Stragi di Stato. Sono trascorsi più di 40 e 30 anni dalle tragedie di Ustica e del Moby Prince e le vittime non hanno ancora avuto uno straccio di giustizia.
Uccise due volte, una memoria calpestata ad ogni hanno che passa, tra le solite litanie commemorative, intonate anche da quelle autorità istituzionali che hanno coperto e continuano a coprire i responsabili, in un vergognoso groviglio di collusioni & complicità.
USTICA, LA PISTA FRANCESE MAI BATTUTA
Parzialmente risarciti i familiari delle vittime di Ustica, fino ad oggi, e risarcita anche la compagnia ‘Itavia’, che comunque poco tempo dopo quel tragico 27 giugno 1980 era anche fallita. Magra consolazione per tutti, visto che non ci sono responsabili per l’eccidio: nessuno è stato mai condannato da una sentenza, nessuno ha scontato un giorno di galera, nessuno paga il fio per quella atrocità.
Generali, ammiragli, militari e politici liberi come fringuelli.
Eppure la ricostruzione storica di quella tragica notte è sotto gli occhi di tutti: almeno di chi vuol vedere. Mentre la giustizia, of course, è regolarmente cieca.
La tragica verità venne rivelata, poco prima di morire, dall’ex capo dello Stato Francesco Cossiga, che di stragi & misteri di Stato era ben a conoscenza. E nel 2007 raccontò che il missile assassino era partito da una portaerei francese, quella notte nelle acque del Tirreno.
Una ricostruzione che combaciava perfettamente con quella effettuata da una super documentata inchiesta prodotta dal transalpino ‘Canal Plus’.
E incredibilmente raccontata molti anni prima, nel ’91, da Franco Piro alla Voce. L’allora sottosegretario del Psi alla Difesa descrisse nei dettagli quello scenario di guerra nelle acque del Mediterraneo: era stata la portaerei ‘Clemenceau’ – disse – a lanciare il missile.
Sorge spontaneo un interrogativo alto come un grattacielo: come mai la magistratura, che pure ha puntato i riflettori sulla tragedia del tutto inutilmente per decenni, non ha mai voluto battere, neanche per un millimetro, la ‘pista francese’? Era così difficile ottenere, attraverso apposite rogatorie internazionali, tutti i tracciati radar in possesso dei transalpini in grado di documentare il posizionamento e i movimenti delle portaerei in quella tragica notte?
Giancarlo Dettori. Nel montaggio di apertura David Rossi, al centro l’incendio del Moby Prince e, sulla destra, la ricostruzione del DC9 di Uscita e un disegno che ritrae Marco Pantani
Giallo nel giallo, eccoci al caso Dettori. Stiamo parlando del maresciallo dell’aeronautica Alberto Dettori che quella notte era in servizio alla stazione radar di Poggio Ballone.
Sette anni dopo il suo corpo è stato trovato appeso ad un albero.
Dopo lunghissime, estenuanti ricerche, la famiglia cinque anni fa ha chiesto alla magistratura di Grosseto di riaprire il caso, subito archiviato in fretta e furia come il solito ‘suicidio’ da stress (un po’ postumo…).
Ebbene, quella richiesta è stata condannata, pochi mesi fa, allo stesso destino: archiviata, sepolta senza lo straccio di una motivazione plausibile.
E infatti la famiglia non si arrende. Alberto – gridano con forza – è una vittima collaterale di Ustica, perché quella notte ha visto quel che non doveva vedere. E, soprattutto, non doveva raccontare.
E guarda caso – come di recente la Voce ha documentato in due inchieste che potete leggere cliccando sui link in basso – pochi mesi prima di morire il maresciallo Dettori aveva ricevuto una stranissima visita, durata alcuni giorni, di un ‘collega’ francese, con ogni probabilità un uomo dei Servizi, conosciuto un anno prima nel corso di una missione a Nizza.
Incredibile ma vero, l’identità di quel militare francese non è stata mai appurata dai nostri inquirenti. Né hanno fatto il minimo sforzo per accertarla. Ai confini della realtà.
Chiara la volontà di coprire, insabbiare, depistare. Come è successo per 41 lunghissimi e drammatici anni da quel 27 giugno.