17 febbraio 2018

Washington Times – vicino a Trump – lancia campagna durissima contro il miliardario George Soros

Quello che in molti si attendevano è iniziato. Lo scontro inevitabile tra due miliardari: uno sceso in politica con lo slogan "America first" e "Make America Great Again" e un programma decisamente sovranista, l'altro uso a manovrare i politici come marionette per promuovere ovunque la sua agenda liberal, globalista e no-border. Il quotidiano Washington Times ha lanciato una serie di articoli durissimi contro George Soros, da molti considerato un filantropo e da molti altri un affarista che usa la sua fortuna per destabilizzare paesi interi e speculare su titoli e valute. Soros, che appoggia ovunque i politici cosiddetti progressisti dai Clinton in giù e non esita a promuovere organizzazioni di supporto all'immigrazione, ha da subito cercato di contrastare l'azione di Trump in ogni modo possibile. E l'articolo del Washington Times non può non avere un placet dall'alto.
In molti si chiedono perché Soros, lo speculatore senza scrupoli che a suo stesso dire non ha nessuna compassione per i cittadini dei paesi vittime dei suoi raid, spenda miliardi per ONG e iniziative "filantropiche" e politiche, gender o pro-islam.
L'articolo del Washington Times cerca di spiegarlo. Il nostro commento: si scontrano due visioni opposte del capitalismo: l'immobiliarista che cerca stabilità e domanda interna e lo speculatore globale che trae profitto dalla destabilizzazione di intere nazioni. Semplice, no?
Qui la traduzione.
"Com'è che proteste altamente organizzate contro il presidente Trump continuano a spuntare in tutto il paese?
Seguite i soldi.
Perché la definizione tradizionale di matrimonio è stata improvvisamente scartata dopo anni in cui i cittadini hanno votato perché venisse preservata?
Seguite i soldi.
Come mai gli immigrati clandestini si organizzano così in fretta e giovani elettori sono riuniti inello spazio di una notte per chiedere l'apertura delle frontiere? Da dove viene la saturazione dell'ideologia transgender e pansessuale? Com'è possibile che Black Lives Matter sembra essere ovunque? O che la richiesta di legalizzazione degli spinelli stia investendo la nazione? O che esiste un movimento internazionale per la globalizzazione che appare simultaneamente in paesi di tutto il mondo?
Segui i soldi – i soldi di George Soros attraverso la sua Open Society Foundation.
In questa lunga stagione di tensione culturale e politica, gli americani hanno bisogno di conoscere la verità sulla fonte dei conflitti, sul perché le comunità e la nostra nazione vengono fatte a pezzi.
La Open Society Foundation di Mr. Soros è impegnata in USA e all'estero in un tentativo ben finanziato di spogliare l'America e le altre nazioni della nostra sovranità e di renderci ostaggio di un governo sovranazionale.
Soros finanzia così tanti di questi sforzi odiosi, dirompenti (anche violenti) qui in patria e all'estero che è difficile tenere traccia.
Ma, alla fine, un gruppo ad hoc di americani pro-libertà sta facendo proprio questo.
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Per un elenco aggiornato di tutte le organizzazioni che George Soros ha iniziato o sta finanziando, visitateDiscoverTheNetworks.org. Vi farà star male vedere come tutti questi gruppi sono collegati.
Tuttavia, quella sensazione malata e disgustata dovrebbe rapidamente trasformarsi in sollievo nel sapere che la situazione non nasce da un odio tra persone. Si tratta di un uomo e dei suoi amici che pagano persone in gran parte disoccupate per causare problemi.
La ricerca mostra che il miliardario Soros sta spendendo milioni per finanziare un'enorme industria di risentimento e anarchia che finge di essere una protesta della giustizia di base.
Puoi vedere gli sforzi di reclutamento in uno dei portali di assunzione OrganizersForAmerica.org, dove, ad esempio, i ragazzi universitari vulnerabili che hanno bisogno di denaro extra possono guadagnare denaro creando eventi dirompenti per nuovi gruppi come BadAssWomen e Green Corps e l'ACLU. Altre "opportunità" consistono nel ricevere soldi per uno stage e partecipare a proteste in vari stati per richiedere un salario minimo obbligatorio o semplicemente per disturbare il signor Trump nel tentativo di delegittimarlo.
Basta dare un'occhiata all'IRS 990 di Mr. Soros (della sua Open Society Foundation da $ 20 miliardi), e si può vedere la portata degli sforzi di finanziamento per sconfiggere tutto, dal sistema del libero mercato alla struttura della famiglia nucleare senza tempo.
Perché distruggere l'unità della famiglia, chiedi? Perché il signor Soros sa che la famiglia nucleare è stata la base su cui ogni singola società civile stabile è stata costruita dall'inizio del tempo. È per questo che l'ideologia marxista ha anche cercato la scomparsa delle famiglie composte da una mamma e un papà.
L'elenco di progetti pacchiani, destabilizzanti e disumanizzanti finanziati dal signor Soros va avanti e avanti: legalizzazione delle droghe, leggi che consentono "all'industria del lavoro sessuale", pansessualità, aborto e politiche di identità di genere. Inoltre, i gruppi Black Lives Matter in tutto il paese e i gruppi chiamati Resist, DisruptJ20 Indivisible e Women's March – sono tutti progettati per indebolire le politiche di Donald Trump e pro-libertà.
Poi ci sono i "preti in affitto" in varie chiese che vengono pagati per difendere cause "progressiste" anticristiane.
E le élites nei media e negli spettacoli sono fin troppo felici di propagandare il piccolo circo della sinistra come se fosse la vera vita delle nostre nazioni.
Perfino Fox News consente regolarmente agli ospiti di organizzazioni supportate da Soros come Center for American Progress, La Raza, National Immigration Forum, Sojourners, Faith in Public Life, ACLU e altro di apparire nei suoi spettacoli senza mai informare che George Soros sostiene tutti costoro.
Complimenti a conduttori come Sean Hannity, Tucker Carlson e Laura Ingraham, che combattono ogni giorno contro la sinistra. Fox ha bisogno di iniziare a identificare, in ogni singola intervista, chi lega tutti questi gruppi con una solida catena monetaria.
Qual è il loro obiettivo finale di tutte le interruzioni? Si tratta di potere. E l'America e le persone che amano la libertà in tutto il mondo stanno subendo le conseguenze.
Grazie a Dio c'è una crescente consapevolezza e le persone cominciano a far luce sulla follia.
Uno dei leader preoccupati è Kelly Monroe Kullberg, co-autore ed editore del libro "Finding God at Harvard" e un leader della nuova coalizione, l'American Association of Evangelicals (vedi la ricerca lì). Nel 2016, la signora Kullberg e oltre 100 leader cristiani tra cui Alveda King, Eric Metaxas e George Barna hanno chiesto agli americani di prendere in considerazione il finanziamento di gruppi radicali e "affittati" evangelici e cattolici.
La signora Kullberg riassume il chiaro appello per tutti noi: "Poiché i miliardari progressisti indeboliscono le culture e le nazioni sovrane e storicamente cristiane, il loro potere globale cresce. Questo è regresso, non progresso. È ingiusto e senza amore. Il declino dell'America e dell'Europa non è inevitabile; è stato comperato. E milioni soffrono"
scenarieconomici.it

