13 gennaio 2018
Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 12 gennaio 2018
12 gennaio 2018
Mobilità, arriva la rivoluzione elettrica
Quale sarà l'impatto di questa "rivoluzione"? E cosa comporterà a livello di costi di gestione della rete elettrica la graduale conversione del parco auto in mezzi a emissioni zero?
ANDREA BERTAGLIO
La rivoluzione elettrica è iniziata. Piaccia o meno, infatti, nel corso dell'ultimo paio di anni si è avviata una serie di dinamiche che, dopo lunghe attese da parte degli addetti del settore, stanno smuovendo le acque come mai prima a livello di mobilità green, nuove infrastrutture e percezione del pubblico della necessità di ridurre l'inquinamento atmosferico. Tanto che nel terzo trimestre del 2017 le auto elettriche e le ibride plug-in vendute sono state circa il 63% in più rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente. E così temi o fenomeni fino a poco tempo fa riservati ai soli appassionati come l'auto e la moto elettrica, le Smart Grid o le Smart City sono finalmente sulle prime pagine dei giornali, protagonisti nelle fiere e ormai parte dell'immaginario collettivo. Ma quale sarà l'impatto di questa "rivoluzione"? E cosa comporterà a livello di costi di gestione della rete elettrica la graduale conversione del parco auto in mezzi a emissioni zero?
Se lo sono chiesto soprattutto in California, stato che da solo ospita più della metà dell'intero parco EV Usa (secondo mercato globale, dopo la Cina): il boom di veicoli elettrici avrà effetti negativi sui costi per la collettività nella gestione di rete elettrica e infrastrutture, o nell'applicazione di trasformatori e condensatori? Secondo alcuni studi e ricerche, la risposta è un secco "no". Come riportato in un approfondimento della rivista specializzata CleanTechnica, infatti, senza accorgimenti per una maggiore efficienza energetica un'auto elettrica può far aumentare di un terzo (33%) i consumi di corrente una famiglia, ma ciò non significa che le performance della rete vengano penalizzate. Al contrario, rappresenta un'opportunità di miglioramento per l'intero sistema.
In realtà lo ha rivelato già nel 2014 una rigorosa analisi guidata dalla California Public Utilities Commission con cui, sempre sulla West Coast, si sono stimati gli impatti sulla rete elettrica di una larga diffusione di veicoli elettrici: i costi per l'aggiornamento della rete di distribuzione locale sarebbero "sorprendentemente bassi", spiegano i ricercatori. Anche ipotizzando di ritrovarsi nel 2030 con una diffusione molto più elevata di auto e moto elettriche, ad esempio 7 milioni di veicoli (un quarto di tutti quelli immatricolati), i costi per le infrastrutture di distribuzione sarebbero solo l'1% del budget annuale delle utility. Non solo, secondo questo studio sempre entro il 2030 l'adozione di veicoli elettrici porterebbe a benefici per addirittura 3,1 miliardi di dollari, derivanti da numerosi fattori fra cui ad esempio l'acquisizione di crediti d'imposta federali, i risparmi di carburante e i crediti di carbonio della California nel mercato delle emissioni.
E in Italia, cosa ne pensano gli esperti del settore? Secondo il Tesla Club Italy, ormai punto di riferimento sui temi legati alla mobilità elettrica, non è affatto vero che se tutti avessero auto elettriche la rete non reggerebbe. "Da una parte perché i consumi di elettricità negli ultimi anni si sono talmente ridotti che prima di tornare ai livelli passati ci vorrà un po' di tempo; dall'altra perché anche le reti e le infrastrutture si fanno sempre più efficienti, e intelligenti (avrete sicuramente sentito parlare di Smart Grid)", scrive il Club in un articolo sui 5 falsi miti sulle auto elettriche: "E infine, perché le auto elettriche da sole non basterebbero ad aumentare così tanto i consumi da fare collassare le reti elettriche nazionali."
