29 novembre 2018

Ciò che le elezioni svelano sul conflitto interno agli USA, di Thierry Meyssan

Le elezioni USA di metà mandato sono state interpretate dai grandi media alla luce della spaccatura Repubblicani/Democratici. Thierry Meyssan, continuando l’analisi della profonda evoluzione del tessuto sociale, vi legge invece una netta regressione dei Puritani rispetto ai Luterani e ai Cattolici. Il riallineamento politico voluto da Donald Trump potrebbe riuscire, come a suo tempo accadde per quello di Richard Nixon.

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Il Partito Repubblicano ha perso la Camera dei rappresentanti, ma Donald Trump ha imposto le proprie idee.
Con le elezioni di metà mandato gli elettori statunitensi sono stati chiamati a rinnovare l’intera Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato. Sul piano locale, parte dell’elettorato ha votato anche per designare 36 governatori e si è espressa su 55 referendum.
Queste elezioni mobilitano in genere molto meno delle elezioni presidenziali. I politologi USA sono soliti non interessarsi alla percentuale dei votanti, dal momento che è possibile scegliere di votare per alcune elezioni raggruppate e non per altre.
Dalla fine della Guerra Fredda la percentuale di votanti alle elezioni presidenziali ha oscillato tra il 51 e il 61%, con l’eccezione del secondo mandato di Bill Clinton, dove ha votato solo un’esigua minoranza; la partecipazione alle elezioni di metà mandato varia invece fra il 36 e il 41%, con l’eccezione di quelle del 2018, dove la percentuale dei votanti avrebbe raggiunto il 49%. Ebbene, dal punto di vista della partecipazione dei cittadini, se le regole del gioco sono democratiche, la realtà non lo è affatto. Se esistesse un quorum [1], pochissimi membri del Congresso sarebbero eletti. I rappresentanti e i senatori sono di norma votati da meno del 20% della popolazione.
Chi analizza i risultati elettorali per fare pronostici sul percorso politico dei candidati si concentra sulle divisioni partigiane. Dopo le elezioni del 6 novembre, i Democratici hanno la maggioranza alla Camera dei rappresentanti, i Repubblicani al Senato. Questo calcolo permette, per esempio, di prevedere il margine di manovra del presidente rispetto al Congresso. Tuttavia, secondo me, non consente assolutamente di capire l’evoluzione della società statunitense.
Nella campagna per le presidenziali 2016, un ex democratico, Donald Trump, è sceso in lizza per la candidatura del Partito Repubblicano. Rappresentava una corrente assente dal panorama politico USA sin dalle dimissioni di Richard Nixon: i jacksoniani. Trump non aveva, in astratto, alcuna possibilità di ottenere l’investitura repubblicana. Eppure, eliminò uno a uno i 17 concorrenti, fu il candidato dei Repubblicani e vinse le elezioni contro la candidata favorita nei sondaggi, Hillary Clinton.
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Andrew Jackson, la cui immagine è stampata sui biglietti di 20 dollari, è il presidente più controverso degli Stati Uniti.
I jacksoniani (dal nome del presidente Andrew Jackson, 1829-1837) sono i difensori della democrazia popolare e delle libertà individuali nei confronti sia del potere politico sia di quello economico. Nel 2016 nel Partito Democratico e nel Partito Repubblicano era invece dominante l’ideologia dei Puritani: ordine morale e imperialismo.
Durante la campagna elettorale avevo osservato che l’ascesa di Donald Trump indicava il riemergere di un conflitto di fondo: da un lato gli eredi dei Padri Pellegrini, cioè i Puritani che fondarono le colonie britanniche delle Americhe, dall’altro i successori degli immigrati che si batterono per l’indipendenza del Paese [2].
La prima componente storica degli Stati Uniti, i Puritani, voleva creare colonie secondo uno stile di vita “puro”, nel senso calvinista del termine, e seguire in politica estera le orme dell’Inghilterra. La seconda componente, gli Anglicani, i Luterani e i Cattolici, fuggiva invece dalla miseria di cui era vittima in Europa e sperava di affrancarsene grazie al sudore della fronte.
Questi due schieramenti trovarono alla fine un accordo sulla Costituzione. La legge fondamentale fu redatta dai grandi proprietari terrieri, che ambivano riprodurre il sistema politico della monarchia inglese, facendo però a meno dell’aristocrazia [3]; la Bill of Rights, ossia i primi 10 emendamenti alla Costituzione, fu espressione della volontà dei secondi, che aspiravano a perseguire il “sogno americano” senza rischiare di venire schiacciati in nome di una qualsivoglia Ragione di Stato.
