13 marzo 2019
Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 13 mar 2019
PROCURA DI ROMA / I “MISTERI” DEL DOPO PIGNATONE
Valzer di nomine nelle procure italiane. Oltre un centinaio nei prossimi mesi, con un Csm super impegnato a ridisegnare la mappa del potere giudiziario in Italia.
Nel suo fresco numero l'Espresso, con un'inchiesta della firma antimafia Lirio Abbate, punta i riflettori e sciorina una sfilza di nomi e papabili per i prossimi, delicati incarichi, procura per procura.
Si parte, of course, dalla più bollente del nostro Paese, quella di Roma. Così dettaglia Abbate: "L'epicentro del terremoto è Roma. Giuseppe Pignatone andrà in pensione a maggio e il posto è già stato bandito per evitare di lasciarlo scoperto a lungo. I candidati sono tredici. Oggi piazzale Clodio non è più il 'Porto delle nebbie'. Pignatone lascia a chi erediterà il suo ruolo una grande responsabilità. Vale a dire, continuare a tenere alto il livello della giustizia a Roma senza troppo rispetto per i potenti, come mai prima di lui era stato fatto nella Capitale. Qui sono state squarciate zone grigie, si è puntato dritto alle mafie, nazionali e internazionali" e via continuando con le grandi imprese targate 'Mafia Capitale'.
Proseguono le trombe di Abbate: "Ma anche sulla politica corrotta e collusa sono arrivate condanne e sequestri di beni, decisi e applicati per la prima volta nei casi di corruzione proprio dai pm guidati da Pignatone".
Un paradiso in terra, la procura capitolina, un Eden dove finalmente i cittadini possono trovare i portoni spalancati per ospitare la Giustizia, quella vera. Altro che il famigerato 'Porto delle Nebbie'!
A questo punto, prima di lasciare la procura tra inni e fanfare, non resta a Pignatone che risolvere qualche problemino lasciato ai posteri.
Prendiamo il caso Alpi. E' fresca del 4 febbraio la firma apposta da Pignatone all'ennesima richiesta di archiviazione per l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. La richiesta è del pm Elisabetta Ceniccola, che ancora una volta chiede al gip di turno (per un anno è stato Andrea Fanelli, chissà chi è il prossimo) di archiviare la "pratica". Nonostante le clamorose evidenze emerse dal processo di Perugia, che un anno e mezzo fa non solo ha liberato dalla galera (vi ha trascorso 16 anni da innocente) Hashi Omar Assan, ma ha anche descritto il "depistaggio di stato" messo in atto da inquirenti e forze dell'ordine per proteggere e far scappare in Inghilterra il teste fasullo Ali Rage, alias Gelle.
Prima di lasciare Roma perchè il capo Pignatone non spiega la "non inchiesta" della sua procura, che si configura a questo punto come l'ennesimo depistaggio? Alla faccia di ogni ipocrita volontà di far Giustizia?
Passiamo all'eterno mistero che ancora avvolge la sparizione di Emanuela Orlandi e della sua amica Mirella Gregori. Mesi fa è sembrato che si aprisse uno squarcio, con il ritrovamento di misteriose ossa in Vaticano. Poi niente, erano ossa stravecchie.
Ma circa un anno fa avevano fatto capolino altre verità molto più clamorose: ossia tracce di una documentazione top secret e conservata nella super cassaforte del Vaticano, in cui venivano messe nero su bianco tutte le spese sostenute per nascondere Emanuela per un anno – a metà dei '90 – in una residenza gestita da alcune suore a Londra.
Come mai quella pista non è stata mai battuta? Perchè la procura capitolina ha paura di ficcare il naso in Vaticano? Perchè si genuflette davanti ad ogni ostacolo? Misteri.
Come di misteri è avvolto, ancora oggi, il giallo sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini. Senza che la procura di Roma alzi un dito, neanche mezzo.
