21 luglio 2019
Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 21 lug 2019
Beppe Scienza: banche fallite - Inps - oro
Rimborsi per le banche "fallite"
Criticabile poi la nuova normativa, che privilegia fortemente chi l'anno scorso aveva un reddito complessivo sotto i 35.000 euro oppure (!) un patrimonio mobiliare sotto i 100.000. Si veda «Risparmiatori truffati, i nuovi rimborsi non piacciono a tutti» sul Fatto Quotidiano del 13-5-2019.
Inps: svantaggi e rischi inventati
Analogamente lanciano allarmi infondati sul c.d. fondo di tesoreria dell'Inps, per fare paura ai lavoratori, sempre per mettere le mani sul loro TFR. Vedi «Il TRF in pancia all'INPS, non c'è nessun rischio per i lavoratori» sul Fatto Quotidiano del 24-6-2019.
Puntare sull'oro (o sulle Borse) a costi minimi
La cosa richiede una qualche dimestichezza con la materia finanziaria. Per altro permette analogamente di puntare sulla Borsa Italiana, su Wall Street, sull'Eurostoxx 50 ecc. con costi minori che con gli Etf.
Infine una notizia fuori tema. Olimpiade 2026: erano scappati tutti, salvo Svezia e Italia. L'assegnazione delle olimpiadi invernali è un gioco dove vince chi perde. Lo spiega Der Spiegel scrivendo fra l'altro: "In ogni caso le stime in particolare degli italiani continuano a essere rudimentali e cariche di grossi rischi".
Beppe Scienza
Dipartimento di Matematica
Università di Torino
via Carlo Alberto 10
10123 Torino
www.beppescienza.it
www.ilrisparmiotradito.it
19 luglio 2019
PROCURA DI ROMA / PERCHE’ CONTINUA IL SILENZIO SUL DEPISTAGGIO ALPI – HROVATIN?
Misteri di casa nostra, è buio profondo. Un buio che acquista sempre più il sapore di tragica beffa per le vittime, per i familiari, per i cittadini e per quel senso di giustizia ogni volta di più oltraggiato e calpestato.
Ed oggi, dopo le vergognose storie targate CSM e dintorni, quella luce diventa ancora più sinistra. E si fa strada una chiave di lettura che odora ancora più di depistaggi di Stato, di manovre decise a tavolino, di aggiustamenti e insabbiamenti, come del resto documentano oggi le notizie di inchieste e processi “manovrati”, “ritardati”, “dimenticati” e chi più ne ha più ne metta nel vocabolario di errori, orrori & omissioni d’ogni genere.
Partiamo, in questa ricognizione, proprio da Roma, lo storico porto delle nebbie che pare proprio rimasto tale, nonostante le “glasnost” sbandierate dai media del gruppo Espresso sulla radiosa era Pignatone. Ed ora siamo alle prese con le bagarre orchestrate dalla Palamara band.
QUEL PORTO RIMASTO SEMPRE NELLE NEBBIE
La storia più vergognosa riguarda il caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sul quale la Voce ha scritto decine di inchieste. La vicenda del più clamoroso depistaggio di Stato, per la prima volta “certificato” addirittura da una sentenza pronunciata dal tribunale di Perugia e di cui però quello di Roma se ne fotte altamente. Un caso più unico che raro nelle storie non certo di malagiustizia, di cui è quotidianamente lastricato il nostro povero Paese, ma di giustizia massacrata, fatta a pezzi, nel più totale disinteresse generale e soprattutto delle forze politiche e delle istituzioni.
Perché sul caso Alpi-Hrovatin nessun partito ha pronunciato una sillaba? Tutti collusi, coperti e conniventi? E come mai il capo dello Stato, l’imbalsamato Sergio Mattarella, che ogni tanto parla di giustizia lenta, non sente il dovere morale e civile di pronunciare una parola, anche una sola, su questa tragica vergogna di Stato?
Partiamo dalle ultime notizie che “non arrivano” per ricostruire per sommi capi il giallo di Mogadiscio.
Siamo da mesi in attesa dell’ultima parola che verrà pronunciata dal gip incaricato del tribunale di Roma, il quale è chiamato a rispondere alla (ennesima) richiesta di archiviazione firmata dal pm Elisabetta Ceniccola e controfirmata dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone.
