26 aprile 2020

Il massone Bob Dylan, Kennedy e i golpisti del coronavirus

Vide il corpo di Kennedy sobbalzare in avanti, e capì che Chuck Nicoletti lo aveva colpito alla schiena, sparando dal palazzo accanto a quello in cui era appostato il futuro capro espiatorio Lee Oswald. Il presidente era ferito, ma in modo non mortale. Un’intuizione millimetrica, lo spazio di un secondo: poi la limousine si sarebbe allontanata dalla fatale collinetta dell’agguato. Fu in quel preciso istante che il secondo killer sparò a sua volta, con il suo Fireball, facendogli saltare il cervello e ribaltando all’indietro il corpo di Jfk. «Sono stato, io a esplodere il colpo mortale», dice James Files – detenuto negli Usa per altri reati – nel documentario (mai distribuito nel circuito televisivo) che svela la vera storia dell’omicidio, realizzato in mondovisione il 22 novembre 1963 a Dallas. Versione confermata in punto di morte da Howard Hunt, allora numero due della Cia. Per l’assassinio del secolo, gli 007 reclutarono la mafia di Chicago. Se ne accorse Zack Shelton, agente dell’Fbi, subito messo a tacere. Altra fonte, un “pentito”: il criminale Chaucey Holt. Un pilota della Cia, Tosh Plumlee, conferma di aver trasportato a Dallas i gangster incaricati di eliminare Jfk.
Alla vigilia, in un drammatico summit nella città texana, il piano venne convalidato dal Deep State: con lo stesso Howard Hunt, nella villa del petroliere Clint Murchinson c’era Edgar Hoover (Fbi) insieme al vice di Kennedy, Lyndon Johnson, e ad Kennedyaltri due futuri presidenti degli Stati Uniti, Richard Nixon e George Bush. Potere criminale: ma perché riparlarne oggi, come fa Bob Dylan, suggerendo un collegamento tra quell’atroce mattanza e il coronavirus? «State attenti e mettetevi al riparo», ha scritto Dylan sul suo sito, il 27 marzo, presentando l’esplosiva “Murder Most Foul”, regalata al pubblico “worldwide”, in modo sorprendente e spettacolare. Una strepitosa ballad lunga 1016 secondi (quasi 17 minuti) che ripercorre “l’omicidio più ignominioso”, facendo di Kennedy il simbolo di un’America che si stava svegliando, anche sulle ali della musica, per uscire dall’incubo della guerra fredda e della segregazione razziale, del terrore nucleare, del Vietnam.
Perché farlo proprio adesso? Perché diventa così loquace, un solitario come Dylan, sempre ultra-reticente con la stampa? Probabilmente, la domanda contiene già la risposta: era indispensabile lanciare un avvertimento, sia pure filtrato dall’eleganza del linguaggio artistico. Un messaggio però anche esplicito, con indizi messi lì apposta per lasciarsi decodificare: l’invito a “suonare il numero 9, il numero 6″, cioè la perfezione dell’armonia. Roba da esoteristi: come il massonico 33, evocato a proposito dei “fratelli” che avrebbero organizzato “l’inferno”, a Dallas. «Nessun mistero: Bob Dylan è, da sempre, un massone radicalmente ultra-progressista», afferma – clamorosamente – Gioele Magaldi, evidentemente autorizzato a dare ufficialmente la notizia. «Dylan milita nei medesimi circuiti massonici progressisti ai quali appartengo anch’io», aggiunge Magaldi, che nel 2014 – nel saggio “Massoni”, edito da Chiarelettere – ha denunciato le trame anche golpiste e terroristiche della supermassoneria reazionaria.
L’accusa: è stata la superloggia “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush, ad architettare l’11 Settembre e il crollo delle Torri Gemelle, per poi inventarsi anche l’Isis. Se qualche sprovveduto crede ancora alla storiella degli aerei che avrebbero abbattuto le Twin Towers (cadute per “demolizione controllata”, come ormai dimostrato da oltre tremila architetti e ingegneri americani), proprio l’omicidio Kennedy – giudiziariamente irrisolto, dopo oltre mezzo secolo – sta lì a ricordare a tutti che, a volte, “l’impossibile” diventa possibilissimo. Tant’è vero che qualcuno ci lascia la pelle: anche in modo inimmaginabile, Magaldipersino se si tratta di un intoccabile come il presidente degli Stati Uniti. Magaldi mette in fila gli eventi: la stessa élite reazionaria, che nel 1975 usò la Trilaterale di Kissinger per dichiarare guerra alla democrazia sociale, oggi sovragestisce la crisi planetaria della pandemia secondo il modulo Wuhan, fondato sulla sospensione della libertà costituzionale.
