10 dicembre 2018

La vendetta è mia, disse Washington


In Occidente la Giustizia è scomparsa. Il posto della Giustizia è stato preso dalla Vendetta. Questo fatto è illustrato in modo incontrovertibile dal calvario di Julian Assange, ormai giunto all’ottavo anno.
Da otto anni Assange vive all’interno di uno stato di polizia degno di Kafka. Era stato prima messo agli arresti domiciliari nella sua casa in Inghilterra e poi [praticamente incarcerato] nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, nonostante non siano mai state formalizzate accuse contro di lui.
Nel frattempo, l’intero mondo occidentale, con l’eccezione dell’ex-presidente ecuadoriano Rafael Correa e di una agenzia delle Nazioni Unite che aveva stabilito che Assange era detenuto illegalmente, a causa del rifiuto da parte del governo inglese di riconoscere il suo diritto all’asilo politico, ha voltato le spalle a questa ingiustizia.
Assange è segregato nell’ambasciata ecuadoriana perché, per proteggerlo da un arresto pretestuoso, l’ex-presidente ecuadoriano Rafael Correa gli aveva concesso asilo politico. Però, il corrotto e servile governo della Gran Bretagna, che fa gli interessi di Washington e non quelli della legge o della giustizia, si è rifiutato di onorare l’asilo concesso ad Assange. Il vassallo statunitense noto come Gran Bretagna è pronto, su ordine di Washington, ad arrestare Assange non appena metterà piede fuori dall’ambasciate e a consegnarlo a Washington, dove un gran numero di congressisti, sia democratici che repubblicani, hanno già fatto sapere che [il giornalista] dovrebbe essere giustiziato. Il regime Trump, continuando con le pratiche illegali dei suoi predecessori, ha pronto un mandato di cattura segreto, che verrà reso pubblico una volta che avranno messo le mani su Assange.
L’attuale presidente dell’Ecuador, un servo di Washington, Lenin Moreno (una persona talmente senza carattere che il suo nome è un insulto al vero Lenin), sta lavorando ad un accordo con Washington per privare Assange del suo diritto di asilo, in modo che l’ambasciata ecuadoriana di Londra debba espellere Assange [e consegnarlo] nelle mani di Washington.
Che cosa ha fatto Assange? Nient’altro che dire la verità. E’ il giornalista responsabile di WikiLeaks, un’agenzia di stampa che pubblica documenti riservati, esattamente come aveva fatto il New York Times quando aveva pubblicato i Pentagon Papers, ottenuti tramite Daniel Ellsberg. Proprio come la pubblicazione dei Pentagon Papers aveva messo in imbarazzo il governo americano e aveva contribuito a porre fine alla insensata guerra del Vietnam, i documenti resi di dominio pubblico da WikiLeaks avevano messo in difficoltà il governo statunitense, facendo luce sui crimini di guerra di Washington, sulle bugie e sulle menzogne raccontate al popolo americano e agli alleati degli Stati Uniti.
Gli alleati, naturalmente, erano stati comprati da Washington ed erano rimasti silenziosi, ma gli Stati Uniti intendono crocifiggere Assange per l’imbarazzo e il danno causati al governo criminale di Washington.
Per rivendicare la propria autorità su Assange, Washington sta facendosi forza della extraterritorialità delle leggi americane, una rivendicazione che Washington basa non su principi legali, ma unicamente su quello della forza, per violare la sovranità delle nazioni indipendenti.
Assange è un cittadino dell’Australia e dell’Ecuador. Non deve rispondere alle leggi degli Stati Uniti. La falsa equiparazione che Washington sta cercando di stabilire fra l’appellarsi al Primo Emendamento e il tradimento fa capire come ormai il popolo americano sia completamente perso. Il silenzio dei media americani dimostra che alle prostitute della stampa non interessa perdere la protezione del Primo Emendamento, dal momento che non hanno nessuna intenzione di dire una qualsiasi verità.
Il rinvio a giudizio segreto di Washington (è segreto in modo che un teppistello da due soldi come James Ball possa scrivere sul Guardian che su Assange non pende nessuna minaccia di arresto) molto probabilmente accusa Assange di spionaggio. Ma non è legalmente possibile accusare di spionaggio un cittadino non appartenente alla propria nazione e che opera all’estero. Tutte le nazioni usano lo spionaggio. Ogni paese sulla Terra potrebbe accusare Washington di spionaggio e arrestare [gli agenti della] CIA. La CIA potrebbe, come spesso è successo, accusare Israele di spionaggio. Naturalmente, ogni cittadino israeliano, come Jonathan Pollard, incarcerato negli Stati Uniti con l’accusa di spionaggio diventa un punto di contrasto fra Washington ed Israele, ma Israele vince sempre. La corrotta amministrazione Obama aveva rilasciato Pollard, condannato all’ergastolo, su ordine e, senza dubbio, anche per le generose mazzette di Israele.
