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31 gennaio 2019
Newsletter Thomas Torelli: Chi la ferma più la reLOVution? ✌
Addio a Eleonora Fais: 43 anni alla ricerca della verità sulla strage di Montagna Longa
Se n'è andata per una malattia che le aveva rubato le ultime energie, dopo che per lustri aveva chiesto giustizia e si era scontrata con muri di silenzio. Una battaglia durata quasi 44 anni e dimenticata dalla maggioranza degli italiani. È morta così Eleonora Fais, sorella di Angela, scomparsa giovanissima nell'indecifrato disastro aereo di Montagna Longa.
Non si rassegnava alla reticenza delle istituzioni
Vivace e instancabile quasi fino all'ultimo, incapace di rassegnarsi all'oblio e alle reticenze istituzionali che rendono molto difficile, per chi è stato toccato da vicende come questa, una compiuta elaborazione del lutto. Nella vita di Eleonora Fais, già militante del Pci, vicinissima a Pio La Torre, assassinato da Cosa nostra nel 1982, si erano accumulate più domande che risposte, e questo probabilmente le aveva fatto più male di quanto potesse farle una malattia. Una sconfitta di cui diceva di sentirsi responsabile, anche se non dimenticava come si fosse giunti a quel risultato.
Il disastro il 5 maggio 1972
È il 5 maggio 1972. Il comandante comunica alla torre di controllo di trovarsi a cinquemila piedi sulla verticale dell'aeroporto palermitano di Punta Raisi. Sono le 22,18 minuti del 5 maggio 1972, quasi 44 anni fa. "Viro sul mare", annuncia e il velivo inizia un'immenso arco, quasi un cerchio, perché il Dc8, un quadrimotore prodotto dalla Douglas Aircraf, possa appoggiare le ruote sulla pista "25 sinistra" di Punta Raisi. È l'ultima comunicazione radio prima che il volo Az 112 si schianti contro Montagna Longa, un rilievo di 935 metri che si erge sul confine tra i comuni di Cinisi e Carini.
"Sbandava come una persona malmenata"
Poco prima molti testimoni l'hanno visto passare già in fiamme sulle loro teste. "Procedeva sbandando, come una persona che sia stata malmenata. Hanno detto che i piloti, il comandante Roberto Bartoli e Bruno Dini, che in quel momento era ai comandi, avevano sbagliato rotta. Ma anche su una rotta sbagliata un aereo procede in maniera lineare, non come un un modellino di cartone lanciato da un bambino", diceva Eleonora. Torretta, Partinico, Balestrate, poi la valle tra Cinisi e Montagna Longa. Qui il Dc 8 sbatte su una parete e poi rimbalza come una gigantesca palla infuocata su un piccolo altopiano.
Furono 115 le vittime, nessun sopravvissuto
Il tracciato degli ultimi minuti di volo è un' asettica collezione di puntini su una mappa, nella memoria di Eleonora era granito. Perché su quell'aereo c'erano 115 passeggeri e uno di questi si chiamava Angela Fais, giovanissima segretaria di redazione dell'Ora di Palermo e poi di Paese Sera, militante comunista, come tutta la sua famiglia, giovane cronista in attesa di diventare professionista.
La magistratura: "Colpa dei piloti"
Per la verità, una risposta – se così si può definire – la magistratura l'ha già data all'inizio degli anni Ottanta, dando la colpa a chi non può più rispondere, cioè ai piloti, professionisti con migliaia di ore di volo alle spalle e forti di moltissimi atterraggi e decolli proprio da Punta Raisi. La sentenza è stata una pietra tombale, che nel 2012 il parente di una delle vittime ha chiesto di risollevare per fugare dubbi, interrogativi, veri e propri misteri che gravano su quel disastro.
Da Trapani la pista neofascista e dei sequestri
Quando cerchi la verità, spiegava Eleonora, la vita continua. «Cresci i tuoi figli, ti occupi della famiglia, poi esci di casa e vai a bussare a tutte le porte che fino a quel momento sono rimaste chiuse». Un giorno Eleonora Fais ha bussato a quella della questura di Trapani, dove era custodito il rapporto su Montagna Longa di un serio e puntiglioso commissario di polizia, Giuseppe Peri, che aveva analizzato i fermenti di gruppi neofascisti e una serie di sequestri di persona. Il disastro, ipotizzava Peri, poteva essere stato provocato da una bomba che avrebbe dovuto esplodere a terra, quando i passeggeri avevano già lasciato il velivolo. Questo non era accaduto perché il volo Az 112 aveva dovuto dare la precedenza a un altro aereo, rimanendo in volo alcuni minuti più del necessario. Vero o falso che fosse, Peri non aveva potuto accertarlo perché qualcuno si era premurato di farlo trasferire. Un provvedimento, come scrive Francesco Terracina in una documentata analisi degli avvenimenti, propiziato dai buoni uffici di un magistrato e di un funzionario iscritti alla P2.
