SULMONA. E' ancora buio fitto sulle regioni che avrebbero portato l'ex generale Guido Conti a togliersi la vita. Ad una settimana dalla morte sono ancora tanti i lati oscuri sulle ultime ore dell'ex capo della Forestale di Pescara che con le sue indagini scoperchiò la discarica più grande d'Europa, ovvero quella di Bussi. Secondo quanto ricostruisce il giornale di Sulmona Il Germe, Conti la mattina del suicidio prelevò dei soldi al bancomat della Banca nazionale del lavoro di Sulmona in via De Nino. L’importo non è stato reso noto ma pare che la cifra non sia stata trovata nelle sue tasche. Dove sono finiti quei soldi? Ha acquistato qualcosa? Li ha affidati a qualcuno? E gli inquirenti non hanno trovato nel suo portafogli nemmeno il bancomat che, infatti, è stato ritirato dalla macchinetta dove ha prelevato perché Conti ha fatto scadere i 30 secondi di tempo a disposizione per ritirarlo. Un gesto che, sommando tutto quello che è avvenuto in quelle ore, sembra fatto di proposito. E’ sparito anche il suo cellulare che non è stato ancora ritrovato. L’ultimo accesso a WhatsApp è fermo alle 9.52, ovvero negli stessi minuti in cui è uscito di casa annunciando che sarebbe tornato per ora di pranzo. Anomala anche la scelta, operata il giorno precedente al suicidio, di far cancellare dalla memoria del computer tutti i files. Quando è arrivato nel negozio di elettronica dove andava sempre Conti ha chiesto che le informazioni fossero sovrascritte proprio per impedirne qualsiasi recupero. Inoltre già ai primi di novembre chiese ad alcuni conoscenti se fosse possibile intercettare le conversazioni di WhatsApp. Perché? |
28 novembre 2017
Suicidio Conti, un prelievo al bancomat prima di uccidersi
Mangiafuoco: Emanuela Orlandi. Quarta puntata.
Condotto da: Angela Mariella, Sandrone Dazieri e Camilla Baresani. Regia di Luca Raimondo. In redazione: Mimmi Micocci, Maria Cristina Cusumano, Laura Nerozzi e Cristiana Affaitati. A cura di: Angela Mariella.
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Quarta puntata. Mangiafuoco del 19 ottobre 2017
Quella che vi stiamo raccontando è una brutta storia e vi confesso che da quando siamo entrati nella caverna di Mangiafuoco, mai viaggio mi è stato più crudele e adesso, se avrete il cuore continuare a leggere, toccheremo veramente il fondo. Perché il mistero di è diventato sempre più difficile da raccontare, perché quello che vi stiamo raccontando non è un mistero qualunque. La protagonista, suo malgrado, è una ragazzina di 15 anni che nel 1983, quando tutto ebbe inizio, aveva tutta la vita davanti. E’ bella, simpatica, felice. Felice come lo siamo stati tutti a quell’età, in cui niente ti fa paura perché tutto deve ancora succedere e ad Emanuela non sa proprio quello che le sta per succedere, il 22 giugno del 1983. Nella sua vita non c’è un fidanzato consumato dalla gelosia, non c’è una rivale mangiata dall’invidia, non c’è rabbia in questa storia, non c’è disperazione, non c’è ossessione, non c’è alcun sentimento fuori controllo. No, in questa storia tutto, ma proprio tutto, è sotto controllo. Un controllo strettissimo, mantenuto con lucidità e pazienza e infatti, dopo 35 anni, per la verità non ci sono ancora spiragli e l’unico sentimento che trova spazio in questa storia, è il dolore di una famiglia che ha perso il suo frutto più bello e ancora non sa perché. O meglio, di perché in questa storia ce ne sono fin troppi. L’ultimo è arrivato qualche settimana fa. Vero o falso? Cos’è quel dossier su Emanuela Orlandi? Domanda che pesa su un documento che, tra voci e spese per vitto alloggio in un pensionato a Londra, cure mediche e infine il rientro della salma in Vaticano nel 97, racconterebbe, il condizionale è obbligatorio, una inquietante e inedita versione della storia di quella ragazza scomparsa nel nulla 34 anni fa. Ma guardiamo questo documento su Emanuela Orlandi pubblicato dal quotidiano La Repubblica grazie al giornalista Emiliano Fittipaldi. Sono poche pagine e si