di Giuseppe Puppo______
La mattina del 15 novembre 2000, alle ore 10.30 circa, sul viadotto Stura dell’autostrada Torino- Savona, fra Marene e Fossano, sulla corsia d’emergenza, c’è ferma, col motore acceso, una Fiat Croma grigia. All’interno, non c’è nessuno.
Fuori butta un vento freddo, quella mattina grigia di sole pallido che più va che viene nel cielo.
L’auto è accostata al parapetto, un muro di cemento di un metro e mezzo, sormontato da una grossa grata metallica, difficile da superare per un atleta, figurarsi per un uomo sovrappeso e zoppo d’un piede, in quei giorni, per un infortunio.
La Croma ha il lampeggiante di destra acceso, le portiere chiuse senza sicura.
Sul cruscotto, una patente di guida dispiegata in bella vista.
Dentro troveranno poi anche un bastone da passeggio, e due telefonini. E niente altro: incredibilmente, nessuna impronta, nessuna traccia, niente.
In quel tratto dell’autostrada, passano in media otto auto al minuto. Come risulta dagli atti, in quelli precedenti nessuno ha visto niente di che.
La scorta privata, che seguiva sempre Edoardo per il mandato di sicurezza affidato dall’azienda, non c’era, e non c’è mai stata.
Già.
Poco dopo, la macabra scoperta: ottanta metri più in basso giace senza vita il corpo di un giovane. Si tratta infatti di Edoardo Agnelli, 46 anni, erede dell’impero industriale e finanziario di famiglia, da cui era stato estromesso a causa della sua personalità e delle sue scelte di vita.
Ma non aveva rinunciato alle sue prerogative, proprio nei giorni precedenti lo aveva manifestato apertamente in più occasioni, come ho potuto ricostruire in seguito.
Vicino al torrente Stura, in basso, il cadavere ha addosso una giacca da pigiama, i mocassini sono rimasti attaccati ai piedi, sul volto ferite incompatibili con una caduta di tal genere, che gli avrebbe spappolato il cranio e le ossa.
Un pastore dice di averlo visto, quella mattina, anche se non si è accorto di nulla. Dirà poi, come scoperto in seguito – nessuno glielo aveva mai chiesto, glielo chiedemmo noi giornalisti dieci anni dopo, dopo averlo rintracciato, non senza fatica – che erano le 8.00, massimo ma proprio massimo le 8.30: dice che ne è sicuro, perché è quello l’orario in cui porta a pascolare le mucche, tutti i santi giorni.
Dai tabulati del Telepass emergeranno in seguito gli orari degli ultimi passaggi della Croma in entrata e in uscita dall’autostrada: segnano le 8.59, 9.13, 9.23.
Sul posto, arriva poco dopo il sostituto procuratore della Repubblica di Cuneo Riccardo Bausone, e ai presenti assicura: “Il suicidio è una delle tre possibilità che stiamo vagliando. Le altre due sono: malore e omicidio”.
Invece, in tre ore, il caso venne chiuso. Non fu fatta nemmeno l’ autopsia.
Fu suicidio, fu la rapida conclusione, di indagini che fanno acqua da tutte le parti, basta leggere le carte giudiziarie per capirlo.
“Si è dovuto concludere con l’affermazione di un atto conservativo posto in essere dal predetto per ragioni personali”, scriverà a me Bausone, dieci anni dopo.
No, non fu suicidio.
Ne sono convinto. Per tanti anni, ho indagato, credo con onestà intellettuale, senza pregiudizi, e ho scritto due libri, “Ottanta metri di mistero” (Koinè, 2009) e “Un giallo troppo complicato” (Tabula Fati, 2015): ho trovato una ventina di prove, dico: prove, verificate da me e da altri che si sono occupati della questione del fatto che la versione ufficiale del suicidio non sta in piedi.
Ancora ieri sera Rai 1 ha dedicato al caso un lungo servizio.
Domani, su leccecronaca.it sentirò il collega giornalista Antonio Parisi, e lo storico amico e consulente finanziario di Edoardo, Marco Bava.
Domenica 15 novembre 2020 saranno venti anni da quei fatti.
Il caso non è chiuso, no.
Comunque l’importante è aver restituito ad Edoardo Agnelli la sua dignità, in questo ventennio.
Sì, Edoardo non era quel che dipingono, per screditarlo: era lungimirante, pacifista, contro l’uso degli armamenti, fautore di una produzione industriale ecocompatibile, rispettosa dell’ambiente, contrario alle speculazioni finanziarie nazionali e internazionali, e tante altre cose belle ancora.
Era un animo sensibile, poi, d’una umanità straordinaria:
“extraordinary human and political sensistive”,
lo descrive una sua amica che vive negli Usa.
Questa amica, che stava in America, alla quale Edoardo era molto legato e alla quale telefonava periodicamente, da qualunque parte del mondo si trovasse. aveva sette cani. Ogni volta che Edoardo la chiamava al telefono per salutarla, per prima cosa si faceva passare i suoi cani, a uno a uno, e a uno a uno li salutava, e i cani avevano imparato a conoscerlo, e a uno a uno, ognuno a modo suo, ricambiavano sempre quel saluto.
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