16 febbraio 2018

Siria: la denuncia di mons. Abou Khazen, “si stanno spartendo le vesti del nostro Paese”

La drammatica testimonianza del vicario apostolico di Aleppo, mons. Georges Abou Khazen: "La guerra in Siria non è finita. Le grandi potenze si stanno spartendo le vesti del nostro Paese". Daesh? "Il cavallo di Troia dei Paesi coinvolti che lo usano per spostare il conflitto da un punto all'altro del Paese, secondo le convenienze". Il dramma dei bambini uccisi, orfani, abbandonati e assoldati dalle fazioni in lotta per combattere.


"Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli". Era l'agosto del 2014, quando Papa Francesco, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud, pronunciava queste parole. Parole quanto mai attuali se riferite a quanto sta avvenendo in questi giorni in Siria dove si registra una escalation del conflitto dopo lo scontro tra Iran e Israele che hanno visto abbattuti rispettivamente un drone iraniano e un caccia F-16 con la Stella di David. E sebbene la guerra sia stata dichiarata conclusa dal presidente Assad e dal suo primo alleato, il presidente russo Putin, sul tavolo verde siriano le potenze regionali e internazionali continuano a giocare le loro carte: turchi, israeliani, curdi, russi, americani, iraniani, hezbollah libanesi, sauditi, i resti di Daesh e le milizie di al-Nusra. Si combatte nell'enclave curda di Afrin, a Idlib nel nord-ovest del Paese, teatro di un'offensiva governativa contro i ribelli, a Deir ez-Zor.
Bombe anche a Damasco dove fonti locali parlano di colpi di mortaio che hanno centrato il patriarcato siro ortodosso, causando morti e feriti. L'Onu ha aperto un'inchiesta relativa all'uso di bombe al cloro da parte dell'esercito regolare. Accusa respinta da Damasco. E nel risiko siriano affondano anche le tenui speranze di negoziati legate all'ultima conferenza di pace di Sochi, di fine gennaio, nella quale è stato chiesto rispetto per l'integrità territoriale del Paese e ribadito che solo il popolo siriano dovrebbe decidere la forma del proprio governo. Nella stessa conferenza è stata approvata la creazione di una commissione costituzionale con una lista di 150 partecipanti, due terzi in rappresentanza del governo siriano, un terzo dell'opposizione.
"Qui è di nuovo l'inferno. Piovono bombe e la povera popolazione siriana non smette mai di soffrire.
Perché tutto questo? Quando finirà?".
È un fiume in piena mons. Georges Abou Khazen, francescano della Custodia di Terra Santa e vicario apostolico di Aleppo. Al telefono, dalla città martire siriana, denuncia: "Ogni volta che rinasce un briciolo di speranza ecco che questo viene sepolto di nuovo dalle bombe. Ogni volta che si compiono timidi passi in avanti per la ripresa di negoziati, ecco che ci ricacciano indietro. Perché?". Non ci sono risposte certe, l'unica, dice, "è continuare a sperare". Ciò che sta accadendo nel Ghouta orientale, a Damasco, Idlib e Afrin è una tragedia immane. Qui secondo l'Unicef sono stati uccisi, nel solo mese di gennaio, 60 bambini e molti altri sono stati feriti durante i combattimenti in corso. "Siamo addolorati – prosegue mons. Abou Khazen -.
La gente soffre e si chiede cosa accadrà. Ci sono migliaia di famiglie, donne, anziani intrappolate dalle bombe delle parti in lotta. Sono queste persone la parte più debole della popolazione. Ma soprattutto ci sono migliaia di bambini malnutriti, abbandonati, orfani, che vagano soli, che hanno bisogno di ogni forma di assistenza materiale e morale".
Piccoli che diventano preda delle fazioni armate in lotta: "In alcune zone, soprattutto quelle sotto controllo dello Stato Islamico (Daesh) e di Al Nusra – spiega il religioso francescano – i più piccoli vengono arruolati, addestrati alla guerra e mandati a combattere". Ma l'emergenza non finisce qui. "Urgono aiuti di ogni genere. In tante zone del Paese manca il lavoro, migliaia di famiglie hanno necessità di rimettere in piedi la propria abitazione per avere di nuovo un tetto sulla testa. Come Chiesa stiamo cercando di aiutare quante più persone possibile ma i bisogni sono enormi. Non abbandonateci",  dice con voce accorata il vescovo.