Attenti, avverte Magaldi: fu proprio il club di Kissinger a sdoganare la Cina, aprendola al mercato globale, per farne una specie di Frankenstein: formidabile efficienza economica, ma niente democrazia. Un modello perfetto da trapiantare in un futuro Occidente distopico, raggelante, oggi con il pretesto psico-sanitario del coronavirus, il coprifuoco imposto a tutti (provvisorio, ma con la prospettiva che le libertà di ieri non tornino mai più). Ed ecco, allora, Bob Dylan. «La sua uscita – sottolinea Magaldi – è perfettamente sincronizzata con l’altrettanto clamorosa lettera di Mario Draghi al “Financial Times”, in cui l’ex presidente della Bce (fino a ieri massone neoaristocratico, e oggi tornato ai lidi keynesiani delle origini) dichiara guerra alla “teologia” del rigore neoliberista, evocando addirittura il New Deal rooseveltiano: cioè la necessità di ricorrere a massicci aiuti di Stato per svincolare l’economia dal ricatto della finanza speculativa. Un regime che tuttora strangola l’Italia nella morsa dell’Ue, proprio adesso che il paese ha un bisogno drammatico di fondi che non si trasformino in debito».
Draghi e Dylan, strano tandem: in modo diverso paiono dire la stessa cosa. Ovvero: siamo ormai giunti a un bivio esiziale, messi di fronte – con l’accelerazione planetaria della pandemia – a una scelta di campo che si è fatta ineludibile: se la globalizzazione solo finanziaria porta dritti a Wuhan, l’alternativa sta nel riscrivere da zero le regole del mondo. E chi, meglio di John Kennedy, riuscì a esplicitare questo concetto? Era il sogno della New Frontier: un mondo unito, pacificato e libero. Di recente, s’è scoperto un carteggio segreto con Nikita Krushev: i due leader impegnavano Usa e Urss a mettere fine alla guerra fredda Bizzientro il 1970. Ma a costare la vita a Kennedy, probabilmente, fu altro: per esempio, la decisione di stampare direttamente banconote di Stato, svincolate dal sistema bancario. Ed ecco che Jfk, riletto oggi, sembra parlare direttamente a noi, alle prese con le maschere dell’euro-rigore “tedesco”. Ma chi era, veramente, Kennedy?
«Tra le altre cose, il presidente assassinato a Dallas era un inziato eleusino», rivela lo storico fiorentino Nicola Bizzi, che nel sorprendente libro “Da Eleusi a Firenze” mette a fuoco l’ascendenza “eleusina” del Rinascimento italiano. Ovvero: la regia occulta, nel potere della signoria medicea, della tradizione misterica risalente al 1300 avanti Cristo, quando – secondo la narrazione – la dea Demetra avrebbe rivelato ai fedeli di Eleusi, alle porte di Atene, l’origine “atlantidea” della nostra specie, “creata” dagli dei Titani come Poseidone, signore dei mari. Kennedy eleusino? «Di più: era anche un templare, direttamente collegato a Dante Alighieri». Lo sostiene Luca Monti, autore del volume “Firenze, città santa dei templari”, pubblicato da Aurora Boreale, editrice di cui è titolare lo stesso Bizzi. Inserito nella rete odierna del templarismo, Monti spiega: l’autore della Divina Commedia ereditò la guida segreta dell’Ordine del Tempio dopo il rogo in cui fu arso vivo l’ultimo Montigran maestro ufficiale, Jacques de Molay. E il legame con il presidente assassinato a Dallas? «Il successore dell’Alighieri-templare fu Gherarduccio dei Gherardini, antenato di John Fitzgerald Kennedy», nientemeno.
Stupefacente? Be’, sì. Ma questo aiuta a leggere un po’ meglio tra le righe, persino nei riferimenti simbolico-esoterici di cui è gremito l’amletico testo del massone Dylan, “Murder Most Foul”. Va preso sul serio, Luca Monti? Fate voi. Nel 2016, intervistato da Paolo Franceschetti, si sbilanciò con questa previsione: «Nel 2020 succederà qualcosa di inaudito, a livello mondiale». La fonte? Numeri, ancora: nella Commedia di Dante, ricorre il 515. Le profezie contenute nel poema sono intervallate dal medesimo numero di versi, “centodieci e quinque”. «Io penso che questo 515 arriverà verso il 2020», disse Monti, spiegando: «Questo numero rappresenta anche la riunificazione; noi siamo tutti in potenza parti di Dio, particelle divine, e il 515 rappresenta la riunione di noi stessi col divino». Suggestioni da brividi? Certo, si tratta di materiale con cui Bob Dylan ha sempre dimostrato un’estrema confidenza: nessuno come lui ha saputo maneggiare – e con uno slang “pop”, per giunta – la stessa Bibbia e i simboli pescati nei territori dell’alchimia, dell’astrologia, dei tarocchi, della mitologia. Se Kennedy era anche un neo-templare e un iniziato “eleusino”, oltre che un celebrato campione della democrazia, suona sempre meno strano l’omaggio che il grande cantautore gli tributa, in mezzo al panico da coronavirus, come se “Murder Most Foul” fosse anche una dichiarazione di guerra, oltre che un esercizio di pietà.