"Angela era felice, tornava da Roma"
"Non c'è bisogno che vieni all'aeroporto, vai direttamente al comizio davanti al Teatro Massimo, ci vediamo lì". Furono le ultime parole di Angela dette a Eleonora. "Per noi era una specie di riflesso condizionato", raccontava la sorella, "bisognava che le iniziative pubbliche ottenessero sempre il massimo di partecipazione, non un militante doveva essere distolto da questo compito, certo non per andare a prendere amici o parenti all'aeroporto". Mancavano solo due giorni alle elezioni politiche anticipate, il presidente Giovanni Leone aveva sciolto le camere 12 mesi prima che la legislatura si concludesse. I ricordi di Eleonora erano netti e inossidabili. "Angela era felice. Stava venendo a Roma con il regista Franco Indovina, assistente di Francesco Rosi".
L'intreccio con la mafia e il delitto Mattei
Indovina cercava elementi per ricostruire vita e morte di Enrico Mattei, vulcanico presidente dell'Eni, e Angela era una delle fonti. Sull'aereo insieme a loro c'erano personaggi importanti. All'epoca si disse che la mafia aveva tutto l'interesse a provocare l'incidente perché a bordo c'erano, tra gli altri, il comandante della Guardia di Finanza di Palermo e il magistrato Ignazio Alcamo, che aveva preso provvedimenti restrittivi nei confronti di Francesco "Ciccio" Vassallo, costruttore legatissimo a Vito Ciancimino. Un altro passeggero era Letterio Maggiore, già medico medico personale di Salvatore Giuliano, secondo Terracina uno dei pochi a conoscere la vera storia della strage di Portella della Ginestra.
Quel giorno c'era un'esercitazione
C'era più di un motivo per indagare meglio su quel disastro. Giuseppe Casarrubea, scomparso anche nel 2015i, da anni gestiva un prestigioso archivio delle vicende siciliane e nazionali e ricordava che il 5 maggio 1972 era in corso un'esercitazione "Dawn Patrol" (ricognizione all'alba).Le foto ufficiali evidenziavano sulla carlinga del Dc 8 tracce di colpi che potevano essere la conseguenza dell'impatto, o forse la causa. Non fu mai disposta una perizia per accertarlo. Come se una voragine avesse inghiottito tutte le risposte, lasciando solo le domande.
Un caso Ustica ante litteram?
"Una di queste", diceva Eleonora Fais, "riguarda la conversazione tra il comandante Bartoli e il pilota di un Ilyuscin sovietico. Si sa che i due si parlavano in inglese, ma di quell'aereo non si sa altro. Che ci faceva a Punta Raisi, chi erano i passeggeri a bordo, dove era diretto?" Impossibile nascondere il dubbio che quella di Montagna Longa sia stata una tragedia molto simile a quella di Ustica, quando un Dc 9 diretto a Palermo fu abbattuto per errore nel corso di un'azione di guerra i cui contorni non sono ancora completamente definiti. "Siamo stati lasciati soli, anche dal partito", concludeva Eleonora e altro non voleva aggiungere.
Strage di Montagna Longa: addio a Maria Eleonora Fais
Lo scorso 31 gennaio (2016) è morta Eleonora Fais, sorella di Angela, una delle 115 vittime della strage di Montagna Longa. Sulla sua pagina facebook la nota scrittrice Stefania Limiti ha voluto così ricordare l'amica. "Era il 5 maggio 1972 quando il volo Alitalia AZ 112 si schiantò in fase di atterraggio contro Montagna Longa, tra il territorio di Cinisi ed il territorio di Carini, in provincia di Palermo, vicino l'Aeroporto di Punta Raisi. E' stato uno dei più tragici episodi della strategia della tensione, completamente dimenticato, cancellato, abbandonato, rubricato come 'incidente'. Eleonora non ha mai smesso di cercare la verità, era una combattente mossa non solo dall'amore per la sorella ma anche da tanta passione civile e politica, da solida militante comunista. Il passare degli anni, i silenzi, la memoria perduta di quel dramma l'hanno consumata. Una volta mi disse: "non siamo riusciti a trovare la verità, è anche responsabilità nostra. È la nostra sconfitta". Sentiva questo peso assurdo sulle sue spalle, lei così minuta. Si è lasciata andare, indebolita alla fine da un lungo digiuno. Mi piace pensare che proprio con l'ultimo respiro abbia finalmente riabbracciato la sua Angela. Che la terra ti sia lieve, cara Eleonora".
