13 luglio 2019
VOCE DELLE VOCI - LA NEWSLETTER DEL 13 LUGLIO 2019
Insomma, sulla Luna ci siamo stati o no?
Insomma, ci siamo stati o no? Per quello che può interessare ai lettori de Il Fatto Quotidiano, la mia personale opinione è che no, sulla Luna non si saremmo mai potuti andare con la tecnologiadegli anni 60, tant’è vero che non riusciamo ad andarci neanche oggi. Ma naturalmente della mia opinione chissenefrega, e poi come è possibile che in mezzo secolo non sia mai venuta fuori la verità sulla conquista mai avvenuta del nostro satellite?
Per fortuna, esistono altri positivisti-scientisti oltre al sottoscritto, non inclini ad accettare qualsiasi cosa venga loro propinata dalla propaganda di turno, ma determinati a verificare le miriadi di supercazzole inventate dalla Nasa in 50 anni per compiacere i presidenti di turno. E’ il caso di Massimo Mazzucco – uno che di professione ha fatto il fotografo prima di diventare regista e di immagini se ne intende – e del suo incredibile documentario American Moon, oltre due ore di serena e plausibile confutazionedella verità ufficiale sulla Luna.
Come molti sanno, la “teoria del complotto lunare” corrente vorrebbe il regista Stanley Kubrick coinvolto in prima persona dalla Nasa per simulare la conquista della Luna. Moltissimi gli indizi in merito, riportati anche in un altro incantevole documentario di Rodney Ashner, Room 237, del 2012. Un altro indizio sulla stretta connessione tra Kubrick e la Nasa è la costruzione da parte dell’Ente spaziale americano di un obiettivo fatto appositamente per il film di Kubrick Barry Lyndon. Perché la Nasa avrebbe speso ingenti fondi per studiare e realizzare un obiettivo tanto speciale per il regista? Perché non glielo fece neanche pagare? Un semplice omaggioall’autore di 2001 Odissea nello spazio (anno: 1968)?
Ma a tutto questo Mazzucco non accenna neanche. Di Kubrick nessuna traccia in American Moon. Invece, per tagliare le gambe a tutti i debunker sfata-tesi, il regista gioca d’anticipo, confutando dall’inizio e scientificamente tutte le loro critiche. Il principale debunker e avversario da sempre di Mazzucco è il solito Paolo Attivissimo, di nome e di fatto nel tentare di intorbidire le acque della vicenda lunare.
Ma naturalmente ci sono anche fior di fotografi professionisti, interpellati da Mazzucco sulle caratteristiche tecniche delle immagini “riportate” dalla Luna. Bene, nessuno tra Oliviero Toscani, Toni Thorimbert, Aldo Fallai, Peter Lindbergh e Nicola Pecorini riesce a spiegare la stranezza di tutte quelle immagini degli “allunaggi” se non con la loro realizzazione in uno studio fotografico. Per non parlare di uno degli argomenti principe della impossibilità di arrivare sulla Luna: l’attraversamento delle micidiali Fasce di Van Allen, in grado di “friggere” qualsiasi apparato radio (non parliamo dei corpi degli astronauti).
Non posso certo riportare qui tutte le incongruenze logiche, le strane dimissioni, le ammissioni a mezza bocca dei dirigenti Nasa presenti nel film, ma voglio ricordare che nel 1994 un altro regista, l’americano Bart Sibrel, tentò di fare giurare sulla Bibbia Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins di essere davvero stati sulla Luna. Nessuno di loro volle farlo.
Il documentario American Moon verrà proiettato il 15 luglio al Teatro Eliseo di Roma, esattamente cinque giorni prima del cinquantenario di quella che potrebbe essere ricordata come la più gigantesca fake news della storia.
Ivo Mej
12 luglio 2019
10 luglio 2019
Nikola Tesla Day: per celebrare lo scienziato inventore
Nikola Tesla è nato il 10 luglio del 1856, in una cittadina dell’Austria- Ungheria. Nel corso della sua vita ha registrato più di 300 brevetti, giustificando chi lo considera uno degli uomini più geniali di tutti i tempi.
Le sue invenzioni spaziarono in diversi campi: elettricità, meccanica, fluidodinamica. Ma si ricorda soprattutto, l’invenzione delle correnti alternate, cioè un sistema che permette di trasmettere energia a lunghe distanze.
Infatti, Tesla, pur essendo vissuto tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, è lo scienziato che più di tutti ha contribuito alla diffusione dell’energia elettrica.
