Lucetta Scaraffia e Anna Foa per Editoriale Domani – In Italia si parla poco e malvolentieri degli abusi del clero. Anzi, pare che quanto più emergono i dati allarmanti delle inchieste in altri paesi europei tanto più si voglia tacere, anche se ultimamene non si osa più, da parte clericale, vantare l’apparente minore coinvolgimento italiano.
I motivi di questo silenzio sono molti, radicati nella storia: una istituzione ecclesiastica sempre molto legata al potere, cattolici che si sentono più aderenti a una parte politico-sociale che credenti i quali cercano di realizzare l’insegnamento evangelico.
Così, mentre altrove in Europa è la stessa comunità cattolica che spinge le gerarchie a fare chiarezza sul tema degli abusi con inchieste indipendenti, da noi si evita di pensarci. Il risultato è che le poche notizie che filtrano dalla cortina di omertà che copre tutto sono da decenni di tipo scandalistico.
L’argomento si presta, e molto, alle descrizioni pruriginose, diffuse da rotocalchi e programmi televisivi.
I POCHI DATI
Ma niente di serio è stato fatto finora, se non la raccolta dati organizzata da una vittima, Francesco Zanardi, nel sito Rete L’Abuso, che raccoglie testimonianze, articoli di giornali, documenti processuali degli ultimi dodici anni.
Una raccolta che – pur composta da materiale eterogeneo e difficilmente classificabile in un insieme coerente – è utilissima e fondamentale per farsi una prima idea del fenomeno in Italia. Tutto quello che si rivela sul tema abusi del clero in Italia viene da lì.
Su questo materiale abbiamo lavorato in cinque donne – Lucetta Scaraffia, Anna Foa, Franca Giansoldati, Mariella Balduzzi, Mariangela Rosignoli, quattro delle quali nonne – per molti mesi, e il risultato è nel libro Agnus dei. Gli abusi sessuali del clero in Italia, uscito da Solferino nel maggio del 2022.
Pur non potendo trasformare i dati raccolti in un sistema di classificazione sistematico, ci siamo rese conto che analizzando queste fonti era possibile arrivare ad alcune conclusioni importanti.
Le più rilevanti riguardavano, soprattutto, gli aspetti finanziari del problema, dei quali si parla in genere poco o niente.
Innanzi tutto le vittime sono sempre appartenenti a famiglie disagiate, non poche addirittura a famiglie assistite economicamente dalle parrocchie. Famiglie per le quali qualche regalo del parroco può essere sufficiente a far chiudere gli occhi, se non bastasse la paura di perdere i pochi soccorsi che ricevono. Famiglie che non conoscono avvocati, che hanno paura di entrare in un tribunale, quindi candidate naturalmente a non denunciare in caso di abuso.
In corrispondenza allo stato di indigenza delle famiglie degli abusati vi è spesso la capacità del prete abusatore di raccogliere soldi grazie a collette varie, per esempio in occasione di feste religiose, che gli garantiscono la quantità di denaro liquido necessario al mantenimento della dipendenza delle vittime.
Nel caso poi di una denuncia da parte della vittima il denaro è doppiamente necessario, ma questa volta interviene direttamente la diocesi, che – come è capitato – ricorre ai fondi che le arrivano dall’8 per 1000 (destinati invece alla carità, al mantenimento degli edifici di culto e così via) per tacitare lo scandalo.
Il primo tentativo è quello di ottenere il silenzio della vittima versando una somma di denaro in cambio della rinuncia a parlare.
Il fatto che le somme stanziate in questi casi siano ridicolmente basse (dai 10.000 ai 25.000 euro) dà l’idea dello stato di indigenza delle famiglie coinvolte, per le quali evidentemente costituiscono somme importanti.
Se la vittima e la sua famiglia non accettano il patteggiamento, il denaro della diocesi – e questa volta in misura decisamente maggiore – diventa risorsa fondamentale per pagare l’avvocato del prete accusato, quasi sempre un ottimo difensore.
In alcuni casi sono stati arruolati anche professionisti di grido, come Carlo Taormina, mentre nella diocesi di Milano molto spesso il difensore, Mario Zanchetti, è stato anche il preside della facoltà di Giurisprudenza della Cattolica.
Avvocati molto più bravi di quelli che possono permettersi le vittime, tanto che grazie a loro spesso i processi finiscono con la prescrizione o nel nulla per vizio di forma.
