Con una concreta collaborazione legislativa tra Stato e chiesa, il fenomeno della pedofilia nelle parrocchie potrebbe essere fortemente limitato. Tuttavia, ci ritrova in una pericolosa fase di stallo in cui si dibatte, si discute, si riflette e nel mentre molte vittime innocenti vengono abusate.
A livello di normativa statale, il reato di abuso su minori è disciplinato all’articolo 609 quater del codice penale il quale, rimandando per il calcolo della pena al precedente articolo 609 bis c.p., prevede delle pene che al netto degli aumenti previsti dalle circostanze aggravanti, potrebbe anche dare un certo senso di giustizia alla vittima in caso di condanna dell’autore del reato.
Purtroppo, nella realtà pratica dei fatti, subentrano diversi fattori che non permettono che si possa far giustizia e che si possa intervenire in maniera tempestiva in caso di “allarme”. Si pensi al serio problema della prescrizione, che ha aiutato ad evitare un definitivo giudizio di merito sull’operato di Don Paolo Alberto Lesmo e su quello di Don Vincenzo Calà, entrambi condannati nelle prime fasi di giudizio per poi veder intervenire la prescrizione in ultima facie. L’elenco sui processi di questo genere che si sono conclusi con la prescrizione del reato potrebbe essere infinito e, a parere di chi scrive, questo reato dovrebbe essere considerato imprescrittibile, in modo tale da far luce in maniera definitiva sull’operato dei presunti pedofili. La parrocchia è il luogo in cui per consuetudine e costume si svolge l’infanzia di gran parte della popolazione e, sapere che preti condannati nelle prime fasi del giudizio e poi beneficiari della prescrizione, sono ancora in giro per le parrocchie, mette un bel po’ di angoscia. Il reato di pedofilia genera nella vita della vittima un danno alla sfera psico-fisica di natura permanente e, per questo, la prescrizione non dovrebbe operare in questa ipotesi di delitto, poiché i suoi effetti non risultano terminati al momento della denuncia.
Le testimonianze fornite dalle vittime ci hanno permesso di comprendere che i traumi di queste esperienze spesso vengono raccontati in età adulta e questo agevola parecchio il ricorso al “salvagente” prescrizione. Si pensi anche al fatto che la quasi totalità delle testimonianze ha riportato un senso di profonda vergogna verso i genitori nel raccontare gli abusi subiti, e i costoro rappresentano per il diritto penale coloro che hanno la facoltà di denunciare fino a che la vittima non abbia compiuto i diciotto anni.