leggono in fretta, lasciandoti addosso la sensazione di vuoto, come addentare un pollo di gomma. In questo elenco di spese per gestire il caso Orlandinon ci sono firme, timbri, pezze d’appoggio, numeri di conti correnti, fatture e ricevute, (posto che il Vaticano si usano non ne ho la minima idea), però racconta la storia della Orlandi attraverso un’altra visuale, quella dei soldi. Come diceva il giudice Falconebisogna sempre seguire i piccioli per trovare la verità, sempre che ne esista una sola. La storia del giornalismo in fondo è la storia delle patacche. Così, a memoria, ricordo finti diari di Mussolini, il mercurio rosso, l’autismo procurato dai vaccini, le armi batteriologiche, l’intercettazione del governatore Crocetta, ma sicuramente voi ne avete in mente altri che ho rimosso. Di fronte una patacca ben confezionata, spesso ci caschiamo, perché ci racconta quello che già crediamo di sapere e mette in bella le nostre idee, ci tranquillizza e i giornalisti si preoccupano sempre meno delle smentite e sempre di più di arrivare in tempo a uno scoop prima degli altri.
“L’importanza di questo documento, il motivo per cui il sottoscritto,ma anche Il Corriere della Sera, che ha fatto lo scoop prima di me ,in realtà lo ha pubblicato,è perché è un documento interno,che viene dall’ interno del Vaticano. Questo documento quindi, di cui non conosciamo l’origine, ma è chiaramente un apocrifo, è fatto molto bene .Ha una serie di messaggi in codice, che a mio modesto parere, manda probabilmente per ricattare, per minacciare pezzi della gerarchia probabilmente vicino al mondo di Wojtyla ,che conosce forse meglio quella storia”.
Illazioni. Nient’altro che illazioni, questo è tutto quello che possiamo fare se leggiamo il documento diffuso dal giornalista Emiliano Fittipaldi. Si tratta di una lettera di cinque pagine datata marzo 1998, cioè 15 anni dopo il rapimento di Emanuela Orlandi. E’ indirizzata dal Cardinale Lorenzo Antonetti, Capo dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, al cardinale Giovanni Battista Re, allora Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato Vaticana e a Jean Louis Tauran, a capo della Sezione Pontificia Rapporti con gli Stati. La lettera intitolata “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi, Roma 14 gennaio 68 “ cioè la sua data di nascita. Alla lettera avrebbero dovuto essere allegate circa duecento pagine con fatture e ricevute, che però non sono state consegnate a Fittipaldi. La prima cosa che viene in mente, dopo aver scorso la fotografia scurita di questa lettera, sembrerebbe la copia di un fax, uno di quelli impressi su rotolo di carta chimica, una lettera composta con caratteri che sembrano non di un programma per computer, bensì scritti con una più arcaica macchina da scrivere, è che si tratti dell’ennesimo depistaggio e macchinazione. Ormai la storia dei 34 anni inutilmente trascorsi dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, ci ha abituato a non credere più a nulla.
“Secondo me è stato sbagliato il modo di farlo uscire. Io sapevo dell’esistenza di questi fogli e del contenuto e di quello che c’era scritto,ma non li avevo mai visti .Quando sono uscite quelle di Fittipaldi, quelli che ha fatto uscire Fittipaldi,ho avuto conferma di quello che mi era stato detto circa un anno prima.Io non sapevo che li stava cercando anche lui. Io devo dire che c’è stata troppo fretta da parte dei media o dei giornalisti,da parte del Vaticano di dire subito è un falso, è ridicolo, è una bufala , eccetera eccetera. Secondo me ha un valore, io non so se sia originale nel senso scritto effettivamente dal cardinale Antonetti all’epoca, oppure sia stato fatto più di recente, però sicuramente non è un documento scritto tanto per scriverlo, falso e messo là dentro. Ci sono delle parti di verità, secondo me, là dentro. C’è qualcosa d’importante e io non riuscirei ad escluderlo e gettarlo nel cestino come falso e basta. Se stava là c’era un motivo secondo me.”