Negli ultimi anni il Partito Democratico e il Partito Repubblicano si sono trasformati, diventando entrambi espressione del pensiero puritano: difesa dell’ordine morale e imperialismo. I Bush sono discendenti diretti dei Padri Pellegrini. Barack Obama ha formato il suo primo governo appoggiandosi massicciamente sui membri della Pilgrim’s Society, il club d’oltreoceano presieduto dalla regina Elisabetta II. Hillary Clinton è stata sostenuta dal 73% dei giudeo-cristiani” [4] e così via. Donald Trump era l’unico rappresentante della seconda componente della storia politica USA. In pochi mesi è riuscito ad avere il controllo del Partito Repubblicano e a portarlo, almeno in apparenza, verso le proprie convinzioni.
Oggi, circa un terzo degli statunitensi si divide in due fazioni: pro e contro Trump, che si fronteggiano aspramente. I restanti due terzi, molto più moderati, si tengono in disparte. Molti osservatori ritengono che il Paese sia diviso quanto lo fu negli anni 1850, appena prima della guerra civile, chiamata «guerra di secessione». Contrariamente al racconto mitologico, in questo conflitto non si scontrarono il Sud schiavista e il Nord abolizionista, poiché entrambi praticavano la schiavitù. Si trattava in realtà di uno scontro sulla politica economica che opponeva un Sud agricolo e cattolico a un Nord industriale e protestante. Entrambi cercarono di arruolare schiavi nei propri eserciti. Il Nord fu però rapido nel liberare gli schiavi, mentre il Sud invece attese di suggellare l’alleanza con Londra. Alcuni storici hanno dimostrato che, da un punto di vista culturale, il conflitto era un prolungamento negli Stati Uniti della guerra civile inglese, chiamata Grande Ribellione, che oppose Lord Cromwell e Carlo I. Diversamente dall’Inghilterra, dove alla fine i puritani furono sconfitti, negli USA vinsero i loro discendenti.
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I metodi poco ortodossi di Richard Nixon hanno sfortunatamente offuscato quanto da lui realizzato in politica.
Questo conflitto, che minacciò di risorgere sotto Richard Nixon, oggi si manifesta alla luce del sole. È del resto significativo che il miglior storico sull’argomento [5], Kevin Phillips, sia stato lo stratega elettorale che aiutò Nixon a conquistare la Casa Bianca. Nixon riabilitò gli elettori del Sud, riconobbe la Cina Popolare e mise fine alla guerra del Vietnam (iniziata dai Democratici). Entrato in conflitto con l’establishment di Washington, fu costretto a dimettersi (affare Watergate).
È certamente legittimo leggere i risultati elettorali del 6 novembre 2018 nell’ottica della spaccatura Repubblicani/Democratici e dedurne una vittoria del Partito Democratico, sebbene di stretta misura. L’esito elettorale va però letto soprattutto alla luce della spaccatura Luterani/Calvinisti.
Partendo da questo presupposto è d’obbligo tener conto dell’intensa partecipazione alla campagna elettorale, non solo del presidente Trump, ma anche del predecessore Obama. La posta in gioco era, per una delle parti, sostenere il riallineamento culturale operato da Trump, per l’altra ottenere la maggioranza al Congresso e poter così destituire il presidente con un pretesto qualsiasi. Il risultato è chiaro: l’impeachment è impossibile e Trump ha il sostegno di una maggioranza di governatori che rende possibile la sua rielezione.
I nuovi eletti democratici sono dei giovani, partigiani di Bernie Sanders e molto ostili all’establishment del partito, in particolare a Hillary Clinton. Ma, quel che più conta è che TUTTI i candidati per i quali Trump è sceso in campo sono stati eletti. Quelli che hanno rifiutato il suo aiuto sono stati battuti.
I perdenti di queste elezioni, in primo luogo la stampa e Obama, non hanno fallito perché Repubblicani o Democratici, ma perché Puritani. A differenza dei commenti dei media dominanti, si deve constatare che gli Stati Uniti non si stanno spaccando, bensì si stanno riformando. Se il processo andrà avanti, i media dovrebbero abbandonare la retorica moralista e il Paese dovrebbe ritornare durevolmente a una politica egemonica, abbandonando quella imperialista. Alla fine, gli Stati Uniti potrebbero ritrovare il consenso costituzionale.

