Rapporti con il Venerabile Licio Gelli, terreni e proprietà appartenute per una vita ai "Cavalieri dell'Apocalisse mafiosa", quindi lo scrigno di tutti i segreti che facevano capo al super banchiere delle cosche Michele Sindona.
Di tutto e di più nel 'portafoglio' lavori e non solo di casa Parnasi, oggi tornata agli onori delle cronache per l'affaire dello stadio giallorosso a Tor di Valle e l'inchiesta montante della procura di Roma.
Un business che bolle in pentola da almeno un anno e mezzo, dopo un primo trattamento a cura della giunta capeggiata da Ignazio Marino e la stretta finale impressa da quella griffata Virginia Raggi.
Quel 'portafoglio' per anni è stato tra le mani di Sandro Parnasi, il patriarca della dinasty mattonara romana, storicamente rivale del gruppo Caltagirone, con cui ha diviso la torta degli appalti: anche se negli ultimi tempi la potente famiglia tutto cemento ha preferito dedicarsi alle lucrose attività estere. Le questioni romane, quindi, appannaggio soprattutto di Parsitalia & consorelle, sponsorizzate al punto giusto e in modo perfettamente trasversale.
Valter Veltroni e il fratello Valerio.
Nel montaggio di apertura Luca Parnasi e sullo sfondo Michele Sindona
Ecco cosa la Voce scriveva in un'ampia inchiesta di aprile 2011: "La famiglia Parnasi, come la gran parte dei palazzinari romani, ha imparato il copione a memoria: amici di tutti, a destra e a sinistra, con Walter Veltroni e Gianni Alemanno, con Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. Sempre a fianco dei manovratori". In quel reportage venivano dettagliati i principali business mattonari dell'epoca all'ombra del Cupolone: da Tor Marancia a Mostacciano e al comprensorio Torrino nord; da Montesacro all'Eur 2; da Casalpalocco alla Collina Fleming.
In quest'ultimo caso, i progetti di casa Parnasi hanno trovato adeguata accoglienza dalla giunta Alemanno, "in perfetta continuità con i desiderata del predecessore Veltroni".
Del resto fu non poco fitta la rete degli interessi tessuta tra Luca Parnasi, il rampollo della dinasty, e Valerio Veltroni, fratello di Walter e con il pallino degli affari immobiliari, lungo l'asse Pisa-Roma.
LEGAMI PERICOLOSI
Ma veniamo alle amicizie border line e agli affari pericolosi.
Titola la Verità di Maurizio Belpietro il 20 giugno: "Quando Gelli scriveva a Parnasi: grazie dei doni". Il riferimento, of course, è al patriarca Sandro Parnasi, uno degli storici mattonari romani.
Come a suo tempo furono, ad esempio, i Marchini e i Belli.
Sul primo fronte la gran parte del patrimonio Marchini è finito proprio sotto l'ombrello dei Parnasi. Mentre il rampante Alfio, dopo aver dismesso le sue partecipazioni nel 'Risanamento', ha pensato bene di tuffarsi nell'agone politico romano. Un flop.
Sull'altro versante, c'è una vicenda tutta da raccontare e che porta dallo scrigno di casa Sindona ai salotti di casa Parnasi. Via Belli. Una story che nel 1990 fa tappa a Napoli. State a sentire.
Quello scrigno, SGI, ossia Società Generale Immobiliare, racchiudeva tutte le ricche partecipazioni immobiliari che facevano capo al super cassiere della mafia e con alte protezioni vaticane, Michele Sindona, il quale finì i suoi giorni grazie ad una tazzina di caffè corretto servitogli nelle galere dell'Ucciardone.
Tra le perle di SGI alcune controllate d'oro, non solo per i beni posseduti ma soprattutto per i segreti custoditi: SGI Lavori, SGI Casa, SGI International e sorella Sogene. Storie di maxi riciclaggi, proventi illeciti, operazioni estere. Di tutto e di più, in quelle casseforti.
Non a caso, infatti, don Michele aveva rilevato il tutto dal Vaticano. Passato Sindona a miglior vita, quel tesoro e soprattutto quei segreti non possono che passare in mani fidate: ed ecco la Arcangelo Belli story, che con alcuni amici mattonari capitolini acquisisce la 'polpa' di Sogene.
Passano gli anni, gli affari non volano con il vento in poppa, comunque il 'bottino' sta al sicuro.
