24 marzo 2025

Storia In Rete: La difficile love story tra comunisti ed ex fascisti di Salò

Estrema sinistra ed estrema destra possono solo scontrarsi? Non è detto come ha dimostrato il Pci di Togliatti che, poco dopo la fine della guerra civile, tentò la strada del dialogo
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La difficile love story tra comunisti ed ex fascisti di Salò

Estrema sinistra ed estrema destra possono solo scontrarsi? Non è detto come ha dimostrato il Pci di Togliatti che, poco dopo la fine della guerra civile, tentò la strada del dialogo

mar 22
 
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Benvenuti a "È la Storia Bellezza", la newsletter settimanale che osserva (rigorosamente senza l'aiuto dell'Intelligenza Artificiale tranne che per le immagini) il rapporto tra attualità e Storia, offrendo notizie e riflessioni prese dalla stampa di tutto il mondo. Approfondimenti storici, ogni sabato mattina, in qualche modo collegati a fatti di cronaca, italiana o internazionale. E a seguire anche qualche notizia in breve. Magari, in futuro, un'uscita al mese potrà essere costituita tutta da notizie e segnalazioni di libri di storia italiani e stranieri. Fatemi sapere che ne pensate: i vostri commenti saranno importantissimi così come lo sarà il vostro aiuto a far conoscere ad amici ed appassionati di Storia questa newsletter che cerca di essere diversa da tutte le altre. In basso trovate i bottoni da cliccare per fare l'una o l'altra cosa. O tutte e due…

"È la Storia Bellezza" è la prima tappa di un progetto più ampio che ho presentato in un articolo sul sito "Storia In Rete": man mano comunicherò i prossimi passi attraverso questa newsletter.

Questa settimana vi propongo un articolo ispirato dalle solite tensioni politiche Destra-Sinistra. Che andrebbero però riviste in un'ottica un po' diversa, come suggeriscono alcuni studi, anche recentissimi, sui rapporti - per una volta non conflittuali - tra comunisti di primo piano ed ex fascisti subito dopo il 1945 e per vari anni a seguire. Buona lettura e a sabato prossimo.

Davvero l'Italia è cronicamente e irrimediabilmente divisa in due come, periodicamente, sembra di capire da certe sedute parlamentari o da alcune "piazze"? Le polemiche di questi giorni a proposito del Manifesto di Ventotene sembrerebbero confermarlo una volta di più e - facile previsione - il prossimo 25 aprile arriverà un'altra riprova. Ma ad attutire, anche solo un po', le sconfortanti certezze che ci offre la cronaca politica arriva la Storia che, molto spesso, ama procedere per paradossi e linee tortuose. Cosa fastidiosa per quanti pensano alla realtà in modo schematico, con rigide divisioni tra Bene e Male, tra Vero e Falso ma anche, più banalmente, tra Destra e Sinistra. Mai come in questo caso invece vale la pena di ribadire che È la Storia bellezza! e che quindi, piaccia o no, la realtà finisce sempre per imporsi, al di là dei moralismi e degli schematismi. Quello che la realtà ci offre è quasi sempre spiazzante, magmatico, ambiguo. Quindi affascinante.

Mentre guardavo i video o leggevo articoli e commenti sulle polemiche intorno al Manifesto di Ventotene mi sono ricordato di un interessante e recentissimo saggio disponibile on line sul sito della rivista Il Presente Storico: l'ha scritto uno dei più dinamici storici italiani in circolazione, Giuseppe Pardini e si intitola: «Lo specchietto per le allodole – Il Pci e il reclutamento dei neofascisti (1949-1953)». Scandagliando gli archivi, Pardini ha approfondito un aspetto di un fenomeno più vasto, ben noto agli studiosi (anche a quelli che preferiscono far finta di niente) ma molto mano al grande pubblico: in pratica si tratta della "strategia dell'attenzione" che, con grande pragmatismo, il Partito comunista italiano di Palmiro Togliatti mise in atto già nelle settimane successive alla fine della guerra civile verso il mondo dei fascisti, soprattutto (ma non solo), quelli più attenti alle istanze sociali, di "sinistra" che hanno caratterizzato ampi settori del Fascismo fin dalle origini con l'accelerazione finale, durante la Rsi, rappresentata dalla legislazione sulla socializzazione tra il 1944 e i primi del 1945.