Cade dall’alto, il guanto di sfida lanciato dall’ex ragazzo di Duluth, con alle spalle sessant’anni di carriera, oltre 50 dischi e anche l’Oscar cinematografico per “Things have changed”, nella colonna sonora di “Wonder boys”. Il prestigio culturale di Bob Dylan è già scritto nella storia: Premio Pulitzer, Nobel per la Letteratura, Legion d’Onore francese, 8 Grammy, Premio Principe delle Asturie. Risale al ‘97 il riconoscimento dei Kennedy Center Honors, e al 2012 la Medaglia Presidenziale della Libertà (massimo “award” civile, negli Stati Uniti). Neppure il Dylan politico è una sorpresa, dai tempi di “Blowin’ in the wind” e “Masters of war”. Suo il primo atto d’accusa, frontale, contro la globalizzazione: “Union Sundown”, nel 1983, anticipa profeticamente la tragedia delle delocalizzazioni, in un mondo che sarebbe stato devastato dallo strapotere delle multinazionali. Forte l’attitudine a scendere in campo direttamente, in modo anche spericolato: l’affarista William Zantzinger dichiarò di essere stato rovinato, da Dylan, per
Bob Dylanla canzone “The lonesome death of Hettie Carroll”, domestica nera uccisa a bastonate. Il pugile afroamericano Rubin Carter, vittima di un caso giudiziario condizionato dal razzismo, fu letteralmente scarcerato in seguito alla campagna per la sua liberazione lanciata da Dylan con il brano “Hurricane”.
«Siamo un paese costruito sulla schiena degli schiavi», disse, in prossimità dell’uscita dell’album “Tempest”, pubblicato nel 2012, in cui riecheggia la guerra civile americana nell’interpretazione del poeta Herny Timrod. Sempre rarissime, le interviste, ma quasi tutte memorabili. «Come spiegare la mia longevità artistica? Be’, da giovane ho fatto un patto con il “comandante in capo”». Tradotto: consacro la mia arte alla maggiore delle cause. Obiettivo: far fermentare il talento, alchemicamente, al servizio dell’umanità. Un modo per “tendere al divino”, per citare il 515 dantesco? Più esplicitamente: «Pensate alla trasfigurazione di Cristo, nel Getzemani». Simboli, certo. Positivi e negativi: «Ha vinto Walt Disney», sentenziò anni fa: «Quindi abbiamo perso tutti». Prigioneri della Matrix, in un mondo di plastica? Ecco, forse il velo potrebbe squarciarsi, oggi, di fronte al dramma del coronavirus che sembra distruggere ogni certezza. A patto però – e qui è il “templare” kennedyano che riemerge, il “massone progressista” – che si abbia il coraggio di metterci la faccia. Per esempio regalando ai senzatetto milioni di dollari, ricavati dal disco natalizio “Christmas in the heart” pensato nel 2009 per sfamare gli homeless d’America (gesto di liberalità squisitamente massonico, se non addirittura rosacrociano).
A proposito: tra i leggendari Rosa+Croce, elusiva confraternita iniziatica capitanata nel secondo ‘900 dal pittore Salvador Dalì, un simbologo italiano come Gianfranco Carpeoro include il grande Freddie Mercury. E il suo gruppo – i Queen – è l’unico (non statunitense) citato da Dylan nella sequenza finale di “Murder Most Foul”, in cui si dispiega lo splendore della colonna sonora “made in Usa” degli irripetibili anni Sessanta. Un indizio rivelatore: siamo di fronte a una stretta parentela, non solo artistica? In recenti conferenze, insieme allo stesso Magaldi, Carpeoro ha svelato la cifra massonica di artisti come David Bowie e, in particolare, l’identità anche rosacrociana del massone progressista Michael Jackson, cresciuto nella Prince Hall Freemasonry, l’obbedienza dei neri Il simbolo che negli ultimi anni accompagna i concerti di Dylanamericani. A costargli la vita, a quanto pare, sarebbe stata la canzone “They don’t care about us”, contro gli abusi del grande potere globalista. Un verso recita: «Tutto questo non succederebbe, se Roosevelt fosse ancora qui». Alla moglie di Franklin Delano, Eleanor, madrina della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il giovanissimo Bob Dylan dedicò “Dear Mrs. Roosevelt”, scritta dal suo antico maestro Woody Guthrie.
Sempre Dylan fu tra le star che risposero all’appello di Michael Jackson, autore con Lionel Richie del brano corale “We are the World”, destinato a raccogliere fondi (campagna “Usa for Africa”) per assistere la popolazione dell’Etiopia colpita dalla spaventosa carestia del 1985. Oggi, a quanto sembra, siamo all’ennesimo appuntamento con la storia: si tratta di disseppellire John Kennedy, per aiutare il mondo a ritrovare il suo stesso coraggio. Cambiare tutto, senza paura: né del coronavirus, né dei suoi ipotetici “sovragestori”, che probabilmente sognano un pianeta di neo-sudditi, schiavizzati dal terrore dei virus (oggi il “corona”, domani chissà), e sottoposti alla dittatura orwelliana di una polizia sanitaria capace di imporre vaccini e microchip, azzerando la privacy e la libertà. Messaggio: il momento è cruciale. La sfida è lanciata: “Murder Most Foul” è nell’aria, ne sta parlando il mondo intero. «State al riparo, e state attenti», si congeda il quasi ottantenne Dylan. «E che Dio sia con voi».
(Giorgio Cattaneo, 5 aprile 2020).