Fino a che tutto finisce nelle aule della sezione fallimentare, va in scena la rituale asta e quel patrimonio finisce nelle mani di uno sconosciuto imprenditore napoletano impegnato nel settore della meccanica idraulica, Paolo Martinez. Di quella liquidazione si occupò un prestigioso studio partenopeo guidato dall'allora avvocato ed ex senatore della Sinistra Indipendente, Gustavo Minervini. La storia è molto complessa e porta fino ai paradisi fiscali all'epoca più accorsati, e ad una serie di fiduciarie, comodo paravento per affari opachi. Potete rileggere la vecchia storia nelle pagine della Voce di ottobre 1990.
Alcuni anni di nebbie, poi l'ultimo passaggio: Sogene & Sgi finiscono nelle mani del gruppo Parnasi: siamo nel 1993, a condurre l'operazione il comandante Sandro, con un Luca che ancora indossa i calzoncini corti, o quasi.
Sorgono spontanee alcune domande: cosa ha portato prima l'Arcangelo Belli, poi mister Martinez quindi Big Parnasi a inghiottire una patata comunque sempre bollente? Valevano più i residui cespiti immobiliari oppure i segreti, pur sempre una 'merce' che ha un suo valore sul mercato? Nessuna inchiesta della magistratura ha mai anche appena cercato di far luce su quei misteri. Da novanta. Varrebbe certo la pena – oggi – di capire il perchè di quelle indagini mancate.
DA SINDONA A GRACI
Passiamo all'altra storia bollente. Aste fallimentari che passione, per Parsitalia, Eurnova e consorelle, ossia i bracci mattonari di casa Parnasi.
Ed è così che sborsando meno della metà del prezzo, ossia circa 130 milioni invece di 290, i costruttori romani riescono ad accaparrarsi un vero e proprio patrimonio immobiliare che fa capo a Francesco Finocchiaro e Gaetano Graci, i due "Cavalieri dell'Apocalisse mafiosa" che hanno per decenni dettato legge nella Sicilia degli appalti, in compagnia di altre dinasty che andavano per la maggiore, come quelle dei Cassina, dei Costanzo e dei Rendo.
La story viene condita anche con il fallimento della banca Sicilcassa, che aveva erogato pingui fondi alle imprese di Finocchiaro e Graci. Uno dei 'tesori' più preziosi che il tandem possedeva erano dei terreni a Roma, zona Eur.
Ecco come cinque anni fa ha dettagliato i fatti il Messaggero di casa Caltagirone, una cronaca che non fa sconti vista la storica rivalità tra i due gruppi mattonari: "Quella proprietà era stata acquistata nel corso di un fallimento della banca Sicilcassa. I terreni dell'Eur su cui oggi sorge il palazzo della Provincia erano di Graci e Finocchiaro. Nel 2002 entrano in campo i costruttori Parnasi che fanno una transazione per comprare i crediti e le azioni di tre società del gruppo Graci-Finocchiaro, che alla data del crac avevano un'esposizione di 287 milioni di euro verso la Sicilcassa. Grazie all'accordo, i Parnasi rilevano tutto pagando meno della metà, 129 milioni. E nel pacchetto ci sono anche i terreni dell'Eur".
Continuava il Messaggero, all'epoca diretto da Mario Orfeo, poi passato ai fasti Rai: "La trattativa si chiude nel 2003, dopo che la zona era stata trasformata da M1 a M2, ovvero da zona edificabile per servizio pubblico e zona edificabile a destinazione privata. L'operazione è opaca, perchè non è chiaro se nel fare il prezzo per quel terreno alle porte di Roma, i liquidatori di Sicilcassa abbiano tenuto conto di quanto la variazione della destinazione d'uso avrebbe fatto lievitare il valore. E' un fatto, però, che il Comune di Roma, allora guidato da Walter Veltroni, chiude con la Parsitalia di Luca Parnasi un accordo di compensazione: al Comune viene restituita l'area del Pratone della Valle e in cambo la società ottiene la zona di Eur Castellaccio, con una edificabilità complessiva di ben 780 milioni di metri cubi. Tra i tanti edifici che vengono costruiti c'è quello del nuovo palazzo della Provincia, ente abolito nel 2014 ma che nel frattempo ha speso 263 milioni di euro per acquistare una nuova sede, un'operazione avviata dall'ex presidente della Provincia Enrico Gasbarra ma conclusa dal suo successore Nicola Zingaretti, vicino a Parnasi".
Per la più classica delle serie, "Amici Miei".
Una vicenda, quella dell'affare Eur-Parnasi e annessa Provincia story, che passa politicamente del tutto inosservata. Nel più totale e roboante silenzio.
Mosca bianca l'allora senatore Elio Lannutti, storico presidente di Adusbef, l'associazione a tutela dei risparmiatori, che in un'interrogazione parlamentare datata 30 novembre 2011 (la numero 640) denunciava le manovre in corso e chiedeva una risposta al ministro dell'Economia: "il piano di acquisto della nuova sede della Provincia di Roma rischia di appesantire in maniera eccessiva i bilanci dell'ente; non sono chiari i motivi per cui la Provincia venda una parte del proprio patrimonio immobiliare e proceda all'acquisto di un'imponente struttura nella zona dell'Eur".