Perplessità legittime a cui Fittipaldi, indirettamente dai microfoni di Zapping su Radio Uno risponde così :
”Questi documenti, sia i Vatileaks il primo di questo da protagonista e altri giornalisti, sia di Vatileaks numero due tutti i documenti ricordo veri, mai smentiti dalla prima all’ultima riga, sono utilizzati ovviamente per guerre interne, guerre tra bande interne. Io penso che anche questo documento apocrifo, che esce adesso e che l’averlo pubblicato smina comunque qualsiasi forma di ricatto possibile, una volta che tu pubblichi una roba del genere, serve come arma di ricatto, arma di minaccia, arma per mandare messaggi, e forse però arma però per dire attenzione noi qualche informazione su questa vicenda così scandalosa noi la conosciamo.”
Minacce, depistaggi, sminamenti, tutte le parole che queste carte fanno venire in mente evocano un’unica immagine: i Corvi sono tornati a volare bassi sul Cupolone.
Se non vivete a Roma, non potete capire quanto la vicenda di Emanuela Orlandi sia inscritta nelle sue mura antiche, anche 34 anni dopo. Non lo capivo nemmeno io prima di trasferirmi vicino Saxa Rubra e scoprire che Roma non è una città, ma una nazione a sé. Grande con la provincia, un quinto della Svizzera e con metà dei suoi abitanti, uniti da un essenza che va oltre la posizione geografica e diventa sangue, costume, lingua. Di questa nazione il Campidoglio è la capitale e le varie zone sono altrettante città che si attraversano superando invisibili frontiere, con regole, abitudini differenti. Con centri di attrazione, piazze quasi sconosciute a chi non è nato da quelle parti. A Roma però, tutti sanno che il cuore, le cui pulsazioni danno il ritmo che tutti percepiamo sottopelle, è nascosto dietro le mura vaticane e la scomparsa di Emanuela Orlandi con il balletto delle maschere delle menzogne, degli americani e dei criminali sepolti in gran segreto, lo ha fatto sanguinare. Quella ferita è ancora aperta, ancora genera dolore e sgomento.
Ma torniamo al nostro documento. Nell’intestazione c’è scritto Sua riverita eccellenza arcivescovo Giovanbattista Re, tenete a mente questo nome è il primo chiodo che mettiamo. Lui è vivo, ha smentito subito tutto e sta per chiamarci, ve lo racconteremo più avanti. Per ora continuiamo a leggere : pc, per conoscenza sua riverita eccellenza arcivescovo Jean-Louis Touran. Re e Touran erano fra i più stretti collaboratori di papa Wojtyla. Segretario di Stato Vaticano in quel tempo era Agostino Casaroli, è un altro chiodo, lui non c’è nell’intestazione, ma lui c’è in questo documento. Anche questo è un quadro che dovremmo attaccare più avanti, ma io continuo a leggere, sono al titolo Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi, c’è anche la data di nascita, Roma 14 gennaio 1968. Chissà, l’hanno messa, forse, per non incorrere in errori di omonimia e infatti Emanuela è nata proprio quel giorno. Se fosse viva Emanuelaoggi sarebbe una donna di quasi 50 anni, ma Emanuela è morta, almeno questo è quello che abbiamo sempre pensato tutti e invece, questo documento, proverebbe il contrario.