La tragedia siriana non conosce fine. Daesh? "Sembra essere stato sconfitto ma non è così – risponde mons. Abou Khazen –
Daesh è il cavallo di Troia per le potenze coinvolte nella guerra.
Serve loro per spostare il conflitto da un punto all'altro della Siria, a seconda delle convenienze.
Ma non c'è solo Daesh, nel campo di battaglia siriano. Ci sono Al Nusra e tanti altri gruppi affiliati teleguidati da tutte le potenze, regionali e internazionali, coinvolte in questo conflitto per procura. Li assoldano, li addestrano e li armano: questo è il maggiore ostacolo al dialogo tra le parti siriane".
Mai come oggi le sorti della Siria sono nelle mani di Usa, Arabia Saudita, Israele, Russia, Iran, Turchia:
"Si stanno dividendo le vesti del nostro Paese. Abbiamo paura di una spartizione della Siria.
È giusto che per interessi economici e politici un intero popolo debba soffrire così?". "Gesù sta patendo sulla croce per tutta la popolazione della Siria, senza distinzione di etnia e fede. Siamo un corpo solo. La guerra – ricorda il vicario – ha allontanato i siriani dalle loro terre e case, metà della popolazione è profuga, centinaia di migliaia di morti, milioni di feriti, almeno diecimila rapiti, spariti nel nulla e dei quali non si conosce la sorte. Cosa altro vogliono da noi queste potenze?".
È un Paese lacerato quello che fra un mese entrerà nel suo ottavo anno di guerra. Il pensiero del vicario apostolico va ai più giovani: "Quelli che hanno potuto, hanno lasciato il Paese.
Che generazioni future avremo se non verranno formate alla giustizia, al diritto e alla pace? Cosa ne sarà di loro? E cosa sarà della società che verrà? La speranza non deve abbandonarci perché abbiamo la certezza che il nostro destino non è nelle mani di un uomo o di una superpotenza. Il nostro destino è nelle mani di Dio, Padre provvidente.
In Lui, e solo in Lui, poniamo la nostra salvezza".
www.agensir.it

15 febbraio 2018

Associazione Antimafie Rita Atria: solidarietà a Nadia Furnari

Il 15 febbraio, Nadia Furnari, come accade ormai da quasi 10 anni, dovrà comparire davanti al tribunale di Messina per la chiamata in giudizio promossa dall'ex Prefetto di Messina, Stefano Scammacca, contro l'Avvocato Repici che, in due lettere rivolte al Presidente del Consiglio dei Ministri nel 2007, denunciava fatti e circostanze che coinvolgevano lo stesso ex prefetto. Lei, in particolare, è stata citata nel procedimento per una richiesta di risarcimento danni, in quanto accusata di essere, attraverso il sito www.ritaatria.it, l'organo divulgatore delle lettere.
Da Presidente dell'Associazione che mi onoro di avere fondato insieme a lei, e della quale lei è il pilastro portante, mi auguro che questa incresciosa accusa venga nuovamente respinta, come già è successo in primo grado, innanzitutto perché la pubblicazione delle lettere costituisce legittimo diritto di cronaca e in secondo luogo perché la denuncia civile e sociale contro ogni forma di illegalità, dovrebbe essere sostenuta e non perseguita.
Il silenzio è connivenza e isolare, puntando sul silenzio dei cittadini, è la vera arma di chi vuole fare i propri affari in barba a qualunque principio di convivenza civile, ed è per questo che tutelare e sostenere persone come Nadia è un dovere morale che ognuno di noi dovrebbe sentire fortemente.
Chiedo, pertanto, a tutti coloro che combattono ogni giorno controcorrente per restituire dignità e legalità a questo Paese, di unire la sua voce alla mia, a quella del Direttivo e a quella di tutti i nostri soci, e a divulgare questo appello, perché sostenere Nadia significa condividere la sua lotta e il suo sacrificio, la sua Resistenza.
Ringraziamo l'Avv. Nino La Rosa che da anni, così come tutti i nostri avvocati, ci segue a titolo completamente gratuito.
Santina Latella

14 febbraio 2018

EMMA BONINO / L’ENDORSEMENT PRO BILDERBERG. PROSSIMO SUMMIT A TORINO ?