Con profonda gratitudine nei confronti di Eleonora Fais per la sua incrollabile ricerca della verità, ci uniamo al ricordo di Stefania Limiti, con la consapevolezza che la storia sulla strage di Montagna Longa non è stata ancora scritta. Se non parzialmente.
La Redazione di Antimafia Duemila
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Patto franco-tedesco, Magaldi: minacciamoli di lasciare l’Ue
«Il governo gialloverde non fa paura a nessuno, in Europa: abbaia, ma non morde. Ecco perché l'oligarchia europea non ha alcun interesse a farlo cadere, men che meno per instaurare un esecutivo "tecnico" come quello di Monti, oggi improponibile all'elettorato italiano». Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, l'allarme lanciato da Gianfranco Carpeoro (Cottarelli al posto di Conte, in attesa di Draghi) ha un significato «sottilmente apotropaico», quello cioè di evocare un pericolo – l'ennesimo complotto – proprio allo scopo di scongiurarlo, "bruciandolo". Per Magaldi, in fondo, la realtà è persino peggiore di quella tratteggiata da Carpeoro: perché «gli spaventapasseri Di Maio e Salvini non hanno nemmeno saputo approfittare della rivolta francese dei Gilet Gialli per pretendere, come avrebbero dovuto, il rispetto delle legittime istanze del governo italiano». Mazziati e cornuti, ma senza ammetterlo: «Bravi ad alzare la voce sui migranti e magari su Battisti, e invece zitti di fronte ai diktat della Commissione Europea», peraltro dominata da due paesi – Germania e Francia – che adesso, con lo scandaloso Trattato di Aquisgrana, «rifilano un ceffone plateale a tutti i cantori, anche italiani, della mitica Unione Europea, finora in realtà mai esistita e mai davvero nata».
Chiamiamola Disunione Europea: è una cupola di oligarchi affaristi, impegnati a svuotare le nostre democrazie impoverendo i popoli. Di fronte a questo, «l'Italia dovrebbe minacciare di sospendere la vigenza dei trattati europei». Il dado è tratto, avverte Magaldi: ormai, i gruppi di potere (privatistici) che sostengono la Merkel e Macron hanno gettato la maschera. «Odiano a tal punto la democrazia, da stipulare un accordo smaccatamente egoistico, in danno degli altri paesi europei». Oltre all'incredibile "Consiglio dei ministri congiunto, franco-tedesco", c'è anche «la barzelletta dei "due sederi" che si alternerebbero al seggio, attualmente solo francese, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». Parigi è disposta a cedere il 50% di quella poltrona a Berlino? «Curioso: da Francia e Germania, non una parola sul penoso stato in cui è ridotta l'Onu, ormai incapace di far rispettare i diritti umani nel mondo». Quanto alla Francia, «persino Di Maio, meglio tardi che mai, si è premurato di ricordare l'atteggiamento predatorio e neo-coloniale che i francesi impongono a 14 paesi africani, quelli da cui provengono molti dei migranti diretti in Italia, su cui poi il signor Macron si permette di fare lo spiritoso».
Una denuncia che il presidente del Movimento Roosevelt anticipa in una video-chat su YouTube con Marco Moiso, ribadendola poi nel web-streaming con Fabio Frabetti di "Border Nights": l'Italia, semplicemente, non può accettare che una cricca di faccendieri oligopolisti decida – per giunta, parlando a nome del popolo tedesco e di quello francese – di prendere a calci i partner europei per tentare di ipotecare all'infinito il loro potere, finora affidato ai burattini Merkel e Macron. La verità è un'altra: la cancelliera è al tramonto, mentre l'Eliseo è assediato dalla rivolta di strada: 8 francesi su 10 voterebbero contro l'attuale presidente. E in queste condizioni i governi di Francia e Germania pensano di poter dichiarare guerra, impunemente, al resto d'Europa? I fatti potrebbero dar loro ragione, commenta Magaldi con amarezza, solo se il governo italiano continuasse la sua indecorosa manfrina: proclami altisonanti, per poi lasciarsi regolarmente umiliare. Sembra proprio che tutto sia cominciato il 27 maggio 2018, quando Lega e 5 Stelle accettarono di subire il "niet" di Mattarella sull'incarico a Paolo Savona come ministro dell'economia.