In basso potete leggere il testo di quell'interrogazione in cui viene anche ricostruito tutto l'iter dello sconcertante affare. Sulle spalle dei romani, dell'erario e a solo vantaggio di un gruppo mattonaro privato.
Che fino a ieri voleva mettere le mani sul governo gialloverde in fase di gestazione…
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Un business che bolle in pentola da almeno un anno e mezzo, dopo un primo trattamento a cura della giunta capeggiata da Ignazio Marino e la stretta finale impressa da quella griffata Virginia Raggi.
Quel 'portafoglio' per anni è stato tra le mani di Sandro Parnasi, il patriarca della dinasty mattonara romana, storicamente rivale del gruppo Caltagirone, con cui ha diviso la torta degli appalti: anche se negli ultimi tempi la potente famiglia tutto cemento ha preferito dedicarsi alle lucrose attività estere. Le questioni romane, quindi, appannaggio soprattutto di Parsitalia & consorelle, sponsorizzate al punto giusto e in modo perfettamente trasversale.
Valter Veltroni e il fratello Valerio.
Nel montaggio di apertura Luca Parnasi e sullo sfondo Michele Sindona
In quest'ultimo caso, i progetti di casa Parnasi hanno trovato adeguata accoglienza dalla giunta Alemanno, "in perfetta continuità con i desiderata del predecessore Veltroni".
Del resto fu non poco fitta la rete degli interessi tessuta tra Luca Parnasi, il rampollo della dinasty, e Valerio Veltroni, fratello di Walter e con il pallino degli affari immobiliari, lungo l'asse Pisa-Roma.
LEGAMI PERICOLOSI
Ma veniamo alle amicizie border line e agli affari pericolosi.
Titola la Verità di Maurizio Belpietro il 20 giugno: "Quando Gelli scriveva a Parnasi: grazie dei doni". Il riferimento, of course, è al patriarca Sandro Parnasi, uno degli storici mattonari romani.
Come a suo tempo furono, ad esempio, i Marchini e i Belli.
Sul primo fronte la gran parte del patrimonio Marchini è finito proprio sotto l'ombrello dei Parnasi. Mentre il rampante Alfio, dopo aver dismesso le sue partecipazioni nel 'Risanamento', ha pensato bene di tuffarsi nell'agone politico romano. Un flop.
Sull'altro versante, c'è una vicenda tutta da raccontare e che porta dallo scrigno di casa Sindona ai salotti di casa Parnasi. Via Belli. Una story che nel 1990 fa tappa a Napoli. State a sentire.
Quello scrigno, SGI, ossia Società Generale Immobiliare, racchiudeva tutte le ricche partecipazioni immobiliari che facevano capo al super cassiere della mafia e con alte protezioni vaticane, Michele Sindona, il quale finì i suoi giorni grazie ad una tazzina di caffè corretto servitogli nelle galere dell'Ucciardone.
Tra le perle di SGI alcune controllate d'oro, non solo per i beni posseduti ma soprattutto per i segreti custoditi: SGI Lavori, SGI Casa, SGI International e sorella Sogene. Storie di maxi riciclaggi, proventi illeciti, operazioni estere. Di tutto e di più, in quelle casseforti.
Non a caso, infatti, don Michele aveva rilevato il tutto dal Vaticano. Passato Sindona a miglior vita, quel tesoro e soprattutto quei segreti non possono che passare in mani fidate: ed ecco la Arcangelo Belli story, che con alcuni amici mattonari capitolini acquisisce la 'polpa' di Sogene.
Passano gli anni, gli affari non volano con il vento in poppa, comunque il 'bottino' sta al sicuro.
Fino a che tutto finisce nelle aule della sezione fallimentare, va in scena la rituale asta e quel patrimonio finisce nelle mani di uno sconosciuto imprenditore napoletano impegnato nel settore della meccanica idraulica, Paolo Martinez. Di quella liquidazione si occupò un prestigioso studio partenopeo guidato dall'allora avvocato ed ex senatore della Sinistra Indipendente, Gustavo Minervini. La storia è molto complessa e porta fino ai paradisi fiscali all'epoca più accorsati, e ad una serie di fiduciarie, comodo paravento per affari opachi. Potete rileggere la vecchia storia nelle pagine della Voce di ottobre 1990.
Alcuni anni di nebbie, poi l'ultimo passaggio: Sogene & Sgi finiscono nelle mani del gruppo Parnasi: siamo nel 1993, a condurre l'operazione il comandante Sandro, con un Luca che ancora indossa i calzoncini corti, o quasi.
