Sappiamo oramai che malthusianesimo e depopolazionismo sono state e sono ancora fra le linee guida del pensiero politico di certe élite occidentali da più di un secolo. Lo si vede nel sostegno, da parte del capostipite della dinastia petro-finanziaria Rockefeller1, all’organizzazione abortista e di controllo delle nascite denominata Planned Parenthood Federation, fondata dall’attivista M. Sanger negli anni ‘10 del Novecento. Lo si evince nell’adesione dei socialisti aristocratici della Fabian Society, ben inseriti per generazioni nei circuiti internazionali che contano e nell’industria culturale, a idee di malthusianesimo e riduzione pianificata della popolazione (Bertrand Russell, H.G. Wells, Bernard Shaw, Julian Huxley, primo segretazione dell’Unesco, perfino John M. Keynes).
Che questa linea di pensiero, risultante in un misto di malthusianesimo, darwinismo sociale e positivismo, fosse dettata da reali preoccupazioni di gestione del rapporto fra popolazione e risorse (assai poco allarmante nella seconda metà del XIX secolo, agli albori movimento fabiano) o da posizioni piuttosto ideologiche di natura elitista ed eugenetica, oltre a un sincero disprezzo razzista verso le classi inferiori tanto evidente in scrittori come H.G. Wells, e Aldous Huxley, fratello dello stesso Julian, è cosa che sicuramente meriterebbe una certa riflessione. Molto più banalmente, poteva essere la risposta alla crescita di consapevolezza, numero, e organizzazione delle classi proletarie e sottoproletarie, da parte delle centrali del potere oligarchico che nella crescita numerica delle classi sottoposte potevano vedere una minaccia sociale, politica e financo militare alla propria egemonia, fuori dalla portata della loro capacità di controllo e cooptazione del movimento operaio. Un preciso calcolo degli equilibri di forza fra alto e basso, potrebbe essere stato il nucleo pragmatico del pensiero distopico dei depopolazionisti oligarchici, la ricerca di un punto di ottimo fra la richiesta di una massa industriale di riserva (oggi sempre più inutile) e quella di un limite al numero dei sottoposti, cioè maggiore probabilità di controllo in caso di rivolte, minore richiesta di sussidi di povertà e disoccupazione. Questa marca di fabbrica utilitarista troverebbe conferma nell’ampio accoglimento che questa metafisica sociale ha riscosso specificamente in area anglosassone.
Il filo conduttore della riduzione della popolazione mondiale, della decrescita dello sviluppo economico, mascherato da posizioni ambientaliste, sembra aver ispirato le politiche globali delle Nazioni Unite nella seconda metà del Novecento (Clud di Roma, Club di Budapest). Al contempo le politiche neo-liberiste portate avanti sulla scorta dell’affermarsi della scuola di Chicago (conservatorismo fiscale, monetarismo, riduzione del Welfare State), hanno portato in tutti i Paesi avanzati una contrazione della ricchezza diffusa, l’arretramento della classe media, e una ridotta propensione alla pianificazione familiare: sbilanciamento economico che ha colpito, nelle ultime due generazioni, soprattutto i giovani o i soggetti produttivi in età fertile a vantaggio degli anziani, confermando un disegno di decrescita pianificata della demografia. Tali dinamiche tuttavia continuano a colpire soprattutto i Paesi ricchi anche per la ragione che le centrali di potere che pianificano l’ingegneria sociale si trovano in Occidente, e hanno presa diretta quasi esclusivamente sui Paesi le cui classi dirigenti, politiche, giornalistiche etc. sono facilmente tenute a libro paga. Del resto nei confronti dei Paesi non occidentali o “non allineati”, soprattutto se meno facilmente infiltrabili, tecniche ben più dure e dirette vengono applicate, dal killeraggio economico, alla destabilizzazione interna, alla guerra vera e propria, convenzionale o ibrida.