Se Assange fosse israeliano, sarebbe senza dubbio già libero e a casa, ma è invece cittadino di due nazioni i cui governi tengono in gran considerazione il fatto di essere vassalli di Washington.
C’è stato un tempo in America, molti decenni or sono, in cui i Democratici si battevano per la giustizia e i Repubblicani per la cupidigia.
C’è stato un tempo in America, prima dell’11 settembre, in cui i media sarebbero accorsi in difesa della libertà di stampa e avrebbero tutelato Assange dai maltrattamenti e dalle false accuse.
Per essere sicuro che i lettori capiscano, la persecuzione di Assange è identica a quella sofferta dal cardinale ungherese Josef Mindszenty, a cui non era stato riconosciuto dal governo sovietico il diritto di asilo concessogli dall’ambasciata degli Stati Uniti di Budapest e che era stato costretto a trascorrere tre anni della sua vita nell’ambasciata americana. Il presidente Nixon aveva negoziato il suo rilascio nel 1971, ma i detrattori di Nixon non riconoscono alcun merito al suo interessamento per un uomo ingiustamente incarcerato in un luogo della Terra dove regnava l’ingiustizia.
Al giorno d’oggi non c’è un simile interesse per l’ingiustizia, eccetto per i gruppi “vittime” della politica identitaria. Che ne è del difensore di Assange, ora che Rafael Correa è costretto a vivere all’estero per sfuggire alla persecuzione del fantoccio di Washington, Moreno?
La debolezza interiore dell’Occidente è spaventosa. Ce ne parla Caitlin Johnstone: “La disdicevole persecuzione di Assange da parte di Trump e la difesa a spada tratta che ne è stata fatta dal liberalismo corporativo ha completamente squalificato l’aspetto più importante di tutta la politica americana, in entrambi gli schieramenti. Nessuno, in quel disastro totale si batte più per qualcosa. Se pensate ancora che Trump o i Democratici vi proteggano dalla marea montante del fascismo, il vostro momento per uscire è arrivato.”
La totalità dei media e delle TV occidentali (anche la stessa RT) funziona come ministero della propaganda di Washington contro Assange. Per esempio, abbiamo letto più e più volte che Assange si nasconde nell’ambasciata ecuadoriana di Londra per sfuggire alle accuse di stupro formulate contro di lui in Svezia. Il fatto che le prostitute della stampa e le femministe possano tenere in vita questa accusa infondata, nonostante tutte le smentite ufficiali, ci fa vedere il mondo di Matrix in cui sono rinchiuse le popolazioni occidentali.
Assange non è mai stato accusato di stupro. Le due signore svedesi che lo avevano sedotto e portato nelle loro case e nei loro letti non hanno mai detto di essere state stuprate. Le tribolazioni di Assange erano iniziate quando una delle due donne che lo avevano sedotto si era preoccupata del fatto che egli non avesse usato il preservativo e che potesse essere affetto da HIV o AIDS. Aveva chiesto ad Assange di sottoporsi ai test per accertarsi che non soffrisse di malattie sessualmente trasmissibili, e Assange, offeso, aveva rifiutato. Invece avrebbe dovuto dire “Naturalmente, capisco la tua preoccupazione” e fare l’esame.
La donna si era rivolta alla polizia per vedere se fosse stato possibile costringere Assange a sottoporsi al test. Era stata la polizia a trasformare il tutto in un’indagine per stupro. Era stata fatta un’indagine e l’ufficio del procuratore legale svedese aveva lasciato cadere le accuse, dal momento che l’atto sessuale era stato consensuale.
Assange aveva lasciato la Svezia in modo assolutamente legale, non fuggendo, come vorrebbe la storia inventata da Washington. Era andato in Inghilterra, un altro errore, perché l’Inghilterra è terreno di gioco degli Stati Uniti. Washington e/o femministe lesbiche bramose di mettere sotto processo un maschio eterosessuale avevano convinto un procuratore svedese di sesso femminile a riaprire un caso già chiuso.