Inoltre, fu proprio Nikola Tesla a brevettare la radio. Questa invenzione gli fu riconosciuta soltanto dopo la sua morte, da una corte legale degli Stati Uniti. In realtà, nonostante le invenzioni, Tesla morì senza ricchezza.
Oltre alla radio, tra le sue invenzioni ci sono: il battello telecomandato, le lampadine a fluorescenza, il tachimetro, l’aereo a decollo verticale e la turbina senza lame. Ma il suo interesse non si fermò alla tecnologia; diede fondamentali contributi alla scienza. Studiò i raggi X, i fulmini, la fisica particellare, la geofisica e la sismologia.
Nikola Tesla ha ricevuto nel corso nella vita numerose lauree honoris causa, da diversi atenei. Columbia University, Università di Belgrado, Università di Zagabria, Università di Sofia, Università di Parigi, Yale University e altre ancora. Per la sua fama, la nazionalità di Nikola Tesla è contesa tra Serbia e Croazia. Tesla è nato in un paese appartenente al territorio croato, ma da famiglia di origine serba. Comunque, il 2006, il 150° anniversario della sua nascita, fu nominato “anno di Nikola Tesla”.
Sappiamo che era affascinato dagli animali, e alla fine della sua vita divenne integralmente vegetariano. Inoltre, sosteneva l’eugenetica e si disinteressava completamente della ricchezza materiale.
Tesla, infine, morì solo nel New Yorker Hotel, nel gennaio del 1943. Lo Stato di New York ha proclamato il 10 luglio, il Nikola Tesla Day, per omaggiare il grande scienziato che ha passato negli Usa la maggior parte della sua vita.
Tesla: Sperimenta lo stile di vita Tesla in Australia
Il prossimo inverno, tu e quattro tuoi amici potrete vivere una settimana indimenticabile a Byron Bay, in Australia. Iscriviti per avere la possibilità di andare in Australia, guidare Tesla Model X e trascorrere sette notti in un rifugio privato pluripremiato, alimentato da energia solare e Tesla Powerwall.
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08 luglio 2019
Gianni Minà cittadino del mondo
Ma è normale che un Capo di Stato, una delle personalità più importanti della seconda metà del novecento, una persona che ha mantenuto la sua vita personale lontano dalle luci della ribalta, inviti un giornalista straniero e la sua famiglia a mangiare un gelato a casa sua in una tranquilla domenica familiare? Io, giornalista e corrispondente di stampa estera all’Avana, ho visto come era la casa di Fidel Castro solo quando i Minà, di ritorno da un ennesimo viaggio a Cuba, mi hanno mostrato le foto della loro visita all’anziano leader, già ammalato e già in ritiro.
Per un sacco di tempo tutta la stampa accreditata sull’isola, tutti i giornali (perlomeno quelli occidentali) si sono disperati per avere qualche foto della misteriosa Delia, la moglie che gli aveva dato quattro figli maschi. Mi trovavo all’Avana negli uffici del corrispondente di “El País”, giornale spagnolo letto in tutti i paesi di quella lingua, quando al malcapitato corrispondente toccò una sonante lavata di capo via telefono da Madrid perché non riusciva ad ottenere una foto di Delia. Da sempre la stampa internazionale voleva sapere dove viveva il líder máximo, con quale donna, circondato da quali lussi, da quali vizi, da quali debolezze.
Perché, allora, invitare a casa proprio un giornalista? Me lo spiego solo pensando che il vigile e inevitabilmente sospettoso Fidel, si fidava a tal punto di quel giornalista, il primo europeo ad intervistarlo a lungo e per due volte in anni ormai lontani, da ammetterlo tranquillamente nell’intimità della sua casa, sicuro di aver invitato una persona leale e perbene, forse un amico. Ed infatti, Minà non ha trasformato quell’incontro in uno scoop, non ha venduto notizia e foto, non ha fatto merce di un incontro privato e ci ha guadagnato anche una segnalazione da parte della maestra di sua figlia, preoccupata per l’immaginazione debordante della ragazzina: nel suo tema “Una domenica che non dimenticherò mai”, aveva scritto: “quel giorno che sono andata con la mia famiglia a mangiare un gelato da Fidel”.