Due anni fa l'avvocato della famiglia, Stefano Macioti, ha chiesto la riapertura dell'inchiesta basandosi su una prova inoppugnabile: quella del DNA, il cui test ha dimostrato come sulla scena del delitto non si trovasse solo Ignoto 1, ossia Pino Pelosi, ma anche un secondo e forse un terzo soggetto (Ignoto 2 e Ignoto 3). A questo punto Macioti ha semplicemente chiesto che quel test del DNA venisse esaminato e il caso venisse riaperto. Facile come bere un bicchier d'acqua.
Pensate che qualcosa si sia mosso? Neanche un battito d'ali. Il pm del caso, Francesco Minisci, s'è tuffato negli impegni sindacali, diventando presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati e certo non aveva tempo da perdere in bazzecole del genere.
D'accordo il capo Pignatone? Perchè non fa sapere qualcosa prima di godersi la dorata pensione?
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12 marzo 2019
Pedofilia e abusi, come uscire dall’«11 settembre» ecclesiale?
Quel che è venuto alla luce in varie parti del mondo a partire dal 2002 ha determinato una serie di scosse telluriche in tante diocesi e conferenze episcopali. La necessitàdi una conversione profonda e di un cambiamento di rotta. Il summit in Vaticano dal 21 al 24 febbraio.
Abusi su bambini e ragazzi da parte di preti e religiosi. Abusi a centinaia, a migliaia. Praticamente sempre coperti, insabbiati, non denunciati. Permettendo così all’abusatore di continuare a delinquere. «L’11 settembre della Chiesa» l’ha definito chi certo non può essere considerato un catastrofista: l’arcivescovo Georg Gänswein, già segretario di Benedetto XVI. Lo scandalo della pedofilia paragonato al grande attacco terroristico del 2001 agli Stati Uniti. In altri termini, un evento spartiacque, dopo il quale nulla potrà essere come prima. Esagerato?
Nella prospettiva di un comune fedele italiano, forse sì. Quel che è venuto alla luce dal 2002, con l’inchiesta del quotidiano «Boston Globe» (raccontata nel film Spotlight, vincitore dell’Oscar), in poi ha determinato una serie di scosse telluriche in molte diocesi e conferenze episcopali. Ha abbattuto vescovi, arcivescovi e cardinali; ha mandato in bancarotta Chiese locali; Usa, Belgio, Austria, Australia, Irlanda, Cile… immaginate – è un incubo che non si concretizzerà, ma utile per provare a comprendere lo sconcerto di una comunità ecclesiale – che tutti i vescovi italiani vengano rimossi, com’è accaduto di recente in Cile, per il loro silenzio sui casi di pedofilia, coperti, insabbiati, silenziati. Una tragedia. Che non riguarda solo né principalmente i singoli protagonisti, ma la credibilità della Chiesa. Il suo annuncio. Il Vangelo.
Come uscire dall’11 settembre ecclesiale? Nessuna guerra, se non interiore alla ricerca del male da estirpare. Ma una conversione sì. Un esercizio di sincerità – persino «spietato» – sì. E la ricerca di un cambiamento di rotta. Perché alla diagnosi deve sempre seguire la terapia. E questa che colpisce la Chiesa non è una banale febbriciattola.
Per questo motivo nell’agosto scorso papa Francesco ha scritto una «Lettera al popolo di Dio» (a tutti i battezzati, nessuno escluso, perché un peccato grave di alcuni membri riguarda l’intero corpo e nessuno può chiamarsi fuori) e ha convocato dal 21 al 24 febbraio in Vaticano un summit, a cui parteciperanno i presidenti delle Conferenze episcopali nazionali e i capi dei dicasteri.