Altra voce autorevole a livello di mobilità elettrica nel panorama italiano è sicuramente Energica Motor, dal 2019 fornitore unico del Motomondiale per la nuova Moto-e, versione elettrica della MotoGP. Fresca di presentazione del suo nuovo modello Eva EsseEsse9, di vittoria con la Ego di "migliore moto elettrica del mondo" e di vari riconoscimenti fra cui il "Premio Innovazione amica dell'ambiente" di Legambiente, la casa modenese non vede la diffusione della mobilità elettrica come un problema. "Dal punto di vista tecnico la rete è ben in grado di sopportare quello che potrebbe essere un impatto su larga scala dei veicoli elettrici, anche perché seppure la diffusione degli EV stia aumentando esponenzialmente stiamo parlando di un processo graduale", spiega Giampiero Testoni, direttore tecnico (CTO) di Energica: "Non ci saranno da oggi a domani 2 miliardi di veicoli elettrici da caricare contemporaneamente. Inoltre, l'80% delle volte una moto o un'auto elettrica vengono ricaricate nelle ore notturne, quando i consumi sono al minimo. E oggi si sta lavorando per far sì che, grazie alle Smart Grid, i veicoli anche se collegati in gran numero durante il giorno possano funzionare come battery storage units, e quindi supportare la rete, invece di sovraccaricarla".
Lo sviluppo della mobilità elettrica deve andare quindi di pari passo con quello delle reti intelligenti, capaci di minimizzare sprechi, picchi, sovraccarichi e variazioni di tensione. Ma anche delle rinnovabili, senza cui la mobilità elettrica non si può dire veramente sostenibile. Un'ampia diffusione di auto, moto e camion elettrici, insomma, oltre a rappresentare un'importante opportunità per il sistema dei trasporti e quello infrastrutturale nel loro complesso può e deve contribuire alla totale conversione in chiave green del settore elettro-energetico. Il che andrebbe anche a levare ai detrattori dell'elettrico il principale argomento: quello per cui l'inquinamento atmosferico, con i veicoli elettrici, si sposta dalle città alle centrali, ma non si elimina.
"Con la crescita di una ramificata rete di ricarica il motore endotermico non ha proprio più senso, né a livello di costi di produzione e distribuzione dell'energia stessa, né per quanto riguarda l'inquinamento." spiega Livia Cevolini, amministratore delegato (CEO) di Energica Motor Spa: "Secondo lo studio belga Life Cycle Analysis of the Climate Impact of Electric Vehicles condotto dall'Università di Bruxelles Vrije, i Battery Electric Vehicle hanno un impatto significativamente minore sui cambiamenti climatici e sulla qualità dell'aria urbana, rispetto ai veicoli convenzionali."
"L'opportunità più importante per migliorare l'impatto dei BEV risiede nella scelta di energie rinnovabili per ricaricarli. Tuttavia la sostenibilità, aggiunge la ricerca, è in ogni caso positiva anche in situazioni svantaggiose come la Polonia, dove sebbene i veicoli elettrici utilizzino un mix di fornitura con le più alte emissioni di gas serra, queste sono ancora inferiori del 25% rispetto ad un veicolo diesel di riferimento", aggiunge Livia Cevolini. E per quanto riguarda le rinnovabili in Italia? "La situazione è molto favorevole rispetto ad altri Paesi: ad oggi il nostro energy mix è fra i migliori al mondo, e l'energia prodotta proviene già per oltre il 40 percento da fonti rinnovabili. Questo è dovuto a molteplici fattori, e rappresenta di sicuro una grande opportunità per l'Italia. Anche di cambio di mentalità".
Tra i molteplici fattori elencati dall'ingegnere modenese c'è la presenza nel nostro Paese di Enel, ad oggi primo operatore globale di rinnovabili, da diversi anni molto concentrato sullo sviluppo della mobilità elettrica. In effetti, i suoi sforzi per contribuire allo sviluppo di infrastrutture che ne permettano un pieno sviluppo sono stati notevoli, e con un investimento fra i 100 e i 300 milioni di euro punta a passare dalle attuali 930 colonnine di ricarica sul territorio italiano ad almeno 14mila entro il 2022. E tutto ciò, chiediamo anche al colosso dell'energia, non porterà a maggiori costi per gli utenti o a problemi per la rete elettrica? "È esattamente il contrario", spiega Francesco Venturini, Head of Global e-Solutions di Enel S.p.A: "In un mondo in cui le rinnovabili faranno da padrone, sia per motivi ambientali che di costo, in cui la digitalizzazione dematerializza l'importanza di chi possiede l'asset e permette che lo stesso asset abbia più funzioni, per rendere la rete più efficiente e quindi meno costosa le auto elettriche giocano un ruolo fondamentale". In pratica, i veicoli elettrici possono essere visti "come batterie su quattro ruote che prendono energia ma che la ridanno al sistema quando il sistema la richiede", aggiunge Venturini: "Gli EV democratizzano la rete, non il contrario".
