Sul tavolo della 76esima assemblea generale della Cei, oggi in chiusura, c’è un dossier che scotta, quello degli abusi nella Chiesa. Sarà proprio questo il nodo gordiano che il neopresidente dei vescovi, il cardinale Matteo Maria Zuppi, salutato come l’emblema del cambiamento, sarà chiamato ad affrontare. Infatti, mentre nel mondo cattolico deflagra lo scandalo della violenza sui bambini e sulle religiose, in Italia dai vescovi ancora non arriva una chiara ammissione di responsabilità, né tantomento la determinazione a fare chiarezza, aprendo gli archivi vaticani e dando il via a una radicale operazione di trasparenza che finalmente renda giustizia alle vittime.
Stavolta, però, non basteranno le solite generiche dichiarazioni sulla lotta alla pedofilia nelle parrocchie, come ha fatto lo stesso ex presidente Gualtiero Bassetti nel suo discorso introduttivo ai lavori dell’assemblea, quando ha ripetuto che la Cei conferma il suo impegno per la tutela dei minori e la promozione di «una migliore conoscenza del fenomeno degli abusi per valutare e rendere più efficaci le misure di protezione e prevenzione».
Parole troppo vaghe, sulla linea di quelle pronunciate dallo stesso Bassetti a inizio anno quando, in seguito ai dati drammatici arrivati dalla Francia e dalla Baviera sulla pedofilia nel clero, aveva magnificato il lavoro dei Centri di ascolto diocesani e aveva ammesso la possibilità di istituire una commissione d’inchiesta sugli abusi, purché interna alla Chiesa. Un’ipotesi che il coordinamento Italy Church Too, la rete di associazioni nata proprio per chiedere che siano dati finalmente ascolto e visibilità ai sopravvissuti alle violenze clericali, rifiuta radicalmente perché non risponde al necessario principio di terzietà, che esclude la possibilità di essere al contempo giudici e imputati.
Proprio stamattina alle 11 a Roma, nella Sala stampa estera, Italy Church Too tiene una conferenza stampa sulle richieste di giustizia per le vittime dei sacerdoti abusanti, anticipate in una lettera alla Cei diffusa il 23 maggio. I firmatari chiedono «un’indagine indipendente, condotta da professionisti credibili e super partes», e che vengano aperti «canali di fattiva collaborazione con le istituzioni dello Stato italiano». Viene rivendicata anche l’applicazione delle norme prescritte da papa Francesco nel motu proprio Vos estis lux mundi, che stabilisce fra l’altro per preti e vescovi l’obbligo di segnalazione degli abusi alle istituzioni ecclesiastiche. Infine, no alla prescrizione per i reati di abuso sessuale e sì all’obbligatorietà del certificato antipedofilia, previsto dalla Convenzione di Lanzarote, anche per il clero e il volontariato nelle istituzioni ecclesiastiche. La lettera ha registrato un fiume di adesioni: a sottoscriverla sono vittime inascoltate, cittadini indignati, sacerdoti, intellettuali, segno di un desiderio di verità che attraversa il paese. Fra le firme anche quella dello storico Mauro Pesce, del filosofo Augusto Cavadi e del teologo Vito Mancuso.
Intanto lo scorso 5 maggio, nella giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, proprio la Cei in qualità di “invitato permanente” è entrata a far parte dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, istituito presso il Dipartimento per le politiche della famiglia. Sulla spinosa questione degli abusi sui minori, Stato e Chiesa sono andati finora a braccetto: d’amore e d’accordo sulla strada da seguire, che ancora una volta pare essere quella, tutta italiana, di lavare i panni sporchi in famiglia. L’Osservatorio, presieduto dal Capo del Dipartimento, Ilaria Antonini, è per la verità poco più di una stanza vuota senza arredi: istituito nel 2007, non ha funzionato che pochi mesi, senza fornire i dati promessi sulla pedofilia nel nostro paese, e men che meno azioni di prevenzione del fenomeno. Ora viene resuscitato, con un nuovo “Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale minorile”, un vasto programma di iniziative di sensibilizzazione e formazione che però ancora una volta non contempla il coinvolgimento delle vittime.
L’assenza dei sopravvissuti agli abusi è il dato più eclatante anche nelle iniziative ecclesiastiche: «La Chiesa si riempie la bocca di solidarietà per le vittime ma non le coinvolge – sottolinea Francesco Zanardi, presidente della Rete L’Abuso – la stessa commissione d’inchiesta ecclesiastica interna è solo un modo per lavarsi la coscienza; lo stesso vale per gli sportelli diocesani, che i vescovi gestiscono senza rendere conto a nessuno. Quanti sono i casi rilevati? Che cosa succede ai responsabili? Non sappiamo niente».
All’assemblea nella giornata di mercoledì è giunto un messaggio del cardinale Sean Patrick O’Malley, presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, che ha invitato i vescovi a una «conversione pastorale» sulla questione degli abusi, senza cedere alla tentazione di difendere l’istituzione: vedremo se la Cei saprà rispondere all’appello. Ora la palla passa al nuovo presidente: ottimo comunicatore, attento ai poveri e sensibile alla causa della pace, in passato ha già mostrato attenzione per frange marginalizzate nella Chiesa, come le persone lgbt, ma non si è ancora espresso apertamente sugli abusi nella Chiesa. Don Matteo, il momento è arrivato.
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