Con un gesto senza precedenti, il procuratore svedese aveva inoltrato una richiesta alla Gran Bretagna per l’estradizione di Assange [in Svezia], dove avrebbe dovuto essere interrogato. Gli ordini di estradizione sono validi solo se sono state formulate delle accuse e qui non c’erano accuse depositate perchè il caso era già stato chiuso. Anche un governo corrotto come quello inglese non aveva prima di allora acconsentito ad ordini di estradizione a scopo di interrogatorio. [Però, questa volta], il governo britannico, fantoccio di Washington, si era detto d’accordo nel consegnare Assange alla Svezia. Era evidente che, dal momento che in Svezia non esisteva nessun processo penale a carico di Assange, il procuratore svedese, probabilmente per denaro, lo avrebbe consegnato a Washington, dove non c’è tutela legale per nessuno, neanche per chi, come i delatori, è protetto dalle leggi degli Stati Uniti e che, nonostante la protezione della legge, finisce allo stesso modo in prigione.
Visto quello che si stava profilando all’orizzonte, Assange aveva ottenuto asilo politico dal presidente Correa ed era uscito dagli arresti domiciliari in Gran Bretagna per rifugiarsi nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, dove si trova ancora adesso, nonostante il governo svedese abbia fatto cadere tutte le accuse contro di lui e abbia nuovamente chiuso il caso.
Nel frattempo, un procuratore degli Stati Uniti, corrotto come tutti (non credete mai a nessuna accusa federale, sono create dal nulla, senza bisogno di prove) era riuscito a convincere un incompetente gran giurì americano ad incriminare Assange per un reato che ancora non conosciamo, molto probabilmente per spionaggio. Il gran giurì che ha approvato questa incriminazione segreta non si è reso conto di aver messo sotto accusa una persona colpevole solo di aver detto la verità, che poi è esattamente quello che la Costituzione degli Stati Uniti protegge e richiede (se il governo fosse controllato dal popolo). Tutto quello che Assange aveva fatto era stato pubblicare i documenti inviati a WikiLeaks da una persona dotata di coscienza morale, turbata dalla palese criminalità e disumanità del governo statunitense.
Non c’è nessuna differenza legale fra la divulgazione da parte di Wikileaks dei documenti di cui era venuto in possesso e la pubblicazione da parte del New York Times dei Pentagon Papers. L’unica differenza è quella temporale. Quando Daniel Ellsberg aveva fatto avere i Pentagon Papers al New York Times, i media non erano stati ancora concentrati dal corrotto regime di Clinton nelle mani di poche persone e l’11 settembre, che sarebbe stato usato da Dick Cheney per criminalizzare chi osava dire la verità, non si era ancora verificato. Perciò, negli anni ‘70, era ancora possibile che una parte importante dei media potesse dire la verità. Tuttavia, L’unica ragione per la quale il New York Times aveva pubblicato i Pentagon Papers era stata l’odio che questo quotidiano provava per Richard Nixon, a cui i media democratici addossavano la colpa della guerra in Vietnam, anche se quella era stata una guerra voluta dal presidente democratico Johnson e Nixon voleva terminarla.
Quando la sclerotica popolazione americana ed occidentale prende come buone le bugie dei propri governi, accetta anche la propria fine e la propria schiavitù. Lo slancio e l’abbandono con cui in Occidente le persone si sottomettono lascia pensare che esse preferiscano l’asservimento. Non vogliono essere libere, perché la libertà comporta troppe responsabilità e queste non le vogliono.
Quello che desiderano è guardare un film, o un programma televisivo, giocare ad un videogame o fare sesso, fare compere, ubriacarsi, drogarsi o darsi ad una qualunque altra attività ricreativa che venga valutata più interessante della libertà, della verità o della giustizia.
Per una persona appartenente ad una generazione ormai quasi scomparsa è una cosa inspiegabile come le nazioni del pianeta, tanto più l’America, rimangano indifferenti, mentre il giornalista migliore, più fidato e onesto del mondo è destinato ad essere distrutto da un governo degli Stati Uniti totalmente corrotto. Il risultato della persecuzione di Assange sarà un processo che metterà in imbarazzo il governo americano.
Quando contemplo questa enorme ingiustizia a cui le popolazioni del mondo replicano con il silenzio, mi chiedo se quelli che cercano di salvare la civiltà occidentale non siano mal consigliati.
Qual è il senso di salvare una civiltà totalmente corrotta? Quelli che attaccano Assange sono esseri spregevoli. Se avrete la possibilità di spingere davanti ad un camion uno o più partecipanti al linciaggio, considerate il gesto come una opportunità per fare pulizia.
Paul Craig Roberts
Fonte: www.paulcraigroberts.org
20.11.2018
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

