Theodor Hlebaroff un profugo bulgaro chiede asilo politico in Vaticano con una lettera inviata alla Segreteria di Stato
La prima telefonata ricevuta dal Vaticano da parte dei rapitori di Emanuela Orlandi non sarebbe stata quella del 5 luglio 1983, cioè dopo che Giovanni Paolo II aveva già lanciato un appello, ma una arrivata tra le 20 e le 21 della stessa sera della scomparsa della ragazza, avvenuta alle 19.15 di 36 anni fa.
La stessa sera della scomparsa di Emanuela, il 22 giugno 1983 intorno alle 20,30 (nemmeno due ore dopo che è stata vista uscire dalla scuola di musica a Sant’Apollinare, dietro Piazza Navona), uno sconosciuto chiama il Vaticano e chiede di parlare urgentemente con il segretario di Stato, Cardinale Agostino Casaroli. Ha qualcosa di importante da comunicare, dice. Ma Casaroli è in Polonia con Giovanni Paolo II, per una visita ufficiale e le suore di turno al centralino non danno gran peso alla telefonata: ogni giorno c’è qualcuno che vuole parlare con il Papa o qualche alto prelato, insomma è pieno di spostati. Il centralino quella sera avrebbe passato la telefonata a Romeo Panciroli, il Direttore della sala stampa Vaticana che ne avrebbe riferito il contenuto a Mons. Carlo Maria Viganò. In cambio della liberazione di Emanuela, i rapitori avrebbero fatto una richiesta il cui soddisfacimento non dipendeva dalla volontà della Santa Sede. Il contenuto di quella telefonata sarebbe stato trascritto poi da Panciroli in un documento inviato via fax a Viganò. Che fine ha fatto questo fax? perché non è mai stato reso pubblico?
Nell’intervista all’ex vaticanista RAI Aldo Maria Valli, Mons. Viganò ricorda di aver collegato la telefonata alla vicenda di un sedicente rifugiato dell’est Europa che mesi prima aveva chiesto, con una lettera indirizzata proprio alla Segreteria di Stato all’attenzione di Rev. P. GianBattista Ré, asilo politico in Vaticano.
La lettera, datata 20 maggio 1983, viene scritta da Bolzano con l’intestazione Reverendissimo Padre e continua: “sono un riconosciuto rifugiato politico bulgaro con la qualificazione dell’O.N.U., 43 anni pedagogo, scientista. Chiedo la possibilità di prendere ASILO POLITICO”. Viene firmata col nome di Theodor Hlebaroff che dichiara di essere un professore di musica, lingua e letteratura tedesca, e che tra i vari girovagare per l’Italia fu ospite del Centro di assistenza profughi stranieri Rossi Longhi di Latina. Ma c’è un dettaglio che sembra fatto apposta per catturare l’attenzione. Theodor Hlebaroff che chiede protezione alla Santa Sede, dice di aver frequentato il Pontificio Istituto di Musica Sacra come alunno straordinario per l’anno accademico 1982-1983, istituto che dista poche centinaia di metri da piazza Sant’Apollinare, dalla scuola dove Emanuela frequentava canto e flauto traverso. Oggi i due palazzi hanno entrate diverse ma all’epoca le due scuole sarebbero state addirittura collegate ed è certo che il Pontificio Istituto di Musica Sacra aveva una sede anche nel palazzo della scuola di musica di Emanuela.
Non sembra neanche fosse la prima lettera quella del 20 maggio perché sessantaquattro giorni prima, un articolo de La Stampa, fa un resoconto degli sforzi di Hlebaroff per contattare la Segreteria di Stato, chiedendo prima, la cittadinanza vaticana e poi asilo politico. Si legge che lo stesso, disdegna la qualifica di profugo riconosciuta dalla Commissione paritetica fra il governo italiano e l’alto commissariato dell’ONU per i rifugiati e fa istanza in Segreteria perché in Vaticano non c’è criminalità nonché assenza di: “comunisti, sindacati, industrie inquinanti e problemi con le donne e la loro ossessione del sesso” inoltre fa presente che il Vaticano costituisce una comunità in cui regnano ordine, disciplina.
Il 17 luglio del 1983 viene fatta trovare un’audiocassetta in via della Dataria, a due passi dal Quirinale e dalla sede dell’Ansa. In una facciata si sentono lamenti di una ragazza e dall’altro un comunicato letto da una voce maschile dall’accento straniero che detta le condizioni per la liberazione di Emanuela. Questa voce nel 1983 viene fatta sentire dagli inquirenti ad una donna di Bolzano, Anna, che dice di conoscere quest’uomo e a verbale dichiarerà che “l’accento e la cadenza della registrazione è uguale alla voce di Theodor Hlebaroff, anche se il tono del messaggio registrato è più freddo e monotono, come se stesse leggendo un messaggio”.
Perché viene messo in relazione il bulgaro con la voce registrata sull’audiocassetta? E come può essere stato ammesso alla frequenza del prestigioso Pontificio Istituto di Musica Sacra?
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