@AndreaBertaglio
To see the article visit decrescitafelice.itIn realtà lo ha rivelato già nel 2014 una rigorosa analisi guidata dalla California Public Utilities Commission con cui, sempre sulla West Coast, si sono stimati gli impatti sulla rete elettrica di una larga diffusione di veicoli elettrici: i costi per l'aggiornamento della rete di distribuzione locale sarebbero "sorprendentemente bassi", spiegano i ricercatori. Anche ipotizzando di ritrovarsi nel 2030 con una diffusione molto più elevata di auto e moto elettriche, ad esempio 7 milioni di veicoli (un quarto di tutti quelli immatricolati), i costi per le infrastrutture di distribuzione sarebbero solo l'1% del budget annuale delle utility. Non solo, secondo questo studio sempre entro il 2030 l'adozione di veicoli elettrici porterebbe a benefici per addirittura 3,1 miliardi di dollari, derivanti da numerosi fattori fra cui ad esempio l'acquisizione di crediti d'imposta federali, i risparmi di carburante e i crediti di carbonio della California nel mercato delle emissioni.
E in Italia, cosa ne pensano gli esperti del settore? Secondo il Tesla Club Italy, ormai punto di riferimento sui temi legati alla mobilità elettrica, non è affatto vero che se tutti avessero auto elettriche la rete non reggerebbe. "Da una parte perché i consumi di elettricità negli ultimi anni si sono talmente ridotti che prima di tornare ai livelli passati ci vorrà un po' di tempo; dall'altra perché anche le reti e le infrastrutture si fanno sempre più efficienti, e intelligenti (avrete sicuramente sentito parlare di Smart Grid)", scrive il Club in un articolo sui 5 falsi miti sulle auto elettriche: "E infine, perché le auto elettriche da sole non basterebbero ad aumentare così tanto i consumi da fare collassare le reti elettriche nazionali."
Altra voce autorevole a livello di mobilità elettrica nel panorama italiano è sicuramente Energica Motor, dal 2019 fornitore unico del Motomondiale per la nuova Moto-e, versione elettrica della MotoGP. Fresca di presentazione del suo nuovo modello Eva EsseEsse9, di vittoria con la Ego di "migliore moto elettrica del mondo" e di vari riconoscimenti fra cui il "Premio Innovazione amica dell'ambiente" di Legambiente, la casa modenese non vede la diffusione della mobilità elettrica come un problema. "Dal punto di vista tecnico la rete è ben in grado di sopportare quello che potrebbe essere un impatto su larga scala dei veicoli elettrici, anche perché seppure la diffusione degli EV stia aumentando esponenzialmente stiamo parlando di un processo graduale", spiega Giampiero Testoni, direttore tecnico (CTO) di Energica: "Non ci saranno da oggi a domani 2 miliardi di veicoli elettrici da caricare contemporaneamente. Inoltre, l'80% delle volte una moto o un'auto elettrica vengono ricaricate nelle ore notturne, quando i consumi sono al minimo. E oggi si sta lavorando per far sì che, grazie alle Smart Grid, i veicoli anche se collegati in gran numero durante il giorno possano funzionare come battery storage units, e quindi supportare la rete, invece di sovraccaricarla".
Lo sviluppo della mobilità elettrica deve andare quindi di pari passo con quello delle reti intelligenti, capaci di minimizzare sprechi, picchi, sovraccarichi e variazioni di tensione. Ma anche delle rinnovabili, senza cui la mobilità elettrica non si può dire veramente sostenibile. Un'ampia diffusione di auto, moto e camion elettrici, insomma, oltre a rappresentare un'importante opportunità per il sistema dei trasporti e quello infrastrutturale nel loro complesso può e deve contribuire alla totale conversione in chiave green del settore elettro-energetico. Il che andrebbe anche a levare ai detrattori dell'elettrico il principale argomento: quello per cui l'inquinamento atmosferico, con i veicoli elettrici, si sposta dalle città alle centrali, ma non si elimina.