25 aprile 2020

Ecco il risultato delle prime 50 autopsie di bergamo: AVEVANO SBAGLIATO COMPLETAMENTE LA DIAGNOSI

Carlo Palermo / Il Giudice Che Visse Due Volte


35 anni fa la strage di Pizzolungo per far saltare in aria il magistrato coraggio Carlo Palermo e nella quale vennero ammazzati la trentenne Barbara Rizzo e i suoi due gemellini, Giuseppe e Salvatore Asta.
Oggi è in corso al tribunale di Caltanissetta il quarto processo, che vede sul banco degli imputati il boss Vincenzo Galatolo, già condannato all’ergastolo per l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Galatolo è accusato di essere stato non solo il mandante della strage, ma anche di aver per primo pensato e ideato l’attentato a Carlo Palermo.

Un magistrato all’epoca molto pericoloso non solo per la mafia, ma anche per i livelli collusi della politica già in vena di tangenti. Un mix davvero “esplosivo”.
Torniamo con la memoria a quei tragici fatti.

UN MAGISTRATO DA FAR SALTARE
Il 2 aprile 1985, lungo la statale che porta da Palermo a Trapani, un’auto imbottita di tritolo, piazzata sul ciglio della strada, salta per aria. L’obiettivo è la 132 blindata dove si trova Carlo Palermo con la sua scorta. L’auto era seguita da una Fiat Ritmo non blindata con altri due agenti a bordo.

Barbara Rizzo con i figli. In apertura un’auto saltata in aria nella strage di Pizzolungo e a destra Carlo Palermo
Ma nel momento della tremenda esplosione, la 132 stava superando una terza auto, una Volkswagen Scirocco guidata da Barbara Rizzo, 30 anni, in compagnia dei figli di 6 anni Giuseppe e Salvatore.
Ed è proprio quest’ultima vettura a rimanere completamente distrutta con i tre corpi carbonizzati. Solo ferite lievi per Palermo e i due agenti con lui, Rosario Di Maggio (alla guida) e Raffaele Mercurio. Gravi le ferite riportate dagli altri due, Antonio Ruggirello e Salvatore La Porta, che poi saranno dichiarati inabili al servizio.

Per la strage vennero condannati all’ergastolo, come mandanti, i capi mafia di Palermo e Trapani, ossia Totò Riina e Vincenzo Virga; nonché Nino Madonia e Balduccio Di Maggio per aver portato a Trapani l’esplosivo utilizzato.
Commenta Antimafia Duemila: “Un processo che mise in evidenza le ‘voragini’ di verità che si aprirono nel primo procedimento aperto contro i boss Gioacchino Calabrò, Vincenzo Milazzo Filippo Melodia. I tre, individuati già nel 1987, furono condannati in primo grado all’ergastolo, per poi essere assolti in appello. L’ex boss di San Giuseppe, Giovanni Brusca, sentito al processo contro Messina Denaro per le stragi del 1992, ha svelato che Riina diede ordine al capo mafia di Caltanissetta, Piddu Madonia, di ‘avvicinare’ i giudici del processo di Pizzolungo per ‘aggiustare il processo’. I pentiti, e le indagini successive, hanno indicato Calabrò, Milazzo e Melodia come gli esecutori. Ma non possono essere riprocessati, per via del ‘ne bis in idem’: per cui non possono tornare imputati di un reato per il quale esiste una sentenza definitiva di assoluzione”.
Follie della giustizia di casa nostra.

ECCOCI AL QUARTO PROCESSO
Il quarto processo iniziato a Caltanissetta, comunque, vede alla sbarra Vincenzo Galatolo, il capo della famiglia dell’Acquasanta, molto vicina ad ambienti deviati dei servizi segreti. Furono i Galatolo, 31 anni fa, ad organizzare il fallito attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone: “menti raffinatissime”, etichettò poi i promotori il giudice scampato per un miracolo.
Un processo che nasce dalle dichiarazioni del pentito Francesco Onorato e della “figlia ribelle” del boss, Giovanna Galatolo. A settembre 2019 il pm, Gabriele Paci, al termine della sua requisitoria ha chiesto 30 anni di galera per Vincenzo Galatolo.

Il tribunale di Caltanissetta
Ma dal processo, celebrato con rito abbreviato, difficilmente uscirà una spiegazione esaustiva circa i motivi che portarono all’attentato che aveva come obiettivo Carlo Palermo, sbarcato in Sicilia solo pochi mesi prima, in arrivo dalla procura di Trento dove aveva portato avanti inchieste bollenti soprattutto sui versanti della corruzione, dei rapporti mafia-politica, delle maxi tangenti di “Stato”, dei riciclaggi spinti: di tutto e di più in quelle esplosive inchieste.
Secondo non pochi, poi, c’è stato anche lo zampino massonico nella strage di Pizzolungo: visto che il nome di Gioacchino Calabrò fa capolino tra le carte della loggia segreta “Iside 2”.
Ecco come lo stesso Palermo parla di quella strage: “Io nel 1985 ho avuto la fortuna di sopravvivere alla rivelazione di alcuni segreti di Stato. Sono stati condannati boss mafiosi. Ma non erano i soli a volermi eliminare. Mi ero avvicinato ad alcuni nomi intoccabili e che infatti non sono mai usciti. Dalla Turchia arrivava la droga, che poi finiva in Sicilia e da qui smistata in Francia e negli Stati Uniti. Armi e terrorismo costituivano parti inscindibili di quei patti segreti. La prova, già allora, che la grande criminalità è un fenomeno globale e complesso. I giudici, frenati dal criterio della territorialità, giocano una sfida impari. Servirebbe un reale coordinamento internazionale delle indagini. Altrimenti è impossibile venirne a capo”.