«La prima regola per guarire è accettare di essere malati». E la malattia che esplode oggi ha origini antiche. La prima denuncia formale risale addirittura al 1051 a opera di Pier Damiani. Senza conseguenze. I Papi dell’epoca, come Gregorio VII, intervengono per arginare la corruzione del clero, ma ignorano la pedofilia. Emblematica ma tristissima è la vicenda di Giuseppe Calasanzio, fondatore degli Scolopi. La Controriforma è fatta di ombre e luci. Calasanzio è una luce che forze oscure tentano di spegnere. Venuto a sapere senza ombra di dubbio che un suo confratello, Giuseppe Cherubini, abusa degli alunni («orchi in tonaca e saio»), lo rimuove. Ma Cherubini gode di potenti protezioni in Vaticano. Calasanzio viene a sua volta inquisito e imprigionato. Basta poco, a quel tempo, anche solo la frequentazione di Galileo… Chi prende il suo posto a capo degli Scolopi? Cherubini, l’orco. Calasanzio sarà riabilitato e canonizzato. Ma l’episodio rimane.
di Umberto Folena
11 marzo 2019
L'avvicinamento di Parigi e Berlino, di Thierry Meyssan
Si tratta di una questione molto grave: dietro l'apparenza di un'unione di sforzi per la pace, in realtà Parigi e Berlino stanno avvicinando le loro politiche estere e presto faranno altrettanto con le loro politiche di difesa. Una trasformazione che viene dall'alto, senza consultazioni popolari, e che distrugge dall'interno le conquiste democratiche.
Uno dei principi su cui si fonda l’ONU è che ogni Stato e ogni popolo sono liberi, uguali e indipendenti. Questa è la grande differenza che distingue l’ONU dalla Società delle Nazioni che l’ha preceduta e che, affinché il sistema coloniale potesse protrarsi, si è sempre rifiutata di riconoscere la parità dei popoli.
La voce di ogni Stato vale quanto quella di ogni altro. Così Stati Uniti e Unione Sovietica hanno potuto aderire all’ONU in quanto Stati federali, ossia non hanno potuto far valere, rispettivamente, i 50 Stati federati e le 15 Repubbliche Unite. Sarebbe stato illegittimo che gli Stati Uniti disponessero di 50 voti e l’URSS di 15, mentre tutti gli altri di uno solo.
Ebbene, Francia e Germania, cui spetta la presidenza del Consiglio di Sicurezza rispettivamente a marzo e aprile, hanno annunciato che eserciteranno congiuntamente il mandato. Benché non sia stato precisato, questa decisione dovrebbe implicare l’assunzione da parte delle due delegazioni di una posizione comune sulle questioni affrontate. Le politiche estere dei due Stati non saranno perciò più libere e indipendenti l’una dall’altra.
Nessuna organizzazione che si fondi sulla parità dei suoi membri può sopravvivere a questo tipo di coalizione.
Il problema si pose già nel 1949, con la creazione della NATO: gli Stati membri si sono impegnati a reagire collettivamente a qualsiasi aggressione contro uno di loro, ma per far sì che fosse possibile hanno accettato una forma di organizzazione sottoposta all’autorità degli Stati Uniti, che esercitano in via permanente le funzioni fondamentali, fra le altre quelle del Comandante Supremo (il capo di statomaggiore).
All’epoca, l’Unione Sovietica denunciò la creazione di un blocco di Stati non più liberi e indipendenti. L’URSS fece altrettanto nel 1968, quando invase la Cecoslovacchia perché agli Stati membri del Patto di Varsavia non era permesso allontanarsi dalla comune dottrina comunista. Oggi il totalitarismo sovietico non c’è più, quello degli Stati Uniti è sempre lì.
Ed è proprio perché si opponeva a che le forze armate francesi dovessero sottostare al comando degli Stati Uniti che il presidente Charles De Gaulle lasciò il comando integrato della NATO, pur rimanendo nel Trattato Nordatlantico. Questa saggia decisione è stata abrogata dal presidente Nicolas Sarkozy, che nel 2009 ha riportato la Francia nel comando integrato.