Da lì in poi, gli oligarchi devono aver capito che il nascituro governo gialloverde si sarebbe rassegnato a ingoiare qualsiasi rospo, rinunciando alle grandi promesse della campagna elettorale: reddito di cittadinanza, Flat Tax, rottamazione della legge Fornero sulle pensioni. Per invertire la rotta e bocciare l'Europa del rigore serviva un deficit di almeno il 4%, capace di stimolare l'economia già nel 2019. Ma l'esecutivo Conte non è andato oltre la proposta del 2,4%, restando al di sotto della soglia (artificiosa, ideologica e dannosa) sancita dal famoso 3% di Maastricht. Salvo poi perdere definitivamente la faccia, facendosi limare un altro mezzo punto di deficit, sotto la minaccia della procedura d'infrazione. Risultato: accorciata ulteriormente la coperta, tutte le promesse gialloverdi sono evaporate. L'irrisorio reddito grillino appare condizionato da intricatissimi vincoli burocratici, mentre la riforma delle pensioni (quota 100) è ridotta a puro ecloplasma. E non s'è vista nessuna vera riduzione del carico fiscale. Anche per questo, dice Magaldi, i gialloverdi alzano il volume su questioni secondarie e irrilevanti, come l'arresto di Cesare Battisti, estradato solo perché in Brasile è salito al potere l'imbarazzante Bolsonaro.
Un avviso a Salvini: non basta cambiare felpa, tutti i giorni, per nascondere la bancarotta politica del "governo del cambiamento", che si sta rivelando una colossale presa in giro. «Che bisogno c'è di farlo cadere, un governo così docile? E' perfetto, per lasciare tutto com'è». Con in più il vantaggio di dare agli italiani, per ora, l'illusione di un'inversione di rotta. «Ma attenzione: le cose possono cambiare in tempi rapidissimi». Se n'è accorto Matteo Renzi, «altro campione di chiacchiere», passato in pochi mesi dal 40% al ruolo di profugo politico. Anche per questo, sottolinea Magaldi, è necessario dare fiato a una nuova prospettiva, quella del "partito che serve all'Italia", i cui promotori – tra cui Ilaria Bifarini, Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi – torneranno a riunirsi a Roma il 10 febbraio. Orizzonte: costruire un vero Piano-B per uscire dall'autismo dell'Europa degli oligarchi. Se ne parlerà anche a Londra il 30 marzo, in un forum sull'economia europea indetto dal Movimento Roosevelt, al quale parteciperanno personalità come Guido Grossi, già supermanager Bnl.
E' il momento di parlar chiaro, ribadisce Magaldi: oggi, l'Italia ha il dovere di convocare i partner europei – Francia e Germania in testa – per obbligarli a riscrivere le regole dell'Unione. Ovvero: una Costituzione democratica e un governo continentale finalmente eletto dal Parlamento Europeo, espressione diretta degli elettori. E quindi: una politica economica unitaria, la fine dello spread, il sostegno al debito mediante gli eurobond. Addio al Trattato di Maastricht e al suo ignobile 3%. O si disegna un New Deal, come invocato dallo stesso Savona nel suo discorso al Senato, o l'Europa è morta. E se Parigi e Berlino pensano di fare da sole, a maggior ragione: l'Italia le fermi. «Dica chiaramente, il nostro governo, che se la linea è quella del Trattato di Aquisgrana, il nostro paese sospende la vigenza di tutti i trattati europei». In questo modo, aggiunge Magaldi, l'Italia parlerebbe anche a nome degli altri partner Ue, esercitando un ruolo autorevole: «Un governo italiano realmente europeista, che denunciasse come anti-europeisti i difensori di questa Europa così com'è, dovrebbe dire a tutti gli altri partner che è giunta l'ora di sciogliere il patto».
E questo, peraltro, «vorrebbe dire assumersi la leadership di un processo di riconversione democratica dell'Europa». Se invece Francia e Germania rifiutassero di ascoltare l'Italia, a quel punto «l'eventuale uscita dai trattati avrebbe ben altra legittimazione, anche internazionale». Certo, aggiunge Magaldi, lo schiaffo franco-tedesco deve bruciare soprattutto sulle guance «di tutti quegli imbecilli, anche italiani», che hanno fatto del mantra "ce lo chiede l'Europa" un dogma di fede, «credendo che il sogno europeo dovesse passare per l'imposizione di una governance post-democratica». Una sonora lezione anche per i velleitari "eroi" del nuovo sovranismo, ambigua bandiera «da sventolare in campagna elettorale, per poi ammainarla una volta al governo». Prendete Salvini: la sua ipotetica alleanza tra nazionalismi contava soprattutto su Ungheria e Polonia, «cioè proprio i due paesi che, per primi, hanno bocciato la manovra del governo Conte».
