25 luglio 2018

Trump e la burocrazia della NATO, di Thierry Meyssan

Contrariamente al pensiero dominante, il vertice NATO non ha opposto gli Stati Uniti agli altri membri dell’Alleanza, bensì il presidente Trump all’alta amministrazione intergovernativa. Secondo Thierry Meyssan, il problema non è sapere se la personalità dell’inquilino della Casa Bianca venga o no apprezzata, ma se lo si appoggia perché eletto dal popolo o se gli si preferiscono i burocrati del sistema.
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Convocato nella residenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Bruxelles dal presidente Donald Trump, il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, è stato pubblicamente redarguito perché incapace di salvaguardare la coerenza politica dell’Alleanza.
L’ingresso alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2017, di un partigiano del capitalismo produttivo ha scompigliato l’ordine internazionale a discapito dei partigiani del capitalismo finanziario. L’imperialismo, fino a quel momento ciecamente difeso dai presidenti degli Stati Uniti al punto da farlo coincidere con la politica estera USA, si fonda ora sulle burocrazie, in primo luogo sulle compagini amministrative di NATO e UE.
Comportandosi coerentemente con quanto annunciato in campagna elettorale, Donald Trump è un eletto molto prevedibile. Non si possono invece fare pronostici sulla sua capacità di cambiare il sistema. Per il momento, non è stato assassinato, come lo fu John Kennedy, e nemmeno è stato costretto a dimettersi, come accadde a Richard Nixon [1]. Continua per la propria strada, avanzando di due passi e arretrando di uno.
Gli Occidentali l’hanno dimenticato, ma, in regime repubblicano, l’unico ruolo degli eletti è controllare le amministrazioni degli Stati che governano. Si è invece progressivamente imposto un “pensiero unico”, che ha trasformato gli eletti in alti funzionari e gli Stati in dittature amministrative. Il conflitto che oppone il presidente Trump agli alti funzionari dei predecessori è quindi un semplice tentativo di far ritorno alla normalità. È però anche un conflitto titanico, paragonabile a quello che oppose i due governi francesi durante la seconda guerra mondiale [2].
L’amministrazione NATO, scottata dal vertice del 25 maggio 2017 in cui Trump impose di aggiungere agli obiettivi dell’Alleanza la lotta al terrorismo, e da quello del G7 dell’8 e 9 giugno 2018, in cui Trump rifiutò di firmare la risoluzione finale, tenta ora di salvaguardare gli obiettivi dell’imperialismo.
-  In primo luogo, alla vigilia del vertice è stata firmata una Dichiarazione congiunta dell’amministrazione NATO e di quella dell’Unione Europea [3]. La NATO ha così voluto garantirsi l’osservanza del legame di subordinazione della UE alla NATO, sancito dall’art. 42 del Trattato di Maastricht. Hanno firmato la dichiarazione il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, e il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker. Il polacco Tusk proviene da una famiglia segretamente al soldo della NATO durante la Guerra Fredda; il lussemburghese Juncker è stato invece responsabile dei servizi segreti dell’Alleanza nel suo Paese (Gladio) [4]. Dopo che l’ex consigliere speciale di Trump, Steve Bannon, è andato in Italia per sostenere la formazione di un governo anti-sistema all’ostentato scopo di far saltare in aria l’Unione Europea, gli alti funzionari europei si sentono minacciati.
-  In secondo luogo, l’amministrazione NATO ha fatto firmare la bozza della Dichiarazione comune all’inizio del vertice, invece che alla fine [5]. La dottrina anti-russa dell’Alleanza non è stata quindi oggetto di discussione. Consapevole della trappola, il presidente Trump ha deciso di cogliere alla sprovvista i funzionari: mentre tutti i partecipanti si aspettavano una polemica sulla fiacca contribuzione finanziaria allo sforzo militare comune, Trump ha invece chiamato in causa il fondamento dell’Alleanza: la protezione dalla Russia.
Trump ha convocato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, nella sede dell’ambasciata USA a Bruxelles e, di fronte alla stampa, ha fatto quest’osservazione: la Germania alimenta la propria economia con il gas del suo “amico” russo e, al tempo stesso, chiede di essere protetta dal suo “nemico”, la Russia. Rimarcando la contraddizione, Trump ha messo in secondo piano la questione del finanziamento, pur senza abbandonarla. Soprattutto, così facendo, a una settimana dall’incontro con il presidente Vladimir Putin, Trump ha svuotato di significato la lunga requisitoria contro la Russia, contenuta nella Dichiarazione di apertura del vertice.
Quest’osservazione di Trump era rivolta non tanto alla Germania, come invece hanno interpretato i commentatori della stampa, bensì allo stesso Stoltenberg: Trump ha voluto sottolineare la negligenza di questo alto funzionario che amministra la NATO senza porsi domande sulla ragion d’essere dell’Alleanza.
Lo scontro tra Casa Bianca e Bruxelles prosegue [6].
Da un lato, la NATO ha avallato la creazione di due centri di comando congiunti (a Ulm in Germania e a Norfolk negli Stati Uniti)… e un aumento del 10% del personale. Dal canto suo l’Unione Europea ha istituito la «Cooperazione Strutturata Permanente» (un programma dotato di autonomia, con un budget di 6,5 miliardi di euro), cui la Francia ha aggiunto l’«Iniziativa Europea di intervento» (un programma operativo). Contrariamente ai discorsi sull’indipendenza europea, queste strutture sottostanno al Trattato di Maastricht, sono quindi al servizio della NATO. Giovano solo alla complessità della burocrazia europea, per la più grande gioia degli alti funzionari.
Dall’altro lato, il presidente Trump ha discretamente iniziato il confronto con l’omologo russo, in vista del ritiro delle truppe russe e della NATO dalle rispettive linee di confine.

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