07 dicembre 2018

STRAGE DEL SANGUE INFETTO / LA SENTENZA DI NAPOLI SLITTA AD APRILE


Slitta la sentenza al processo per la “strage del sangue infetto” che si tiene al tribunale di  Napoli, davanti alla sesta sezione penale. 
In base al calendario stilato dal presidente, Antonio Palumbo, il pm Lucio Giugliano terrà la sua requisitoria il 21 gennaio 2019, poi sarà la volta delle arringhe dei legali delle parti civili, in prima fila Stefano Bertone ed Ermanno Zancla, nonché l’avvocatura dello Stato; quindi parleranno i legali degli imputati, ossia funzionari o ex funzionari del gruppo Marcucci e il legale dell’ex numero uno al Ministero della Sanità tra fine anni ’80 e inizio ’90, Duilio Poggiolini, grande amico di Sua Sanità Francesco De Lorenzo.
Tirate le somme, la sentenza non verrà pronunciata prima di aprile.
Un processo che ha largamente superato i 20 anni di vita. Morte “continua”, invece, per i parenti che hanno visto i loro padri, madri o figli morire per una trasfusione di sangue infetto o per l’assunzione di emoderivati killer. Appena otto le parti civili in aula a Napoli: ma le stime parlano di migliaia di vittime, un’atroce cifra che potrebbe arrivare a 5 mila. Un esercito di morti senza uno straccio di giustizia.
Le aziende leader europee (tra cui quelle del gruppo Marcucci) che importavano sangue soprattutto dagli Stati Uniti erano ben consapevoli di comprare partite spesso e volentieri infette: si trattava di sangue proveniente dalla carceri americane, in particolare dell’Arkansas. Lo sapevano bene le autorità di controllo a stelle e strisce (e anche canadesi), che regolarmente lo comunicavano alle aziende di importazione-lavorazione, come, appunto, quelle del gruppo toscano, oligopolista nel settore degli emoderivati, oggi battente bandiera “Kedrion”. 
Quindi, tutti sapevano: e se ne fottevano ampiamente di pazienti e cittadini, pur di cumulare montagne di profitti. Tanto è vero che le prime imputazioni parlavano di “omicidio doloso plurimo”, di “strage”, per poi man mano ammorbirsi in “omicidio colposo plurimo”. 
Il processo è cominciato nel 1998 a Trento, per poi passare, nel 2004, a Napoli, e giacere tra carte e scartoffie per oltre 10 anni (molte delle quali, anche importanti, perse nel corso del trasloco o trafugate nei sotterranei del centro direzionale di Napoli); e quindi iniziare nella primavera del 2016. 
Nel corso dell’ultima udienza che si è svolta il 19 novembre, sono stati presenti i consulenti tecnici nominati dal tribunale per sciogliere una serie di interrogativi. Hanno presentato una prima perizia circa un anno fa, del tutto lacunosa, con riferimenti bibliografici tratti soprattutto dagli studi del primo teste presente al processo, Piermannuccio Mannucci, un ematologo milanese in palese conflitto di interessi perchè ha lavorato anche per il gruppo Marcucci. 
Le parti civili e i legali della difesa hanno presentato ulteriori questi ai periti, che risponderanno all’udienza del 10 dicembre. E l’anno nuovo si apre con la fondamentale requisitoria del pm Giugliano, il quale nel corso del processo non ha brillato per una particolare incisività: “non un centravanti d’attacco, piuttosto uno stopper di difesa”, hanno commentato non pochi avvocati del foro di Napoli. “Il fatto non sussite – aggiungono – saranno le parole con le quali chiederà l’assoluzione degli imputati. Vogliamo scommettere?”. 
Staremo a vedere. 


06 dicembre 2018

[Reseau Voltaire] Les principaux titres de la semaine 5 dic 2018


Réseau Voltaire
Focus




En bref

 
Israël-Liban : qui viole la résolution 1701 ?
 