LA STRAGE DEL SANGUE INFETTO
Torna a vivere a Trento, dopo l’attentato, Carlo Palermo. Lascia la magistratura e comincia a fare l’avvocato. Ma profonde il suo impegno civile anche nella politica. Aderisce alla neonata Rete di Leoluca Orlando, viene eletto consigliere provinciale.
E non la prende sottogamba, la politica, perché nelle sue interrogazioni c’è tutto quello spirito investigativo che l’ha sempre contraddistinto.
Fa sua una battaglia molto impegnativa, quella per denunciare i traffici di emoderivati e quello che poi diventerà lo “scandalo per il sangue infetto”.
Aveva raccolto, infatti, informazioni e notizie su strani movimenti in alcuni depositi nel Veneto, in particolare nel padovano, documentati nella sua interrogazione. Che in breve diventa una corposa “notitia criminis” che dà il via a massicce investigazioni delle fiamme gialle e ad un’inchiesta della magistratura trentina. E la procura acquisisce il dossier Palermo, del quale fa parte il volume “Sua Sanità”, edito a febbraio 1992 dalla trentina “Publiprint”, la coraggiosa casa guidata da Eugenio Pellegrini e che aveva già dato alle stampe libri coraggiosi, come quelli di padre Alex Zanotelli e dello stesso Carlo Palermo.
E’ coedito dalla Voce, “Sua Sanità”, dedicato alle rocambolesche imprese dell’allora ministro Francesco De Lorenzo. Autori sono Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola.
In un corposo capitolo del volume vengono dettagliate imprese altrettanto mirabolanti, quelle del gruppo Marcucci nel ricco settore degli emoderivati, capitanato dal padre-patriarca-padrone Guelfo, con il figlio Andrea in rampa di lancia sul fronte politico: è infatti il più giovane deputato in parlamento, fresco d’elezione nel 1991 sotto i vessilli del Pli di Renato Altissimo e dello stesso De Lorenzo.
L’inchiesta trentina vede sotto i riflettori le società che popolano l’“impero del sangue” griffato Marcucci, già all’epoca oligopolista in Italia.

Duilio Poggiolini
Partito nel 1999 a Trento, il processo passerà poi a Napoli, dormendo per anni negli sgarrupati scantinati del centro direzionale, sede del tribunale. Prende il via – dopo colossali ritardi e solo 9 parti civili – nel 2016 e si conclude dopo tre anni esatti con un clamoroso “il fatto non sussiste”, sentenza pronunciata dalla sesta sezione penale del tribunale partenopeo. Tutti liberi come fringuelli e candidi come gigli gli imputati, tra i quali svariati funzionari delle aziende del gruppo Marcucci e il Re mida della Sanità ministeriale, Duilio Poggiolini.
Evidentemente “suicidi” tutti i morti per l’uso di emoderivati killer nella strage del sangue infetto: un totale non inferiore ai 5 mila, di sicuro calcolato per difetto (tanti non hanno avuto né i mezzi né la forza per intraprendere alcun percorso giudiziario).
Uccisi due volte.

DEPISTAGGI DI STATO
Ci sono altri gialli da novanta che Carlo Palermo ha seguito in qualità di avvocato delle parti civili.
Come la tragedia del Moby Prince, anche in questo caso una giustizia fino ad oggi calpestata, una memoria delle vittime oltraggiata; appena due mesi fa, dopo tanti anni, restituiti alcuni oggetti ai familiari delle vittime. Un processo altrettanto vergognoso, zeppo di depistaggi, di piste evidenti mai seguite.

Ilaria Alpi
Per non parlare del maxi depistaggio che caratterizza l’inchiesta per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che proprio il 4 aprile giunge ad un punto di svolta. Giorno in cui scadono i sei mesi di proroga delle indagini chiesti dal gip del tribunale di Roma Andrea Fanelli, dopo ben due richieste di archiviazione avanzate dal pm Elisabetta Ceniccola e controfirmate dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone. Carlo Palermo affianca gli avvocati Domenico e Giovanni D’Amati per i familiari rimasti in vita di Ilaria, dopo la morte del padre e della madre che non hanno potuto vedere uno straccio di giustizia.