Se un John Davison Rockefeller III, fondava nel 1952 il Council Population, organizzazione non governativa per il controllo della popolazione, e se suo fratello, l’influentissimo banchiere David Rockefeller (1915 -2017), teneva alle Nazioni Unite nel 1994 un convinto discorso sulla necessità del controllo e della riduzione della popolazione mondiale2, possiamo concludere che da diverse generazioni, l’intera dinastia dei Rockefeller si trasmette l’ossessione per questo tema e dispiega la sua influenza per portare avanti politiche di riduzione della popolazione.
Se abbiamo dimostrato che tutto questo non si riduce a “leggende metropolitane” della rete, ma è provato da una serie di dichiarazioni programmatiche ufficiali, è possibile provare che, oltre ad una teoria, esiste in azione nello scenario socio-politico mondiale anche una prassi, e una meccanica, magari portata avanti da progetti clandestini?
Almeno un documento ufficiale in effetti è di dominio pubblico, essendo stato declassificato nei primi anni ‘90: si tratta del Memorandum 200 prodotto sotto l’amministrazione Ford negli Stati Uniti (1974). Il documento segreto aveva come titolo completo National Security Study Memorandum 200: Implications of Worldwide Population Growth for U.S. Security and Overseas Interests (NSSM200) era stato prodotto dal National Security Council, all’epoca diretto da Henry Kissinger, anima nera di diversi presidenti americani, e architetto della politica estera statunitense per oltre trent’anni. Lo stesso Kissinger è coordinatore e cofondatore della Trilateral Commission, insieme a David Rockefeller, e Zbigniew Brzezinski. Questo think tank è stato il principale motore delle politiche neoliberiste, oligarchiche e antidemocratiche a partire dagli anni ‘70, in tutto l’Occidente. Basti pensare che il saggio La crisi della democrazia, vero manuale teorico-pratico per favorire l’arretramento delle democrazie partecipative nelle società avanzate, è stato di fatto commissionato dalla Trilateral.3 Lo stesso Brzezinski, altro fondatore della Trilateral, avrebbe affermato:
Forse un tempo era più facile controllare un milione di persone, anziché ucciderle fisicamente. Oggi è infinitamente più facile uccidere un milione di persone piuttosto che controllarle 4.
Come si vede i programmi depopolazionisti si inserirebbero nel quadro di una più ampia agenda di controllo egemonico, e sono portati avanti dalle stesse centrali di potere.
Tornando al Memorandum, la sua motivazione rimandava a un presunto interesse nazionale degli USA, che sarebbe stato danneggiato da una eccessiva crescita demografica in Paesi in via di sviluppo, poveri ma ricchi di risorse naturali. L’obiettivo sarebbe stato quello di mantenere il vantaggio statunitense nel controllo e nel commercio di materiali strategici per l’industria e di conservare la supremazia militare americana. In questo modo la politica estera degli Stati Uniti veniva finalmente reclutata al programma ideologico dei circuiti oligarchici summenzionati.
La decrescita della popolazione nei Paesi in via di sviluppo offriva anche il vantaggio di ridurre gli investimenti economici per lo sviluppo agroalimentare in queste aree, e gli aiuti economici da parte delle organizzazioni internazionali:
Dal punto di vista degli interessi americani, la riduzione delle richieste di cibo dei paesi in via di sviluppo [dovuta alla limitazione della crescita demografica] è vantaggiosa, riduce solo le loro richieste di aiuti economici, mentre non intacca lo scambio commerciale.
Si cercava insomma di ridurre i costi e massimizzare i profitti neocoloniali in un mondo già in fase di proto-globalizzazione. Il documento indicava anche una lista di Paesi da tenere sotto controllo, in particolare: India, Bangladesh, Pakistan, Nigeria, Messico, Indonesia, Brasile, Filippine, Tailandia, Egitto, Turchia, Etiopia e Colombia. La necessità di questo documento si giustificava anche in ragione della resistenza ufficialmente opposta da molti Paesi in via di sviluppo, nel vertice mondiale ONU tenutosi a Bucarest (il World Population Conference Plan Action) nello stesso anno, alle proposte di controllo e riduzione della popolazione, allorché le delegazioni di questi Paesi si resero conto che la popolazione da ridurre era la loro.
