Quel che è venuto alla luce in varie parti del mondo a partire dal 2002 ha determinato una serie di scosse telluriche in tante diocesi e conferenze episcopali. La necessitàdi una conversione profonda e di un cambiamento di rotta. Il summit in Vaticano dal 21 al 24 febbraio.
Abusi su bambini e ragazzi da parte di preti e religiosi. Abusi a centinaia, a migliaia. Praticamente sempre coperti, insabbiati, non denunciati. Permettendo così all’abusatore di continuare a delinquere. «L’11 settembre della Chiesa» l’ha definito chi certo non può essere considerato un catastrofista: l’arcivescovo Georg Gänswein, già segretario di Benedetto XVI. Lo scandalo della pedofilia paragonato al grande attacco terroristico del 2001 agli Stati Uniti. In altri termini, un evento spartiacque, dopo il quale nulla potrà essere come prima. Esagerato?
Nella prospettiva di un comune fedele italiano, forse sì. Quel che è venuto alla luce dal 2002, con l’inchiesta del quotidiano «Boston Globe» (raccontata nel film Spotlight, vincitore dell’Oscar), in poi ha determinato una serie di scosse telluriche in molte diocesi e conferenze episcopali. Ha abbattuto vescovi, arcivescovi e cardinali; ha mandato in bancarotta Chiese locali; Usa, Belgio, Austria, Australia, Irlanda, Cile… immaginate – è un incubo che non si concretizzerà, ma utile per provare a comprendere lo sconcerto di una comunità ecclesiale – che tutti i vescovi italiani vengano rimossi, com’è accaduto di recente in Cile, per il loro silenzio sui casi di pedofilia, coperti, insabbiati, silenziati. Una tragedia. Che non riguarda solo né principalmente i singoli protagonisti, ma la credibilità della Chiesa. Il suo annuncio. Il Vangelo.
Come uscire dall’11 settembre ecclesiale? Nessuna guerra, se non interiore alla ricerca del male da estirpare. Ma una conversione sì. Un esercizio di sincerità – persino «spietato» – sì. E la ricerca di un cambiamento di rotta. Perché alla diagnosi deve sempre seguire la terapia. E questa che colpisce la Chiesa non è una banale febbriciattola.
Per questo motivo nell’agosto scorso papa Francesco ha scritto una «Lettera al popolo di Dio» (a tutti i battezzati, nessuno escluso, perché un peccato grave di alcuni membri riguarda l’intero corpo e nessuno può chiamarsi fuori) e ha convocato dal 21 al 24 febbraio in Vaticano un summit, a cui parteciperanno i presidenti delle Conferenze episcopali nazionali e i capi dei dicasteri.
«La prima regola per guarire è accettare di essere malati». E la malattia che esplode oggi ha origini antiche. La prima denuncia formale risale addirittura al 1051 a opera di Pier Damiani. Senza conseguenze. I Papi dell’epoca, come Gregorio VII, intervengono per arginare la corruzione del clero, ma ignorano la pedofilia. Emblematica ma tristissima è la vicenda di Giuseppe Calasanzio, fondatore degli Scolopi. La Controriforma è fatta di ombre e luci. Calasanzio è una luce che forze oscure tentano di spegnere. Venuto a sapere senza ombra di dubbio che un suo confratello, Giuseppe Cherubini, abusa degli alunni («orchi in tonaca e saio»), lo rimuove. Ma Cherubini gode di potenti protezioni in Vaticano. Calasanzio viene a sua volta inquisito e imprigionato. Basta poco, a quel tempo, anche solo la frequentazione di Galileo… Chi prende il suo posto a capo degli Scolopi? Cherubini, l’orco. Calasanzio sarà riabilitato e canonizzato. Ma l’episodio rimane.
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