La tanto citata "Amnistia Togliatti" del luglio 1946 è forse l'esempio più noto, anche se spesso travisato, di quella strategia che il Pci (ma anche settori del socialismo) adottò subito, a guerra appena finita, in base a considerazioni molto pragmatiche: da una parte c'era bisogno anche dei voti dei fascisti per vincere il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 per scegliere tra Monarchia e Repubblica (e, dopo lunghe trattative, quei voti arrivarono…) e dall'altro c'era la pura e semplice constatazione che, nonostante la sconfitta, gli ex fascisti erano ancora molti, in tutti i settori, e quindi andavano in qualche modo considerati e, possibilmente, corteggiati. I settori dove le cose andarono più lisce furono quelli della cultura e del mondo del lavoro. In questo caso, come ha documentato Paolo Buchignani nel suo "Fascisti rossi", nel primo dopoguerra ci fu una vera e propria "migrazione politica" «da Salò al Pci», una migrazione che interessò in particolare il mondo sindacale, con migliaia di ex sindacalisti fascisti passati rapidamente nelle fila della filo comunista CGIL.

Bisogna però precisare subito due cose importanti: la prima è che questi passaggi di campo non possono essere sempre e comunque derubricati come esempi di opportunismo o, peggio, trasformismo; la seconda è che casi del genere ci sono sempre stati: basterebbe ricordare che buona parte della classe dirigente fascista proveniva da sinistra già nel 1919/1920 e che, prima e subito dopo la Marcia su Roma, ampi settori del socialcomunismo italiano confluirono nel Partito fascista. Lo fecero sindacalisti e lavoratori agricoli, piccoli borghesi e studenti e pure "gente di mano". Un po' infastidito lo segnalava, tra i tanti, anche un fascista critico come Massimo Rocca che nel dopoguerra scriverà «Io stesso ho riconosciuto, fra gli squadristi più intemperanti del 1924, dei comunisti che randella­vano nel 1919». Una delle intuizioni più felici e più dimenticate di Renzo De Felice, lo storico che maggiormente ha innovato gli studi sul Fascismo, riguarda non caso le radici giacobine e di sinistra del movimento delle camicie nere. Da qui una continua osmosi tra due mondi contrapposti che, iniziata già prima della nascita del Fasci di Combattimento (23 marzo 1919), è continuata in barba ad ogni rigidità ideologica fino al secondo dopoguerra come ci ricorda anche il saggio di Pardini.

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Ovviamente a rendere ancora più spiazzante il fenomeno – ampia la documentazione di polizia e dei servizi segreti militari oltre alle delibere ufficiali dello stesso Pci e varie citazioni dalla stampa dell'epoca – c'è la scarsa considerazione dei frequenti passaggi di campo avvenuti anche durante la Guerra civile. Per quanto riguarda il campo partigiano un periodo di forte crisi fu l'autunno 1944 quando i rastrellamenti italo-tedeschi e il celebre proclama del maresciallo inglese Alexander che invitava i patrioti a cessare l'attività per l'inverno coincisero con la misconosciuta amnistia per i renitenti alla leva voluta dal governo di Salò: un combinato disposto che portò migliaia di uomini ad abbandonare la Resistenza e a inquadrarsi nell'esercito della Rsi. In molti casi si trattò di una parentesi di pochi mesi visto che nell'aprile 1945 le formazioni partigiani videro rapidamente moltiplicare il numero dei propri effettivi fino a tutto il 25 aprile (e magari anche un po' dopo). Ad esempio, dopo la Liberazione, il questore di Como Luigi Grassi dichiarò: «La maggiore preoccupazione nei giorni immediatamente successivi alla liberazione furono le camicie nere sbandate: fortunatamente da Brigate nere diventarono subito Brigate Rosse. Era stato aperto in via Vittorio Emanuele un ufficio iscrizione al Pci e i fascisti si toglievano le camicie nere e si iscrivevano, talché alla manifestazione del primo maggio i partigiani erano migliaia, tutti in camicie rosse nuove fiammanti che dalle indagini risultarono confezionate con stoffe rubate ai magazzini lariani che fabbricavano le divise dei carabinieri». Bertinelli non lo dice ma è chiaro che, nonostante la mattanza che si stava consumando in tutto il nord Italia, i nuovi arrivati erano bene accolti dal Pci. Un controesodo che aveva avuto, come si è detto, vari precedenti in entrambi i sensi. Come non ricordare che nei suoi ultimi due giorni di vita Mussolini ebbe costantemente al fianco Nicola Bombacci che nel 1921, a Livorno, aveva fondato, con Gramsci e Bordiga, il Partito comunista d'Italia.