28 novembre 2018

Mosca – Costantinopoli: scisma nella chiesa ortodossa. L’opinione di Aleksandr Dugin


Come riportato da Ria Novosti, il 3 novembre il presidente ucraino Petro Poroshenko e il patriarca Bartolomeo hanno firmato un accordo di collaborazione e cooperazione tra l’Ucraina e il Patriarcato di Costantinopoli.
Il presidente ucraino su twitter, ha definito l’evento “storico”, aggiungendo: “L’accordo che oggi abbiamo firmato completa il processo di conferimento del “tomos” (decreto ecclesiastico) secondo tutti i canoni della Chiesa ortodossa”.
Il Patriarca di Costantinopoli, da parte sua, ha affermato che questo accordo contribuirà ad accelerare la concessione dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa in Ucraina. Inoltre, è convinto che sarà importante sia per le relazioni bilaterali, sia per l’ortodossia nel suo insieme.
Poroshenko è intenzionato ad ottenere da Costantinopoli il conferimento dell’autocefalia alla struttura non canonica (secondo il Patriarcato di Mosca) della chiesa ucraina (patriarcato di Kiev). A metà ottobre, il Patriarcato di Costantinopoli con l’annuncio di dare avvio a tale procedura, ha abrogato l’atto del 1686 che sanciva il trasferimento della “Metropolia” di Kiev sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca, togliendo, contemporaneamente, anche l’anatema posto dalla Chiesa ortodossa russa sui due leader delle strutture ecclesiastiche non canoniche ucraine:  a Filarete, capo del “Patriarcato di Kiev” e a Macario, capo della Chiesa ortodossa autocefala ucraina (Filarete fondò la sua struttura nel 1992 con il sostegno dell’allora presidente ucraino Leonid Kravchuk.  la Chiesa ortodossa autocefala ucraina venne fondata dal Direttorio della Repubblica Popolare dell’Ucraina nel 1920 n.d.r.).


Kiev-Pecherskaya Lavra

Il Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha interpretato l’azione di Costantinopoli come “scisma” e ha annunciato la rottura delle sue relazioni  con Costantinopoli su tutto il proprio territorio canonico, che comprende anche l’Ucraina e la Bielorussia. Secondo il metropolita Hilarion (presidente del Dipartimento delle relazioni estere del Patriarcato di Mosca n.d.r.), Costantinopoli con questo atto ha perso il diritto di venir considerato il centro di coordinamento dell’Ortodossia.
Ecco, in esclusiva, l’opinione del famoso politologo russo professor Aleksandr Dugin riguardo la delicata questione:
“Si tratta di uno scisma tra il patriarcato di Costantinopoli e il patriarcato di Mosca. L’aspetto più negativo di tutta la questione è che il governo ucraino potrà utilizzare questo fatto come pretesto per prendere, anche con la violenza, le parrocchie e le chiese del patriarcato di Mosca presenti sul territorio ucraino. Le chiese del patriarcato di Mosca in Ucraina sono predominanti, rappresentano la forza più grande nel contesto religioso. Inoltre, con questa decisione di pianificare la metropolia indipendente, il governo di Kiev avrà la possibilità di esercitare pressione sulla Russia addirittura per provocare la guerra. Se inizierà a scorrere il sangue Mosca dovrà reagire. Questo è molto grave.