 
Tsahal nettoie les tunnels du Hezbollah à sa frontière
 

 
Riyad finance la Mouqata'a, tandis que Doha finance Gaza
 

 
Journée insurrectionnelle dans le centre de Paris, à Marseille et Avignon
 

 
Confirmation de notre version de l'incident de Kertch
 

 
La marine ukrainienne viole l'espace maritime russe
 
Controverses
« L'art de la guerre »
Derrière l'attaque US contre les smartphones chinois
par Manlio Dinucci
Fil diplomatique

 
Discours d'Édouard Philippe en réponse aux émeutes
 

 
Conférence de presse d'Emmanuel Macron à l'issue du G20
 

 
Discours d'installation du Haut Conseil pour le Climat
 

 
Déclaration de la Russie sur l'incident militaire en Crimée
 

 

« Horizons et débats », n°26, 26 novembre 2018
Les migrations, armes de guerre
Partenaires, 26 novembre 2018
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Galloni: come sopravvivere se lo spread sale a quota 400

Ieri l’asta dei Btp è stata molto fiacca. Dicono i giornali perché lo spread è salito a quota oltre 330; insomma, se ci si aspetta che lo spread salga ancora (magari in funzione della procedura contro l’Italia preannunciata per il 22 novembre), gli investitori aspettano a comperare titoli a più lungo termine. Se è così – e, soprattutto gli investitori (grandi banche dealer) sono costrette a comperare titoli per l’immensa disponibilità liquida loro fornita dalle banche centrali che poi obbligano a depositi presso di esse con tassi negativi – perché non offrire bonds a breve e risparmiare sui tassi? Non si sa. Giornali, televisioni, politici e accademici dicono che l’aumento dello spread determina un impoverimento dei possessori di titoli: se anche io li voglio vendere anticipatamente, so che il prezzo cala, quindi, che li venderò (sempre che decida di rientrare in possesso della liquidità prima della scadenza) ad un valore più basso; ma, se me li tengo fino a scadenza, avrò il reddito pattuito e, infine, il rimborso del capitale originario.
Casomai, se l’attesa di aumento dei rendimenti dei titoli futuri supera la svalutazione di quelli vecchi di cui si chiede il rimborso anticipato, allora sarà conveniente chiedere quest’ultimo e aspettare il momento buono per investire sul nuovo Nino Galloniprimario. Di qui due deduzioni: 1) agli speculatori serve che l’aumento delle spread sia seguito da un aumento dei tassi sulle nuove emissioni e, quindi, possono operare in tal senso (come è già accaduto qualche anno fa coi titoli greci); 2) bisogna offrire nuovi titoli a rendimenti e scadenze più corte.
A quota 400 tutti – compreso il ministro dell’economia – pensano che il sistema non regga: certo questo sistema che, però, lo si dice da una vita, è intrinsecamente sballato. Occorrono, invece, quattro cose: 1) ridurre i tempi delle scadenze delle nuove emissioni per guadagnare dai tassi più bassi che la speculazione accetta in attesa delle nuove emissioni a lungo termine coi tassi più alti (e che determineranno tra non tantissimo tempo la crisi delle borse ed il rafforzamento dei ribassisti); 2) consentire agli Stati di immettere moneta non a debito a sola circolazione nazionale per finanziare attività  nell’ambiente e l’occupazione soprattutto giovanile; 3) non interrompere il quantitative easing della Bce sul mercato secondario; 4) istituire un’agenzia di rating titolata a dare giudizi su basi serie e trasparenti.
(Nino Galloni, “Come sopravvivere a quota 400”, da “Scenari Economici” del 20 novembre 2018).

05 dicembre 2018

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 5 dic 2018


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Israele-Libano: chi vìola la risoluzione 1701?
 

 
Tsahal ripulisce la frontiera dai tunnel dello Hezbollah
 

 
Riad finanzia la Muqata'a, Doha invece finanzia Gaza
 

 
Giornata insurrezionale nel centro di Parigi, a Marsiglia e Avignone
 

 
Confermata la nostra versione dell'incidente di Kertch
 

 
La marina ucraina vìola lo spazio marittimo russo
 

 
Le clausole segrete dell'accordo sul gas tra Cipro, Grecia, Italia e Israele
 

 
Controproposta russa all'«Accordo del secolo»
 
Controversie
 Roma (Italia) |
Il tentativo di Donald Trump di riequilibrare i flussi commerciali sino-statunitensi non è funzionale soltanto alla volontà di riportare negli Stati Uniti i posti di lavoro persi con la delocalizzazione. Le nuove infrastrutture di trasporto e di comunicazione cinesi sono una minaccia sempre più incombente per la posizione di leader mondiale degli Stati Uniti. Il braccio di ferro per Huawei mostra come preoccupazioni economiche e preoccupazioni militari si congiungano. Già diversi Stati hanno constatato che Washington non è per il momento in grado di decodificare gli strumenti Huawei, così, come già in Siria, hanno riequipaggiato completamente i loro servizi d'intelligence con tecnologia prodotta dal leader cinese delle telecomunicazioni e vietato ai funzionari di usarne di tipo (...)