In seguito alla clamorosa sentenza di Perugia che ha scagionato, dopo 16 anni di inferno e di galera, il somalo ingiustamente accusato e condannato, gli avvocati della famiglia Alpi hanno immediatamente chiesto di far luce sul caso, ora molto meno misterioso visto che nella stessa sentenza perugina vengono ricostruiti per filo e per segno non solo tutti i dettagli della tragedia, ma soprattutto i successivi, incredibili sviluppi.
Da brividi, in particolare, le fasi del taroccamento del super pentito Gelle, costruito letteralmente a tavolino. Proprio come è successo nell’altro maxi depistaggio di Stato, quello per il processo Borsellino, dove il teste fasullo Vincenzo Scarantino è stato fabbricato dagli stessi inquirenti: poliziotti e, di tutta evidenza, magistrati.
Gelle – documenta passo passo la sentenza di Perugia – fu sentito dal pm, ma non testimoniò mai in aula. Perché venne “protetto” dalla stessa polizia, fatto lavorare per alcuni mesi in un’officina meccanica romana dove veniva accompagnato la mattina e prelevato la sera, quindi fatto fuggire comodamente prima in Germania e poi in Inghilterra.
Dove nessuno l’ha mai cercato. Intanto – Gelle assente in aula – veniva pronunciata la prima condanna a carico del giovane somalo, poi confermata in appello e in Cassazione.
TRA DEPISTAGGI & ARCHIVIAZIONI
Se non fosse stato per la tenacia di Chiara Cazzaniga, inviata di Chi l’ha visto, che dopo alcune ricerche ha facilmente trovato Gelle a Londra, tutto sarebbe morto e sepolto. E invece la giornalista l’ha intervistato e si è fatta raccontare tutto il taroccamento momento per momento.
La testimonianza di Gelle è la chiave per ribaltare a Perugia la sentenza di condanna a carico del giovane somalo. A questo punto la procura di Roma non ha altro da fare che riprendere quel filone, portarlo avanti, e andare a processo: proprio perché nella sentenza di Perugia ci sono nomi, cognomi e piste che più chiare non si può su killer e mandanti del duplice omicidio di Mogadiscio.
Ma c’è di più. Nel frattempo la procura di Firenze viene a conoscenza di conversazioni telefoniche tra somali, risalenti al 2012, in cui si parla anche del caso Alpi. Una pista su cui Firenze lavora, poi smista tutto a Roma. Solo che il fascicolo, per arrivare alla capitale, ci impiega circa quattro anni. Come mai? Per le nebbie incontrate lungo il percorso? Misteri nei misteri.
Fatto sta che il pm Ceniccola ha la strada spianata per procedere, sulla scorta della sentenza perugina, appunto, e degli elementi arrivati, se pur in clamoroso ritardo, da Firenze.
Ma Ceniccola se ne frega. In poche pagine smonta pezzo pezzo le richieste dei legali della famiglia Alpi, appallottola la sentenza di Perugia, prende a calci i materiali fiorentini. E chiede l’archiviazione, controfirmata da Pignatone.
La richiesta viene esaminata dal gip Andrea Fanelli che la respinge. Ceniccola è un pezzo duro, non demorde e torna per la seconda volta alla carica ad inizio anno, ri-chiedendo l’archiviazione. Anche stavolta, of course, Pignatone controfirma, sarà uno degli ultimi atti della sua gestione. Ora si è in attesa del secondo gip chiamato a pronunciarsi.
Vengono alla memoria le parole pronunciate dalla madre di Ilaria, Luciana Riccardi, morta circa un anno fa dopo aver atteso invano giustizia, l’unico scopo che le rimaneva: ‘ricordo quando il procuratore Pignatone mi ha ricevuta a Roma dopo Perugia. E mi disse: beh, signora, adesso chi vuole che le faccia interrogare?’”.
E I GIALLI ORLANDI E PASOLINI
Da un eterno giallo all’altro eccoci ad Emanuela Orlandi. Stavolta il Vaticano apre due vecchie tombe in cui potrebbe spuntare qualcosa.