Il Memoradum riportava anche le azioni possibili che si sarebbero dovute mettere in campo attraverso il soft power americano per perseguire l’azione unilaterale di intervento per il decremento demografico negli Stati oggetto di interesse. Nel documento nessuno strumento viene lasciato indietro o escluso: dal trasferimento della “tecnologia contraccettiva”, alla sterilizzazione, al’aborto, al condizionamento della popolazione e delle classi dirigenti. Veniva persino consigliato l’uso di strumenti di propaganda e guerra psicologica… Fra gli strumenti indicati si prospettava anche il ricatto economico – vincolando gli aiuti internazionali all’accettazione da parte dei governi locali delle politiche demografiche – fino anche alla destabilizzazione politica.
Ciò che è rilevante ad oggi per noi è che questo documento, ormai ben noto, testimonia una vera continuità fra enunciazioni di principio dei think tank e prassi politica clandestina e soft power. Gli Stati Uniti si sono dimostrati il braccio armato di una elite transnazionale che ha guidato e diretto e i processi di formazione dell’attuale ordine globale, e in questo l’enorme potenziale politico e militare degli USA è stato, sino a una certa data, la principale cinghia di trasmissione di questi programmi.
Dato che i proclami per una riduzione della popolazione mondiale sono ancora forti e la visione ideologica dei gruppi elitari transazionali non è cambiata, a distanza di oltre un trentennio dalla declassificazione del Memorandum, altri punti interrogativi interessanti sarebbero se altri documenti del genere non siano stati elaborati successivamente da altre agenzie governative statunitensi, e se altri attori internazionali (es. Francia, Regno Unito) non abbiano sviluppato anche loro programmi di questo tipo. Altri interrogativi che dovremmo porci sono se le centrali di potere che perseguono questi obiettivi non abbiano cambiato referente, ad esempio affidandosi ancora ai governi (o meglio al governo della superpotenza americana), oppure se non trovino più efficiente passare per enti non governativi di propria creazione, ed organizzazioni internazionali che, come la Banca Mondiale, si sono facilmente prestate a sostenere politiche neocolonialiste. Le strategie ormai dovrebbero comprendere tutti gli aggiornamenti tecnologici oggi possibili, come la sterilizzazione attraverso le campagne vaccinali. Tale situazione di fatto è stata denunciata di recente dai vescovi del Kenya5; del resto anche i dubbi sulla salute riproduttiva associati alle vaccinazioni anti-HPV andrebbero nella medesima direzione.6
Resta tuttavia una importante riflessione: per una chiara eterogenesi dei fini le politiche di contenimento demografico hanno avuto paradossalmente effetto solo dove non servivano, cioè le società avanzate che sono affette semmai da denatalità. Come aveva previsto l’economista Alfred Landry le trappole malthusiane avrebbero raggiunto un livello non più reversibile. È il caso delle nostre società dove la denatalità (favorita da fattori anche culturali sicuramente non scoraggiati) è scesa sotto la soglia di emergenza minima d’emergenza necessaria per garantire il ricambio generazionale, cioè quella di due figli a famiglia. Ciò ha anche favorito l’invecchiamento della popolazione e quel quadro di sinergia negativa, o “effetto leva”, che sfavorisce gli adulti in età fertile a vantaggio dei privilegiati pensionati, disincentivando la creazione di nuovi nuclei familiari e di conseguenza la natalità. In pratica nel 2050 si prevede che l’Europa ad esempio perderà il 20% circa della popolazione autoctona.