Per Magaldi, in sostanza, «dobbiamo essere abili, e anche leali verso gli altri popoli europei». Illusorio rifugiarsi entro i confini nazionali: chi rimpiange l'Italia della lira, che stava certamente assai meglio di quella dell'euro, «dimentica sempre di ricordare che il nostro paese beneficiava innanzitutto del supporto internazionale degli Usa». Ovvero: «Con gli "assi" fondati sugli egoismi nazionali non si va da nessuna parte: fare da soli è impossibile, in un mondo sempre più interconnesso. E qualunque idea di una nazione isolata che possa resistere all'urto dei poteri globali è pura follia». L'alternativa? Semplice, in teoria: «Per contrastare le reti sovranazionali private, cementate da interessi inconfessabili, bisogna costruire reti sovranazionali pubbliche e finalmente democratiche». L'Italia di eri – fino a Monti, Letta, Renzi e Gentiloni – era «subalterna, imbelle e servile». Quella di oggi, gialloverde, preferisce «il piagnisteo velleitario, i proclami muscolari a cui poi non seguono i fatti». Serve un'altra Italia, «sovrana e democratica, orgogliosa di sé», capace di alzarsi in piedi e resuscitare la democrazia come modello imprescindibile, «non solo in Europa ma anche alle Nazioni Unite».
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Chiamiamola Disunione Europea: è una cupola di oligarchi affaristi, impegnati a svuotare le nostre democrazie impoverendo i popoli. Di fronte a questo, «l'Italia dovrebbe minacciare di sospendere la vigenza dei trattati europei». Il dado è tratto, avverte Magaldi: ormai, i gruppi di potere (privatistici) che sostengono la Merkel e Macron hanno gettato la maschera. «Odiano a tal punto la democrazia, da stipulare un accordo smaccatamente egoistico, in danno degli altri paesi europei». Oltre all'incredibile "Consiglio dei ministri congiunto, franco-tedesco", c'è anche «la barzelletta dei "due sederi" che si alternerebbero al seggio, attualmente solo francese, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». Parigi è disposta a cedere il 50% di quella poltrona a Berlino? «Curioso: da Francia e Germania, non una parola sul penoso stato in cui è ridotta l'Onu, ormai incapace di far rispettare i diritti umani nel mondo». Quanto alla Francia, «persino Di Maio, meglio tardi che mai, si è premurato di ricordare l'atteggiamento predatorio e neo-coloniale che i francesi impongono a 14 paesi africani, quelli da cui provengono molti dei migranti diretti in Italia, su cui poi il signor Macron si permette di fare lo spiritoso».
Una denuncia che il presidente del Movimento Roosevelt anticipa in una video-chat su YouTube con Marco Moiso, ribadendola poi nel web-streaming con Fabio Frabetti di "Border Nights": l'Italia, semplicemente, non può accettare che una cricca di faccendieri oligopolisti decida – per giunta, parlando a nome del popolo tedesco e di quello francese – di prendere a calci i partner europei per tentare di ipotecare all'infinito il loro potere, finora affidato ai burattini Merkel e Macron. La verità è un'altra: la cancelliera è al tramonto, mentre l'Eliseo è assediato dalla rivolta di strada: 8 francesi su 10 voterebbero contro l'attuale presidente. E in queste condizioni i governi di Francia e Germania pensano di poter dichiarare guerra, impunemente, al resto d'Europa? I fatti potrebbero dar loro ragione, commenta Magaldi con amarezza, solo se il governo italiano continuasse la sua indecorosa manfrina: proclami altisonanti, per poi lasciarsi regolarmente umiliare. Sembra proprio che tutto sia cominciato il 27 maggio 2018, quando Lega e 5 Stelle accettarono di subire il "niet" di Mattarella sull'incarico a Paolo Savona come ministro dell'economia.