 
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La secessione dell'Unione Europea, di Thierry Meyssan


Secondo Thierry Meyssan, il modo in cui Germania e Francia negano al Regno Unito il diritto di uscire dall’Unione Europea dimostra che quest’ultima non è soltanto una camicia di forza. Dimostra altresì che gli europei insistono a preoccuparsi poco dei propri vicini, come accadde per le due guerre mondiali. Evidentemente hanno dimenticato che governare non vuole dire semplicemente difendere gli interessi immediati del proprio Paese, significa avere un orizzonte di ampio respiro e scongiurare conflitti con chi ci sta accanto.
Le popolazioni dell’Unione Europea non sembrano essere consapevoli delle nuvole che si stanno addensando sopra le loro teste. Hanno individuato i gravi problemi della UE, ma li affrontano con disinvoltura e non capiscono cosa c’è in gioco con la secessione britannica, la Brexit. Si stanno inoltrando lentamente in una crisi che potrebbe risolversi solo con la violenza.

L’origine del problema

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, i membri della Comunità Europea hanno accettato di piegarsi al volere degli Stati Uniti e hanno ammesso gli Stati dell’Europa Centrale, benché non rispondessero affatto ai criteri logici di adesione. Imboccata questa strada, hanno adottato il Trattato di Maastricht, che ha fatto scivolare il progetto di un coordinamento economico degli Stati europei verso l’idea di uno Stato sovranazionale. Si trattava di creare un vasto blocco politico che, con la protezione militare degli Stati Uniti, si sarebbe avviato insieme a loro sulla via della prosperità.
Questo super-Stato non è per niente democratico. È amministrato da un consesso di alti funzionari, la Commissione, composta da un delegato per ogni Stato dell’Unione, designato dal capo di Stato o di governo del proprio Paese. Mai nella storia si è visto un impero funzionare così. Il modello paritetico della Commissione ha partorito molto presto una gigantesca burocrazia paritaria, dove alcuni Stati sono “più uguali di altri”.
Il disegno di uno Stato sovranazionale si è dimostrato inadeguato al mondo unipolare. La Comunità Europea (CE) era nata dalla branca civile del piano Marshall, di cui la NATO era l’ambito militare.
Le borghesie dell’Europa occidentale, che si sentivano minacciate dal modello sovietico, sostennero la CE sin dal congresso convocato nel 1948 all’Aia da Winston Churchill. Dissolta l’URSS, non avevano più interesse a continuare su questa via.
Gli Stati dell’ex Patto di Varsavia esitavano tra imbarcarsi nell’Unione Europea o allearsi direttamente con gli Stati Uniti. La Polonia, per esempio, acquistò aerei da guerra USA, che utilizzò in Iraq, con il finanziamento della UE per la modernizzazione dell’agricoltura.
Oltre a istituire una cooperazione di polizia e giudiziaria, il Trattato di Maastricht diede vita anche a una moneta e a una politica estera uniche. Tutti gli Stati membri avrebbero adottato l’euro non appena la loro economia lo avesse permesso. Solo Danimarca e Regno Unito intuirono i problemi che sarebbero sorti e ne rimasero fuori. In un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti, la politica estera sembrava non porre problemi.
Considerate le differenze all’interno della zona euro, gli Stati piccoli divennero in breve preda di quello più grosso, la Germania. La moneta unica, che al momento della messa in circolazione era stata allineata al dollaro, si trasformò progressivamente in una versione internazionalizzata del marco tedesco. Non in grado di competere, Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna erano emblematicamente definiti dai mercati finanziari PIGS (maiali). Mentre saccheggiava le loro economie, Berlino propose ad Atene di ristabilirne l’economia in cambio della cessione di parte del suo territorio.
Accadde che l’Unione Europea, pur perseguendo una crescita economica globale, fosse superata da altri Stati il cui sviluppo economico era di parecchie volte più rapido. L’adesione all’Unione Europea, vantaggiosa per i Paesi ex membri del Patto di Varsavia, divenne invece una palla al piede per gli europei dell’Occidente.
Facendo buon uso di quanto insegnato dal fallimento, il Regno Unito decise di ritirarsi dal super-Stato (Brexit) per potersi consociare con gli alleati storici del Commonwealth e, se possibile, con la Cina. La Commissione temette che l’esempio britannico potesse aprire la strada ad altre defezioni, nonché alla fine dell’Unione, pur conservando il Mercato Comune. Decise perciò di stabilire condizioni d’uscita dissuasive.