Aleksandr Dugin

Per ciò che riguarda l’aspetto storico. Il patriarcato di Mosca da secoli non dipende da quello di Costantinopoli. Anche da un punto di vista gerarchico il patriarcato di Costantinopoli ha un’autorità, ma senza potere concreto all’interno della chiesa ortodossa. Ha solo un potere simbolico, non è più alto gerarchicamente, possiamo definirlo come “primo tra uguali”. Il patriarcato di Costantinopoli non ha mai giocato un ruolo importante nella nostra storia.
Da un punto di vista della fede, non c’è nessuna eresia, niente di dottrinale, questa decisione va semplicemente contro gli interessi del nostro patriarcato. Questo è uno “scisma” autentico. Più grave, come conseguenza,  sarà invece la rottura con il Monte Athos, (che si trova sotto la giurisdizione ecclesiastica del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli n.d.r.) che per noi rappresenta un punto di riferimento spirituale, mistico molto importante. Penso comunque che i pellegrini russi continueranno a visitare il Monte Athos”.
Eliseo Bertolasi

27 novembre 2018

Blog Emanuela Orlandi: Ossa Nunziatura Apostolica

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Pubblicato un nuovo articolo nel Blog di Emanuela Orlandi 
con la dichiarazione di Pietro ORLANDI  inerente la presunta apertura in Vaticano di una inchiesta per fare chiarezza sul destino di Emanuela.

"LE OSSA NELLA NUNZIATURA APOSTOLICA"



Buona lettura
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TRONCHETTI PROVERA / ASSOLTO NELLA SPY STORY, “IL FATTO NON COSTITUISCE REATO”. E POTEVA NON SAPERE…


3 a 2. Dopo una battaglia giudiziaria durata 8 anni Marco Tronchetti Provera viene assolto dall'accusa di ricettazione per una brutta storia di spionaggio industriale. Secondo la Corte d'Appello di Milano, infatti, "il fatto non costituisce reato", mentre invece per ben due volte la Cassazione aveva sostenuto e documentato esattamente il contrario, chiedendo la condanna del patròn della ormai gialla Pirelli (è per oltre la metà dei cinesi).
Cassazione contro Appello, dunque, una giustizia spezzata esattamente a metà.
La fresca assoluzione è anche in stridente contrasto con le pesanti condanne inflitte nel 2009 ai due super spioni al servizio di Telecom e quindi di Tronchetti Provera all'epoca dei fatti, il 2004: Giuliano Tavaroli, il capo della security di Telecom, e Fabio Ghioni, un grosso pirata informatico (facevano parte del cosiddetto Tiger Team) hanno patteggiato una condanna rispettivamente a 3 anni e 8 mesi e 3 anni e 4 mesi.

Giuliano Tavaroli. Sopra, Marco Tronchetti Provera

Sorge spontanea la domanda: come mai il Capo – ossia Tronchetti Provera – alla fine la fa franca mentre i suoi dipendenti sono stati condannati? Poteva "non sapere" ? Nelle loro difese, infatti, i due hanno sempre sostenuto che l'ordine di spionaggio era arrivato dal numero uno e certo non era partito da loro. Ovvio, lo capisce anche un bimbo delle elementari: difficile che una decisione così delicata venga assunta in modo autonomo da due dipendenti senza l'avallo del capo.
Tronchetti si è difeso sostenendo che era sì al corrente della situazione, ma che per trovare la soluzione operativa venne fatta una brevissima riunione, cinque minuti e via. Come dire: deciso il da farsi, vedetevela poi voi sul 'come procedere'.
Ci ha creduto la Corte d'Appello, non ci aveva creduto la Cassazione.

