Ludovica Eugenio – 41069 ROMA-ADISTA. «La nostra partecipazione a questo tavolo per parlare insieme di prevenzione degli abusi è una pagina nuova che si apre nella prospettiva di un cammino consapevole in sinergia, volto a costruire una comunità educante e sicura»: così ha esordito mons. Stefano Russo, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), a un incontro dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pedopornografia minorile, organismo statale istituito presso il Dipartimento per le politiche della famiglia, il 5 maggio; incontro svoltosi alla presenza della ministra per le pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, durante il quale è stato approvato il “nuovo Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale minorile” e che ha svelato, così, con l’ingresso della Cei in un’istituzione dello Stato, la strategia dei vescovi per fare fronte alla questione improcrastinabile degli abusi nella Chiesa.
Tutto bene? No. La netta impressione è che la Cei voglia minimizzare la suddetta questione aderendo a una operazione preventiva che non prevede, come prerequisito, una rigorosa indagine sul pregresso: «Alla Chiesa che è in Italia – afferma il segretario Cei – stanno a cuore la sicurezza e la salvaguardia dei piccoli e dei vulnerabili. Ci adoperiamo a ogni livello per una responsabilizzazione attiva, avviando una serie di misure, di prassi e di attività formative, volte a contrastare possibili abusi in ambito ecclesiastico». “Possibili”, quindi non riconosciuti come reali. La Chiesa italiana, insomma, sembra prendere le distanze dalla piaga sistemica che la abita, e non è certamente un buon segnale.
Un ufficio fantasma
L’Osservatorio, istituito nel 2007, non ha mai realizzato la banca dati promessa per il monitoraggio del fenomeno e le azioni di prevenzione e repressione ad esso collegate», ha scritto su Left a dicembre 2021 Federico Tulli. E nemmeno la «relazione tecnico-scientifica annuale a consuntivo delle attività svolte». Dal 2007 al 2021, riferiva Tulli, «l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia ha funzionato di fatto solo pochi mesi nel 2020 e al momento non è possibile sapere quando riprenderà l’attività dato che anche il sito è offline». Il 5 maggio viene rianimato. Presieduto dal Capo del Dipartimento, Ilaria Antonini, è composto da rappresentanti designati dall’Autorità politica con delega alla famiglia e alle pari opportunità, da rappresentanti delle amministrazioni centrali, delle forze dell’ordine e delle associazioni nazionali operanti nel settore. Partecipano, inoltre, come invitati permanenti, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e, ora, la Conferenza episcopale italiana. «La Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia – ha enfatizzato la ministra Bonetti, che ammette il non brillantissimo, fin qui, cammino dell’Osservatorio, riconoscendo di averlo ora «ricostituito» – ricorda a tutto il Paese la responsabilità urgente, per la nostra comunità nazionale, di contrastare crimini odiosi contro l’infanzia, che prosperano nella solitudine, nell’esclusione sociale e nel silenzio delle comunità e dell’opinione pubblica». E parla di «potenziare la prevenzione, investire con ancora più coraggio nell’educazione, garantire il monitoraggio e la condivisione dei dati, mettendo in campo tutte le competenze e gli strumenti necessari per intercettare abusi e violenze sin dai primi segnali e attivare subito percorsi di sostegno per le vittime». L’Osservatorio, «che ho ricostituito», oggi compie un «passo nuovo nel contrasto alla pedofilia, rafforzando le sinergie tra i diversi livelli istituzionali per riuscire insieme a garantire con concretezza i diritti delle bambine e dei bambini». E vengono illustrati metodi e obiettivi: l’integrazione, tramite il lavoro di 4 gruppi tematici («iniziative di sensibilizzazione e formazione; interventi in favore di vittime e autori; sicurezza nel mondo digitale; sviluppo e condivisione banche dati»), del Piano nazionale per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva predisposto dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, avvalendosi per questo della partecipazione di «un gruppo di circa 70 ragazzi e ragazze, provenienti da istituti scolastici, strutture di accoglienza per minori, associazionismo ricreativo e sportivo, che hanno formulato le proprie raccomandazioni sui temi dei gruppi di lavoro». E le vittime di abusi? Non pervenute. D’altronde, nell’ottobre 2016, a seguito di un’istanza nella quale si chiedeva l’inserimento della Rete di vittime L’Abuso all’interno dell’Osservatorio, l’ufficio rispondeva rigettando la richiesta, spiegando che i posti previsti per le tre associazioni di settore (Telefono Azzurro, Terre des Hommes e Save the Children) erano già tutti occupati. Tranne poi trovare una collocazione a una quarta, la METER onlus di don Fortunato Di Noto, su designazione diretta dell’allora ministra per le Pari Opportunità Maria Elena Boschi, e in deroga allo “statuto”: le associazioni che comparivano sul sito del ministero erano quattro.
Le vittime: «Il salvagente del Governo alla Cei»
Tanti gli “slogan” – prevenzione, protezione, promozione; educazione, equità, empowerment – ma sia nel comunicato stampa della Cei quanto in quello del Ministero è del tutto assente il termine “giustizia”. «Auspichiamo – ha concluso mons. Russo – che questo comune cammino di accompagnamento e formazione non si limiti alla sola supervisione o alla fase iniziale, ma si consolidi come esperienza formativa permanente». Il tutto è complessivamente indigeribile per le vittime: «Lo Stato annuncia di aver lanciato il salvagente alla Cei per uscire dal problema dei preti pedofili», commenta amaramente Francesco Zanardi, fondatore e presidente della Rete L’Abuso. D’altronde, «le inadempienze dello Stato sono state negli anni contestate a gran voce dai sopravvissuti che, trovando nel governo un costante muro di gomma, in quanto nonostante un’interrogazione parlamentare e la successiva diffida del 19 febbraio 2018, si videro costrette a rivolgersi agli organi sovrastatali come le Nazioni Unite. Queste condannarono le criticità e raccomandarono all’Italia gli adempimenti da apportare alle norme (punto 21 del testo). Ma l’Italia, che lo scorso febbraio è stata denunciata la seconda volta per inadempienza all’ONU, non ha mai messo mano negli anni a quelle raccomandazioni». Dunque, per Zanardi il governo sta «tradendo ancora una volta i cittadini vittime per salvare la Chiesa»: perché «non compaiono, in un’iniziativa apparentemente rivolta alle vittime, le stesse vittime e le associazioni che le hanno rappresentate in oltre un decennio, una “svista” che già di suo dà chiara l’immagine di mera operazione di facciata». E compare invece la Conferenza episcopale, l’istituzione che, in tutti gli altri Paesi, «era quella su cui il governo indagava e non colei che dopo decenni di fallimenti in materia che hanno costretto i Governi a un intervento, tutto a un tratto, come sta accadendo in Italia, diventa la “consulente” dello Stato, al quale invece dovrebbe rendere conto».
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