Emma Bonino for Bilderberg. L'entusiastico endorsement va in scena all'epilogo di Otto e mezzo, davanti ad una sbigottita Lilli Gruber. "Non è mica il Ku Klux Klan", inneggia la storica leader  radicale. E stando alle news il prossimo super summit potrebbe svolgersi a Torino, ma anche Venezia ha buone chance: comunque sarà in Italia, ossia in un paese europeo, come previsto dall'ultrasessantennale ruolino di marcia che vede alternarsi una città statunitense ed una del vecchio continente quale sede del meeting sempre avvolto da una cortina di segretezza.
Torniamo al salotto di Otto e mezzo. L'ospite Bonino, al termine della rituale intervista, chiede la parola per una piccola appendice e in un paio di minuti tesse le lodi del super club dei potenti della Terra, ingiustamente attaccato – a suo parere – da alcuni media. Ed elenca nomi eccellenti dell'attuale nomenklatura di casa nostra, abituali ospiti dei Bilderberg: tra cui la stessa Gruber che, attonita, non sa quali pesci prendere.

COME DECIDERE GLI SPEZZATINI NEL MONDO 
Lilli Gruber. In apertura Emma Bonino
Lilli Gruber. In apertura Emma Bonino

Tant'è. Bonino è storica portabandiera di un Gruppo oggi certo più pericoloso di un ormai vetusto Ku Klux Klan: perchè i signori di Bilderberg si riuniscono una volta l'anno per decidere se quell'economia – ad esempio greca – va mangiata in un sol boccone oppure è meglio fare, come nel caso Italia, un gustoso spezzatino. Se una moneta va sostenuta oppure attaccata a botte di speculazione finanziaria. Se bisogna puntare i missili sulla Russia o si può ancora aspettare. Se i flussi migratori vanno controllati oppure lasciati al destino e farci business. Se una primavera araba va solo spalleggiata oppure pesantemente finanziata, come è successo nei bellicosi scenari mediorientali.
Tutto questo succede ogni anno, in genere nel mese di giugno, nelle sontuose magioni destinate ad ospitare, dal 1954 ad oggi, i simposi che per primo volle un colonnello che aveva fatto parte dei battaglioni nazisti, passando poi il testimone al numero uno delle economie a stelle e strisce di allora, David Rockfeller e alla sua vasta platea di fans: finanzieri, banchieri, mega imprenditori, politici di mezzo mondo.
E Rockfeller ha lasciato la sua impronta fino ad un anno e mezzo fa, prima di passare a miglior vita. Uno dei suoi ultimi viaggi ebbe come destinazione proprio l'Italia, in particolare Taormina, che aveva intenzione di scegliere come meta proprio per il summit di quest'anno. Soggiornò nella splendida località siciliana, infatti, per due giorni, il 23 e 24 ottobre 2016, in vista di una possibile location.

David Rockefeller
David Rockefeller

Ma la scelta è caduta a parecchi chilometri di distanza. Secondo le ultime indiscrezioni, infatti, l'opzione vincente è quella di Torino. Almeno stando ad una dichiarazione che il premier serbo, Ana Brnabic, si è lasciata sfuggire in un recente incontro con la stampa, dove ha fatto cenno all'invito che le sarebbe arrivato, destinazione Torino.
Di altro avviso un attivista britannico che segue ogni anno, come un autentico segugio, le manovre che portano all'annuale organizzazione del summit, tentando anche dei blitz nel corso dei lavori, regolarmente bloccato dall'ampio dispiegamento di security. Si tratta di Tony Gosling, secondo il quale, invece, la meta sarebbe Venezia. Ha infatti effettuato, Gosling, una meticolosa ricerca per verificare le prenotazioni degli alberghi sia all'ombra della Mole che in laguna durante il periodo in cui si svolgerà il meeting, dal 7 al 10 giugno. Pienone, già adesso, per Venezia, mentre ampi spazi di prenotazione per Torino, il cui nome – secondo Gosling – sarebbe stato speso solo per depistare reporter e attivisti anti Bilderberg.

I MENU' DEI POTENTI 
Ancora top secret, of course, il menù per i grandi tavoli di 'concertazione'. L'anno scorso, in occasione del vertice che si è svolto in Virginia, all'Hotel Marriott di Chatilly, il piatto forte è stata la Brexit, cui hanno poi fatto da abbondante contorno i due nuovi, strategici scenari aperti con l'ascesa al potere di Donald Trump negli Usa e di Emmanuel Macròn in Francia.
Nel 2016, al summit di Dresda, tennero invece banco la questione russa, con i missili europei puntati in direzione Putin, l'affare petrolio e la bomba migranti, tanto per gradire.