La Francia afferma che l’esercizio congiunto della presidenza del Consiglio non significa che Francia e Germania si apprestino a fondere il proprio seggio all’ONU. Tuttavia, a cominciare dall’inizio del mandato di Sarkozy, il Quai d’Orsay e la Wilhelmstrasse (ossia i ministeri degli Esteri francese e tedesco) hanno iniziato a ridurre il personale e a incaricare le rispettive ambasciate di ripartirsi alcune funzioni.
L’avvicinamento si è interrotto con i presidenti François Hollande ed Emmanuel Macron, in previsione di un’alleanza militare con il Regno Unito, già presa in considerazione da Jacques Chirac. È ripreso quando è apparso chiaro che Londra avrebbe messo in atto la Brexit e si stava perciò preparando a nuove alleanze.
Un’eventuale fusione della politica estera francese e tedesca solleva parecchi problemi. In primo luogo, per essere credibile deve essere accompagnata anche dalla fusione dei due eserciti. Questa, nel 1995, era anche l’opinione di Alain Juppé [primo ministro durante la presidenza di Chirac, ndt]. Sicché la Germania verrebbe ad assumere una posizione co-decisionale sulla forza di dissuasione francese. Ed è anche l’idea presa in considerazione dal Bundestag nel 2017, nonché l’attuale posizione del direttore della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, Wolfang Ischinger [1]. Ed è pure la ragione che ha indotto Macron a considerare la possibilità di costituire un esercito europeo in termini diversi da quelli del progetto di Comunità Europea di Difesa (1954), ossia strutturandolo in modo da poter alla fine sfociare in una fusione degli eserciti franco-tedesco. In secondo luogo, avere la stessa politica estera e di difesa presuppone perseguire gli stessi interessi. È quanto provano a fare Parigi e Berlino dispiegando truppe congiunte, legalmente in Sahel, illegalmente in Siria.
Lungi dal creare un nuovo Stato, l’avvicinamento franco-tedesco non potrà che consacrare la dipendenza della nuova entità da Washington: già oggi i due eserciti sono membri del comando integrato della NATO e obbediscono a uno stesso Comandante Supremo, scelto dal presidente degli Stati Uniti. È del resto grazie a questo sovrano che Francia e Germania hanno fatto pace: non molto tempo fa, nella ex Jugoslavia, le loro forze speciali si combattevano segretamente tra loro, una dalla parte serba l’altra da quella croata. Lo scontro finì allorquando Washington impose il proprio punto di vista.
Desiderando fondere, a termine, Germania e Francia, i dirigenti non tengono conto delle realtà umane dei loro Paesi. Confondendo la riconciliazione dei due popoli realizzata dai loro predecessori con un avvicinamento di interessi e mentalità, intendono creare un nuovo sistema politico senza assoggettarsi al controllo democratico. Del resto perché accollarsi queste procedure dal momento che nessuno è sovrano?
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10 marzo 2019
Blog di Emanuela Orlandi: Il giallo del cimitero teutonico. Pietro Orlandi: “Aprite quella tomba”
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09 marzo 2019
La scomparsa di Emanuela Orlandi e la tomba al cimitero teutonico. Il fratello Pietro: “Il Vaticano non ci risponde da mesi”
di SERGIO TRASATTI/ La famiglia di Emanuela Orlandi, tramite il suo legale Laura Sgrò, ha presentato formale istanza al segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, per riaprire una tomba nel cimitero teutonico, che si trova all’interno delle Mura vaticane. Secondo una lettera anonima, in quella tomba potrebbe esserci il corpo della ragazza scomparsa il 22 giugno del 1983. Alla luce di questi nuovi sviluppi, il giallo è stato nuovamente approfondito a “La Storia Oscura” su Radio Cusano Campus. Pietro Orlandi, al microfono di Fabio Camillacci, ha fatto alcune precisazioni e rivelazioni importanti: “In realtà -ha esordito il fratello di Emanuela Orlandi- questa lettera anonima che abbiamo ricevuto, non è altro che la conferma di altre segnalazioni che avevamo avuto nei mesi precedenti. Segnalazioni che ci sono arrivate da fonti interne al Vaticano e soprattutto non anonime; ecco perché abbiamo avanzato istanza scritta alla Segreteria di Stato vaticana. E non è la prima istanza che presentiamo bensì la terza e a oggi non abbiamo ancora ricevuto risposta a nessuna delle tre. Tutto ciò conferma che il Vaticano non intende assolutamente collaborare per la ricerca della verità. Noi sappiamo da tempo di questa tomba al cimitero teutonico dove potrebbe essere sepolta mia sorella, così abbiamo chiesto un’indagine interna, una piccola collaborazione, anche riservata, per capire perché queste persone ci hanno segnalato che Emanuela è sepolta in quel camposanto”.