"Con la crescita di una ramificata rete di ricarica il motore endotermico non ha proprio più senso, né a livello di costi di produzione e distribuzione dell'energia stessa, né per quanto riguarda l'inquinamento." spiega Livia Cevolini, amministratore delegato (CEO) di Energica Motor Spa: "Secondo lo studio belga Life Cycle Analysis of the Climate Impact of Electric Vehicles condotto dall'Università di Bruxelles Vrije, i Battery Electric Vehicle hanno un impatto significativamente minore sui cambiamenti climatici e sulla qualità dell'aria urbana, rispetto ai veicoli convenzionali."
"L'opportunità più importante per migliorare l'impatto dei BEV risiede nella scelta di energie rinnovabili per ricaricarli. Tuttavia la sostenibilità, aggiunge la ricerca, è in ogni caso positiva anche in situazioni svantaggiose come la Polonia, dove sebbene i veicoli elettrici utilizzino un mix di fornitura con le più alte emissioni di gas serra, queste sono ancora inferiori del 25% rispetto ad un veicolo diesel di riferimento", aggiunge Livia Cevolini. E per quanto riguarda le rinnovabili in Italia? "La situazione è molto favorevole rispetto ad altri Paesi: ad oggi il nostro energy mix è fra i migliori al mondo, e l'energia prodotta proviene già per oltre il 40 percento da fonti rinnovabili. Questo è dovuto a molteplici fattori, e rappresenta di sicuro una grande opportunità per l'Italia. Anche di cambio di mentalità".
Tra i molteplici fattori elencati dall'ingegnere modenese c'è la presenza nel nostro Paese di Enel, ad oggi primo operatore globale di rinnovabili, da diversi anni molto concentrato sullo sviluppo della mobilità elettrica. In effetti, i suoi sforzi per contribuire allo sviluppo di infrastrutture che ne permettano un pieno sviluppo sono stati notevoli, e con un investimento fra i 100 e i 300 milioni di euro punta a passare dalle attuali 930 colonnine di ricarica sul territorio italiano ad almeno 14mila entro il 2022. E tutto ciò, chiediamo anche al colosso dell'energia, non porterà a maggiori costi per gli utenti o a problemi per la rete elettrica? "È esattamente il contrario", spiega Francesco Venturini, Head of Global e-Solutions di Enel S.p.A: "In un mondo in cui le rinnovabili faranno da padrone, sia per motivi ambientali che di costo, in cui la digitalizzazione dematerializza l'importanza di chi possiede l'asset e permette che lo stesso asset abbia più funzioni, per rendere la rete più efficiente e quindi meno costosa le auto elettriche giocano un ruolo fondamentale". In pratica, i veicoli elettrici possono essere visti "come batterie su quattro ruote che prendono energia ma che la ridanno al sistema quando il sistema la richiede", aggiunge Venturini: "Gli EV democratizzano la rete, non il contrario".
@AndreaBertaglio
11 gennaio 2018
Non credo alla versione ufficiale dell'11 settembre - Chiesa intervista Imposimato
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Res Noster Pubblica
10 gennaio 2018
Un murale per gli scomparsi. Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi simboli
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Il grande capo della Nestlé: “Gli esseri umani non hanno il diritto di accedere liberamente all’acqua”
Il presidente Peter Brabeck-Letmathe straccia in un sol colpo i diritti umani e chiede la privatizzazione dell'acqua
Il presidente della multinazionale Nestlé , Peter Brabeck-Letmathe, ha sbattuto la porta in faccia a tutte quelle persone che credono di avere il diritto di accedere all' acqua come diritto essenziale, mentre ne chiede la privatizzazione per i soliti scopi commerciali.
In qualità di CEO di una delle più grandi aziendedi prodotti alimentari del mondo, Brabeck-Letmathe ritiene che la risposta ai problemi globali dell'acqua non sia consentire alle persone i diritti di accesso all'acqua, ma, invece, farli pagare.