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Un avviso a Salvini: non basta cambiare felpa, tutti i giorni, per nascondere la bancarotta politica del "governo del cambiamento", che si sta rivelando una colossale presa in giro. «Che bisogno c'è di farlo cadere, un governo così docile? E' perfetto, per lasciare tutto com'è». Con in più il vantaggio di dare agli italiani, per ora, l'illusione di un'inversione di rotta. «Ma attenzione: le cose possono cambiare in tempi rapidissimi». Se n'è accorto Matteo Renzi, «altro campione di chiacchiere», passato in pochi mesi dal 40% al ruolo di profugo politico. Anche per questo, sottolinea Magaldi, è necessario dare fiato a una nuova prospettiva, quella del "partito che serve all'Italia", i cui promotori – tra cui Ilaria Bifarini, Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi – torneranno a riunirsi a Roma il 10 febbraio. Orizzonte: costruire un vero Piano-B per uscire dall'autismo dell'Europa degli oligarchi. Se ne parlerà anche a Londra il 30 marzo, in un forum sull'economia europea indetto dal Movimento Roosevelt, al quale parteciperanno personalità come Guido Grossi, già supermanager Bnl.
E' il momento di parlar chiaro, ribadisce Magaldi: oggi, l'Italia ha il dovere di convocare i partner europei – Francia e Germania in testa – per obbligarli a riscrivere le regole dell'Unione. Ovvero: una Costituzione democratica e un governo continentale finalmente eletto dal Parlamento Europeo, espressione diretta degli elettori. E quindi: una politica economica unitaria, la fine dello spread, il sostegno al debito mediante gli eurobond. Addio al Trattato di Maastricht e al suo ignobile 3%. O si disegna un New Deal, come invocato dallo stesso Savona nel suo discorso al Senato, o l'Europa è morta. E se Parigi e Berlino pensano di fare da sole, a maggior ragione: l'Italia le fermi. «Dica chiaramente, il nostro governo, che se la linea è quella del Trattato di Aquisgrana, il nostro paese sospende la vigenza di tutti i trattati europei». In questo modo, aggiunge Magaldi, l'Italia parlerebbe anche a nome degli altri partner Ue, esercitando un ruolo autorevole: «Un governo italiano realmente europeista, che denunciasse come anti-europeisti i difensori di questa Europa così com'è, dovrebbe dire a tutti gli altri partner che è giunta l'ora di sciogliere il patto».
E questo, peraltro, «vorrebbe dire assumersi la leadership di un processo di riconversione democratica dell'Europa». Se invece Francia e Germania rifiutassero di ascoltare l'Italia, a quel punto «l'eventuale uscita dai trattati avrebbe ben altra legittimazione, anche internazionale». Certo, aggiunge Magaldi, lo schiaffo franco-tedesco deve bruciare soprattutto sulle guance «di tutti quegli imbecilli, anche italiani», che hanno fatto del mantra "ce lo chiede l'Europa" un dogma di fede, «credendo che il sogno europeo dovesse passare per l'imposizione di una governance post-democratica». Una sonora lezione anche per i velleitari "eroi" del nuovo sovranismo, ambigua bandiera «da sventolare in campagna elettorale, per poi ammainarla una volta al governo». Prendete Salvini: la sua ipotetica alleanza tra nazionalismi contava soprattutto su Ungheria e Polonia, «cioè proprio i due paesi che, per primi, hanno bocciato la manovra del governo Conte».
Per Magaldi, in sostanza, «dobbiamo essere abili, e anche leali verso gli altri popoli europei». Illusorio rifugiarsi entro i confini nazionali: chi rimpiange l'Italia della lira, che stava certamente assai meglio di quella dell'euro, «dimentica sempre di ricordare che il nostro paese beneficiava innanzitutto del supporto internazionale degli Usa». Ovvero: «Con gli "assi" fondati sugli egoismi nazionali non si va da nessuna parte: fare da soli è impossibile, in un mondo sempre più interconnesso. E qualunque idea di una nazione isolata che possa resistere all'urto dei poteri globali è pura follia». L'alternativa? Semplice, in teoria: «Per contrastare le reti sovranazionali private, cementate da interessi inconfessabili, bisogna costruire reti sovranazionali pubbliche e finalmente democratiche». L'Italia di eri – fino a Monti, Letta, Renzi e Gentiloni – era «subalterna, imbelle e servile». Quella di oggi, gialloverde, preferisce «il piagnisteo velleitario, i proclami muscolari a cui poi non seguono i fatti». Serve un'altra Italia, «sovrana e democratica, orgogliosa di sé», capace di alzarsi in piedi e resuscitare la democrazia come modello imprescindibile, «non solo in Europa ma anche alle Nazioni Unite».
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