I problemi interni del Regno Unito

Poiché l’Unione Europea è al servizio dei ricchi contro i poveri, contadini e operai britannici hanno votato per uscirne, il settore terziario per rimanervi.
Come negli altri Paesi europei, anche nella società britannica vi è un’alta borghesia che deve il proprio arricchimento all’Unione Europea, ma, diversamente dagli altri Grandi d’Europa, nel Regno Unito vi è anche una potente aristocrazia. Prima della seconda guerra mondiale essa già godeva dei vantaggi ora procurati dalla UE, nonché di una prosperità che Bruxelles non le può più assicurare. L’aristocrazia ha perciò votato contro l’alta borghesia, ossia per la Brexit, aprendo una crisi all’interno della classe dirigente.
Alla fine, Theresa May fu scelta come primo ministro, pensando che potesse garantire gli interessi degli uni e degli altri (Global Britain). Non è andata così. – In primo luogo, May non è riuscita a concludere un accordo preferenziale con la Cina e incontra difficoltà con il Commonwealth, con cui i legami si sono col tempo allentati. – In secondo luogo, May deve fare i conti con le minoranze scozzese e irlandese, a maggior ragione perché la sua maggioranza include protestanti irlandesi aggrappati ai loro privilegi. – Infine, May deve far fronte alla rimessa in discussione della «relazione speciale» che legava Regno Unito e Stati Uniti.

Il problema che l’avvio della Brexit ha fatto emergere

Dopo aver inseguito invano diversi aggiustamenti dei trattati, il 23 giugno 2016 il Regno Unito ha democraticamente votato per la Brexit. Sorpresa dall’esito del referendum, l’alta borghesia ha tentato immediatamente di rimettere in discussione il risultato. Si parlò di organizzare un secondo referendum, come avvenne con la Danimarca per il Trattato di Maastricht. Poiché questo non è possibile, ora si fa distinzione tra una “Brexit dura” (senza nuovi accordi con la UE) e una “Brexit flessibile” (con la salvaguardia di parecchi impegni). La stampa sostiene che la Brexit sarà una catastrofe economica per i britannici. In realtà, studi anteriori al referendum, nonché a questo dibattito, dimostrano che i primi due anni dopo l’uscita dall’Unione saranno di recessione, ma che il Regno Unito non tarderà a ripartire e a sorpassare l’Unione. L’opposizione al risultato del referendum – nonché alla volontà popolare – vuole dilatare i tempi di applicazione. Il governo ha notificato il ritiro britannico alla Commissione con nove mesi di ritardo, ossia il 29 marzo 2017.
Il 14 novembre 2018 – ovvero due anni e quattro mesi dopo il referendum – Theresa May si è arresa e ha accettato un cattivo accordo con la Commissione Europea. Però, quando lo sottopone al suo governo sette ministri si dimettono, fra cui l’incaricato della Brexit, che evidentemente non conosceva elementi dell’accordo che invece il primo ministro gli attribuisce. Il testo dell’accordo comprende una clausola del tutto inaccettabile per qualunque Stato sovrano: viene fissato un periodo di transizione, la cui durata non è stabilita, in cui il Regno Unito non sarà più considerato membro dell’Unione, ma dovrà sottostare alle sue regole, comprese quelle che saranno adottate in detto periodo.
Dietro questo stratagemma ci sono Germania e Francia.
Appena conosciuto il risultato del referendum, la Germania prese coscienza che la Brexit avrebbe provocato una caduta del PIL di diverse decine di miliardi di euro. Il governo Merkel si applicò quindi non ad adattare l’economia tedesca, bensì a sabotare l’uscita del Regno Unito dall’Unione.
Quanto al presidente francese, Emmanuel Macron rappresenta l’alta borghesia europea, quindi è per sua natura contrario alla Brexit.