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Napoli, il messaggio di Gianni Minà per il popolo venezuelano
Non vedevo Gianni da un paio d’anni. L’ho rivisto qualche settimana fa in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria a Napoli nell’austera Antisala dei Baroni, e l’ho rivisto circondato da molto affetto, molta simpatia e rispetto anche da un pubblico giovane che non ha vissuto un’epoca in cui giornali e televisione avevano, in gran parte, il senso della deontologia e molto entusiasmo –specie in televisione- per un mezzo per noi nuovo e in parte da inventare. Inevitabilmente ho ripensato alla sua carriera di giornalista famoso, alle trasformazioni che lo hanno condotto da animoso cronista sportivo, a sensibile scopritore di anime belle oltre i talenti, a narratore di storie sempre appassionanti ed esemplari nella sua ormai lunga esperienza di documentarista, fino alla sua decisione di rilevare, editare e dirigere una rivista di nicchia –“Latinoamerica”- che pretendeva di raccontare l’America Latina oltre le repubbliche di banane, oltre il folclore e dentro la drammatica e controversa storia del novecento.
Ho conosciuto più da vicino Minà dopo essere stata invitata a partecipare ad una puntata di “Storie” dedicata allo scrittore uruguayano Eduardo Galeano. Era una trasmissione in seconda serata, se non mi sbaglio, quieta e tranquilla, dove il conduttore favoriva la conoscenza dei personaggi invitati e delle loro storie. La serata con i coraggiosi genitori di Ilaria Alpi ha segnato, in qualche modo, l’ostracismo della RAI verso uno dei suoi migliori giornalisti; uno dei migliori, ma politicamente scorretto e quindi, scomodo. In quel tempo Gianni Minà aveva convinto Robert Redford a produrre la bella storia del giovane Ernesto Guevara e del suo amico Alberto Granado in giro per l’America Latina sulla mitica motocicletta La Poderosa. Il film fu un successo (e lo è ancora), ma a Minà non bastava. Sapeva che quella storia filmata aveva un testimone, Alberto, ancora vivo e lucidissimo. Con lui Minà è andato dietro alla troupe cinematografica, si è trascinato l’anziano ma arzillo Granado su altipiani andini e nel caldo tropicale, rievocando un viaggio iniziatico che ebbe le conseguenze che sappiamo per fare di Ernesto il Che.
Il lavoro dietro la macchina da presa che Minà ha fatto con Granado mi sembra l’esempio del suo modo così particolare di fare giornalismo: stare dietro e stimolare la parola, il ricordo, l’emozione che passano al lettore/spettatore che quasi non avverte la mediazione, si sente destinatario della testimonianza, del racconto, della vicenda. Ho questa impressione anche quando riguardo le famose interviste a Fidel o la straordinaria conversazione con Hugo Chávez, nel bel porticato di Miraflores, il Palazzo di Governo del Venezuela. Minà è seduto su una poltrona di fronte al Presidente, ogni tanto un sorso d’acqua, un goccio di caffè. Chávez racconta di sé e della sua avventura fino ad arrivare al governo, delle sue idee, delle sue realizzazioni, dei suoi nemici e dei suoi amici, delle sue speranze per il futuro dove un altro mondo è possibile.
Non c’è dubbio che l’interlocutore –Minà- sa porre le domande giuste, sa interloquire, è preparato all’intervista, conosce a fondo la questione di cui si tratta, ma la sua grande dote è quella di non farci accorgere della fatica che c’è dietro quell’intervista e di farcela godere come se fossimo stati noi a sederci al fresco, su quella poltrona. Eppure, questo suo modo va controcorrente, l’intervista è lunga, non è facilmente commerciabile, gli spettatori si stancano, i tempi attuali esigono ritmo e azione. Minà è testardo e non cede, paga, ci rimette ma non cede: questo è il suo giornalismo.
La sua avventura con la rivista “Latinoamerica” ne è una riprova. Perché all’apice di una carriera brillante, il giornalista Minà decide di imbarcarsi nell’inedita avventura di farsi editore e dirigere una rivista? Goffredo Fofi che è stato creatore e animatore di tante riviste, da “Ombre rosse” a “Linea d’ombra”, da “Lo Straniero” all’attuale “Gli Asini”, ha confessato recentemente che fare le riviste gli ha consentito di incanalare la sua irrequietezza, di aiutare la sua ansia di capire, di soddisfare il suo volontarismo etico per cui quello che si è capito, bisogna condividerlo. Non so se tutte queste ragioni servono anche nel caso di Minà; certo, entrambi hanno profonde radici cristiane, entrambi danno un senso sociale al loro lavoro e hanno pure la stessa età.
