Nutrire un dubbio è legittimo. Anzi, è fondamentale, visto che è proprio sulla cultura del dubbio che si è innestata tutta la tradizione filosofica e scientifica dell'occidente. Cogito ergo sum. Chi non si fa domande, non perviene mai a nessuna scoperta. Oltre il dubbio restano solamente l'assolutismo, la professione di fede, il fanatismo, l'assioma, il dogma, la verità rivelata. Certo, un dubbio è tale proprio perché non sussiste alcuna certezza, dunque in nessun caso il dubbio deve portare a una condanna, tant'è vero che perfino la nostra tradizione giuridica si fonda sulla presunzione d'innocenza. Però è vero anche il contrario: in nessun caso il dubbio, tranne nel corso dell'accertamento di una verità processuale, può portare ad una assoluzione a priori. Un dubbio, insomma, è un dubbio, e può restare tale anche indefinitamente. E' lecito, anzi sano averne e non comporta nessuna presa di posizione. Senza prese di posizione, non c'è contrapposizione e dunque non ha senso nessuno scontro. Tra i dubbiosi ci può essere un confronto sincero, fruttuso e leale, perché nessuno ama restare tra color che son sospesi: i processi naturali tendono spontaneamente a una risoluzione. Come un masso che rotola, e prima o poi si ferma, così il dubbioso ama cercare di capire, perché vuole risolversi e trovare sollievo rispetto alla tensione dell'incertezza.
Dunque lunga vita al dubbio e morte precoce al pregiudizio, alla violenza e alla disonestà intellettuale che, anzichè onorare il pensiero analitico, perseguono la propaganda di false certezze, costruite su deboli passaggi intermedi che fanno leva sulla scarsa propensione alla logica di chi preferisce una verità falsa, ma rassicurante, a una promettente quanto inconfortevole insicurezza.
Mescolare l'esercizio del dubbio, che trova fondatezza e contraltare nell'umana inclinazione alla menzogna, con la propensione alla violenza è uno di quegli artifizi retorici che confondono le acque e depistano gli umori collettivi, generando un sentimento di odio nei confronti di chi ancora fa un uso virtuoso dell'intelletto. Le edizioni di Libero e del Giornale di oggi, con tutte le contraddizioni che rilevano da un'attenta analisi delle posizioni espresse in un'emorragia incontrollata di articoli a tesi che ne riempiono le pagine, sono la dimostrazione più eclatante di questo genere di strumentalizzazioni ad orologeria.
Fare professione di agnosticità rispetto ad un sedicente evento crimonoso non ancora suffragato da prova alcuna, ed anzi reso inverosimile dalla dinamica riferita e dalla totale assenza di indizi perfino dove avrebbero dovuto abbondare (siepe di due metri scavalcata senza il benchè minimo distacco di una sola, singola fogliolina, come da testimonianza del portiere dello stabile; telecamere a circuito chiuso che non regalano neppure un misero fotogramma di un uomo che, secondo l'unica testimonianza, indossava indumenti vistosi) non ha nulla a che fare con la giustificazione della violenza. Afferisce, semmai, al sacrosanto diritto di autotutela rispetto ai mutamenti profondi che un evento così drammatico, se fosse vero, provocherebbe nello scenario politico e in quello sociale.
Per parte mia, è superflua la condanna di qualsiasi forma di violenza, così come ebbi modo di affermare subito dopo la creazione del primo gruppo pro-Tartaglia, ragionamento che recentemente ho esteso a tutte le forme di contestazione improduttive, che non fanno altre che allargare il solco della divisione civile rafforzando la posizione di chi trae vantaggio da una società smembrata e rivolta contro se stessa.
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