26 agosto 2017
25 agosto 2017
Stazione di Bologna e Ustica: due stragi collegate: tutti hanno visto tutti hanno taciuto
Franco Di Carlo - Riccardo Castagneri- 2 agosto 1980, una data che purtroppo evoca nell'immaginario collettivo una tragedia immane: la strage alla stazione di Bologna.
Anche quest'anno le solite passerelle, personalità delle istituzioni, della politica, le solite liturgie trite e ritrite "Si deve conoscere la verità". Naturalmente le promesse che, come sempre, si arriverà a conoscere i motivi, il perché di questa strage, senza però che nessuno ufficialmente ponga l'accento sui depistaggi che hanno contrassegnato questa, così come le altre stragi, soprattutto una: strettamente collegata.
Poco si è anche parlato del depistaggio in merito all'aereo militare libico, precipitato sulle alture della Sila, in Calabria. Aereo caduto la stessa sera della strage di Ustica, il 27 giugno 1980, e opportunamente ritrovato o meglio, fatto ritrovare il 18 luglio successivo, tre settimane dopo, con un cadavere evidentemente deceduto da tempo, mentre ne volevano far figurare la morte e la caduta del caccia, lo stesso giorno del ritrovamento.
Questo quale maldestro tentativo di depistaggio atto ad evitare collegamenti con quanto accaduto il 27 giugno precedente nei cieli di Ustica.
Il 2 agosto la strage alla stazione di Bologna, conseguenza della tragedia di quaranta giorni prima.
Tutti hanno visto, tutti hanno taciuto, e coloro che non hanno taciuto, uno ad uno sono morti in circostanze anomale, misteriose, omicidi irrisolti, incidenti stradali o aerei, suicidi, infarti improvvisi.
Continuando a depistare, raccontando inverosimili favole all'opinione pubblica, parlando di attentati terroristici. Fino ad arrivare per la strage del 2 agosto alla condanna di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, i quali pur essendosi autoaccusati di altri omicidi e scontando i relativi ergastoli , non hanno mai accettato di essere ritenuti i responsabili della strage di Bologna, dichiarandosi sempre del tutto estranei e innocenti.
Singolare, in merito a questa strage, la circostanza che il presidente dell'associazione familiari delle vittime, abbia fatto carriera politica perseveri nel sostenere l'insostenibile tesi del terrorismo di destra nostrano, senza capire o voler sentir parlare dei depistaggi di Stato che avvolgono la mattanza della stazione di Bologna.
Teoremi, sull'affaire Ustica, da quel 27 giugno 1980 ne sono stati elaborati un'infinità.
Le danze, macabre hanno inizio a pochi giorni dalla tragedia, con la favola che il Dc9 fosse un aereo molto vecchio e quindi si era verificato un cedimento strutturale dovuto a pessima manutenzione: bugia grossolana.
Poi si inizia a parlare di atto terroristico con una bomba piazzata a bordo, precisamente nel bagno dell'aereo.
Ma come avviene nel caso di menzogne esagerate, certe verità cominciano ad emergere-
Gli inquirenti cominciano a sentire le persone che quella sera erano impegnate in attività di controllo, le indagini procedono ed emerge che nei primi anni 80 in Italia esisteva una loggia massonica segreta denominata P2 che faceva capo a Licio Gelli.
Loggia con una lista di nomi eccellenti: vi appartenevano generali di tutte le Forze Armate, Carabinieri, Guardia di Finanza, esercito, marina, aviazione, questori, qualche prefetto, uomini politici e imprenditori di chiara fama.
E ci si domanda ancora se nel Bel Paese ci sia la volontà di fare luce sulle stragi? Ecco la necessità di assemblare i depistaggi, per dare in pasto all'opinione pubblica fatti anni luce lontani dalla realtà.
Va ricordato che l'allora Capo dello Stato, Francesco Cossiga, dopo aver fatto visita a terroristi rossi e neri, in un'intervista aveva ammesso che a Bologna si erano attuati depistaggi, ma che in quel preciso contesto storico non si sarebbe potuto agire diversamente.
Questa l'Italia di allora, non così dissimile dall'Italia di adesso
Anche il giudice istruttore Rosario Priore, l'ultimo magistrato ad indagare sulle stragi del 1980, arrivò ad un passo dalla verità sulla strage di Ustica.
Priore si trovò di fronte a muri di gomma: militari estremamente riottosi a collaborare, Stati che si rifugiavano in sdegnati silenzi. Priore, tetragono e imperturbabile, ha continuato ad indagare fino al 1996, sino a quando da Londra rientrò in Italia un detenuto, per terminare di scontare una condanna subita in Gran Bretagna.