In una dichiarazione, ha affermato che "l'acqua non è un diritto pubblico", dichiarando che Nestlé dovrebbe avere il controllo della fornitura mondiale in modo che possano rivenderla alle persone con un profitto. Pare impossibile abbiamo detto noi. E invece no. Guardate attentamente questo video
Secondo questo signore, che amministra la 27° azienda al mondo per fatturato, il diritto ad un bene essenziale come l'acqua è da considerarsi " estremista".
Il passato e presente di Nestlè in tutto il mondo
Questa affermazione è stata coniata dalla meravigliosa società che ha spacciato cibo spazzatura in Amazzonia, ha investito denaro per ostacolare l'etichettatura di prodotti a base di OGM ( nel video si parla in maniera molto leggera della tollerabilità degli OGM ) , ed ha un infausto record negativo alla salubrità dei suoi prodotti per l'infanzia, e ha dispiegato un esercito cibernetico per monitorare le critiche di Internet e modellare le discussioni sui social media.
Abbiamo appreso solo recentemente di uno scandalo che ha convolto la multinazionale svizzera in merito la produzione di noodles in India nel 2016, mentre avevamo parlato diffusamente delle ammissioni di colpa in merito a un processo sulla qualità del loro cibo per animali mentre è stata condannata in altri processi in Italia e nel mondo
Quindi questa è la società di cui dovremmo fidarci per gestire la nostra acqua, nonostante il record di grandi aziende di imbottigliamento come Nestlé che hanno una comprovata esperienza nella creazione di scarsità e di modelli di squilibrio territoriale.
Un esempio? Nella piccola comunità pakistana di Bhati Dilwan, un ex consigliere del villaggio afferma che i bambini stanno soffrendo a causa dell'acqua sporca. Di chi è la colpa? Dice che la ragione è che il produttore di acqua in bottiglia Nestlé, ha scavato un pozzo profondo che sta privando i locali di acqua potabile. "L'acqua non è solo molto sporca, ma il livello dell'acqua è affondato da 100 a 300 a 400 piedi", dice Dilwan.
Perché? Perché se la comunità avesse acqua fresca nelle condutture pubbliche, priverebbe Nestlé del suo lucroso mercato dell'acqua imbottigliata con il marchio Pure Life.
La visione unilaterale del mondo di Nestlè
Inoltre, le grandi aziende multinazionali di bevande ricevono solitamente privilegi per i servizi idrici (e anche agevolazioni fiscali) per i cittadini perché creano posti di lavoro, che a quanto pare sono più importanti per i governi locali rispetto ai diritti sull'acqua di altri cittadini che pagano le tasse.
Queste società come la Coca Cola e la Nestlé (che imbottiglia il tutta la falda acquifera del Michigan) assorbono milioni di litri d'acqua, lasciando il pubblico a soffrire di carenze.
Nel video sottotitolato in inglese Brabeck discute le sue opinioni sull'acqua, così come alcuni commenti interessanti sulla sua visione della Natura – che è "spietata" – e, naturalmente, l'affermazione grottesca che il cibo biologico è cattivo e GM è fantastico.
La Natura spietata da sottomettere
In effetti, secondo il CEO Nestlè, sei essenzialmente un estremista se hai punti di vista opposti ai suoi. Le sue affermazioni sono importanti da interpretare perchè giustificano un mondo intorno a noi trasformato in un ambiente più meccanizzato per allontanare quella natura spietata a cui si riferisce.
La conclusione di questa parte del video è forse la più rivelatrice sulla visione del mondo di Brabeck, in quanto mette in risalto una clip di una delle sue operazioni in fabbrica. Evidentemente, il ruolo salvifico del gruppo Nestlé nel garantire la salute della popolazione globale dovrebbe essere ben accolto, pacificamente e globalmente recepito. Ne sei convinto?