Romano Prodi
Romano Prodi

La Voce da anni segue i summit targati Bilderberg, a cominciare proprio dall'ultima convention che si è tenuta in Italia, a giugno 2004, sulle ridenti rive del lago Maggiore, a Stresa. Una cover story, all'epoca, titolata "Avanti miei Prodi", in onore di una delle star allora invitate, Romano Prodi, il padre dell'Ulivo ed ex presidente dell'Iri, che per primo inaugurò la stagione delle svendite dei nostri gioielli di Stato: una strategia battezzata a bordo del Britannia sotto il vigile sguardo di queen Elizabeth e dei potenti della terra.
Questo l'incipit di quell'inchiesta: "I loro rappresentanti siedono al tavolo della Trilateral, la Cupola segreta che regge i destini del pianeta. Sono il gruppo dei Bilderberg, lobby paramassonica internazionale che si riunisce una volta all'anno in un summit super segreto". Nella foto di apertura c'erano i volti di Prodi, di Mario Monti e di Emma Bonino.
Ma ecco, fior tra fiori, alcuni nomi dell'ultimo summit in terra italiana: Giovanni e Umberto Agnelli, Franco Bernabè, Rodolfo De Benedetti, Ferruccio De Bortoli, Mario Draghi, Claudio Martelli, Corrado Passera, Alessandro Profumo, Gianni Riotta, Carlo Rossella, Paolo Scaroni, Giulio Tremonti, Marco Tronchetti Provera, Valter Veltroni, Ignazio Visco.
E anche lei, la battagliera leader radicale pronta a soccorrere gli Ultimi della Terra. Ma anche per correre ai salotti dei Padroni della Terra.

VENT'ANNI SOTTO LE BANDIERE DEI BILDERBERG
La sua prima presenza ai vertici dei Bilderberg risale esattamente a 20 anni fa, quando l'incontro si tenne a Turnberry, in Scozia. Da allora ha mancato pochi appuntamenti. Come non ha mancato di far pervenire messaggi di stima e apprezzamento.
Così come non si è fatta sfuggire, l'intrepida radicale, non pochi incarichi in alcuni organismi di 'solidarietà' internazionale ispirati al Verbo di George Soros, il mega finanziere di origini ungheresi ma ormai americanizzato, vero burattinaio per le sorti economiche di tanti paesi, che può decidere di far cadere ad uno schioccar di dita.
Vediamo allora in rapida carrellata cosa spunta nel pedigree griffato Soros di lady Bonino.
Una perla su tutte. La presenza come "Global Board Member" nella corazzata umanitaria di casa Soros, quella che finanzia non poche Ong a caccia di migranti e di milioni: si tratta della arcimiliardaria Open Society Foundation. E lei, Emma, è l'unica presenza italiana a bordo del board.

George Soros
George Soros

Nel 1999 fece il suo ingresso nel board di un'altra creatura gemmata rigogliosa dal florido ventre di Open Society, l"International Crisis Group', una "organizzazione indipendente – come si autocelebra – che lavora per prevenire guerre e definire politiche che costruiscono un mondo più pacifico".
Ancora. L'Emma internazionale è co-presidente dell"European Council for Foreign Relations', un think tank europeo, tanto per cambiare massicciamente finanziato dalla Open Society. La quale provvede anche a sostenere, con altri organismi, vita e opere dell'Istituto di Affari Internazionali, nel cui comitato direttivo fa capolino la pasionaria radicale adesso gemellata sotto i vessilli di + Europa con l'ex Dc Bruno Tabacci (e tutti e due con il Pd renziano) in vista del voto di marzo.
Oggi alla ribalta, Soros, per le 400 mila sterline investite nelle campagne anti Brexit. L'uomo che vent'anni fa "sbancò la Banca d'Inghilterra", scrive di lui il 9 febbraio il Daily Telegraph: adesso impegnato a finanziare "il complotto segreto per fermare la Brexit".
Alcuni mesi fa l'acrobatico finanziere mangia-economie è stato ricevuto dal nostro premier Paolo Gentiloni, proprio quando sono cominciate le polemiche al calor bianco sugli affari delle Ong a base di migranti. Ma ufficialmente non è stata mai data una spiegazione a quella visita: coperta da totale riservatezza, come succede nei rituali meeting dei Bilderberg.
Eppure Palazzo Chigi non è un salotto privato.

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5 giugno 2015

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13 febbraio 2018

Moby Prince. Troppa «nebbia» nelle indagini: 140 morti ancora senza un perché


Perizie sbrigative, testimoni chiave ignorati, interrogatori frettolosi, prove scomparse nel nulla, documenti mai cercati che sono tornati alla luce per il lavoro della commissione parlamentare d’inchiesta che, di fatto, ha riaperto il caso. Un altro «mistero» d’Italia, come Ustica o il caso Moro.