Il giudice Priore e il pm Giovanni Salvi lo sentirono e da quel momento si intravide uno spiraglio di verità sulle stragi di Ustica e Bologna, grazie ad un lungo e circostanziato racconto.
Considerata la gravità delle affermazioni, i due magistrati predisposero che il detenuto arrivato da Londra fosse trasferito in una struttura di massima sicurezza, temendo per la sua incolumità.
Quel detenuto era Franco Di Carlo, che dopo aver scontato 12 anni nelle carceri inglesi, aveva voluto tornare in Italia per il residuo di pena. Di Carlo cominciò a raccontare ai magistrati quanto aveva saputo sulle stragi di Ustica e Bologna.
L'ex boss di Altofonte per molti anni era stato ospite di diversi istituti di pena inglesi, dove aveva incontrato un arabo palestinese, Nizar Hindawi, che proveniva dai campi di addestramento libanesi, fino ad essere ammesso tra i ranghi dei servizi segreti siriani.
L'agente siriano ha condiviso con Franco Di Carlo i propri segreti e i mille misteri. Good Father, come rispettosamente lo chiamavano, intervenne perché Hindawi fosse lasciato in pace dalle guardie e questi, si legò a lui riconoscente, raccontandogli la sua vita.
L'arabo fu una miniera di notizie sulle pagine più fosche della nostra Repubblica, la strage di Bologna e il mistero di Ustica.Hindawi svelò che i motivi dell'eccidio della stazione erano da ricercarsi nella strage dell'aereo Itavia esploso in volo un mese prima.
La sera del 27 giugno i servizi di mezza Europa e la Cia avevano saputo che la Libia aveva preparato un piano di volo per il presidente Gheddafi, un viaggio segretissimo, che tanto segreto però non si rivelò e venne progettata l'eliminazione del Raìs.
I servizi italiani, americani e francesi pensarono di mettere un caccia sulla scia del velivolo sul quale volava Gheddafi e il volo Itavia avrebbe garantito l'invisibilità ai radar, ma qualcosa non funzionò a dovere, in quanto i servizi libici vennero avvisati e allertati.
Quella sera sul Mediterraneo si scatenò una battaglia, l'aereo americano venne intercettato dai libici, intervenne un secondo aereo che colpito, precipitò in mare, sino all'epilogo: il disastro di Ustica.
Lo stesso colonnello Gheddafi ammise, anni dopo, che Ustica aveva a che fare con un attentato alla sua persona.
Racconta Di Carlo "Ai libici non era andato giù che i servizi italiani e alcuni politici avessero complottato con gli americani per uccidere il colonnello. Programmarono un attentato per farcela pagare. Bologna non fu scelta a caso, era la città dal quale era partito l'aereo Itavia".
Depistaggi, trattative e mentalità mafiosa esistono e sempre sono esistite nel nostro Paese, verità emerse in tutta la loro evidenza, continuano ad essere negate e, nel contempo, si attacca coloro che lottano per la legalità, per affossare ciò che ormai è sotto gli occhi di tutti.
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Strage di Ustica
24 agosto 2017
Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 24 agosto 2017
De Mauro, Mattei e i ''dubbi insuperabili''
Su genesi ed individuazione degli autori degli omicidi nessuna certezza
di AMDuemila
La causale dell'omicidio De Mauro? Sarebbe "individuabile nelle informazioni riservate di cui la vittima era entrata in possesso in relazione alla sua attività professionale (verosimilmente - anche se non certamente - riconducibili, secondo le risultante del processo di merito, al coinvolgimento di esponenti mafiosi nella morte di Enrico Mattei").
E' così che la Suprema Corte di Cassazione si è espressa nelle motivazioni della sentenza che nel giugno 2015 ha portato all'assoluzione del Capo dei Capi, Totò Riina, accusato di essere il mandante dell'omicidio del cronista siciliano rigettando il ricorso del pg di Palermo.
I giudici evidenziavano come "gli elementi di prova raccolti sia di natura storico-dichiarativa che di natura logico-indiziaria, che sono stati puntualmente e congruamente analizzati e valutati, nella loro valenza singola e complessiva, da entrambe le sentenze di merito (anche in primo grado, nel 2011, Riina era stato assolto da tale accusa, ndr), all'esito di una disamina scrupolosa che costituisce il risultato congiunto delle ampie argomentazioni spese dalle Corti territoriali di primo e di secondo grado, non hanno tuttavia permesso di accertare un ruolo diretto o indiretto dell'imputato nel delitto", e la conseguente conclusione assolutoria (per non aver commesso il fatto) "risulta coerente a una corretta lettura delle emergenze processuali ed è perciò incensurabile in sede di legittimità".
