al vasto archivio pasoliniano (cartaceo e poi online) de LA VOCE DELLE VOCI, ci siamo proposti di proseguire il cammino alla ricerca delle sue tracce, ancora profonde, ancora necessarie a indicarci una strada verso un futuro tutt’altro che facile e pacificato, e tuttavia l’unico possibile per chi vuole ispirare la propria vita alla ricerca della verità e alla pratica della democrazia solidale. Partendo dall’Africa, ieri come oggi l’area più depressa e sfruttata del mondo, che Pasolini (caso rarissimo, se non proprio unico, nell’intellighenzia italiana e occidentale pre-Sessantotto) sentiva come il punto di partenza per la costruzione di un’umanità nuova.
Dall’Africa al Sud Italia, proprio come il suo Alì dagli occhi azzurri, il passo è naturale, inevitabile: un Sud antropologicamente diverso da oggi, il Sud della Matera-Gerusalemme del suo Vangelo secondo Matteo, della Napoli “ultimo villaggio d’Europa” del Decameron, o dell’Irpinia, la provincia all’epoca più povera d’Italia ma capace di sprigionare la vincente utopia del “Laceno d’Oro”.
Quanto è rimasto di quel Sud percorso e amato da Pasolini?
È una riflessione che vogliamo condividere con i nostri lettori, ma qualche risposta ci sentiamo di darla subito. Quando pensiamo alla generosa utopia umanitaria di Riace, alla comunità di Lampedusa che accoglie i profughi del mare, alla gara di solidarietà dei cittadini di Bari per accogliere gli albanesi della nave Vlora che sognavano Lamerica in Italia, ai giudici coraggiosi e ai giovani che in Campania, in Calabria e in Sicilia non si arrendono alle mafie, non si può fare a meno di pensare che Pasolini aveva capito come nessun altro, forse come solo il suo amico Carlo Levi, che il Sud può essere l’estrema riserva di umanità nell’Occidente cinico e vuoto dei Paesi ricchi e “frugali”, a patto di non snaturare la sua antica cultura di semplicità e di accoglienza.
L’AFRICA di PASOLINI
“Africa! Unica mia alternativa…”, scrive Pasolini in Frammento alla morte, nella raccolta La religione del mio tempo (1961).
In quello stesso anno il poeta-regista, di ritorno dall’India, compie il suo primo viaggio in Africa, in compagnia di Alberto Moravia ed Elsa Morante, visitando il Kenya e lo Zanzibar. Un’autentica folgorazione: “Sono stato razionale e sono stato / irrazionale: fino in fondo. / E ora…ah, il deserto assordato / dal vento, lo stupendo e immondo /
sole dell’Africa che illumina il mondo”, scrive in Frammento alla morte.
Per Pasolini è la scoperta di un universo antropologico quasi primitivo e ancora intatto, dal quale riprendere il suo viaggio inesausto alle radici del Mito primigenio, ormai definitivamente cancellato in Occidente dalla civiltà industriale: un tema che riprenderà in Poesia in forma di rosa (1964). Nello stesso 1961, invitato dagli Editori Riuniti a firmare la prefazione all’antologia I poeti. Letteratura negra, a cura di Mario De Andrade, Pasolini scopre la vivacità culturale che anima i movimenti di liberazione dei popoli di colore nell’Africa nera e nelle Americhe. Una vera e propria “Resistenza negra”, come scrive nel titolo della sua prefazione, che Pasolini non può fare a meno di comparare con le analoghe speranze di libertà e di giustizia degli “ultimi” d’Italia: “Lo ‘sguardo al futuro’, che era tipico in noi in quei famosi anni quaranta, lo ritroviamo qui, con la stessa quasi impudica freschezza, con la stessa imprecisa ma emozionante irruenza”. Qui Pasolini rivela la sua visione del Terzo Mondo e la sua idea di Sud, più antropologica e culturale che etnica e geografica: “I negri nudi che ballano intorno al fuoco sono come sottoproletari rovigotti intorno al fiasco del vino o cafoni meridionali che suonano la chitarra (p. XXI). È fortemente sintomatico che a lottare per la giustizia sociale siano i popoli più lontani dalla civiltà industriale”.
Questa Africa, al tempo stesso arcaica e in fermento, che Pasolini torna a visitare l’anno successivo, in Egitto e nel Sudan, gli ispira da subito il progetto di un film: Il padre selvaggio, di cui “Film Selezione” pubblicò in esclusiva il soggetto nel numero 12 del luglio-agosto 1962 (le riprese sarebbero iniziate nell’inverno successivo) definendolo “il primo film che affronterà realisticamente e con una precisa impostazione ideologica il dramma e la nascita della nuova Africa”. Per dare concretezza al progetto, Pasolini torna in Africa nel gennaio del ’63, visitando Ghana e Guinea in compagnia di Moravia, Dacia Maraini e del produttore Alfredo Bini. Pasolini e Moravia esplorano il continente nero, annuncia la “Settimana Incom illustrata” del 10 febbraio, e tre giorni prima “Vie Nuove” pubblica un’ampia intervista a Pasolini sui luoghi del film con il titolo Perché in Africa. Perché, spiega il poeta: “L’Africa è l’aspetto di una realtà che riguarda anche l’Italia. (…) Sono andato in Africa per caso due anni fa, tornando da un viaggio in India. E mi ha irrazionalmente e antropologicamente incantato”.
Per il nuovo film, che nell’intervista definisce “la storia di una educazione (educazione reciproca)”, Pasolini effettua i sopralluoghi e le scelte per il cast, individuando gli attori per i due ruoli principali: il professore democratico, giunto nel liceo della capitale di uno Stato che ha appena ottenuto l’indipendenza, e il suo studente più intelligente e sensibile, Davidson, figlio di genitori poveri e analfabeti, con il quale dibatterà dialetticamente sui temi della libertà, della democrazia e del rapporto tra bianchi e neri...
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