La lettera indica che il Vaticano avrebbe investito 483 milioni per tenere nascosta Emanuela tra il 1983 e il 1997. Quattordici anni per finanziare andirivieni preteschi Roma-Londra, inclusi 21 milioni di lire assegnati alla voce attività generale trasferimento presso Stato Città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali. Quattordici anni in cui Emanuela avrebbe vissuto nascosta da preti e suore a Londra, avrebbe partorito un figlio della colpa e infine sarebbe morta e il suo cadavere sarebbe stato rimpatriato in Vaticano, ovviamente in segreto. Illazioni dunque, ma nessuna certezza. Insomma, come nelle peggiori pagine di storia, tutto è vero e niente è vero. Come quella prima spesa che il Vaticano avrebbe dedicato ad Emanuela. Nel documento c’è scritto pagamento di 450 mila lire versati ad una spia presso l’atelier di moda delle sorelle Fontana. Non è vero ma è vero o è vero il contrario? È vero ma non è vero.
La prima voce del documento pubblicato da Fittipaldi riguarda il pagamento di 450 mila lire a una fonte investigativa presso “Atelier di moda sorelle Fontana”. Torniamo allora alle 19:00 del 22 giugno 1983, quando Emanuela, appena terminata la lezione di flauto traverso e subito prima di uscire dalla scuola, chiama da un telefono a gettoni la sorella Federica, allora ventunenne, per riferirle che un uomo le ha proposto di fare propaganda ai cosmetici americani Avon durante una sfilata delle celebri sorelle Fontana a Palazzo Borromini. Le sorelle Fontana, un marchio di moda che ha simboleggiato l’eleganza femminile, prima e dopo gli anni ruggenti della Roma della Dolce Vita contribuendo a renderla chic e internazionale, smentiranno poi, di aver mai autorizzato alcuna dimostrazione di cosmetici durante una propria sfilata.
La prima cosa che salta all’occhio è che le spese sono cominciate nel gennaio del 1983. Visto che Emanuela Orlandi è sparita sei mesi dopo, se il documento fosse vero significa che la ragazza era già sotto osservazione dalle strutture della security Vaticana. Si inizia con un pagamento con “Fonte investigativa presso l’atelier di moda sorelle Fontana di 450 mila lire” poi spiccioli a varie fonti sino ad arrivare a una voce inquietante Spostamento che costa 4 milioni. Da qui saltiamo a Londra dove risultano pagate le rette vitto e alloggio presso il 176 di Chapman Road, un luogo che da Google Maps, sono andato a controllare, risulta un giardinetto con una bici parcheggiata, ma forse ai tempi era altro oppure hanno sbagliato il numero della via. Poi si arriva a pagamenti per cliniche, visite ginecologiche, visite mediche, viaggi di luminari, alti prelati venuti direttamente da Roma.
Mettendo insieme i puntini sembra la pezza di appoggio di una delle teorie sulla scomparsa della Orlandi che si è sussurrata per anni, quella che diceva che all’interno del Vaticano ci si divertisse a fare orge e balletti verdi. Emanuela Orlandi, presa con la forza o ingannata o drogata, sarebbe stata portata ad uno di questi festini rimanendo incinta per lo stupro di un alto prelato. Una volta rimasta incinta sarebbe stata portata a Londra per partorire, dove sarebbe rimasta sino a morte naturale per malattia o altro. Dopo la sua morte, avvenuta, secondo il documento, nel 1997, i servizi segreti Vaticani l’avrebbero riportata indietro. La voce recita attività generale trasferimento presso lo Stato Città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali lire 21 milioni. Pratiche finali, ovvero il trasporto di un cadavere per la sepoltura in Vaticano, almeno questo è quello che ci viene da pensare, insieme al cadavere dell’ex membro della Magliana Enrico De Pedis detto Renatino, anche se quando la tomba è stata aperta, come tutti sapete, c’erano solo le ossa del titolare. Così parliamo noi, ma che cosa ne pensa del documento l’avvocato della famiglia Orlandi, Laura Sgrò?