Le ricerche di Pardini chiariscono quindi un panorama complesso ma non ignoto e comunque sorprendente e sconcertante. Nel suo saggio, lo storico dell'Università dell'Università della Campania "Luigi Vanvitelli" si concentra soprattutto sugli sforzi comunisti di infiltrare le organizzazioni giovanili del neonato Movimento Sociale Italiano facendo leva sulle possibili convergenze tra frange rivoluzionarie di entrambi gli schieramenti. «Questa politica di apertura del Pci verso i neofascisti – scrive Pardini - seguì, sostanzialmente, due strade diverse, per quanto battute attraverso gli stessi uomini e dirigenti. La prima di queste doveva far leva sul reclutamento dei giovani missini, e venne affidata principalmente alla Federazione giovanile dei comunisti italiani, in particolare ad Enrico Berlinguer e a Ugo Pecchioli, nonché al figlio di Luigi Longo, Giuseppe, direttamente edotto dal padre, allora numero due del Pci. La seconda strada passava, invece, verso il reclutamento di ex combattenti o sostenitori della Repubblica sociale italiana, e tale "missione" venne affidata a uomini che stavano già fiancheggiando il Pci, in quegli anni 1950-1953, quali erano infatti l'ammiraglio Ferruccio Ferrini (già sottosegretario della Marina militare nella Rsi), l'ex federale del partito in provincia di Roma, Gino Bardi, e il giornalista comunista Lando Dell'Amico. A sovrintendere a tutta questa grossa operazione politica era Giancarlo Pajetta, a capo, in quel periodo, del settore stampa e propaganda del partito…».

Come si vede, buona parte del gotha del Pci era coinvolto nell'operazione che aveva una evidente motivazione pragmatica, come spiega ancora Pardini: «Questa complessa operazione si era resa necessaria per diversi motivi: il primo era dovuto alla sempre maggiore attenzione che – a oltre cinque anni dalla fine della guerra civile – stava riprendendo il neofascismo, specie proprio tra i giovani; si trattava – come veniva ben descritto – di un lento ma pertinace obliquare di una fazione del Msi verso un programma filosocialista a carattere prettamente nazionale e cioè tale da ottenere larghe adesioni in alcuni strati giovanili e lavoratori non "asserviti" al marxismo e al social-comunismo. Era, in effetti, la vera essenza ideologica e culturale per la quale molti fascisti della Rsi si erano battuti nel biennio 1943-1945 e che continuavano a sostenere, non dichiarandosi vinti, nelle organizzazioni parallele o autonome o fiancheggiatrici del Msi, come era il Raggruppamento giovanile e, appunto, la Federazione degli ex combattenti della Rsi. Un altro motivo era invece prettamente tattico per il Pci, e consisteva nella necessità di accrescere i nemici del sistema, nel fronteggiare il partito (e la coalizione centrista tutta) al potere, tanto in una lotta parlamentare istituzionale quanto in quella extraparlamentare, quanto infine, se del caso, in quella eversiva. C'era, infine, un ultimo motivo che poteva accumunare questi "opposti estremismi" (…) ed era relativo alla possibilità che entrambi i partiti rischiassero di finire fuori dalla legge, che insomma il governo si apprestasse a varare una robusta legislazione "antitotalitaria" e a difesa del sistema democratico con la quale porre in seria difficoltà, fino allo scioglimento, i due partiti estremi. Si trattava di una minaccia seria, che incombeva non solo sulla testa del Msi ("la legge Scelba" sarebbe stata approvata proprio nel giugno 1952, sebbene essa non mettesse in discussione l'esistenza del partito), ma anche dello stesso Pci, nei confronti del quale non pochi esponenti del governo (non solo della Democrazia cristiana) richiedevano, almeno dal 1947, provvedimenti legislativi della massima durezza…».

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Insomma, le realtà estreme potevano unirsi – si pensava ai vertici del Pci - per non essere emarginate ad ogni livello dal potere centrista incarnato dalla Democrazia cristiana. I contatti tra comunisti ed ex di Salò andarono avanti per anni ad ogni livello: giovanile, giornalistico, politico e anche parlamentare. Il Pci arrivò a finanziare direttamente organizzazioni e giornali come "Il Pensiero Nazionale", un quindicinale diretto da un giornalista già fascista come Stanis Ruinas, mentre un altro giornalista di peso – specie durante la Rsi – come Concetto Pettinato ebbe vari contatti con il leader socialista Pietro Nenni (questo particolare aspetto della vicenda è documentato da un altro saggio, sempre su Il Presente Storico, scritto da Giuseppe Parlato, il maggior esperto della storia del neo fascismo italiano).

