Dibattito
Flores d'Arcais: Usiamo i partiti per i nostri valori
di Paolo Flores d'Arcais, da il manifesto,
11 luglio 2009
La discussione sulla
sinistra parte dal presupposto che ve ne sia una sola possibile, l’area
Ferrero-Vendola-Diliberto-chi-più-ne-ha-più-ne-metta, dis-organizzata e
frammentata, da ri-organizzare. A me sembra invece che la prospettiva vada
rovesciata, assumendo il punto di vista del cittadino d’opposizione radicale
(preciserò poi in che senso) e non quello delle – più che malconce –
organizzazioni note. Questo cittadino esiste in carne ed ossa, in alcuni milioni
di esemplari, e negli ultimi anni ha vagabondato tra quattro opzioni elettorali
diverse: Partito democratico, Di Pietro, una delle varie sinistre,
non-voto.
Per ciascuno di noi preso singolarmente, queste opzioni non sono
equivalenti, anzi sembrano disporsi in modo diversissimo su una scala di valore.
E neppure per l’insieme (i famosi milioni di cittadini d’opposizione radicale)
sono equivalenti, sono però scelte fungibili. Vale a dire: fermi restando gli
stessi valori e interessi, il cittadino decide che lo strumento meno lontano per
la loro realizzazione è di volta in volta questo o quel partito, o addirittura
la rassegnazione/protesta del non-voto.
Se andiamo a vedere i contenuti, la
base elettorale dell’opposizione intransigente, benché in superficie
estremamente variegata (al limite: ciascuno ha la sua sfumatura/ubbia, a cui
tiene idiosincraticamente) è nella sostanza molto più omogenea di quanto siano
le opzioni politiche tra cui può scegliere. Credo sia convinzione di quei
milioni di cittadini che la semplice applicazione della Costituzione sarebbe
oggi come oggi un vero programma di riformismo rivoluzionario. E comunque, lotta
al precariato e al lavoro in affitto, allargamento del welfare nell’efficienza
(meritocrazia in ogni ordine di concorsi, anzichè nepotismo), giustizia eguale
per tutti (cioè eguale garantismo e/o severità per il borseggiatore da strapazzo
e i Madoff nostrani), distruzione del monopolio televisivo privato e della
lottizzazione in quello pubblico, drastica riduzione dei privilegi della Casta,
eliminazione di ogni spesa, diretta o indiretta, per l’istruzione
privata, e via seguitando: credo che tutti ci troveremmo d’accordo, al di là di
ogni diatriba ideologica. D’accordo anche nel considerare che, date le tragiche
condizioni di partenza, un programma minimo sarebbe già una inversione
epocale.
Ne traggo una conseguenza. Questi milioni di cittadini dovrebbero
agire utilizzando strumentalmente i partiti esistenti tutte le volte che
se ne offra una effettiva, ancorché piccola, occasione. Dovrebbero considerare,
in forma permanente, tali partiti degli attrezzi “usa e getta”, abbandonando il
feticismo retrò secondo cui iscriversi era gesto di identità, quasi
religioso.
Per esemplificare. Si aprono tre stagioni congressuali. Quella del
Pd, quella dell’IdV, quella delle sinistre (inevitabile seppure non ancora
indetta, a meno che i loro dirigenti non decidano un harakiri definitivo). Per
quale motivo un “militante d’avanguardia” dell’opposizione dovrebbe scegliere a
quale dei tre processi partecipare? Perché mai non dovrebbe partecipare a tutti
e tre, se in ciascuno di essi si aprono brecce per una possibilità non puramente
ipotetica di contare qualcosa? Passare da un partito all’altro per fare carriera
si chiama opportunismo. Usare i partiti in questo modo sarebbe invece
disinvoltura repubblicana, o perfino “patriottismo costituzionale”, visto
che l’articolo 49 della Costituzione afferma che il soggetto sono i
cittadini, i partiti sono solo uno strumento, attraverso cui essi
cittadini “concorrono a decidere”.
Poiché il congresso del Pd è
cronologicamente la prima scadenza: se Rossana Rossanda individualmente si
iscrivesse al Pd, suonerebbe come resa. Se si iscrivesse Rodotà, sempre
individualmente, smentirebbe il suo passato. E così Margherita Hack, che è stata
candidata dei “Comunisti italiani”, e Revelli, e la lunghissima lista di nomi
che vorrei e potrei fare (di me non parlo, per falsa modestia). Ma se decine di
personalità che hanno rappresentato spesso il meglio della storia della
sinistra, e oggi della società civile, si iscrivessero simultaneamente al
Pd, darebbero luogo ad un piccolo Big Bang capace di mobilitare centinaia di
migliaia di cittadini, e di rifondarlo questo partito, alla lettera:
costruirlo su fondamenta nuove, libere da crepe di nomenklature. Se andrà male,
ciascuno avrà gettato alcuni euro e qualche ora di tempo, non sarebbe una
tragedia. Se funzionasse, sarebbe una nemesi e una speranza vera.
Insomma, un
protagonismo organizzato, e a geometria variabile, cui potrebbero fare da
catalizzatore quotidiani, riviste, siti web, associazioni della società civile,
immetterebbe massiccio ossigeno democratico in una morta gora nella quale
l’opposizione rischia di estinguersi. Vogliamo provarci, ora?
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