Colpo al cuore.
Nei mesi della pandemia è triplicata la mortalità per infarto, secondo l’ultimo studio elaborato dalla Società Italiana di Cardiologia e di prossima pubblicazione sul prestigioso European Health Journal.
Una diagnosi impressionante di come – in tempi di coronavirus – siano state penalizzate le terapie cardiologiche, in tutti i sensi.
Dalla restrizione degli spazi e delle strutture dedicate, per via dell’emergenza Covid; alle paure di ricoverarsi, o anche solo controllarsi, per il timore di contrarre l’infezione.
Ma ecco le drammatiche cifre. La mortalità è di tre volte maggiore rispetto allo stesso periodo, passando dal 4,1 per cento addirittura al 13,7 per cento.
Sottolinea Ciro Indolfi, ordinario di Cardiologia all’Università Magna Grecia di Catanzaro, che ha coordinato la ricerca: “L’attenzione della sanità sul Covid 19 e la paura del contagio rischiano di vanificare in Italia i risultati ottenuti con le terapie più innovative per l’infarto e gli sforzi per la prevenzione degli ultimi venti anni”.
Prosegue Indolfi: “l’organizzazione degli ospedali e del 118 in questa fase è stata dedicata quasi esclusivamente al Covid 19 e molti reparti cardiologici sono stati utilizzati per i malati infettivi. Se questa tendenza dovesse persistere e la rete cardiologica non verrà ripristinata, ora che è passata questa prima fase di emergenza, avremo più morti per infarto che per Covid 19”.
Sottolinea una coautrice dello studio, Carmen Spaccarotella: “l’aumento è dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente. Infatti, il tempo tra l’inizio dei sintomi e la riapertura della coronaria durante il periodo Covid è aumentato del 39 per cento. Questo ritardo è spesso fatale, perché nel trattamento dell’infarto il tempo è un fattore cruciale. L’età media di questi pazienti infartuati è di 65 anni. All’aumento di mortalità è associata una sorprendente riduzione dei ricoveri per infarto superiore al 60 per cento”.
Precisa un altro coautore della ricerca, Salvatore De Rosa: “Il calo più evidente ha riguardato gli infarti con occlusione parziale della coronaria, ma è stato osservato anche in ben il 26,5 per cento dei pazienti con una forma più grave d’infarto”.
Una riduzione simile si è verificata anche per lo scompenso cardiaco, con un letterale dimezzamento dei ricoveri rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: un drammatico 47 per cento in meno.
Lo stesso vale per i ricoveri derivanti da fibrillazione atriale, diminuiti di addirittura il 53 per cento.
Non basta. Perché anche una operazione relativamente di routine, quale è quella di un brevissimo ricovero per un malfunzionamento del pace maker e defibrillatori, è drasticamente diminuita, facendo segnare un 30 per cento in meno.
Nessun commento:
Posta un commento