Il finale di questa storia non è meno sorprendente delle sue motivazioni e del suo svolgimento: infatti gli sforzi del Pci di far breccia nelle menti e nei cuori degli ex fascisti non ebbero grande successo per la diffidenza dei "corteggiati" che evidentemente non consideravano ancora possibile superare le fratture politiche, sociali e umane della Guerra civile. Né va trascurato che molti aspetti della politica comunista (in politica estera ma anche sul fronte della normalizzazione interna) continuavano ad essere incompatibili con il mondo post fascista. E a poco valse anche l'impegno di Giancarlo Pajetta (siamo nel 1953) «a farsi paladino delle massime istanze degli ex fascisti e dei missini» in sede legislativa, al fine di promuovere disposizioni a favore degli epurati, dei detenuti politici e anche dei latitanti».

Anche negli anni successivi i contatti continuarono: a fine anni Cinquanta ci fu il clamoroso caso della "Giunta Milazzo" (dal suo presidente, Silvio Milazzo) in Sicilia (ottobre 1958): un governo regionale retto dai voti congiunti di Msi e Pci per tenere all'opposizione la Democrazia Cristiana. Un esperimento effimero, passato alla storia come "Milazzismo", che non ebbe un seguito in altre zone d'Italia. Comunque fu un segnale importante, anche se preceduto e seguito da altri di segno opposto – come, ad esempio, nell'estate 1960 i fatti di Genova -, che può aiutare a capire meglio un ultimo episodio, più recente. Mi riferisco allo stupore che pochi anni fa ha suscitato la rivelazione che, durante gli anni di piombo, alla fine degli anni Settanta, il leader missino Giorgio Almirante e il segretario del Pci Enrico Berlinguer si incontrarono più volte segretamente per valutare la situazione e limitare i danni di un clima politico terribile. Un altro di quei paradossi che rendono la Storia affascinante per l'impossibilità di ingabbiarla in schemi troppo rigidi.


Una frase

«Sono persuaso che la realtà sia piuttosto irrealistica».

Giorgio Manganelli, scrittore (1922-1990)


Cose interessanti e/o curiose trovate in giro

  • Libri "eversivi": entusiastica recensione di John Simpson sul britannico The Guardian per il libro di Charlie English "The Cia Book Club" dedicato al programma dei servizi Usa per promuovere durante la Guerra Fredda, nella galassia sovietica, la letteratura proibita. Tra i libri diffusi clandestinamente La fattoria degli animali di George Orwell, Il dottor Zivago di Boris Pasternak, Arcipelago Gulag di Aleksandr Solženicyn.

  • Storia di uno storico: Renzo De Felice (1929-1996), tra i maggiori storici del Novecento, massimo studioso del Fascismo italiano e biografo di Mussolini, è ora, a sua volta, oggetto di una approfondita biografia scritta da un suo allievo, il professor Francesco Perfetti. Titolo: "Per una storia senza pregiudizi. Il realismo storico di Renzo De Felice" (edito da Aragno).

  • Proteste in bianco/nero: il regista britannico Steve McQueen, premio Oscar nel 2013, ha curato la mostra fotografica "Resistenza" (Turner Contemporary, galleria d'arte di Margate, località balneare inglese, nel Kent) che documenta in 200 immagini in bianco e nero le manifestazioni di protesta nel Regno Unito dal 1903 (le suffragette in lotta per il voto femminile) al 2003 (cortei contro la guerra in Iraq). McQueen ha raccolto le fotografie in quattro anni di ricerca d'archivio.

  • Torna Maria Antonietta: ha debuttato da poco in Francia, su Canal+, la seconda stagione della serie Tv dedicata a Maria Antonietta, la sfortunata regina di Francia ghigliottinata nel 1793. La prima stagione (realizzata nel 2022) si fermava ai primi anni della giovane principessa a Versailles mentre la seconda la vede già regina e coinvolta nel celebre vicenda dello Scandalo della Collana. Per il racconto del drammatico epilogo ci sarà bisogno di una terza stagione.

  • Verona nella Guerra Civile: niente sforzi di fantasia per gli organizzatori della mostra dedicata ai mesi vissuti dalla città veneta durante la Rsi (tra le altre cose, vi si tenne il congresso fondativo del Partito fascista repubblicano e, poco dopo, il processo ai "traditori" del 25 luglio): "FASCISMO RESISTENZA LIBERTÀ. Verona 1943-1945". La mostra si è aperta a Castelvecchio il 14 marzo e sarà visitabile fino al 27 luglio.

  • Ritorni a casa: l'Università di Aberdeen, in Scozia, ha restituito i resti di un aborigeno assassinato, in Tasmania, tra il 1820 e il 1830. L'università ha affermato che i resti dell'uomo facevano parte di una collezione acquisita nel 1852 dopo la morte del proprietario, William Mac Gillivray, un professore di storia naturale. La restituzione è avvenuta in collaborazione con il Tasmanian Aboriginal Centre che provvederà ad una degna sepoltura dell'uomo nella sua terra natale.


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