Ora il gip Fanelli si deve pronunciare: o archiviazione tombale, e giustizia affossata.
Oppure continuare nelle indagini e arrivare finalmente ad un processo.
Che possa mandare in galera, una buona volta, esecutori, mandanti & depistatori: soprattutto dopo che tre anni fa la sentenza del tribunale di Perugia – con la quale è stato scagionato il somalo per 16 anni in galera da innocente – ha aperto la strada giusta.

www.lavocedellevoci.it

24 aprile 2020

Esclusivo / Ecco Il Maxi “Italian Village” Nel Cuore Di Wuhan


Pochi lo sanno, ma da pochi mesi è finita la realizzazione di un mega “Italian Village” nel cuore della Cina
Sapete dove? A Wuhan.
Ad animarlo centinaia di piccole imprese del made in Italy, impegnate nel progetto “Itaway” lanciato nel 2014 dal colosso giallo Greenland Group.
La notizia è sconvolgente, perché non è mai salita alla ribalta delle cronache di casa nostra, ben oscurata nei cassetti delle redazioni, mai trapelata. Pur se di iniziative, nel ricco cuore della Lombardia da cui proviene la gran parte delle aziende coinvolte nel maxi progetto, ne sono fiorite parecchi (e pubbliche) nei tanti mesi di preparazione.
Solo sporadiche news hanno fatto capolino.
Ultima, in ordine di tempo, quella pubblicata da Class Editori per inneggiare allo spirito ardimentoso delle imprese del Nord di casa nostra.
Leggiamo alcuni passaggi firmati da Sofia Ferigoli e datati 20 novembre 2019.

ROSE & FIORI, GERMOGLIA L’ITALIAN VILLAGE

La presentazione del progetto Italway, di cui vediamo in apertura il plastico
“Sarà un vero e proprio portale culturale e commerciale tra Cina e Italia. ‘Il primo di una lunga serie’, spiega Lui Song, presidente di Itaway, fondatore del progetto Italian Village di Wuhan, realizzato in collaborazione con il gruppo Greenland Holding. L’Italian Village sorgerà al centro di Greeland City, un mega progetto che prevede l’edificazione di un’intera società satellite per un’area complessiva di 5,6 chilometri quadrati, ispirata a modelli architettonici europei. Realizzata per una clientela appartenente ai ceti medio-alti, Greeland City avrà una propria economia che ruota attorno alla sinergia tra gli aspetti residenziale, turistico e commerciale. Itaway rappresenta la punta di diamante di questo investimento da 40 miliardi di yuan, oltre 5 miliardi di euro”.
Prosegue la narrazione di Sofia Ferigoli: “La scelta di rivolgersi per la ricerca commerciale ad aziende 100 per cento italiane con prodotti Made in Italy, unita alle architetture e alle atmosfere italiane, crea una sinergia per cui agli occhi del visitatore cinese la garanzia di ‘italianità’ del centro è data proprio dalle aziende e dai prodotti presenti”.
Ea ancora, scrive la reporter a novembre dello scorso anno, un mese e mezzo prima che scoppiasse la bomba del Covid 19.
“La scelta di aprire a Wuhan, piuttosto che alle (in Italia) più famose Shangai, Pechino, Shenzen non è dipesa dal caso: capoluogo della provincia dello Hubei, Wuhan conta più di 10 milioni di abitanti e rappresenta un hub fondamentale dove si concentrano economia, finanza, commercio, tecnologia, storia e cultura dell’intera Cina Centrale. Quando negli anni Trenta Shangai era chiamata la Parigi d’Oriente, Wuhan rivaleggiava in attrattiva ed era conosciuta come le Chicago della Cina, con importanti presenze straniere (tra cui anche una discreta presenza italiana)”.
Non è finita: “Ora Wuhan – descrive Ferigoli – nei piani del Governo cinese deve tornare ad essere la perla sul fiume Yangtze che la attraversa, e dovrà guidare lo sviluppo dell’economia di tutta le Cina Centrale. ‘Wuhan rappresenta per noi e per l’offerta che le piccole e medie imprese italiane possono proporre la città di partenza ideale’, spiega Liu. ‘Le condizioni locali tra la popolazione, pil pro-capite e infrastrutture hanno fatto di Wuhan il punto di partenza obbligato per questo progetto, che prevede anche l’apertura di altri due Italian Village entro 5 anni dalla nascita del primo. Se saranno sempre a Wuhan? Vedremo’”.
Sì, staremo a vedere. A meno che le autorità cinesi non temano – via italiani – il Coronavirus di ritorno…


Un quartiere di Wuhan
FLUSSI CONTINUI LUNGO L’ASSE CON WUHAN
Dunque, un maxi progetto che ha visto per anni mobilitarsi lungo l’asse con Wuhan un altrettanto maxi flusso di addetti ai lavori, piccoli imprenditori, tecnici, progettisti e via di questo passo. Persone, come detto, provenienti in gran parte dal cuore produttivo della Lombardia, province di Bergamo e Brescia in pole position.
Un flusso che si è svolto indisturbato fino allo scoppio dell’epidemia, quindi con ogni probabilità fino all’inizio di gennaio, quando le autorità cinesi hanno lanciato – con evidente ritardo – i primi allarmi.
Come mai – incredibile ma vero – nessuno ha mai parlato del mega progetto e dei suoi possibili riflessi?
Era stata del resto Itaway ad illustrare via internet il suo stesso progetto a metà 2018, per la precisione il 26 giugno, quando fa capolino in rete un articolo titolato “Wuhan chiama Italia: con ITAWAY Cina più vicina per imprenditori italiani”. Ne riportiamo qualche passaggio dedicato, in particolare, ad una ricostruzione storica del maxi progetto.
“Qui a Wuhan nasce il primo Italian Village, all’interno del progetto Itaway scaturito da una collaborazione con Tongling Dingling Business Co Ltd Greenland Holding Corp. (società con capitale di 20.000.000 di dollari a partecipazione statale, annoverata tre le più grandi società immobiliari cinesi) che mira a ristrutturare tre aree cittadine, tra cui la costruzione del grattacielo ‘636’ nella parte direzionale della città”.