Inoltre, a differenza di quanto contenuto nella sentenza di primo grado, è stato confermato il giudizio dei giudici d'appello che, con la sentenza del 27 giugno 2014, scrivevano: "Peraltro, anche con riguardo ai rilievi concernenti la ricostruzione degli ultmi giorni di vita del De Mauro e l'urgenza di eliminare il predetto giornalista, può condividersi l'assunto del pm appellante. (…) Tuttavia, la fondatezza di tali rilievi non pare che possa comunque giovare alla tesi accusatoria, solo rafforzando il convincimento che- soprattutto in considerazione del lunghissimo lasso di tempo trascorso dai fatti, del relativo atteggiamento di riserbo tenuto dal De Mauro sulla natura della scoperta fatta, degli svariati campi di indagine che il suo lavoro in quegli ultimi tempi poteva avere riguardato; dell'opera di sistematico depistaggio compiuta da soggetti interessati a dissolvere nel nulla ogni elemento utile a ricostruire la vicenda -, risulti particolarmente difficile se non impossibile distinguere con certezza i fatti come realmente accaduti". Ciò significa che a differenza di quanto scritto dai giudici in primo grado sull'eventuale coinvolgimento di Graziano Verzotto, ex dirigente dell'Eni e all'epoca segretario regionale della Dc, morto il 12 giugno 2010, nelle vicende De Mauro e Mattei, non è affatto da ritenersi certo o "centrale". Tant'è che il Verzotto non è mai stato imputato in un processo per tali fatti di cronaca.
di AMDuemila
La causale dell'omicidio De Mauro? Sarebbe "individuabile nelle informazioni riservate di cui la vittima era entrata in possesso in relazione alla sua attività professionale (verosimilmente - anche se non certamente - riconducibili, secondo le risultante del processo di merito, al coinvolgimento di esponenti mafiosi nella morte di Enrico Mattei").
E' così che la Suprema Corte di Cassazione si è espressa nelle motivazioni della sentenza che nel giugno 2015 ha portato all'assoluzione del Capo dei Capi, Totò Riina, accusato di essere il mandante dell'omicidio del cronista siciliano rigettando il ricorso del pg di Palermo.
I giudici evidenziavano come "gli elementi di prova raccolti sia di natura storico-dichiarativa che di natura logico-indiziaria, che sono stati puntualmente e congruamente analizzati e valutati, nella loro valenza singola e complessiva, da entrambe le sentenze di merito (anche in primo grado, nel 2011, Riina era stato assolto da tale accusa, ndr), all'esito di una disamina scrupolosa che costituisce il risultato congiunto delle ampie argomentazioni spese dalle Corti territoriali di primo e di secondo grado, non hanno tuttavia permesso di accertare un ruolo diretto o indiretto dell'imputato nel delitto", e la conseguente conclusione assolutoria (per non aver commesso il fatto) "risulta coerente a una corretta lettura delle emergenze processuali ed è perciò incensurabile in sede di legittimità".
Inoltre, a differenza di quanto contenuto nella sentenza di primo grado, è stato confermato il giudizio dei giudici d'appello che, con la sentenza del 27 giugno 2014, scrivevano: "Peraltro, anche con riguardo ai rilievi concernenti la ricostruzione degli ultmi giorni di vita del De Mauro e l'urgenza di eliminare il predetto giornalista, può condividersi l'assunto del pm appellante. (…) Tuttavia, la fondatezza di tali rilievi non pare che possa comunque giovare alla tesi accusatoria, solo rafforzando il convincimento che- soprattutto in considerazione del lunghissimo lasso di tempo trascorso dai fatti, del relativo atteggiamento di riserbo tenuto dal De Mauro sulla natura della scoperta fatta, degli svariati campi di indagine che il suo lavoro in quegli ultimi tempi poteva avere riguardato; dell'opera di sistematico depistaggio compiuta da soggetti interessati a dissolvere nel nulla ogni elemento utile a ricostruire la vicenda -, risulti particolarmente difficile se non impossibile distinguere con certezza i fatti come realmente accaduti". Ciò significa che a differenza di quanto scritto dai giudici in primo grado sull'eventuale coinvolgimento di Graziano Verzotto, ex dirigente dell'Eni e all'epoca segretario regionale della Dc, morto il 12 giugno 2010, nelle vicende De Mauro e Mattei, non è affatto da ritenersi certo o "centrale". Tant'è che il Verzotto non è mai stato imputato in un processo per tali fatti di cronaca.
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23 agosto 2017
Dick Gregory In His Own Words: Remembering the Pioneering Comedian and Civil Rights Activist | Daily Digest 08/21/2017
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