La storia del Moby Prince ha un posto nella buia galleria dei misteri d’Italia. Come Ustica. Come il caso Moro. Ventisette anni senza sapere perché. Perché centoquaranta morti e nessun colpevole. Bugie, omertà, insabbiamenti, errori. La Giustizia italiana quando vuole nascondere la verità ci riesce benissimo. Perizie sbrigative, testimoni chiave ignorati, interrogatori frettolosi, prove scomparse nel nulla, documenti mai cercati che sono tornati alla luce per il lavoro della commissione parlamentare d’inchiesta che, di fatto, ha riaperto il caso. O quanto meno ha riaperto la coscienza collettiva sul caso.
Mi viene in mente la morte del povero David Rossi, precipitato da una finestra del Monte di Paschi a Siena.  Il prezzo più alto pagato allo scandalo del Monte dei Paschi. Ora si capisce che l’inchiesta senese è stata una collezione di negligenze, probabilmente premeditate, di testimoni ignorati e di prove decisive scomparse nel nulla. Forse la faticosa mobilitazione contro il muro di gomma dell’istituzione, e a sostegno della famiglia, potrà far riaprire ancora una volta le indagini, rapidamente archiviate per nascondere sospetti scomodi che minimamente facessero pensare che non si era trattato di un banale suicidio.
Tutto questo non contribuisce a farci credere nella Giustizia, che dovremmo sentire un’alleata solida, se non infallibile, per la nostra serenità di cittadini. Invece non siamo per niente sereni. Perché siamo assediati dagli interrogativi che, badate bene, non chiamerei dietrologie ma autentici buchi neri, di una storia che non può avere incertezze, soprattutto per il rispetto delle centoquaranta vittime e dei loro familiari.
Entrare nel merito delle ipotesi su quello che è successo la notte del 10 aprile 1991 nel mare di Livorno, significa aprire scenari da film di spionaggio, che tuttavia rischiano di essere molto vicini alla realtà. Molteplici tesi che ripercorrono le inconfessate scie di misteri che ancora oggi avvolgono, in parallelo, il disastro del Dc9 di Ustica.
Quello che indigna di più, però, sono i tempi infinitamente lunghi e soprattutto i depistaggi grossolani, perfino goffi per dare una spiegazione preconfezionata e scontata, dunque non meritevole di essere approfondita. Da subito le autorità hanno cercato di sostenere la presenza della nebbia in quel tratto di mare nel momento dell’impatto fra il traghetto e la petroliera dell’Agip Abruzzo, quando era facilmente verificabile che la nebbia non c’era, elemento che oggi sta diventando addirittura un ingrediente di novità.
Fa sorridere amaro che ora si decida di cercare nelle acque del mare i pochi resti (che cosa può essere rimasto?) per provare quello che si poteva verificare con maggiore chiarezza, nei giorni successivi al disastro: cioè la localizzazione esatta delle due imbarcazioni. Ma forse era proprio quello che non si doveva scoprire, infatti i relitti furono spostati velocemente, come se si volesse confondere alla svelta la scena dell’incidente.
Il motivo? La petroliera non doveva trovarsi lì dov’era e dove la impattò il traghetto.
Che ci sia stato un traffico illegale di greggio dalla petroliera alla bettoline che si trovavano in rada; che i soccorsi siano arrivati in ritardo perché impegnati in una operazione della quale non si doveva sapere, sta di fatto che c’era qualcosa o tante cose da nascondere. Come per Ustica, come per la morte misteriosa di David Rossi, come per il delitto di Moro, come per la scomparsa di Emanuela Orlandi. Come per altri misteri mai chiariti che pesano sulla storia d’Italia. Tragedie inghiottite dalla fretta di archiviare come incidenti, che spariscono dai radar dell’informazione ma che con il tempo e con fatica si rileggono sotto una lente decisamente diversa, più vera e più inquietante.
Per restare a questi giorni e all’ultimo disastro nazionale, quello del treno deragliato a Pioltello la settimana scorsa: che cosa dobbiamo pensare dei quattro operai delle Ferrovie trovati a fare rilievi nell’area messa sotto sequestro? Dobbiamo credere che sia uno sbaglio perché il divieto non era ben segnalato? O dobbiamo insospettirci, visto che già si parla di «rattoppi in legno», non previsti dalla normativa tecnica, utilizzati sul binario che ha provocato il deragliamento? C’è un grande manto che spesso copre gli interessi più grandi ma soffoca il diritto del cittadino di sapere.
Le conclusioni della commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro del Moby Prince hanno smentito, di fatto, le sentenze di assoluzione già emesse nei processi di primo grado e d’appello. Che non sono riusciti a individuare colpevoli nemmeno nel comportamento della Capitaneria di porto di Livorno, che per negligenza o per altre ragioni  ignote, non si accorse  della gravità dell’incidente e del fatto che nello scontro con la petroliera, non era coinvolta una bettolina ma una nave passeggeri. Eppure dal porto di Livorno era partito, quella sera, solo il Moby Prince, dunque era evidente che poteva esserci il rischio che proprio il traghetto carico di persone potesse essere al centro dell’incidente.
Ma c’è un altro elemento inquietante che emerge dalle conclusioni della commissione d’inchiesta: cioè che la prima inchiesta sommaria su ciò che era accaduto, venne affidata alla Capitaneria, ossia a un ente direttamente coinvolto. In sostanza l’impianto accusatorio delle indagini e le responsabilità vennero orientate sul personale di guardia del Moby Prince che, a causa della nebbia (che non c’era) non aveva visto la petroliera.
La terribile conclusione che ci resta, ammesso che il disastro non potesse essere evitato, è che quasi certamente i passeggeri potevano essere salvati.
C’è un cumulo di dubbi e ombre che non può giacere negli archivi di un tribunale. E, pensiamo, nemmeno nella coscienza di chi determinò le sentenze di assoluzione collettiva. Ormai gli anni passati non contano, ma ritrovare la verità potrà essere almeno di conforto a chi ha già perso troppo in quel disastro.
Moby Prince. Troppa «nebbia» nelle indagini: 140 morti ancora ...   Toscana Oggi