La famiglia Orlandi chiede di aprire quella tomba. Pietro Orlandi a tal proposito ha ribadito: “Ovviamente chiediamo di aprire la tomba. A noi direttamente non ci hanno mai risposto, contrariamente a quanto detto ai giornalisti dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti, il quale ne ha parlato solo perchè sollecitato dai cronisti quando si è saputo della nostra istanza scritta. Ma ripeto, sono mesi che noi attraverso il nostro avvocato chiediamo al Vaticano di fare chiarezza su quella tomba e sulle segnalazioni che abbiamo ricevuto. Perché questo muro di gomma? Emanuela è una cittadina vaticana è iscritta all’anagrafe vaticana, forse l’unica cittadina vaticana rapita, possibile che non ci sia interesse da parte di quello Stato a cercare di scoprire cosa sia successo? Non fanno altro che dire ‘per noi il caso è chiuso, ci deve pensare lo Stato italiano perché è scomparsa in Italia’. E’ assurdo tutto questo -ha aggiunto Pietro Orlandi a Radio Cusano Campus- è come se nel caso Regeni lo Stato italiano dicesse alla famiglia ‘guardate è successo in Egitto quindi se ne deve occupare la magistratura egiziana per noi il caso è chiuso’.
Strane coincidenze. Orlandi ha poi sottolineato: “Nell’ultima istanza abbiamo anche ribadito la necessità di un’audizione per alcuni cardinali che sono ancora in vita e che sanno che fine ha fatto Emanuela. Tra loro c’è monsignor Piero Vergari, che da rettore della basilica di Sant’Apollinare si attivò per far avere all’ex boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis l’inusuale sepoltura nella cripta della stessa basilica. Ma tu guarda che strana coincidenza, in quel cimitero teutonico, tra le varie persone che possono essere seppellite lì, ci sono anche quelle della confraternita che ha sede in quel camposanto. E chi fa parte di quella confraternita? Proprio don Vergari che in passato fu anche indagato per il sequestro di Emanuela. E forse non è nemmeno un caso che la storia delle ossa venute alla luce nella Nunziatura Apostolica d’Italia, sia uscita dopo che l’avvocato Sgrò aveva annunciato al Vaticano la nostra intenzione di presentare istanza scritta per la tomba al cimitero teutonico. Di fatto la storia della Nunziatura ha rallentato tutto su quell’altro fronte. E’ chiaro che dietro la scomparsa di Emanuela c’è un forte intreccio tra Stato, Chiesa e criminalità. Questo ha portato a occultare la verità per oltre 35 anni. E’ come un vaso di Pandora: se lo apri escono fuori tante cose brutte. Ricordo che circa un mese dopo la scomparsa di mia sorella, ci fu un palese invito tra la Presidenza del Consiglio e il Vaticano in relazione alla scomparsa di Emanuela a ‘non aprire quella falla che difficilmente si potrà chiudere’. E’ chiaro -ha concluso Pietro Orlandi- che sapevano cosa era successo ed era qualcosa da proteggere, da tenere nascosta per sempre”.
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08 marzo 2019
Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 7 mar 2019
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