Ma sorge spontanea la domanda: come mai in tutti questi anni la procura capitolina è stata con le mani in mano? Soprattutto dopo i documenti top secret venuti alla luce circa un anno e mezzo fa e custoditi per anni nella super cassaforte vaticana. In quelle carte c’erano le tracce della permanenza, a metà anni ’90, di Emanuela in una casa di suore a Londra: perché il Vaticano allora ha coperto e non ha rivelato il soggiorno londinese di Emanuela, né tantomeno ha ritenuto opportuno rimpatriarla? Perchè la procura non ha mai bussato alle stanze vaticane?
E poi l’altro giallo sull’omicidio di Pierpaolo Pasolini. Due anni fa i legali del grande regista scoprono tracce di un altro Dna sulla scena del crimine, oltre a quello di Pino Pelosi, guarda caso morto proprio nei mesi della riapertura del caso. Ma in questi due anni il pm Francesco Minisci, incaricato delle indagini, a quanto pare non ha mosso un dito, troppo preso dagli impegni all’Associazione Nazionale Magistrati. E quindi quella pista che porta al delitto di Stato e individua nel bollente “Petrolio” (l’ultima grande opera) il movente, va a farsi benedire. Almeno per ora.
Giustizia, per l’ennesima volta, calpestata.
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Ilaria Alpi Miran Hrovatin,
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18 luglio 2019
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17 luglio 2019
Tesla e le altre: start up che crescono
"Siamo sulla buona strada per stabilire il record di vendite, ma la vetta è raggiungibile solo se ci focalizziamo tutti sull'obiettivo", le parole di Elon Musk, numero uno di Tesla, scritte in un'email inviata in questi giorni ai dipendenti, puntano a riunire il team in un momento importante per la storia dell'azienda: la ex start up americana di auto elettriche - ora industria vera e propria - vuole consegnare per la prima volta circa 100mila vetture nel secondo trimestre che sta per concludersi.
Nonostante gli analisti l’abbiano data per morta numerose volte e il titolo abbia perso il 36,8% in Borsa nei primi sei mesi del 2019, Tesla oggi da lavoro a 45mila persone e vale all'indice telematico circa 40 miliardi di dollari.
Passare da start up a colosso industriale non è un passo di poco conto: secondo i dati del Global Entrepreneurship Monitor - l’istituto che studia i fenomeni imprenditoriali a livello mondiale - l'80% delle nuove società emergenti è infatti destinato a chiudere nei primi due anni di vita.
I robot di Mountain View
Il successo di idee nuove non è garantito nemmeno quando al centro c’è la questione mobilità. In molti ci hanno provato, solo qualcuno ci è riuscito. Il denominatore comune è l’incertezza del futuro. Waymo ne è un esempio: la società americana dedicata allo sviluppo di software per la guida autonoma ha iniziato la sua attività nel 2009 come azienda dipendente da Google.
L’idea sembrava folle: sviluppare un programma da poter installare su qualsiasi vettura per renderla completamente autonoma. In un capannone segreto del quartier generale secreto di Google a Mountain View, 15 ingegneri guidati da Sergey Brin, creano i primi algoritmi che cambieranno il futuro della mobilità.
Primi test su strada
I primi risultati concreti del progetto Waymo si vedono nel 2010: alcuni Stati americani esprimono preoccupazione, mancano infatti normative adeguate per far viaggiare, anche in via sperimentale, auto senza conducente sulle strade pubbliche. Pioniere negli Usa è il Nevada che nel 2011 approva una legge ad hoc. Dopo circa un anno una Toyota Prius modificata con la tecnologia driverless di Google può circolare nei dintorni di Las Vegas.
Oggi Waymo è una società indipendente da Google e ha partnership per la realizzazione di auto-robot con molti gruppi automobilistici, tra cui Fca, Renault-Nissan e Jaguar Land Rover. Rimane da chiedersi se in futuro i costruttori di vetture riusciranno a mantenere una propria indipendenzaoppure se, nel lungo periodo, verranno inglobati da altri operatori, diventando semplicemente fornitori di box di lamiera “farciti” di software per poter essere venduti.
16 luglio 2019
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15 luglio 2019
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