12 febbraio 2018

Kenya, ucciso con una coltellata il "cacciatore" dei trafficanti d'avorio


Kenya, ucciso con una coltellata il "cacciatore" dei trafficanti d'avorio

Il geografo americano è stato trovato ucciso nella sua casa di Nairobi da una ferita mortale al collo. Il 76enne Esmond Bradley Martin, noto conservazionista, era considerato tra più grandi investigatori al mondo sul commercio illegale d'avorio
BRADLEY MARTIN è stato trovato morto domenica mattina nella sua casa di Nairobi. Una coltellata al collo lo ha ucciso all'istante. Le indagini, per ora in alto mare, ipotizzano una rapina finita male. Lascia perplessi e fa pensare una singolare coincidenza: neanche cinque mesi fa, un altro grande conservazionista, Wayne Lotter, sudafricano e attivo in Tanzania dove viveva da sempre, è stato brutalmente ucciso in strada nella notte, da tre criminali che gli hanno teso un'imboscata davanti casa. Anche qui, le indagini non hanno ancora portato a niente.

Ex inviato speciale Onu per la tutela del rinocerente e geografo di fama mondiale, Mr Bradley era appena tornato a casa in Kenya dopo un viaggio di ricerca in Myanmar. La sua determinazione a scovare i mandanti del traffico di avorio lo aveva convinto che il metodo più efficace per stanarli era lavorare sotto copertura. Lo ha fatto per tutti questi anni mettendo a repentaglio la sua stessa vita, recandosi in casinò cinesi frequentati da gangster e trafficanti e riuscendo a fotografarne incontri, documenti e vendite illegali. Si fingeva un ricco compratore con lo scopo di verificare i prezzi dell'avorio al mercato nero. Un mercato che ha conseguenze devastanti sulla sopravvivenza degli elefanti africani, il cui numero si è ridotto nell'ultimo secolo da cinque milioni a circa 400 mila. I rinoceronti sono invece ormai meno di 30 mila. E si tratta di numeri che continuano a diminuire di anno in anno. Il suo lavoro non si è mai solo concentrato sulla Cina, ma anche su Laos, Vietnam e Myanmar. Ed è proprio da quest'ultimo Paese che il 76enne conservazionista era appena ritornato. Stava lavorando alla stesura del suo rapporto e di quello che aveva scoperto, quando è stato ucciso.

Arrivato in Kenya negli anni '70 con la moglie, Esmond si è raccontato a lungo nel corso di un' intervista dello scorso ottobre al magazine Nomad, il settimanale dell'Africa orientale, pubblicato da una delle più importanti compagnie di safari al mondo, la Nomad appunto, impegnata da sempre nell'ecosostenibilità e nella lotta al bracconaggio.  "Sono arrivato in Kenya per indagare sul commercio illegale a bordo dei dhow (le tipiche imbarcazioni a vela latina). Fu proprio in quel periodo che io e mia moglie abbiamo scoperto che la maggior parte dei corni di rinoceronte dell'East Africa erano diretti in Yemen. In quei tempi si stava compiendo un vero massacro anche di elefanti. Le mie indagini mi hanno portato a comprendere che non era la Cina a utilizzarli per motivi afrodisiaci, ma lo Yemen. Se vuoi capire il mercato, la prima cosa da individuare è capire dov'è il mercato e combatterlo". E a proposito del Myanmar, su cui stava indagando negli ultimi mesi, ebbe a dire: "La Cina usa l'avorio per tazze e gioielleria e lo compra in Vietnam e Myanmar".

"Esmond era un'autorità mondiale sul traffico di avorio e corni di rinoceronte", ha scritto su Twitter Paula Kahumbu, ecologa kenyana esperta di elefanti e Ceo di Wildlife Direct, ricordando che Martin era "in prima linea per portare allo scoperto il traffico di avorio negli Usa, in Congo, Nigeria, Angola, Cina, Hong Kong, Vietnam, Laos e più di recente in Myanmar".