NEL CUORE DELLA CORAZZATA GIALLA GREENLAND
E poi: “Nata nel 1992 per sviluppare il verde pubblico a Shangai, Greenland dal 2010 si occupa di sviluppo urbanistico e opera in vari paesi mentre su Wuhan sta sviluppando tre aree tra cui quella nel cuore economico della città con il grattacielo ‘637’ a 120 piani (secondo al mondo per altezza e dove Itaway disporrà di uffici direzionali), il parco tecnologico con il grattacielo ‘406’ e poi l’area di Hannan dove sorgerà nel 2019 il complesso commerciale Itaway, su una superficie lorda di 100.000 metri quadrati”.
Per la precisione, “il progetto Itaway è nato nel 2014 con lo scopo di cambiare totalmente l’approccio di molte aziende italiane nei confronti del mercato cinese. Il Centro Itaway costruito da Greenland parla italiano sin dalla progettazione. L’architetto Leonello Zago frequenta la Cina da circa 15 anni. In Cina coordina un gruppo di studio che lavora alla renderizzazione a ai controlli normativi, circa 50-60 persone”.
Pochissimi, quindi, a parlare dell’iniziativa. Da segnalare una mosca bianca, ossia la Confartigianato di Biella, che nella primavera 2019 segnalava l’inaugurazione. “Manca poco al completamento del primo Italian Village nato dalla collaborazione tra Itaway e il Gruppo cinese Greenland. Il 29 maggio, nella cornice dell’Hotel Primus a Wuhan si è tenuta la Cerimonia della Firma (le maiuscole sono contenute nel testo diramato da Confartigianato l’anno scorso, ndr) tra Itaway e la Confartigianato Impresa di Biella. L’evento si è svolto all’interno del complesso residenziale-commerciale ‘Greeland City’, realizzato dalla Greenland Holding Corp., una tra le prime 500 imprese più grandi al Mondo. Il progetto di Greenland City, al cui interno sorgerà l’Italian Village di Itaway, è uno dei fulcri attorno ai quali ruota lo sviluppo e la riqualificazione del distretto di Han-nan a Wuhan. Greenland City è pensata per ospitare 200-250 mila persone, per una città in fortissima crescita che si candida a diventare la Shangai della Cina Centrale”.
Qualche dato ancora su Greenland Holdings Corp. Ltd. Si tratta di uno “sviluppatore” immobiliare cinese quotato in borsa. A partire dal 2014, possiede beni e proprietà per circa 58 miliardi di dollari, non poco. Secondo alcune stime elaborate dalla super holding, nello stesso anno è diventato il più grande sviluppatore immobiliare al mondo per superficie coperta in costruzioni e ricavi di vendita.
Un anno cruciale, il 2014, visto che il suo raggio d’azione si è andato man mano sviluppando in mezzo mondo, con colossali investimenti negli Stati Uniti (in particolare a Los Angeles), in Europa (soprattutto a Londra), in Australia (Sidney), in Canada (Toronto).

23 aprile 2020

Andrea Marcucci / Primo Firmatario Dell’Emendamento Killer


Un vero golpe bianco.
Il governo sta cercando in tutti i modi di far fuori il gravissimo reato di epidemia colposa, per mantenere solo quello di epidemia dolosa. Una autentica picconata ai principi costituzionali e alla tutela della salute pubblica.
Tutto ciò profittando degli emendamenti al “Cura Italia”, facendo passare tra le omertà e i silenzi mediatici una normativa che stravolge gli elementari canoni del diritto e della legge, anche la più elementare.

Il senatore Andrea Marcucci
Ci pare opportuno pubblicare, su questo delicatissimo tema, un articolo scritto da Francesca Nava per TPI
In basso trovate un link nel quale si parla della strage per il sangue infetto.

Un processo nato a Trento e abortito a Napoli dopo vent’anni. Passando, tra l’altro, dalle prime piste giudiziarie di strage, poi a quelle di epidemia dolosa, quindi colposa ed infine di omicidio colposo plurimo.
Tutto finito in gloria, con l’assoluzione finale per tutti gli imputati, perché – ha sentenziato il presidente della sesta sezione penale del tribunale di Napoli, Antonio Palumbo – “il fatto non sussiste”. Tra gli imputati oggi santi e beati c’erano il re mida della sanità ministeriale Duilio Poggiolini ed alcuni funzionari delle aziende del gruppo Marcucci.
Guarda caso, il primo firmatario dell’emendamento killer, oggi, è il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, figlio del padre-padrone-patriarca del gruppo Marcucci Guelfo, fratello di Paolo, al timone della corazzata di famiglia Kedrion, e di Marilina, in sella al Carnevale di Viareggio.