09 gennaio 2018
Olio di palma: "Ecco tutte le falsità", parla Allocca
L' intervista a Giuseppe Allocca, presidente Unione Olio di Palma Sostenibile
L' olio di palma, da anni, sembra diventato il nemico pubblico numero uno. Chi lo consuma, si dice, ne ignora i rischi per salute e i pericoli per l'ambiente. L' Unione Italiana per l'Olio di Palma Sostenibile, invece, costituita a fine ottobre 2015 da un gruppo di Aziende e Associazioni attive in vari settori merceologici nei quali viene utilizzato olio di palma, nasce per promuovere l'impiego di olio di palma sostenibile e contrastare «una delle più grandi bufale degli anni 2000». Affari italiani ne parla con Giuseppe Allocca, il presidente dell'Unione.
Presidente, contro l'Olio di palma si è scatenata una guerra. Perché? E perché soprattutto in Italia?
«Difficile dire con certezza perché sia nata la campagna denigratoria nei confronti dell'olio di palma, anche se possiamo affermare che dietro questa, che in un ampio reportage di Affari&Finanza è stata definita la "guerra degli olii", ci siano essenzialmente interessi di tipo commerciale. A conferma di questa tesi ricordo che la comunità scientifica, le Autorità nazionali competenti e l'AGCM, sostengono che l'olio di palma, che può far parte a pieno titolo della nostra alimentazione, "non presenta rischi per la salute in una dieta bilanciata" e "se prodotto in modo sostenibile aiuta a salvaguardare l'ambiente". Quindi, perché in Italia abbiamo assistito a una vera e propria psicosi nei confronti di questo ingrediente, che ha portato numerose aziende a eliminare l'olio di palma dalle ricettazioni facendo appello a "principi di precauzione" o a un presunto miglioramento del profilo nutrizionale? In merito al miglioramento del profilo nutrizionale il Ministero dello Sviluppo Economico si è espresso sull'utilizzo della dicitura "senza olio di palma", affermando che il ricorso a questo claim è legittimo solo in presenza di ingredienti più salutari e più sostenibili, condizioni da verificare caso per caso rispetto al mercato».
E per il principio di precauzione?
«A chi si appella al "principio di precauzione" bisognerebbe ricordare che non spetta ai singoli operatori appellarvisi, bensì alle autorità comunitarie nazionali competenti che, nel caso dell'olio di palma, non hanno mai ritenuto opportuno dover assumere sul tema alcuna misura restrittiva neppure a titolo precauzionale. E, infine, sul miglioramento del profilo nutrizionale per chi sceglie di abbandonare l'olio di palma ha fatto luce uno studio diCampagne Liberali, che mostra come i prodotti con olio di palma abbiano spesso un profilo nutrizionale analogo se non migliore rispetto a quelli senza questo ingrediente».
Quali sono, per lei, le più evidenti falsità sull' Olio di Palma?
«Ne sono state dette tantissime, sia per quanto riguarda gli aspetti nutrizionali che per quelli ambientali. Le accuse più gravi e infondate sull'olio di palma sono state dette in relazione agli effetti sulla salute».
Qualche esempio?
«L'accusa mossa di contribuire a un eccessivo consumo di grassi saturi all'interno della dieta. Ebbene, se da una parte questo ingrediente è formato per circa il 47% di acidi grassi saturi, dall'altra nessuno evidenzia che, secondo l'Istituto Superiore di Sanità, l'apporto di olio di palma rispetto al totale degli acidi grassi assunti nella dieta degli italiani rappresenta meno del 20% del totale ovvero meno di 5g al giorno. Questo significa che il restante 80% dei grassi saturi viene da altri alimenti e che quindi, per seguire una dieta bilanciata, bisognerebbe ridurre, prima dell'olio di palma, altri alimenti come, per esempio le carni rosse o i latticini. Altro esempio, poi, è quello relativo alla strumentalizzazione del parere dell'EFSA».
Cioè?
«All'indomani della pubblicazione del testo, numerose voci gridavano all'allarme lasciando intendere che l'olio di palma fosse cancerogeno. Una falsità! Il parere non si riferiva all'olio di palma in sé, ma ai contaminanti che si formano in tutti gli oli e i grassi animali e vegetali se portati a temperature superiori a 200°. Inoltre, né l'EFSA né la Commissione Europea (cui spetta ogni decisione normativa in merito) hanno mai chiesto o precauzionalmente ipotizzato il bando dell'olio di palma in quanto è stato riconosciuto che l'industria alimentare ormai da tempo ha migliorato i propri processi e impiega olio di palma "mitigato", cioè lavorato a temperature sotto i 200°C e perciò privo di queste sostanze al pari dei migliori oli sostitutivi. Va sottolineato che la stessa EFSA afferma – a pagina 92 del suo parere - che "Non sono stati identificati dati rilevanti relativi alla tossicità di questo ingrediente" (l'olio di palma) e che comunque è difficile che particolari concentrazioni siano raggiunte con la normale alimentazione».