Il conservazionismo ha perso in poco tempo due grandi combattenti, reduci da notevoli successi nel campo del traffico illegale dell'avorio. Bradley Martin era riuscito a contribuire a spingere la Cina a vietare il commercio del corno di rinoceronte neglli anni '90, e le vendite di avorio, il cui bando è entrato in vigore proprio quest'anno con la chiusura dell'ultimo laboratorio e la messa al bando della sua lavorazione. Wayne Lotter invece, con il suo capillare lavoro d'intelligence, aveva messo in ginocchio i mandanti del commercio illegale d'avorio, contribuendo all'arresto di 2000 bracconieri e trafficanti, compresa la "regina dell'avorio", la cinese Yang Feng Glan e a far finalmente risalire il numero degli elefanti presenti in tutto il territorio.

11 febbraio 2018

Io, monsignor Angelini e l'Africa nera


ANSA
Era il 1976, e il Kenya era una specie di proprietà privata del presidente Mzee Jomo Kenyatta e della terza moglie Mama Ngina, una delle "regine dell'avorio". Nei parchi circolavano ancora parecchi cacciatori bianchi col cappellaccio alla Hemigway, che facevano liberamente strage di ogni specie di animali. E il mitico treno Mombasa-Nairobi impiegava un giorno per percorrere 500 chilometri, ma alla stazione venivi accolto col tappeto rosso e un leggìo su cui erano scritti a mano i nomi dei passeggeri, il numero della carrozza e della cabina in cui avrebbero alloggiato in un viaggio che al mattino prevedeva ben tre colazioni: prima, durante e dopo l'alba.
Fu in quell'estate, seguendo la migrazione circolare di milioni di Gnu che si muovevano dal Kenya all'Uganda alla Tanzania, inseguendo l'erba che le grandi piogge facevano crescere davanti ai loro occhi, la stessa estate in cui Idi Amin Dada col cervello bruciato dalla sifilide si divertiva a sparare con la contraerea ai jet di linea della East African Airways dal terrazzo del palazzo presidenziale di Entebbe, che incontrai Fiorenzo Angelini. Allora solo vescovo, ma già eminenza grigia della sanità cattolica con le mani in pasta in cinque ospedali di Roma, quattrocento immobili e ottomila ettari di tenute agricole intorno alla capitale. Il Giulio Andreotti del Vaticano, di cui era amico fraterno.
Lo incontrai a Kisima o Baragoi, non ricordo bene. Comunque, sulla strada (si fa per dire) che conduceva a Loiyangalani, sulle sponde del Lago Rodolfo. Sbucò tra le bouganville di un lodge con una camicia, un paio di bermuda color kaki e una cinepresa in mano. Fate conto Alberto Sordi in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa. Preciso. E dopo essersi presentato, chiese due informazioni: dove convenisse fare un buon cambio al mercato nero e se l'avorio di contrabbando a trentamila lire al chilo fosse un prezzo accettabile. Sembrava uno scherzo.
Nel pomeriggio di quel giorno, incontrai un missionario italiano che viveva lì da dieci anni e lo trovai coi capelli dritti in testa, sconvolto. Mi raccontò che il monsignore gli aveva chiesto di battezzare un bambino nero, così, per fare un filmino ricordo insieme ai suoi amici. Allargando le braccia, il missionario gli aveva detto che non c'erano bambini da battezzare. Ma lui non aveva fratto una piega: Embé? Ne ribattezziamo uno già battezzato, magari ci diventa santo.
Fui invitato alla cerimonia, ma declinai. Volevo raggiungere Loiyangalani prima del tramonto. Anche lì incontrai un missionario. Aveva organizzato una specie di trattoria sotto un capannone dove il piatto forte del menu erano le chicken balls, le polpette di pollo. Ordinai e mi arrivò una scodella di mezze maniche al ragù. Ottime, a quella latitudine. Così lo ringraziai e gli anticipai che forse il giorno dopo avrebbe visto arrivare il monsignore con la truppa dei suoi amici armati di cinepresa. Lui si rabbuiò, indicò l'unico tronco d'albero che si stagliava contro il cielo sopra una decina di capanne di indigeni turkana fatte di fango e sterco e sentenziò: Se si presenta, lo attacco a quell'albero. Il fatto era che dopo una pressante richiesta di vestiti usati da distribuire alla gente del lago, il monsignore gli aveva fatto recapitare due scatoloni di guanti da neve e giacche a vento. Utilissimi, a quaranta gradi all'ombra che non c'era.
Questo ricordo di Fiorenzo Angelini, cardinale di Santa Romana Chiesa. E adesso posso raccontare che il monsignore che ho scritto e Ivo Garrani ha interpretato in Nel continente Nero di Marco Risi era proprio lui. Né più, né meno. Anzi, a quel tempo molto meno del potente cardinale che poi sarebbe apparso ne Il Divo di Paolo Sorrentino, a braccetto con quel Franco Evangelisti passato alla storia per quel "A fra', che te serve?", sintesi suprema dei vizi e inciuci della nostra Prima Repubblica. Ora leggo che papa Bergoglio in persona andrà a benedire la sua salma. E mi sembra giusto. Come ha detto Andrea Agnelli a proposito di Luciano Moggi (op.cit.): "Rappresenta comunque una parte importante della nostra storia. Siamo il Paese del cattolicesimo e del perdono. Lo possiamo anche perdonare". Ma sì, "Un sigaro e una medaglia non si negano a nessuno" (Winston Churchill).
Andrea Purgatori