21 settembre 2020

La Svezia vince il “Grande Slam” COVID-19: nessun isolamento, bassi tassi di mortalità e pochissimi danni economici


Forse il più grande esempio di pregiudizi intrinseci dei media occidentali circa l’approccio svedese nella gestione del COVID-19. Molti media hanno criticato il “disastroso” tasso di mortalità del paese rispetto ai suoi vicini che applicavano le politiche di isolamento, ma non hanno considerato il contesto necessario per capire che la differenza era solo di un paio di migliaia di morti e che il tasso di mortalità della Svezia era ancora più basso di quello della Gran Bretagna e di altri paesi che favorivano l’isolamento.
Quando Anders Tegnell (nella foto), artefice della strategia  svedese, durante un‘intervista ha detto che avrebbe fatto le cose “diversamente” se gli fosse stata data una seconda possibilità, la stampa occidentale, compreso il NYT, si è affrettata a inquadrarla come un’ammissione di colpa per non aver disposto le restrizioni applicate in altri paesi europei. Tegnell ha poi chiarito che questo non è affatto ciò che intendeva.
Oltretutto, in Svezia i decessi sono scesi quasi a zero. E poiché l’economia del Paese è rimasta sempre attiva, il rischio di una ricomparsa è minimo quando le poche restrizioni ancora in vigore saranno finalmente abolite.

In un articolo pubblicato giovedì, Allister Heath del Telegraph ha sostenuto che il successo della Svezia nella lotta contro il virus, minimizzando al contempo i danni economici, dimostra la profonda incompetenza delle istituzioni mediche britanniche, i cui esperti hanno fornito i consigli seguiti assiduamente dal premier Johnson.

Di seguito un estratto dell’articolo (per gentile concessione del Telegraph):
Quindi ora sappiamo: la Svezia ha avuto in gran parte ragione, e l’establishment britannico si è sbagliato clamorosamente. Anders Tegnell, autorevole epidemiologo di Stoccolma, ha ottenuto un eccezionale triplice risultato: molti meno morti in rapporto alla popolazione rispetto alla Gran Bretagna, il mantenimento delle libertà essenziali e delle opportunità, compresa la scolarizzazione e, cosa ancora più sorprendente, una recessione inferiore alla metà rispetto alla nostra.
I nostri arroganti quangocrati (*) e i nostri “esperti” statali dovrebbero vergognarsi: la loro reazione al coronavirus è stata uno dei più grandi errori di politica pubblica della storia moderna, più grave persino dell’Iraq, dell’Afghanistan, della crisi finanziaria, di Suez o del fiasco dell’ERM. Milioni di persone perderanno il lavoro alla fine del periodo di fermo; decine di migliaia di piccole imprese stanno fallendo; la scuola è nel caos, con punteggi di livello A ovunque; un gran numero di persone rischia di morire per malattie non curate o non diagnosticate; e abbiamo visto il primo esodo di stranieri da anni, con un sondaggio di mercato del lavoro che suggerisce un calo delle nascite nel Regno Unito.
Le pandemie comportano sempre grandi costi economici e sociali, sia per motivi di altruismo che di interesse personale. L’unico modo per contenere la diffusione di una malattia mortale e contagiosa, in assenza di una cura o di un vaccino, è la distanza sociale; la paura e il panico si manifestano inevitabilmente, mentre la gente cerca disperatamente di evitare di contrarre il virus. Una recessione “volontaria” è quasi garantita.
Ma se un calo del PIL è inevitabile, i governi possono influenzarne le dimensioni e la portata. I politici possono reagire a una pandemia in uno dei tre modi possibili. Possono non fare nulla e permettere che la malattia si propaghi fino a raggiungere l’immunità del gregge. Giustamente nessun governo ha perseguito questa politica per paura di morti di massa e di un totale collasso socio-economico.
Il secondo approccio prevede l’imposizione di restrizioni proporzionate per facilitare il distanziamento sociale, vietando alcuni tipi di raduni e incoraggiando e informando il pubblico. Gli svedesi hanno adottato una versione di questa strategia centrista: c’è stata una certa costrizione, ma anche un’attenzione al mantenimento di una vita normale e all’apertura delle scuole. Il virus è stato preso molto sul serio, ma non c’è stato un isolamento formale. Tegnell è uno dei pochi veri eroi di questa crisi: ha trovato il giusto compromesso.
La terza opzione è l’approccio pienamente statalista, che impone un blocco giuridicamente vincolante e chiude la società. Un tale approccio può essere giustificato in determinate circostanze: in caso di vaccino imminente o per alcuni tipi di virus, per esempio se si tratta di un virus che colpisce i bambini e ha un tasso di mortalità molto alto, ma le ultime statistiche economiche e di mortalità suggeriscono che non è stato così per il Covid-19.
Quasi tutti gli economisti ritenevano che l’economia svedese avrebbe sofferto enormemente per la strategia idiosincratica adottata della Svezia. Si sbagliavano. Il PIL della Svezia è sceso solo dell’8,6% nella prima metà dell’anno, tutto nel secondo trimestre, e il numero di morti è salito del 24%. Gran parte della recessione svedese è stata causata dal crollo della domanda di esportazioni da parte dei paesi vicini, completamente chiusi. Si potrebbe ipotizzare che se tutti i paesi avessero perseguito una strategia di tipo svedese, il crollo economico non avrebbe superato il 3-4 per cento del PIL. Ciò potrebbe essere considerato come il prezzo più alto da pagare per il virus in presenza di una risposta politica sensata.
Al contrario, l’economia britannica è crollata del 22,2 per cento nel primo semestre dell’anno, una situazione quasi tre volte peggiore di quella della Svezia, e le morti in eccesso sono salite del 45%. Il reddito nazionale della Spagna è calato ancora di più, 22,7%, quello della Francia 18,9% e quello dell’Italia 17,1% un po’ meno rispetto agli altri, ma tutti e tre hanno anche avuto un numero di morti di gran lunga superiore a quello della Svezia. Gli svedesi non sono riusciti ad impedire al virus di diffondersi nelle case di cura, quindi se quel grave errore fosse stato evitato, il loro tasso di mortalità avrebbe potuto essere ancora molto più basso.
(*)  Un membro di una “quango” visto come detentore di eccessivo potere o influenza o con autorità non elettiva.
Scelto e tradotto da Arrigo de Angeli e Cinthia Nardelli per ComeDonChisciotte
comedonchisciotte.org

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