Seconda parte, la prima parte può essere letta qui.
Reportage di Gennaro Carotenuto e Chiara Calzolaio da Ciudad Juárez
MODERNITÀ Juárez è enorme. Lo spazio urbanizzato verso il deserto non ha limiti. Le grandi strade sono percorse da decine di pattuglie dell’esercito e della polizia federale. In mimetica vanno i militari, in nero la polizia federale, entrambi in passamontagna e armati fino ai denti. I posti di blocco asfissianti rallentano il traffico in una città dove il desiderio di normalità si scontra con la realtà. Non erano passate due ore dal mio arrivo in città quando sono stato fatto scendere dall’auto per una perquisizione corporale circondato di militari armati.
La maggior parte delle automobili private non ha targa e chi è a bordo è nascosto da vetri polarizzati. Dopo la perquisizione percorriamo la città su vecchi autobus statunitensi acquistati per terminare le loro vite qui. Le facce dei passeggeri sintetizzano quelle di tutti i popoli indigeni messicani venuti a cercare fortuna qui. A volte vi si possono scorgere anche quelle di etnie del Nord America, gli indiani dei western, così simili ai gruppi indigeni del nord del Messico e oltre frontiera costretti nelle riserve.