28 settembre 2018

Rete Voltaire I principali titoli della settimana 28 set 2018


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Washington pronta a far esplodere la Chiesa Ortodossa
 

 
S-300: Regno Unito, Francia e Israele non potranno più sorvolare la Siria
 

 
Gli Emirati rivendicano l'attentato di Ahvaz
 

 
Esercitazione militare della Russia al largo della Siria
 

 
L'emiro Tamim regala un palazzo volante al sultano Erdoğan
 

 
Israele utilizza un aereo militare russo come scudo
 

 
La battaglia d'Idlib è rinviata
 

 
La Russia smentisce le conclusioni della Commissione olandese sull'MH-17
 
Controversie

 
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SALUTE SpA - LA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITÀ, Francesco Carraro



Dieci milioni di italiani non si fanno curare perché costa troppo, mentre entro 5 anni 14 milioni di cittadini rimarranno senza medico di famiglia. Chi sono i nuovi padroni della salute? Perché la sanità pubblica garantisce coperture sempre inferiori, spingendo i cittadini che hanno bisogno di curarsi nelle mani del privato? Chi spinge verso un modello sanitario nel quale i nuovi mercanti della salute stabiliscono chi può curarsi e chi deve arrangiarsi? La salute è il business del futuro, a dirlo è un documento UE. Tutto quello che non avremmo voluto sapere, lo ha messo nero su bianco Francesco Carrara, autore insieme a Massimo Quezel di “Salute SpA – La sanità svenduta alle assicurazioni“.

www.byoblu.com

27 settembre 2018

Foa in Rai: che succede quando un eretico sale al potere?

Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l'establishment se l'è già "comprato": intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla "voce del padrone", utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.
C'è qualcosa di meta-politico, di profondamente eversivo, nella sola idea di aver pensato a un cavaliere solitario e coltissimo come Foa, giornalista di razza e gentiluomo, per la presidenza della televisione di Stato, vera e propria fabbrica del consenso, Marcello Foaper decenni affidata il più delle volte a mani servili e mediocri. È antropologicamente eversiva, la figura del liberale Foa al vertice della Rai: è il bambino che non può fare a meno di svelare l'imbarazzante nudità del sovrano, del monarca che si gloria nel celebrare una pace apparente, mentre intorno infuria la peggiore delle guerre. La guerriglia di oggi, nella quale Marcello Foa si trova coinvolto – dopo aver dato la sua avventurosa disponibilità a quell'ipotesi democratica chiamata "governo gialloverde" – non è un conflitto come quelli che l'hanno preceduto: è un sordido massacro quotidiano perpetrato ovunque, senza frontiere, senza più neppure le bandiere di un tempo. È una guerra orwelliana, affidata a mercenari. Navi corsare, che combattono (per lo più in incognito) per conto di padroni potentissimi, protetti dall'anonimato. Non c'è più neppure il triste onore della battaglia: si viene sopraffatti in modo subdolo, sistematicamente sommersi da menzogne spacciate per verità di fede, che il sistema mediatico non si cura più di verificare. Ed è proprio per questo che l'attuale sistema mediatico italiano detesta, e teme, Marcello Foa.
Ascoltando solo e sempre un'unica campana, il sistema mainstream ci ha raccontato in questi anni che le poderose, ciclopiche Torri Gemelle di Manhattan sono crollate su se stesse, come se fossero state di cartone anziché di acciaio, solo perché colpite – con una manovra proibitiva persino per i migliori "top gun" – da normalissimi e leggerissimi jet di linea fatti di alluminio, dirottati da apprendisti piloti arabi, di cui tuttora non si sa nulla: non un'immagine, al fatale imbarco, di nessuno dei 19 presunti dirottatori (salvo poi rintracciare i loro passaporti, nientemeno, nell'inferno fumante di Ground Zero). Finge di credere sempre e soltanto alla versione ufficiale, il mainstream media, anche quando dimentica di ricordare che furono gli Usa a incoraggiare Saddam Hussein a invadere il Kuwait, dopo averlo spinto a combattere contro l'Iran. Dà retta unicamente al super-governo universale, il club dei telegiornali, anche quando assicura che Saddam disponeva di micidiali armi di distruzione di massa. E tace, invece, quando l'Onu dimostra che quelle armi erano pura fantasia, come i gas siriani di Assad, le 11 Settembrefosse comuni di Gheddafi, le violenze della polizia di Yanukovich in Ucraina. E poi applaude a reti unificate, la consorteria mediatica, quando in Italia appaiono i cosiddetti salvatori della patria – i Monti, i Cottarelli – armati del bisturi che useranno per amputare carne viva, risparmi e pensioni, economia italiana di aziende e famiglie, oscurando il futuro dei giovani.
All'epoca in cui Marcello Foa lavorava al "Giornale" di Indro Montanelli, il mondo probabilmente appariva infinitamente più semplice – più chiaro, più visibile nei suoi errori e orrori: la guerra fredda, il Medio Oriente e gli sconquassi africani della decolonizzazione, la strategia della tensione organizzata per gambizzare l'Italia e impedirle di prendere il volo come autonoma potenza euromediterranea fondata sulla forza formidabile dell'economia mista, pubblico-privata. In quella redazione milanese, dove Foa è cresciuto professionalmente, su una parete c'era appesa una carta geografica di Israele che indicava come capitale Gerusalemme, già allora, anziché Tel Aviv. Se Enrico Berlinguer impiegò anni per ammettere che si sentiva più al sicuro sotto l'ombrello della Nato piuttosto che tra i carri armati del Patto di Varsavia, Marcello Foa e il suo maestro Montanelli non avevano mai avuto dubbi sul fatto che niente di buono potesse venire, per l'Occidente, da un'oligarchia sedicente comunista che aveva soppresso sul nascere i primi vagiti democratici della Russia, cambiando semplicemente look all'antico dispotismo zarista. L'eroico sacrificio dell'Unione Sovietica, decisivo nell'abbattere il nazifascismo, non poteva Indro Montanellicancellare né i Gulag di Stalin né l'esilio di Aleksandr Solženicyn. Era fatto di certezze, il mondo di Foa e Montanelli: la libertà (inclusa quella d'impresa) come fondamento irrinunciabile di qualsiasi comunità civile degna di chiamarsi democratica.
Ed è questo che rende Foa insopportabile al potere economico di oggi, dove la libertà d'impresa cede il passo al dominio di immensi oligopoli finanziari globalizzati, privilegiati da legislazioni truccate come quelle dell'Unione Europea ordoliberista. È tanto più sgradevole e insidioso, Foa, perché non proviene – come invece molti anchorman televisivi – dalla contestazione giovanile del capitalismo: credeva, Foa, negli stessi valori professati dall'élite economica di un tempo, orientata pur sempre alla promozione della mobilità sociale, in sostanziale accordo con le forze sindacali dell'allora sinistra. Una dialettica anche aspra, ma vocata in ogni caso al miglioramento complessivo del sistema-paese. E mediata – sempre – dalla politica, letteralmente scomparsa dai radar italiani per 25 lunghissimi anni. Solo oggi, alla distanza, ci si mette le mani tra i capelli nel rivedere il film dell'euforia generale con la quale i cittadini avevano accolto il Trattato di Maastricht e, dieci anni dopo, l'ingresso nell'Eurozona disegnata dalle banche e governata dalla Bce con modalità feudali, imperiali, senza la supervisione di alcun controllo democratico. Succedeva negli anni in cui, con la caduta del Muro di Berlino benedetta da Gorbaciov, l'umanità si era illusa che il fantasma della guerra sarebbe stato semplicemente cancellato dalla storia del pianeta.
Magari fosse un comune complottista, Marcello Foa: sarebbe più comodo liquidarlo, come velleitario chiacchierone. Chi oggi gli promette guerra, invece, sa benissimo che l'ex caporedattore del "Giornale", nonché docente universitario, nonché feroce critico del sub-giornalismo odierno, è un vero e proprio disertore. Non era un eretico: lo è diventato negli ultimi anni, disgustato dallo spettacolo al quale è stato costretto ad assistere. Per questo, al di là del reale potere che gli conferisce la carica di presidente Rai, Marcello Foa rappresenta un vero pericolo, per i malintenzionati che oggi gli danno del traditore. Nell'Italia corporativa delle caste, ha osato "sparare" contro la sua – quella dei giornalisti – definendoli "stregoni della notizia", bugiardi L'ultimo saggio di Marcello Foae omertosi spacciatori di "fake news" di regime. E non c'è niente di peggio, per i servi, che l'ex schiavo che si libera delle catene: la sua rivolta personale, intellettuale, suona umiliante per chi si ostina a raccontare che la Terra è piatta, e che è il Sole a orbitarle attorno.
Chi l'avrebbe detto? Oggi l'Italia riesce incredibilmente a piazzare una persona autorevole, onesta e competente, alla guida della televisione pubblica. Marcello Foa non è infallibile: ma quando ha sbagliato – anche di recente, prendendo per buona la notizia di presunte istruzioni che il governo tedesco avrebbe impartito alla polizia, per enfatizzare il terrorismo "casereccio" targato Isis – non ha esitato ad ammetterlo, tempestivamente. Quanti, al suo posto, avrebbero avuto lo stesso coraggio? E ora, questo volto pulito del nostro giornalismo è alle prese con una sfida estremamente impegnativa. È davvero impossibile fare molta strada, in politica, se non si è almeno in parte ricattabili, e quindi controllabili, in quanto complici dell'apparato da cui si è stati promossi? Così almeno ebbe a..