Si arriva così ad un risultato paradossale: le politiche demografiche hanno portato a un lento genocidio bianco dei popoli occidentali “ricchi”, mentre i programmi malthusiani non hanno intaccato sostanzialmente la natalità dei paesi in via di sviluppo (laddove forse ci si poteva aspettare che un naturale progresso socio-economico e lo sviluppo di una società industriale, avrebbe automaticamente calmierato la popolazione, secondo lo stesso schema visto in occidente). In ogni caso un fallimento su tutta la linea dei tentativi di ingegneria sociale e demografica, sabotata dall’imponderabile eterogenesi dei fini, nemica di ogni meccanicismo storico.
Si dovrebbe concludere che le centrali di potere e le elite globaliste occidentali, tanto temute, hanno sì un enorme potere, ma tutto sommato non illimitato: la loro capacità di controllo è massima in Occidente, dove nominano i politici e le classi di governo, controllano i media, dispongono del potere finanziario, ma hanno una capacità di penetrazione limitata nei Paesi asiatici, sudamericani, africani, con i loro precari ma complessi equilibri interni che li pongono in una dimensione di semi-anarchia rispetto al dirigismo semiclandestino della cosiddetta “governance globale”, di fatto padrona del solo Occidente. Lo abbiamo visto ben chiaramente con il fallimento dell’Operazione Corona (la pandemia “simulata” o inscenata di Covid-19) che ha visto sfilarsi rapidamente tutti i paesi asiatici, africani e sud americani che vi avevano seppure limitatamente aderito, mentre ha trasformato in una semi-dittatura l’Europa occidentale e parte deli Stati Uniti, Il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda.
Oppure, vi sarebbe una seconda possibilità, non del tutto alternativa a questa, e quindi in parte complementare. Non sarebbe da chiedersi se queste aree di ex terzo mondo non siano state in fondo un obiettivo secondario, presto abbandonato, e il vero focus delle scelte neo-malthusiane non sia stato invece proprio il mondo euro-atlantico? In questo senso allora cioè che abbiamo imparato a conoscere come “Piano Kalergi”7 assumerebbe maggiore senso nel quadro generale… E quello che potrebbe apparire come un difetto della pianificazione demografica risulterebbe invece nell’effettivo successo di un altro programma, diverso da quello dichiarato in sede di Nazioni Unite e ammesso in via ufficiale.
Se è così, in ogni caso, si conferma un restringimento del potere delle elite globali, e della loro volontà o capacità di controllo immediato, sul solo Occidente, come già detto – a cui si può aggiungere, nei limiti consentiti dagli interessi del PCC, la Cina – ma da cui si sta sottraendo sempre di più la Russia di Putin, l’India, Il Brasile, e una fetta sempre più ampia di Paesi emergenti.
Restano i cocci di questi progetti di ingegneria sociale e demografica del fu Nuovo Ordine Mondiale, ormai superato e sostituito dal Green New Deal, Agenda 21, Great Reset, altri slogan ed altre etichette, che per ora però mobilitano solamente le classi dirigenti di USA, UE, Canada, Australia e pochi altri… di fronte a una grande assemblea di Paesi sempre più decisi a sottrarsi ai deliri dei miliardari e della finanza occidentale. Come per il falso mito del “riscaldamento globale”, giustificazione ideologica delle nuove pianificazioni industriali, viene da chiedersi se anche i grandi allarmi per la crescita incontrollata della popolazione mondiale (la Cina avrà presto un collasso demografico, non fosse altro che per il sovrannumero di maschi dovuti alla politica di un solo figlio a famiglia) non siano in fondo ingiustificati, un mito di cartapesta, e se gli eventi collettivi con la loro complessità non porterebbero comunque, fatalmente, la popolazione umana al naturale equilibrio8, senza bisogno dell’intervento pianificatore dei santi di Davos, e senza apocalissi climatico-ambientali che per ora non si vedono all’orizzonte.
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