21 dicembre 2018
Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 21 dic 2018
“EUROGENDFOR” / TUTTI I MISTERI DI UNA POLIZIA PARALLELA EUROPEA ANTI PROTESTE POPOLARI
Francia sempre in ebollizione. Oggi sono i gilet gialli a cavalcare una più che giusta protesta contro il dispotismo macroniano. Scendono in piazza per denunciare tasse e carovita, nonché una spregiudicata gestione del potere da parte di roi Macròn.
Il quale non è nemmeno in grado di arginare il terrorismo, come dimostrano gli ultimi fatti di sangue al mercatino di Natale a Strasburgo.
Ma non va dimenticato che ben 15 anni fa, per la precisione nel 2003, fu il ministro francese della Difesa, Alliot-Marie, durante un incontro dei ministri della Difesa dell'Unione europea a Roma, a lanciare l'idea di creare un corpo di Polizia europeo. La Voce, con un articolo di Antonella Beccaria del 2010 (qui sotto allegato), fu una delle prime testate a darne la notizia e a lanciare l'allarme per un'iniziativa del tutto spregiudicata e ai confini della legalità.
I PRIMI VAGITI DI EUROGENDFOR
L'anno seguente, nel 2004, in Olanda cinque rappresentanti di altrettanti Paesi europei (Francia, Italia, Olanda, Spagna e Portogallo) hanno firmato una prima bozza per quella che hanno chiamato "EuroGendFor", ovvero una Forza di Gendarmeria Europea. In tal modo quelle nazioni si impegnavano nel mettere a disposizione le proprie polizie militari per partecipare all'iniziativa.
Passiamo a gennaio 2006. Viene tenuto a battesimo il quartier generale, che viene ubicato a Vicenza. E' quindi il nostro Paese a farsi carico, in prima fila, di una simile operazione più che 'border line'.
Parata militare di EuroGendFor alla base di Vicenza. In alto gli scontri di Parigi e, nell'altra foto, il parlamentare del M5S Elio Lannutti
Nell'ottobre del 2008, poi, i cinque Paesi siglano il Trattato di Velsen, che dettaglia scopi, caratteristiche e finalità della stessa organizzazione militare. Di cui vengono precisati gli scopi: "costituire una forza di Gendarmeria Europea e operativa, preorganizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi, composta unicamente delle forze di polizia a statuto militare delle Parti, al fine di eseguire tutti i compiti di polizia previsti nell'ambito delle operazioni di gestione delle crisi".
Ecco quindi scendere in campo, e allertate per arginare le eventuali, giuste proteste dei cittadini, caso mai incazzati per quanto combinano i malgoverni di quei Paesi, la Gerdarmerie francese, i Carabinieri italiani, la Guardia civil spagnola, la Guardia nacional portoghese, la Marechausseè olandese.
Abbiamo mai saputo qualcosa circa tali attività che più 'coperte' non si può? I cittadini sono stati informati dai rispettivi governi di tali manovre assai poco trasparenti? Niente, una cortina di silenzio assoluta. Allineati e coperti i media, embedded i giornalisti.
I 5 STELLE VOGLIONO CHIAREZZA
Adesso i 5 Stelle vogliono vederci chiaro e presentano un'articolata interrogazione parlamentare ai ministeri degli Esteri, degli Interni e della Difesa, primo firmatario il senatore Elio Lannutti, più una dozzina di colleghi grillini.
In particolare i 5 Stelle vogliono sapere "se il Governo ritenga accettabile la costituzione di un esercito permanente di Polizia militare con l'obiettivo primario di occuparsi di ordine pubblico, il cui quartier generale è in Italia, con la finalità di pronto intervento per domare le rivolte popolari, addestrata al 'controllo della folla'".
Ancora: "se il Trattato di Velsen, ratificato nel 2010, nel più assoluto silenzio dei media, che contempla immunità e impunità per eventuali reati compiuti a danno dei cittadini e dei bene dello Stato, sia in sintonia con le norme internazionali e la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, tra i quali i concetti basilari di libertà e uguaglianza";
"se risulti al Governo che tale esercito di Polizia europea sia stato richiesto, ottenuto e prestato da qualche organizzazione internazionale, coalizione specifica, se sia stato utilizzato in Grecia per reprimere i moti di libertà del popolo greco, e più di recente in Francia, per tentare di domare le rivolte sociali del movimento dei 'Gilet Gialli' contro il governo Macron, e quali siano stati i protocolli di autorizzazione";
"se il Governo italiano ritenga necessaria l'immunità di cui gode 'EuroGendFor' sia nelle registrazioni in sede giudiziale, che negli eventuali abusi sul territorio italiano, qualora, nell'adempimento del servizio, uccidano, commettano illeciti, senza potere essere accusati, e se accusati, non potranno venire condannati, se condannati poi la sentenza non potrà essere eseguita";
"se non ritenga opportuno attivare le procedure ispettive e conoscitive previste dall'ordinamento, anche al fine di prendere in considerazione ogni eventuale sottovalutazione di significativi profili di accertamento che potrebbero profilare palesi violazioni di leggi, ordinamenti e norme di rango costituzionale".
Basta per avere, dopo tanti anni, un po' di trasparenza in un campo tanto delicato dove l'Italia si è impegnata in prima linea?