L’ingresso dell’ospedale di Alzano

Uno scudo penale per il Coronavirus: nel decreto Cura Italia spunta l’emendamento PD per sanare le responsabilità politiche


DI FRANCESCA NAVA
Mentre in Italia – e soprattutto in Lombardia – si continua  a morire di Coronavirus, mentre emergono i numeri reali di questa catastrofe sanitaria, che solo a Bergamo e provincia ha fatto 4.500 morti (concentrati tutti nel mese di marzo), mentre continua incessante il flusso di testimonianze di persone che hanno perso i propri famigliari in modo traumatico e impietoso – chi dentro casa e chi in ospedali come quello di Alzano Lombardo in Val Seriana, dove tutto è iniziato il 23 febbraio – a Roma c’è già chi si sta mobilitando per mettere in campo uno scudo penale, non solo a difesa dei medici, ma anche dei responsabili gestionali di questa crisi. Si sta cercando, in pratica, di eliminare il reato di epidemia colposa per mantenere solo quello di epidemia dolosa.
I partiti di maggioranza e opposizione hanno infatti depositato emendamenti al decreto ‘Cura Italia’ per ridefinire, per il periodo di emergenza da Covid19, il perimetro della responsabilità per medici e operatori del settore. Si va da richieste di esonero totale, che cancellerebbero la responsabilità penale, civile, amministrativa ed erariale di tutti i protagonisti di questa vicenda, a richieste di rendere perseguibili penalmente le sole colpe gravi, fino alle richieste di chiedere il patrocinio gratuito dello Stato a chi sarà accusato di presunti errori. Il decreto ‘Cura Italia’ è da ieri all’esame della Commissione Bilancio del Senato, che vaglierà gli emendamenti prima della discussione in Aula, prevista per la settimana prossima.

L’avvocato Roberto Trussardi
L’emendamento a prima firma Marcucci (Partito Democratico) – che ha ricevuto il parere favorevole del Governo – chiede ad esempio di limitare la punibilità penale per “le strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private e gli esercenti le professioni sanitarie – professionali – tecniche amministrative del Servizio sanitario” alle sole violazioni “macroscopiche” di “colpa grave”. Secondo il testo, tuttavia, la protezione riguarda non solo le “condotte professionali”, ma anche “le condotte gestionali o amministrative” purché non “sia stato accertato il dolo del funzionario o dell’agente che le ha poste in essere o che vi ha dato esecuzione”.
“Lo trovo inaccettabile – sottolinea a TPI l’avvocato bergamasco Roberto Trussardi, che segue da vicino il caso di Alzano Lombardo – approvare un emendamento del genere significa dare un colpo di spugna ai tre quarti degli eventi che si sono verificati in questo periodo, tranne i casi gravissimi. Se le condotte gestionali o amministrative, anche se eclatanti, non potranno essere perseguite se non c’è dolo, significa che non si potranno perseguire mai”

Questo significa, dunque, che la vera novità di questa modifica che potrebbe essere inserita nel decreto “Cura Italia” è la protezione fornita ai burocrati e ai dirigenti amministrativi, il che potrebbe far sorgere il ragionevole dubbio che il vero scopo della norma sia quello di tutelare la direzione politica e gestionale dell’emergenza Covid19, anche perché – come primo effetto immediato – faciliterebbe la difesa dei futuri imputati. E proprio sulla vicenda dell’Ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo, nei cui confronti l’ipotesi di reato potrebbe essere quella di epidemia colposa, l’avvocato Trussardi ci spiega che se passasse questo emendamento “ci sarà da discutere se si tratta di un caso macroscopico, eclatante oppure solo di colpa grave e in questo caso il reato non sarebbe perseguibile”.
Raggiunto telefonicamente da TPI per commentare questi emendamenti al decreto “Cura Italia”, il senatore Gregorio De Falco (del gruppo misto) ha così commentato: “Qui si sta cercando di precostituire una assoluzione per le responsabilità che in realtà non hanno carattere sanitario e medico, ma manageriale, probabilmente politico. Mi è stato detto che in questo momento sarebbe opportuno proteggere quei ragazzi, quei volontari che sono buttati al fronte, senza che abbiano una esperienza adeguata, magari non specializzati, ma qui non stanno proteggendo quelle specifiche categorie, qui si sta proteggendo tutto il sistema sanitario. Perché? E da che cosa? Forse dalle responsabilità che hanno assunto per aver messo medici e infermieri nelle condizioni di lavorare con quella carta straccia che hanno indosso al posto delle mascherine? Questo è gravissimo. Penso che si sia scritta una cosa che va ben oltre le intenzioni.”

Il senatore De Falco è un fiume in piena: “La responsabilità dei medici è già coperta da una recente legge – aggiunge – quindi non capisco quale sia la necessità di un emendamento di questo tipo. Tutti gli operatori sanitari stanno dando un contributo enorme, se però vengono mandati al fronte con quelle mascherine swifter che non servono a niente, bisogna stabilire chi ha certificato che quei dispositivi fossero ritenuti idonei. Qualcuno ne dovrà rispondere. Perché poi le persone muoiono”.


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