SPIE CONTRO SPIE, LA GUERRA PER BRASIL TELECOM  
Ecco in breve cosa era successo. Nella guerra di Telecom, una delle partite più grosse si giocò, una quindicina d'anni fa, per il controllo di Brasil Telecom. Il gruppo anti Tronchetti ingaggiò una società investigativa, la Kroll, per dossierare Tronchetti (il quale, a sua volta, era coinvolto nell'altro grande scandalo sui dossieraggi illegali contro i rivali industriali e personali). L'ex vicepresidente dell'Inter venne a saperlo e quindi ordinò al suo team – capeggiato appunto da Tavaroli, braccio destro Ghioni – di trovare le prove. Il team riuscì a trafugare un cd made in Kroll e questo venne poi consegnato alla procura di Milano e anche a quella brasiliana. Insomma, una vera e propria guerra per bande.
Tronchetti ha sempre sostenuto di "non conoscere la provenienza illecita di quel cd"; la Cassazione, Tavaroli e Ghioni hanno sempre sostenuto il contrario. E la Terza Corte d'Appello di Milano ora ha messo la pietra tombale sulla vicenda credendo alle parole di Tronchetti.

Il tribunale di Milano

Incredibile ma vero. Ecco come funziona la giustizia italiana. Immaginate un piccolo imprenditore alle prese con una vicenda del genere: sarebbe rimasto stritolato da questo infernale meccanismo. Il Grande Tronchetti invece no: e può anche vantarsi di aver rinunciato alla prescrizione.
La vicenda fa andare in brodo di giuggiole il Corriere della Sera, che attacca l'accanimento giudiziario – figurarsi – contro gli imprenditori. Scrive Federico De Rosa: "La vicenda di Tronchetti è anche un riscatto nei confronti di un mondo, quello degli imprenditori, messi troppo spesso sotto accusa".
Un ultimo cenno alla motivazione, "il fatto non costituisce reato". Cosa, il dossieraggio? Lo spionaggio? La "non conoscenza" di Tronchetti su ciò che i suoi spioni facevano?
Siamo davvero ai confini della realtà.
P.S. Ricorderete l'altra maxi inchiesta sui dossieraggi voluti da Tronchetti ed eseguiti dal suo Tiger team sui suoi rivali industriali, politici e anche sportivi. Fece spiare perfino i calciatori della Juve e dell'Inter (in particolare Bobo Vieri) e la sua stessa moglie, Afef, sulla cui fedeltà evidentemente nutriva dei dubbi.
Ha subito qualcosa Tronchetti per quelle migliaia di spiate? Per aver fatto pedinare e intercettare a più non posso? Ancora una volta una giustizia a due facce. E sempre viene calpestata la giustizia con la G maiuscola.

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26 novembre 2018

Tesla Motors: Newsletter Novembre 2018

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OLOF PALME / IL CASO DELL’OMICIDIO DI MARCA NAZI STA PER RIAPRIRSI


Forse, dopo 32 anni, la verità è più vicina. Potrebbero presto accendersi i riflettori su uno dei gialli internazionali più oscuri e fino ad oggi rimasti irrisolti, l'omicidio di Olof Palme, il mitico leader  socialdemocratico che ha consolidato, negli anni di premiership, lo sviluppo, la giustizia sociale e il welfare nel suo Paese, la Svezia.
E' fresco di stampa, infatti, un libro scritto da un giornalista svedese, Jan Stocklassa, titolato "L'archivio Larsson: la chiave per capire l'assassinio di Palme".
Già dal titolo si capisce che la fonte è nel maxi archivio accumulato in anni di investigazione da Stieg Larsson, il celebre autore della serie "Millennium". In particolare, da un esame attento dell'immenso materiale raccolto da Larsson, emergerebbe – o meglio, si consoliderebbe – una pista tra le varie che furono a suo tempo, e lungo gli anni, seguita: quella dell'ultradestra para nazi, un cui uomo, a suo tempo, fu inquisito e poi scagionato.
Ma dalle carte ora emergerebbe un nuovo nome, un simpatizzante di gruppi ultrà come il "Movimento di resistenza nordico", xenofobo, antisemita e filonazista. Un perfetto mix al quale si ispirano gli attuali "sovranisti" svedesi, e in particolare, "Sverigedemokraterna", formazione che si è presentata con un discreto risultato alle ultime elezioni.