“E’ un falso, capiamoci, un documento di quella natura non può mai passare per documento originale. Quando io dico che si tratta di un falso bisogna capire se totalmente falso il contenuto o se veicola qualche voce che in qualche modo può essere veritiera. E’ chiaro, è un documento che non ha nessuna caratteristica, sia dalla modalità di scrittura sia […] di contenuti, che nulla a che vedere con la scrittura vaticanese e documenti ufficiali quindi quantomeno non è un documento ufficiale . Bisogna capire se c’è qualcosa che sia in qualche modo ricollegabile al vero. Comunque il grosso interrogativo è anche se fosse un falso perché viene utilizzato il nome di Emanuela Orlandi per veicolare forse qualche ricatto, qualche informazione . Questa è una cosa che credo la famiglia abbia il sacrosanto diritto di sapere ….”
A questo punto della storia, inganniamo le menti. E’ un gioco e dura poco, il tempo di un racconto a metà tra verità e bugie. Dimenticatevi tutto quello che vi abbiamo detto finora e cioè che il documento non è autentico. Proviamo a immaginare cosa sarebbe successo se quel documento fosse un documento vero. Cosa sarebbe stata la vita di Emanuela dal 22 giugno del 1983, se tutto quello scritto in quelle carte, fosse vero?
Secondo Fittipaldi che ha cercato di ricostruire seguendo le indicazioni del documento, le tappe dell’allontanamento di Emanuela da Roma, la ragazza sarebbe stata trasferita tra il 1983 e il 1985 in un ostello al 176 di Chapman Road a Londra. Il Vaticano avrebbe pagato vitto e alloggio per 8 milioni di lire. Con quegli otto milioni, ai tempi, si copriva circa un anno di alloggio. Seguono poi spese febbraio 85 febbraio 88. Vi si trovano ben 18 milioni di lire per il trasferimento e permanenza del commendator Camillo Cibin o Cibìn, presso 6 Ellerdale road. A quell’indirizzo si trovano ancora oggi le suore Marcelline che gestiscono una scuola di inglese per ragazze straniere. Tuttavia secondo l’attuale direttrice suor Giuliana Carrara è improbabile che un uomo abbia dormito nel refettorio, comunque, in tutto, il Vaticano avrebbe pagato 128 milioni di lire. A quei 18 se ne aggiungono altri 20 per anticipo pagamento retta forfettaria. Poiché il documento è quasi sicuramente un falso, possiamo lanciarci nelle illazioni senza tema di dire cose assurde. E’ tutto assurdo nella vicenda di EmanuelaOrlandi. In pratica possiamo pensare che la presunta Emanuela si trovasse male dai padri Scalabriniani e sia stata trasferita dalle Marcelline.
Insomma ci sono conventi, convitti, collegi, rette mensili, rette forfettarie, rette omnicomprensive. Potrebbe sembrare tutto normale, una normale studentessa all’estero se non fosse che è un violento dramma e se non fosse che tutto questo è niente rispetto a quello che stiamo per leggere nelle ultime righe. Tre milioni di lire versati alla clinica Saint Mary Hospital Campus Imperial College London, a Roma avrebbero detto una clinica ginecologica. Il documento allude a complicazioni gestazionali o ginecologiche tra il 1988 e il 1993 sono registrati ben 3 milioni per saldare il conto della clinica St. Mary’s Hospital Campus Imperial College di Londra. Ci sono poi le competenze della ginecologa Lesley Regan. La Regan esiste, è viva, è vera, è laureata a Cambridge e specializzata in gravidanza a rischio e problemi dell’infertilità. Non ricorda di aver mai conosciuto una Emanuela Orlandi, sempre che la presunta Emanuela non usasse uno pseudonimo. Se la donna di cui parla il documento fosse Emanuela, a quel punto sarebbe stata una ventenne viva e vegeta che avrebbe probabilmente partorito un bambino, magari il figlio di un Cardinale assatanato di sesso.