Un esempio: Riccardo Seppia, considerato dal giudice del primo processo un delinquente comune, era parroco di Santo Spirito a Sestri Ponente.
Giudicato colpevole in prima e seconda istanza di reati molto gravi, come violenza, cessione di droga e induzione alla prostituzione di giovanissimi – pena di nove anni, sei mesi e venti giorni – è stato prosciolto per vizio di forma nel ricorso in Cassazione. È evidente che ha potuto usufruire di un avvocato bravissimo, pagato dalla curia.
Nella parrocchia di Selva Candida, vicino a Roma, le numerose accuse di molestie che arrivavano nei confronti del parroco Ruggero Conti venivano sottovalutate davanti alla sua eccezionale abilità di “attrarre capitali”, necessari per realizzare opere d’importanza sociale. Le vittime faticarono molto a trovare ascolto.
I CONDANNATI
Un altro aspetto interessante emerso dal nostro lavoro è stata la scoperta che fra i preti condannati i pedofili costituiscono probabilmente un numero esiguo. Le ragazze o i ragazzi abusati infatti sono tutti tra i dodici e i quattordici anni, scelti perché soggetti più facilmente controllabili e riducibili al silenzio che non una donna o un uomo adulto, ma non per l’età giovane in sé.
La pedofilia ricompare però nel corso del procedimento penale.
In genere, il sacerdote accusato in prima istanza nega tutto, a lungo. Quando le prove lo sommergono, cerca una scappatoia: dice di essere malato, cioè di essere pedofilo.
A questo punto la gravità del reato si stempera, e quasi sempre invece di finire in prigione il prete in questione viene riassegnato all’istituzione ecclesiastica perché lo recuperi con un percorso terapeutico. Percorso che avviene in edifici per preti “in crisi”, prevede in genere periodi non lunghi di cura blanda, con psicologi a loro volta sacerdoti, e permette poi abbastanza rapidamente di tornare a esercitare la missione in parrocchie lontane da quelle dello scandalo.
Certo, la chiesa lamenta un numero sempre minore di sacerdoti e quindi non rinuncia facilmente ai suoi figli consacrati, anche se colpevoli di odiosi abusi. E così, di conseguenza, aumenta il numero dei sedicenti pedofili.
ATTI IMPURI
Ma c’è anche una ragione di fondo che impedisce alla chiesa di affrontare seriamente la questione abusi: nel Codice di diritto canonico l’abuso e lo stupro non sono classificati come reati contro la persona, ma come trasgressioni al sesto comandamento: non commettere adulterio, non commettere atti impuri.
Questo tipo di trasgressione è un peccato per chi la commette, ma non viene preso in considerazione il danno inferto all’altra persona: è il colpevole che compie atti impuri al centro dell’attenzione dell’istituzione ecclesiastica, non la sorte della vittima, sospettata comunque anch’essa di avere provato piacere, quindi di avere trasgredito al sesto comandamento.
Una sbagliata concezione della sessualità e il rifiuto a passare dal peccato al reato stanno quindi all’origine dello scandalo che sta rovinando la chiesa.
Tornando ai problemi della chiesa italiana, certo una indagine indipendente, con la prevedibile emersione di numerosi casi di abuso, le porterebbe, con le ovvie conseguenze di risarcimenti da pagare, una perdita economica gravissima, che significherebbe anche una perdita di potere sociale.
Ed è anche vero che la disillusione spingerebbe molti credenti ad abbandonare la pratica religiosa, oltre che a cancellare l’8 per 1000.
Ma questo abbandono temuto sta avvenendo lo stesso, se pure in modo meno clamoroso: le chiese dopo il Covid non sono tornate a riempirsi, quelli per cui la messa domenicale era solo un’abitudine hanno appunto perso l’abitudine.
A questi si aggiungono coloro che vivono una grave delusione a proposito del clero, alimentata in misura determinante dagli abusi. In chiese come quelle tedesca e francese, la percezione di questa crisi è grave e allarmante.
Da noi si fa finta di niente, senza pensare che lo scandalo degli abusi, e del modo in cui sono gestiti, costituisce un veleno sottile che sta corrodendo tutto, se non si pone pronto e coraggioso rimedio. Se non lo si affronta con verità e giustizia.
Nessun commento:
Posta un commento