Qual è la posizione della scienza?
«Intanto ribadiamo che ad oggi nessun Istituto o Ente o Organizzazione (mondiale o nazionale) ha mai ritenuto di eliminare l'olio di palma o affermato che questo ingrediente sia dannoso. Sul tema olio di palma si sono poi espresse realtà nazionali e internazionali che hanno provato a fare chiarezza».
Ne elenchi qualcuna.
«Questi sono gli studi più rilevanti: lo studio della Nutrition Foundation of Italy, sottoscritto da 24 esperti italiani e pubblicato da vari organismi rappresentativi delle più importanti società medico-scientifiche nazionali, afferma che l'olio di palma è un ingrediente che può far parte a pieno titolo della nostra alimentazione e che non presenta rischi per la salute in una dieta bilanciata. Lo studio è stato pubblicato anche sui siti della Società Italiana di Scienza dell'Alimentazione, della Società Italiana di Nutrizione Umana (Sinu) Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) e tanti altri. Poi l'Istituto Mario Negri, che ha realizzato un'analisi su 51 studi e ricerche scientifiche, ha notevolmente ridimensionato il ruolo negativo degli acidi grassi saturi (di cui è composto l'olio di palma per circa il 47% - persino meno del burro) sull'innalzamento del colesterolo sanguigno, principale fattore di rischio delle malattie cardiovascolari. E ancora lo studio di Stiftung Warrentest, la più importante associazione di consumatori tedesca, mostra come un olio di palma trattato a basse temperature può essere migliore rispetto a un qualsiasi altro olio vegetale trattato in modo non ottimale. L'EFSA, poi, come conferma Reuters, sta rivedendo il suo parere circa i livelli di contaminanti tollerabili per l'uomo, alla luce delle più recenti e rassicuranti indicazioni fornite in merito da FAO e OMS».
Altro problema contestato all' olio di palma: l'impatto ambientale.
«Ecco. Fugato ogni dubbio sul piano salute, vorrei soffermarmi sul fronte ambientale, perché questo ingrediente è stato accusato di contribuire alla deforestazione mondiale. Ci sono alcuni fatti oggettivi che vorrei segnalare, però».
Tipo?
«Il contributo dell'olio di palma alla deforestazione tropicale globale è, contrariamente rispetto a quanto "gridato" da più parti, stimato intorno al 5% (dati Global Forest Resource Assessment 2015 della FAO) tanto che, come ben evidenzia lo studio Climate Focus, sono gli allevamenti, la soia e il mais i principali responsabili della deforestazione. Lo stesso studio afferma che la filiera dell'olio di palma è quella che più si è impegnata per adottare criteri di sostenibilità oltre a chiarire, una volta per tutte, che la produzione di questo ingrediente impatta sull'ambiente meno dell'allevamento e di altre colture come, mais e soia. L' olio di palma è il più sostenibile degli oli vegetali presenti sul mercato, potendo contare su una migliore resa per ettaro rispetto ai suoi competitors. La palma da olio ha una resa media di 3,47 tonnellate per ettaro: 5 volte più della colza (0,65 t/ettaro), 6 volte di più del girasole (0,58 t/ettaro), addirittura 9 volte più della soia (0,37 t/ettaro) e 11 (0,32 t/ettaro) rispetto all'olio di oliva».
E questo che cosa significa?
«Che oggi la palma da olio si "accontenta" di 17 milioni di ettari di terreno per fornire il 35% del fabbisogno mondiale di olio vegetale. Mentre servono ben 111 milioni di ettari perché la soia garantisca appena il 27% del fabbisogno globale. Insomma, bisogna ragionare nel quadro d'insieme e compararne l'impatto ambientale con le altre colture. Quest' anno il Ministro dell'Ambiente Galletti ha firmato la Dichiarazione di Amsterdam, impegnando anche il nostro Paese a promuovere iniziative volte ad assicurare una filiera dell'olio di palma 100% sostenibile entro il 2020 e confermando, di fatto, che l'olio di palma sostenibile è la risposta».
