Uruguay, America latina: Pepe Mujica presidente, “il mondo alla rovescia”
Pepe Mujica, l’ex guerrigliero Tupamaro, per 13 anni prigioniero della
dittatura fondomonetarista, per nove anni rinchiuso in un pozzo e
torturato continuamente, è il nuovo presidente della Repubblica in
Uruguay. Ha ottenuto il 51,9% dei voti, superando il 50.4% con il quale
Tabaré Vázquez era stato eletto cinque anni fa. Il suo rivale, Luís
Alberto “Cuqui” Lacalle, del Partito Nazionale, si è fermato al 42.9%
dei voti.
Più tardi online il pezzo sull’Honduras scritto in esclusiva per Latinoamerica.
E’ uno scarto di nove punti, superiore a tutte le aspettative e, con
un’affluenza alle urne superiore al 90% in uno dei paesi dal più alto
senso civico al mondo, conferma che quella del presunto rifiuto per la
figura popolana e popolare e dal passato guerrigliero di Mujica era una
menzogna cucinata e venduta a basso costo dal complesso
disinformativo-industriale di massa.
di Gennaro Carotenuto
Il trionfo di Mujica (nella foto incredibilmente in giacca, ma senza
cravatta) è espressione di quello che negli anni del Concilio Vaticano
II si sarebbe definito “segno dei tempi”. Come ha detto lo stesso
dirigente politico tupamaro, emozionatissimo nel suo primo discorso
sotto la pioggia battente a decine di migliaia di orientali che hanno
festeggiato con i colori del Frente Amplio, quello che lo porta alla
presidenza è proprio “un mondo alla rovescia”.
Un mondo nuovo i contorni del quale non sono ancora del tutto
visibili nella prudenza dei grandi dirigenti politici che rappresentano
il fiorire dei movimenti sociali, indigeni, popolari del Continente ma
che si tratteggia in due grandi temi di fondo: uguaglianza tra i
cittadini e unità latinoamericana.
Mujica è stato chiarissimo: il primo valore della sua presidenza
sarà il mettere l’uguaglianza tra i cittadini al primo posto e il primo
ringraziamento è andato oltre che al popolo orientale "ai fratelli
latinoamericani, ai dirigenti politici che li stanno rappresentando e
che rappresentano le speranze finora frustrate di un continente che
tenta di unirsi con tutte le sue forze”.
Proprio il trionfo di Mujica, la quarta figura che viene dal basso,
plebea se preferite, e non espressione delle classi dirigenti,
illuminate o meno, a divenire presidente in appena un decennio,
testimonia che l’America latina sta riscrivendo la grammatica politica
della rappresentanza democratica in questo inizio di XXI secolo in una
misura perfino insospettabile e incomprensibile in Europa.
Mujica, nonostante la militanza politica di più di mezzo secolo, è un venditore di fiori recisi nei mercati rionali. E’
uno che quando è diventato deputato per la prima volta e fino a che non
ha avuto responsabilità di governo ha accettato dallo Stato solo il
salario minimo di un operaio e, siccome questo non è sufficiente per
vivere, ha continuato a vendere fiori nei mercati rionali. Per campare.
Indecoroso per un parlamentare, ma solo così, solo dal basso, oggi
Mujica può permettersi a testa alta di rappresentare il popolo e
proporre a questo “un governo onesto”.
Non è un medico, come Tabaré Vázquez o Salvador Allende o Ernesto
Guevara, né ha un dottorato in Belgio come l’ecuadoriano Rafael Correa.
Non ha studiato dai gesuiti come Fidel Castro né proviene dalla classe
dirigente illuminata come Michelle Bachelet in Cile o i coniugi
Kirchner in Argentina. Non è, soprattutto, un pollo di batteria,
allevato per star bene in società come tanti burocratini dei partiti
politici della sinistra europea, che infatti passa di sconfitta in
sconfitta e di frammentazione in frammentazione mentre invece in
America l’unità delle sinistre è un fatto.
Pepe il venditore di fiori recisi nei mercatini rionali è un uomo
del popolo come l’operaio Lula in Brasile, come il militare di umili
origini Hugo Chávez in Venezuela e come il sindacalista indigeno Evo
Morales in Bolivia. Non a caso sono tre uomini politici che hanno
mantenuto un rapporto privilegiato con la loro classe di provenienza,
che non hanno tradito e che sono ricompensati con alcuni tra i più alti
indici di popolarità al mondo, nonostante siano costantemente vittime
di campagne ben orchestrate di diffamazione da parte dei complessi
mediatici nazionali e internazionali.
Non è un caso che da questi dirigenti politici venga posto sul
piatto dell’agenda politica lo scandaloso problema dell’uguaglianza che
trent’anni di retorica neoliberale avevano umiliato, vilipeso e
cancellato e che invece è più che mai l’unico motore dell’unico futuro
possibile non solo in America latina.
L’America latina integrazionista, dove diventa presidente un
ex-guerrigliero venditore di fiori recisi nei mercatini dei quartieri
popolari di Montevideo, è davvero “il mondo alla rovescia”, ma è anche
la speranza di un “mondo nuovo”, di un nuovo inizio e un futuro
migliore in pace e in democrazia. Questa speranza non poteva che venire
dal Sud del mondo, da quella “Patria grande latinoamericana” che sta
riscrivendo la Storia.
Giornalismo partecipativo - www.gennarocarotenuto.it