Dunque, mister x, il killer del premier – di cui nel libro non si fa comunque il nome – sarebbe un personaggio oggi ben vivo e vegeto, attivissimo sotto il profilo politico, militante della ultradestra. Secondo l'autore, il killer avrebbe da sempre nutrito un odio violento nei confronti di Olof Palme, trucidato la notte del 28 febbraio 1986, all'uscita da un cinema e in compagnia della moglie.
Un vero choc per la Svezia, che amava profondamente il suo Olof, protagonista in anni di vera democrazia e trasparenza trasferita ai palazzi del potere.


Stocklassa con il suo libro. In apertura Olof Palme

Subito vennero battute dagli inquirenti varie piste: terroristi di destra o di sinistra, di matrice mediorientale, legati ai servizi segreti sudafricani; ma anche di estrema destra.
Il "Kennedy del Grande Nord" aveva già "visto", con anni e anni di anticipo, problemi che in questi ultimi tempi si stanno manifestando: come la questione immigrati. La sua fu una politica di porte aperte agli esuli, allora soprattutto cileni e altri sudamericani in fuga dalle dittature che imperversano nelle loro nazioni.

Un Paese in qualche modo "poco allineato", la Svezia di Palme: si oppose con forza, infatti, sia alla guerra d'invasione Usa nel Vietnam che alla politica di riarmo dell'Urss di Breznev, espresse tutta la sua solidarietà all'African National Congress di Nelson Mandela (per questo fu seguita la pista dei servizi sudafricani), fu vicino alle battaglie del movimento femminista, instaurò una linea dura contro tutti i fascismi.
Larsson ha lavorato sia per conto proprio sul giallo Palme, che in collaborazione con i servizi segreti svedesi, la Sapo. In una intervista giorni fa pubblicata sul quotidiano Expressen, Jan Stocklassa racconta di aver trovato negli archivi, tra le carte e i documenti di Larsson, appunti, immagini, articoli e dossier che dimostrano come lo stesso Larsson stesse lavorando al caso fino alla sua morte (anche questa avvolta dal mistero, vista la relativamente giovane età dell'autore di "Millennium").
Oggi, quindi, il caso Palme è di nuovo aperto, visti gli elementi emersi. Del resto, già due anni fa la Procura di Stoccolma aveva istituito una nuova squadra speciale per dedicarsi al caso.

Un caso fondamentale per due motivi: il primo, per dare finalmente verità e giustizia alla figura di un grande uomo politico come Olof Palme, autentico simbolo di un socialismo dal volto umano e ancora amatissimo dai suoi connazionali; in secondo luogo, perchè si può tracciare un filo rosso (o meglio nero) tra i prodromi di quella destra paranazi e quella in doppiopetto con la medaglia del sovranismo appuntata oggi sul petto: in realtà barbari, razzisti e xenofobi che vogliono imporre la loro legge con la violenza criminale.

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25 novembre 2018

Opportunità Linux, eventi Open



HackTheCloud
Milano-Bicocca, 27-28/11

LPI è Partner di #HackTheCloud - Imparare a programmare in cloud non è mai stato così divertente, l'hackathon organizzato da Università di Milano-Bicocca e GARR dedicato a Cloud e Smart Cities. LPI è Partner della manifestazione.

OpenStack Days Italy 2018: slide e video online!

Sono ora online video e slide di tutti i talk di OpenStack Days Italy 2018. La manifestazione, di cui LPI è stata Media Partner, si è svolta a Roma lo scorso 21 settembre.

2ndQuadrant Italia: aperta posizione Amministratore (m/f) di sistemi Linux

Al fine di proseguire nel proprio percorso di crescita, 2ndQuadrant Italia cerca una figura di "amministratore (m/f) di sistemi GNU/Linux" da integrare all'attuale organico.
[notizia sponsorizzata]

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