Ma in tanti vorrebbero sostituirlo, usando altri prodotti.
«Ipotizzando un'eventuale sostituzione dell'olio di palma con altri oli o grassi, bisognerebbe fare delle considerazioni a livello tecnologico, nutrizionale e ambientale. Se da una parte i vantaggi in termini nutrizionali dati dalla sostituzione del palma sarebbero pochi, se non si migliorano le abitudini alimentari nel complesso, sul piano tecnologico la sostituzione non è semplice».
Perché?
«Perché per ottenere le stesse caratteristiche dell'olio di palma ci sarebbe bisogno, a volte, di più additivi e aromi e di lavorazioni più complesse; oppure dell'utilizzo di altri grassi, come burro, burro cacao o di cocco, che hanno contenuti di saturi analoghi o superiori. In termini di sostenibilità, invece, è molto importante evidenziare che, come detto, rispetto a tutti gli altri oli vegetali, il palma ha la migliore resa produttiva, richiede poco terreno, poca acqua e pochi concimi e fertilizzanti. Inoltre, la coltivazione dell'olio di palma rappresenta per i maggiori Paesi produttori una risorsa economica fondamentale, fonte di reddito per milioni di famiglie che grazie all'olio di palma riescono a uscire dalla soglia di povertà. Piuttosto che boicottare questo ingrediente sarebbe opportuno seguire le indicazioni delle grandi ONG internazionali che suggeriscono ai consumatori di chiedere ai propri marchi di riferimento di approvvigionarsi solo con olio di palma certificato sostenibile».
Che ruolo ha avuto il giornalismo in questa guerra?
«Il ruolo dei giornalisti è spesso cruciale quando si parla di veicolare informazioni o studi scientifici. Sono loro che hanno il compito di "tradurre" in modo semplice pareri o studi dedicati agli esperti del settore. Ai giornalisti spetta il compito di analizzare le fonti a disposizione per veicolare un'informazione equilibrata, senza pregiudizi e basata sulle verità scientifiche più recenti».
E non è stato fatto?
«Purtroppo, sull'olio di palma è stata fatta molta disinformazione e alcuni media e siti hanno contribuito ad alimentare allarmismi e pregiudizi, favorendo la diffusione di una delle più grandi bufale degli anni 2000. Oggi, tuttavia, notiamo che c'è una maggior comprensione e propensione ad analizzare la situazione in modo obiettivo e costruttivo e questo ci ha permesso di chiarire che l'olio di palma è un ingrediente che può far parte a pieno titolo della nostra alimentazione».
Crede sia possibile riabilitare il nome dell'Olio di palma?
«Quando è nata, l'Unione si è inserita in uno scenario fortemente ostile, ma è riuscita a dare voce alle posizioni oggettive sull'olio di palma. A fare la differenza, la strategia di basarsi su evidenze scientifiche e normative. Un approccio che sta dando i suoi frutti. Oggi i nostri interlocutori sono più disposti ad ascoltare e ad affrontare le tematiche che noi trattiamo con un'attitudine più aperta al dialogo. Un appoggio equilibrato è fondamentale quando si affrontano argomenti in continua evoluzione come quello dell'olio di palma e speriamo di poter trovare, soprattutto nei media, un supporto valido per continuare a parlare in modo obiettivo e chiaro di questo ingrediente. Anche perché non possiamo dimenticare che l'olio di palma rappresenterà una commodity insostituibile davanti al progressivo aumento della popolazione – e conseguentemente di cibo – che la FAO stima supererà i 9 miliardi di persone nel 2050. Quello per cui tutti dovrebbero battersi – come già l'Unione sta facendo da anni – è avere una filiera 100% sostenibile. La certificazione, infatti, è l'unica via per continuare a utilizzare responsabilmente questo ingrediente come riconoscono anche le grandi organizzazioni internazionali e ambientaliste».
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