A Minà non mancano ansia di capire e irrequietezza, ma soprattutto – nel momento in cui ha deciso di rilevare e rilanciare “Latinoamerica”, una piccola rivista di nicchia, obbedire all’imperativo di comunicare quello che lui ha capito e imparato del mondo, di tutti i sud del mondo. Un vero e proprio imperativo etico. Oggi rileggo in questi termini un’avventura durata quindici anni, cominciata nel duemila alla grande: restyling grafico magnifico, offerto da Maoloni, pioggia di contributi di firme straordinarie, 210 pagine nel primo numero, un’esagerazione per una rivista. Minà chiamava e gli amici della sua famosa agenda, rispondevano: Galeano, Sepúlveda, Frei Betto, Chico Buarque, ma anche padre Zanotelli, Silvia Baraldini (ancora in carcere a Roma), Walter Veltroni. Era il 2000, ricominciavamo con la rivista quando cominciava il Terzo Millennio e il nuovo secolo e in America Latina cominciava anche la rivoluzione chavista in Venezuela e il continente desaparecido tornava alla ribalta con una straordinaria successione di presidenti con idee e comportamenti davvero nuovi in America Latina e nel mondo: Kirchner in Argentina, Evo Morales in Bolivia, Lula in Brasile, Correa in Ecuador e Chávez, il più audace e creativo di tutti. Dietro a Chávez e alle sue idee, Cuba e Fidel Castro, l’isola ribelle che non aveva –e non ha- ceduto allo strangolamento del blocco imposto dagli Stati Uniti. Il continente riemergeva e Minà sentiva il dovere di farlo sapere e di farne conoscere le originalità, le novità nelle diverse politiche dei diversi presidenti di paesi così diversi ma assolutamente concordi sul rispetto della sovranità delle singole nazioni e, al contempo, della opportunità di unirsi in un’alleanza antimperialista. Un avvenimento simile, la rivoluzione sandinista in Nicaragua, aveva motivato, nel 1979, un gruppo di giornalisti, docenti universitari ed esperti a fondare la rivista adesso risorta a nuova vita.
Negli anni in cui ha lavorato per la casa editrice Sperling & Kupfler, Minà ha proposto e pubblicato testi di intellettuali e politici latinoamericani fondamentali per capire l’evoluzione di quel subcontinente, tra l’altro la riedizione di Le vene aperte dell’America Latina, di Eduardo Galeano, un testo così fondante che Hugo Chávez ne aveva fatto dono allo schivo presidente Barak Obama durante un incontro continentale.
Lo so, la grande popolarità di Gianni Minà affonda le sue radici in innovative trasmissioni televisive, nelle sue proposte di musicisti emergenti, nella sua simpatia per il controverso Diego Armando Maradona, per essersi lasciato strapazzare (e abbracciare) da un Massimo Troisi scatenato, perché ci ha travolto con “il bello della diretta”, perché –come se niente fosse, andava in trattoria con García Márquez e Robert De Niro, perché nella sua Agenda alla lettera F si leggeva Fidel.
Ma il mio Minà è anche quello che ha saputo vedere oltre la luce della ribalta; che dietro il talento sportivo di Cassius Clay ha visto e raccontato la tragedia del negro americano; che ha saputo raccontare, come pochi, Gabriella Ferri; che ascoltando le canzoni e i racconti di Vinicius de Moraes e di Chico Buarque de Hollanda ha saputo andare oltre la bossa nova e portare in primo piano il dramma delle dittature militari nel Cono Sur, l’eroismo delle Madres de la Plaza de Mayo. E ha sempre preferito raccontare la speranza piuttosto che rimestare nel dolore. Ha affrontato perfino, lui pigro e certamente non atletico, l’insopportabile umidità della Selva Lacandona per raccontarci, insieme a Manuel Vázquez Montalbán, la speranza di un nuovo, originale movimento, lo zapatismo.
Questo è il mio Minà, quello che ho riabbracciato giorni fa a Napoli, città che lo riconosce e lo ama e che lo ha voluto suo “cittadino onorario”.
Alessandra Riccio
07 luglio 2019
Newsletter Dark Resurrection vol. 2 giugno/june 2019
Dark Resurrection vive!
Cari amici e sostenitori,
Con questo comunicato vogliamo rispondere ai molti fan che ci chiedono che fine abbia fatto il volume 2. Ebbene, non ci siamo mai fermati, e la saga iniziata nel 2007 si avvicina finalmente alla sua conclusione.
Per chi si fosse perso il comunicato precedente: abbiamo fatto una scelta obbligata dalla quantità di fondi disponibili, ovvero il capitolo finale uscirà sotto forma di romanzo e sarà disponibile in lingua Italiana e Inglese.