L'articolo per la Voce di Antonella Beccaria del novembre 2010
art Beccaria
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20 dicembre 2018
LA VOCE rooseveltiana N° 3 di Giovedì, 20 Dicembre 2018
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IL CASO MATTEI / FU UNA BOMBA, I LEGAMI CON GLI OMICIDI DI MAURO DE MAURO E PIER PAOLO PASOLINI
Fresco in libreria "Il caso Mattei", edito da Chiarelettere e scritto a quattro mani dalla giornalista Sabrina Pisu e dal magistrato Vincenzo Calia, che a metà degli anni '90 riaprì la bollente inchiesta, trovò nuove piste ma non riuscì a chiudere il cerchio.
Cerchio che invece era stato "chiuso" sia dal giornlaista siciliano Mauro De Mauro, che lavorava alla sceneggiatura del film di Francesco Rosi, sia da Pierpaolo Pasolini impegnato nella stesura del suo "Petrolio" al caloro bianco. Entrambi, De Mauro e Pasolini, erano arrivati alla meta, e per questo anche loro, dopo Enrico Mattei, "dovevano morire".
LE ULTIME SCOPERTE DEL MAGISTRATO CALIA
Ma procediano con ordine, partendo dal libro appena uscito. In primo luogo viene affermato e poi spiegato con estrema chiarezza che non si è trattato di "incidente", come hanno sempre sostenuto all'epoca i vertici Eni e i nostri servizi segreti di allora, il Sifar. Ma si sia trattato di un attentato in piena regola, attraverso il posizionamento di una bomba sul velivolo, un Morane Saulnier 760, che trasportava il capo dell'Eni Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzo e il corrispondente di Time Life William McHale. Era il 26 ottobre del 1962 e il velivolo, partito da Catania, doveva atterrare a Milano, ma cadde a Bescapè, in provincia di Pavia.
Calia, nel volume, descrive la dinamica dell'incidente, scrive della verbalizzazione "mutata" dell'agricoltore-testimone oculare che prima parlò di fiamme a bordo, poi ritrattò; e fa cenno soprattutto alla super perizia effettuata da una officina di riparazioni dell'aeronautica di Novara, condotta sui resti dell'aereo dopo il disastro, quindi volatilizzatasi.
E documenta, Calia, tutta l'azione di depistaggio svolta dal Sifar (soprattutto a proposito della sparizione della perizia, ma anche della testimonianza poi taroccata), e il ruolo negativo svolto dai media. Vengono ad esempio ricordati i feroci articoli di una firma come quella di Indro Montanelli, tutti anti gestione Mattei, quasi ad aprire la strada – come poi avverrà – al suo successore, Eugenio Cefis.
Ed infatti sia Di Mauro che Pasolini, nelle loro indagini, puntarono dritti al bersaglio grosso, Eugenio Cefis, già allontanato dall'Eni nel '62, e poi, dopo la morte di Mattei, tornato in pompa magna. Tra i fondatori maximi della P2, Cefis diventerà il vero burattinaio degli affari italiani per oltre un decenno, impersonando quella "Razza padrona" che Eugenio Scalfari descrisse nel suo celebre libro.
UN FILM CHE FARA' "TREMARE L'ITALIA"
Sintomatica la frase pronunciata dal giornalista dell'Ora di Palermo trucidato dalla mafia, Mauro De Mauro, che stava completando le sue indagini. Parlando con un collega dell'Ansa, Lucio Galluzzo, gli disse: "sarà un film che farà tremare l'Italia".
Del resto sulla scrivania di De Mauro venne trovato il brogliaccio del "Petrolio" che Pasolini stava ultimando. Va poi ricordato, oltre al fondamentale capitolo "Lampi sull'Eni", dove campeggia la figura di Cefis, anche il furto di una settantina di pagine, che mancano all'appello di Petrolio. Cosa contenevano? La chiave del giallo? Con ogni probabilità pagine di fuoco & petrolio, costate la vita a Pier Paolo.
Una lunga scia di sangue, quindi, tutta griffata Eni: prima muore Mattei, la cui politica anti sette sorelle (le regine del petrolio) e in favore dello sfruttamento dei giacimenti africani in una prospettiva di ben diverso sviluppo mediterraneo, con una autentica collaborazione tra Italia e Nord-Africa; poi Mauro De Mauro, il quale stava terminando il suo lavoro per il film di Rosi (che uscirà evidentemente monco di quelle esplosive rivelazioni); quindi Pasolini, con il suo Petrolio bollente che tirava le fila su quella catena di sangue & potere.
Tutto basta e arci-avanza per una nuova apertura dell'inchiesta (anzi delle inchieste) basata sul filo rosso che unisce i tre omicidi.
Intanto, la procura di Roma dorme: due anni e mezzo fa il legale degli eredi Pasolini, Stefano Maccioni, ha chiesto la riapertura delle indagini, basandosi su una perizia del Dna, e scoprendo che vi sono almeno altre due presenze sulla scena del delitto, Ignoto 2 e Ignoto 3 (l'Ignoto 1 era evidentemente Pino Pelosi). Una prova schiacciante, presentata al pm Francesco Minisci, una strada spianata su cui procedere: ma fino ad oggi nessuna notizia.
Forse il pm Minisci è troppo occupato con il suo incarico di vertice all'Associazione Nazionale Magistrati, dove a marzo è stato nominato presidente?
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