Sorgono spontanee alcune domande: cosa ha portato prima l'Arcangelo Belli, poi mister Martinez quindi Big Parnasi a inghiottire una patata comunque sempre bollente? Valevano più i residui cespiti immobiliari oppure i segreti, pur sempre una 'merce' che ha un suo valore sul mercato? Nessuna inchiesta della magistratura ha mai anche appena cercato di far luce su quei misteri. Da novanta. Varrebbe certo la pena – oggi – di capire il perchè di quelle indagini mancate.
DA SINDONA A GRACI
Passiamo all'altra storia bollente. Aste fallimentari che passione, per Parsitalia, Eurnova e consorelle, ossia i bracci mattonari di casa Parnasi.
Ed è così che sborsando meno della metà del prezzo, ossia circa 130 milioni invece di 290, i costruttori romani riescono ad accaparrarsi un vero e proprio patrimonio immobiliare che fa capo a Francesco Finocchiaro e Gaetano Graci, i due "Cavalieri dell'Apocalisse mafiosa" che hanno per decenni dettato legge nella Sicilia degli appalti, in compagnia di altre dinasty che andavano per la maggiore, come quelle dei Cassina, dei Costanzo e dei Rendo.
La story viene condita anche con il fallimento della banca Sicilcassa, che aveva erogato pingui fondi alle imprese di Finocchiaro e Graci. Uno dei 'tesori' più preziosi che il tandem possedeva erano dei terreni a Roma, zona Eur.
Ecco come cinque anni fa ha dettagliato i fatti il Messaggero di casa Caltagirone, una cronaca che non fa sconti vista la storica rivalità tra i due gruppi mattonari: "Quella proprietà era stata acquistata nel corso di un fallimento della banca Sicilcassa. I terreni dell'Eur su cui oggi sorge il palazzo della Provincia erano di Graci e Finocchiaro. Nel 2002 entrano in campo i costruttori Parnasi che fanno una transazione per comprare i crediti e le azioni di tre società del gruppo Graci-Finocchiaro, che alla data del crac avevano un'esposizione di 287 milioni di euro verso la Sicilcassa. Grazie all'accordo, i Parnasi rilevano tutto pagando meno della metà, 129 milioni. E nel pacchetto ci sono anche i terreni dell'Eur".
Continuava il Messaggero, all'epoca diretto da Mario Orfeo, poi passato ai fasti Rai: "La trattativa si chiude nel 2003, dopo che la zona era stata trasformata da M1 a M2, ovvero da zona edificabile per servizio pubblico e zona edificabile a destinazione privata. L'operazione è opaca, perchè non è chiaro se nel fare il prezzo per quel terreno alle porte di Roma, i liquidatori di Sicilcassa abbiano tenuto conto di quanto la variazione della destinazione d'uso avrebbe fatto lievitare il valore. E' un fatto, però, che il Comune di Roma, allora guidato da Walter Veltroni, chiude con la Parsitalia di Luca Parnasi un accordo di compensazione: al Comune viene restituita l'area del Pratone della Valle e in cambo la società ottiene la zona di Eur Castellaccio, con una edificabilità complessiva di ben 780 milioni di metri cubi. Tra i tanti edifici che vengono costruiti c'è quello del nuovo palazzo della Provincia, ente abolito nel 2014 ma che nel frattempo ha speso 263 milioni di euro per acquistare una nuova sede, un'operazione avviata dall'ex presidente della Provincia Enrico Gasbarra ma conclusa dal suo successore Nicola Zingaretti, vicino a Parnasi".
Per la più classica delle serie, "Amici Miei".
Una vicenda, quella dell'affare Eur-Parnasi e annessa Provincia story, che passa politicamente del tutto inosservata. Nel più totale e roboante silenzio.
Mosca bianca l'allora senatore Elio Lannutti, storico presidente di Adusbef, l'associazione a tutela dei risparmiatori, che in un'interrogazione parlamentare datata 30 novembre 2011 (la numero 640) denunciava le manovre in corso e chiedeva una risposta al ministro dell'Economia: "il piano di acquisto della nuova sede della Provincia di Roma rischia di appesantire in maniera eccessiva i bilanci dell'ente; non sono chiari i motivi per cui la Provincia venda una parte del proprio patrimonio immobiliare e proceda all'acquisto di un'imponente struttura nella zona dell'Eur".
In basso potete leggere il testo di quell'interrogazione in cui viene anche ricostruito tutto l'iter dello sconcertante affare. Sulle spalle dei romani, dell'erario e a solo vantaggio di un gruppo mattonaro privato.
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Inchiesta Voce ottobre 90