Come per i capitoli precedenti, verrà distribuito online gratuitamente tramite i portali che lo renderanno possibile (amazon Kindle ecc.)
Le rarissime copie cartacee, arricchite da bellissime illustrazioni, verranno prodotte in tiratura limitata e spedite ai Produttori Associati,(link) che con il loro sostegno morale ed economico hanno reso possibile tutto questo.
Il romanzo verrà rilasciato accompagnato da un lungo narrative-trailer (Qui il link del backstage delle riprese) attualmente in fase di post-produzione.
Angelo Licata sta lavorando alla post produzione del filmato girato alla fine di settembre scorso, occupandosi interamente del 3d e del compositing. A prima vista potrebbe sembrare un tempo lunghissimo per un corto di pochi minuti, in realtà vi assicuriamo che il creatore di Dark Resurrection sta compiendo degli sforzi incredibili per portare a termine il progetto in tempi brevi.
Le numerose location che vedrete quando il corto uscirà sono create interamente in 3d. Un processo che richiede mesi di preparazione anche per sequenze di pochi secondi. Questo tempo naturalmente è dilatato a causa del limitato budget disponibile, e naturalmente dalla mancanza di una equipe numerosa, come accade nei grossi studi di produzione.
Per fortuna il lavoro di Angelo è supportato da Fabrizio Fenner, che sta lavorando al rotoscoping (ritocco frame by frame) necessario in tutte le scene in cui sono presenti le spade laser oppure occorre ritagliare elementi di set.
E' un lavoro fatto con grande passione e un'attenzione maniacale per i dettagli. Alimentato dal desiderio di aumentare ulteriormente il livello qualitativo rispetto ai film precedenti.
Vi lasciamo con un assaggio di alcuni frame provenienti dalla postproduzione del capitolo finale di Dark Resurrection: i Custodi della Forza, sperando che possiate apprezzare gli sforzi compiuti fino ad ora.
Se non siete ancora Produttori associati e volete contribuire, ecco il link. (Ci farebbero comodo un computer in più è gpu di ultima generazione per accelerare l'elaborazione dei rendering) Vi ricordiamo che i Produttori sono gli unici a ricevere il romanzo illustrato del capitolo finale, e i DVD e i Blu Ray dei capitoli precedenti. Se siete già dei nostri aiutateci a diffondere il verbo.
Che la Forza sia con Voi!
ENGLISH VERSION:
Dark Resurrection lives!
Dear friends and supporters,
With this release we want to respond to the many fans who ask us what happened to volume 2. Well, we have never stopped, and the saga that began in 2007 is finally approaching its conclusion.
For those who missed the previous statement: we made a forced choice from the amount of funds available, that is the final chapter will be released as a novel and will be available in Italian and English.
As for the previous chapters, it will be distributed online for free through the web portals that will make it possible (amazon Kindle etc.)
The very rare paper copies, enriched with beautiful illustrations, will be produced in limited edition and sent to the Associated Producers, (link) who with their moral and economic support have made all this possible.
The novel will be released accompanied by a long narrative-trailer (Here the link of the backstage) currently in post-production phase.
Angelo Licata is working on the post production of the film shot at the end of last September, dealing entirely with 3D and compositing. At first glance it may seem like a very long time for a short film of a few minutes, in reality we assure you that the creator of Dark Resurrection is making incredible efforts to complete the project quickly.
The numerous locations you will see when the short film comes out are created entirely in 3D. A process that requires months of preparation even for sequences of a few seconds. This time is obviously extended due to the limited budget available, and of course the lack of a large team, as happens in large production studios.
Fortunately, Angelo's work is supported by Fabrizio Fenner, who is working on the rotoscoping (frame by frame retouching) needed in all the scenes where the lightsabers are present or it is necessary to cut out set elements.
It is a job done with great passion and obsessive attention to detail. Fueled by the desire to further increase the quality level compared to previous films.
We leave you with a taste of some frames from the post-production of the final chapter of Dark Resurrection: Keepers of the Force, hoping that you will appreciate the efforts made so far.
If you are not yet Associate Producers and want to contribute, here is the link. (We would like an extra computer and a latest generation GPU to accelerate rendering processing). We remind you that the Producers are the only ones to receive the illustrated novel of the final chapter, and the DVDs and Blu Ray of the previous chapters. If you are already of ours help us to spread the word.
May the force be with you!
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