Nel dossier viene tirata in ballo anche la gendarmeria Vaticana. Fino a poco tempo fa le uniche informazioni che avevo, erano che Pierfrancesco Favino ne aveva interpretata una nel film Angeli e Demoni. Adesso ne so di più. Intanto è un corpo civile ma militarmente organizzato. E’ l’unico Corpo di Polizia dello Stato Vaticano e assolve a tutti i compiti di polizia, da quella giudiziaria a quella stradale, di frontiera, doganale tributaria, mortuaria eccetera eccetera. Tramite l’Interpol, collabora con gli uffici di intelligence di tutto il mondo, soprattutto quando il Papa è in viaggio. Dentro il Vaticano, invece, della sicurezza del Pontefice si occupano le guardie svizzere, un’altro corpo molto interessante. Se un cittadino Vaticano commette un reato fuori dei confini se ne occupa la polizia locale, secondo le leggi internazionali, salvo se sia un pubblico ufficiale. In quel caso se ne occupa direttamente il Tribunale Interno e se la persona in questione viene giudicata colpevole può essere rinchiusa nelle camere di sicurezza vaticane, che non sono un vero e proprio carcere, ma funzionano più o meno nello stesso modo. Attualmente le celle di sicurezza sono vuote, almeno è quello che dicono.
In questa storia abbiamo anche messo dei chiodi. A quei chiodi dobbiamo ancora appendere dei quadri. Il primo, ha la faccia tonda di Monsignor Agostino Casaroli nel gioco dei se Sua eminenza reverendissima Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli avrebbe commissionato una fantomatica attività ad un fantomatico comando numero uno, ma i poverini che stanno facendo la lista della spesa e che quindi stanno compilando questo resoconto, non sanno quanti milioni siano stati spesi per codesta fantomatica attività. Quello che possiamo dirvi noi è che a un certo punto, nel caso di Emanuela, si ritaglia uno spazio proprio lui, Monsignor Casaroli. Entra in un’intercettazione chiamato con un numero in codice, risponde al telefono una suora che pare sapere tutto.
C’è anche un altro personaggio in questo resoconto, un personaggio del Vaticano che abbiamo lasciato lì in sospeso ad attendere. Resta da dire chi fosse quel Camillo Cibin o Cibìn, mandato a Londra presumibilmente per aiutare Emanuela nello spostamento da un indirizzo all’altro. Responsabile dell’ Ufficio Vigilanza della Città del Vaticano, era l’uomo di fiducia di papa Wojtyla, era colui che aveva catturato Ali Agca rincorrendolo subito dopo l’attentato al papa in piazza San Pietro. Ed era colui che a Fatima aveva bloccato, l’anno seguente, un sacerdote fanatico che voleva accoltellare il Papa, ed era comunque colui che lo seguì in ognuno dei suoi più di cento viaggi. Insomma quando c’era da proteggere qualcuno di prezioso o di scottante, eccolo allora spedito a Londra per collaborare al presunto trasloco di Emanuela. L’ultimo chiodo della nostra storia ha la voce flebile di Monsignor Giovan Battista Re. Ricordate? E’ lui l’intestatario del resoconto, è lui che avrebbe dovuto sapere che per la cittadina Emanuela Orlandi nata a Roma il 14 gennaio del 1968, il Vaticano aveva speso tutti quei soldi, voce per voce, milione dopo milione, per anni, per tenerla nascosta in vita e in morte. Di lui prima vi facciamo sentire cosa dice Ali Acga, torna sempre nella nostra storia l’attentatore del Papa.
Ali Agca
Monsignor Re è uno dei pochi protagonisti ancora vivi di questa triste vicenda e noi il Monsignor Re lo abbiamo cercato. Lo abbiamo cercato per offrirli quello che abbiamo di più caro, un microfono. Un microfono, ottimo per ripetere quello che in fondo aveva già detto, appena uscito il documento di Fittipaldi. Quel documento è falso, io non l’ho mai visto e noi lo abbiamo cercato, abbiamo cercato Monsignor Re e lui ci ha chiamato. Ha chiamato Maria Cristina Cusumano, con una voce gentile ha detto …mi scusi signorina io sono anziano, è passato tanto tempo, quel documento non l’ho mai visto. Mi dispiace ma non voglio parlare al microfono, perché sono un povero vecchio ,mi dispiace però per la famiglia. E’ stata gentile a cercarmi… E’finita così, tutto vero. Almeno di questo siamo sicuri.
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