Chi c’è dietro i politici

La cancelliera Merkel può contare sull’appoggio del presidente dell’Unione, il polacco Donald Tusk. Effettivamente costui non occupa il posto in quanto ex primo ministro di Polonia, ma per queste due ragioni: la prima è che durante la Guerra Fredda la sua famiglia, che apparteneva alla minoranza casciuba, preferì gli Stati Uniti all’Unione Sovietica, la seconda perché è un amico d’infanzia di Angela Merkel.
Tusk ha iniziato il lavorio d’appoggio alla Merkel ponendo il problema dell’impegno britannico in programmi pluriennali dell’Unione. Se Londra dovesse sborsare quel che s’è impegnata a finanziare, non potrebbe lasciare l’Unione se non versando un indennizzo che oscilla tra i 55 e 60 miliardi di sterline.
L’ex ministro e commissario francese Michel Barnier è stato nominato capo negoziatore con il Regno Unito. Barnier si è già fatto solide inimicizie alla City, che ha maltrattato durante la crisi del 2008. Per di più, i finanzieri britannici sognano di gestire la convertibilità dello yuan cinese in euro.
Barnier ha accettato come sua vice la tedesca Sabine Weyand. È lei in realtà a condurre i negoziati, con l’obiettivo di farli fallire.
Contemporaneamente, l’artefice della carriera di Emmanuel Macron, l’ex capo dell’Ispezione Generale delle Finanze, Jean-Pierre Jouyet, è stato nominato ambasciatore della Francia a Londra. È amico di Barnier, con cui ha gestito la crisi monetaria del 2008. Per far fallire la Brexit, Jouyet si appoggia al leader conservatore dell’opposizione a Theresa May, il presidente della Commissione degli Esteri alla Camera dei Comuni, il colonnello Tom Tugendhat.
Jouyet ha scelto come sua vice la moglie di Tugendhat, l’enarca Anissia Tugendhat.
La crisi si è cristallizzata al summit del Consiglio Europeo di Strasburgo di settembre 2018, in cui Theresa May ha presentato l’accordo che era riuscita a ottenere a casa propria, e che molti altri Paesi avrebbero interesse a prendere come esempio, il piano dei Chequers: mantenere tra le due entità il Mercato Comune, ma non la libera circolazione dei cittadini, dei servizi e dei capitali; non dover più sottostare alla giustizia amministrativa europea del Lussemburgo. Donald Tusk lo respinge bruscamente.
A questo punto è necessario fare un passo indietro. Gli accordi che posero fine alla rivolta dell’IRA contro il colonialismo inglese non hanno risolto le cause del conflitto. Si è avuta la pace solo perché l’Unione Europea ha permesso di abolire la frontiera tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Ora Tusk pretende che, per evitare il rinfocolarsi di questa guerra di liberazione nazionale, l’Irlanda del Nord sia mantenuta nell’Unione Doganale, il che implica la creazione di una frontiera controllata dalla UE, che divide il Regno Unito in due, separando l’Irlanda del Nord dal resto del Paese.
Alla seconda riunione del Consiglio, davanti a tutti i capi di Stato e di governo, Tusk ha fatto chiudere la porta in faccia a May, lasciandola fuori da sola. Un’umiliazione pubblica che non potrà non avere conseguenze.
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Riflessioni sulla secessione dell’Unione Europea

Tutte queste manovre di basso conio indicano l’inclinazione dei dirigenti europei all’inganno. In apparenza, rispettano le regole d’imparzialità e decidono collettivamente per servire l’interesse generale (anche se questo concetto è rifiutato dai soli britannici). In realtà, alcuni difendono gli interessi del proprio Paese a scapito dei loro partner, mentre altri difendono quelli della classe sociale d’appartenenza, a scapito di tutte le altre. Il peggio è certamente il ricatto nei confronti del Regno Unito: che sottostia alle condizioni economiche di Bruxelles, in caso contrario ricomincerà la guerra d’indipendenza dell’Irlanda del Nord.
Questo comportamento finirà col risvegliare i conflitti intra-europei, che già hanno causato le due guerre mondiali; conflitti che l’Unione sul proprio territorio ha mascherato, ma che, irrisolti, persistono fuori dell’Europa.
Lo Stato sovranazionale è diventato a tal punto autoritario che durante i negoziati per la Brexit sono sorti altri tre fronti. La Commissione, su richiesta del parlamento europeo, ha aperto due procedure sanzionatorie contro la Polonia e l’Ungheria, accusate di violazioni sistematiche dei valori dell’Unione; procedure il cui obiettivo è costringere questi due Stati in una posizione analoga a quella cui si vuol costringere il Regno Unito durante il periodo di transizione: essere vincolati al rispetto delle regole dell’Unione, senza tuttavia partecipare alla loro definizione. Inoltre, infastidito dalle riforme che si vogliono attuare in Italia, che contrastano con la sua ideologia, lo Stato sovranazionale rifiuta a Roma il diritto a un bilancio che le permetta di attuare la propria politica.
Il Mercato Comune della Comunità Europea aveva permesso d’instaurare la pace in Europa Occidentale. Il suo successore, l’Unione Europea, ne distrugge l’eredità, mettendo i Paesi membri gli uni contro gli altri.
Traduzione
Rachele Marmetti

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