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75mila firme per cambiare la Legge Lorenzin

26 settembre 2018

SCARANTINO / DI MATTEO DAVANTI AL CSM SCARICA LA COLLEGA ANNA MARIA PALMA


Una serie di excusatio non petite ma anche una serie di accuse ben precise (pur senza far nomi) nella verbalizzazione del pm Nino Di Matteo che finalmente parla davanti al Csm sul "più grande Depistaggio di Stato", quello relativo al taroccamento del pentito Vincenzo Scarantino in occasione dei processi Borsellino.
Esordisce con sicurezza l'icona antimafia Di Matteo: "io con il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana non c'entro. Il depistaggio è cominciato un minuto dopo l'attentato di via D'Amelio con il furto dell'agenda rossa. Io invece sono entrato nelle indagini cinque mesi dopo".
Il fascicolo, infatti, era finito subito nella mani del pm Anna Maria Palma, cui poi si è affiancato Di Matteo.

L'ETERNO MISTERO DELL'AGENDA ROSSA

Giuseppe Ayala. In apertura i magistrati Anna Maria Palma e Nino Di Matteo

Quindi solo cinque mesi. E il mistero dell'agenda rossa sempre in piedi. Ma "ufficialmente" risolto, con un processo farsa ad un ufficiale dei carabinieri ripreso da alcune telecamere con l'agenda rossa sotto il braccio. L'avrebbe data – forse – al giudice Giuseppe Ayala, ma a questo punto calano altre nebbie e il processo a carico dell'ufficiale della Benemerita è stato – tanto per cambiare – archiviato. Quindi, su questo fronte bollente dell'agenda rossa, punto e a capo.
La Voce ha più volte ricordato che la scrittrice e giornalista Roberta Ruscica, autrice del libro "I Boss di Stato" fa riferimento ad una confidenza fattale dalla Palma: "l'ho avuta fra le mani, l'agenda rossa". Ma non ricorda, Ruscica se e cosa le abbia raccontato sul dopo, a chi l'abbia consegnata.
Ma è ovviamente sul pentito taroccato Scarantino che si concentra la verbalizzazione di Di Matteo davanti al Csm. Accusa Di Matteo: "C'è tutta una strumentalizzazione anche di quella sacrosanta ansia di verità attraverso un'abile campagna di disinformazione".
A cosa si riferisce mai l'eroe antimafia, il pm senza macchia e senza paura? A quelle rare inchieste giornalistiche – come quelle della Voce – che osano nutrire seri dubbi sull'attendibilità degli inquirenti che hanno gestito quel pentito che anche un bambino avrebbe capito taroccato, costruito a tavolino, ammaestrato o come volete voi?
In primo luogo, a quanto pare, si riferisce alle accorate dichiarazione rilasciate più volte, in questi ultimi mesi, da Fiammetta Borsellino, la figlia-coraggio del pm trucidato a via D'Amelio, la quale ha solo chiesta verità e giustizia. E che vengano idenficati tutti gli autori del Maxi Depistaggio. E cioè non solo i poliziotti, ossia i tre che verbalizzeranno a giorni davanti al Csm (il capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera è morto 12 anni fa), ma soprattutto gli inquirenti, i magistrati che hanno diretto le operazioni e hanno gestito il pentito Scarantino.
Ribadisce Di Matteo: "Io ho cominciato a occuparmi delle stragi nel novembre 1994 e Scarantino collaborava già da cinque mesi. Non ho mai discusso con i colleghi che l'avevano interrogato prima e che non ho visto convocati qui; non seppi dei dubbi espressi dalla dottoressa Boccassini e dal dottor Saieva nell'ottobre '94. Io ho partecipato al processo Borsellino bis solo in dibattimento, utilizzando le dichiarazioni di Scarantino in minima parte e nel Borsellino ter non l'ho nemmeno citato come testimone".
E passa al contrattacco, Di Matteo: "Evidentemente è stato imbeccato da qualcuno che ha mescolato bugie e verità".

S'INCRINA L'ASSE TRA I DUE PM, PALMA E DI MATTEO ?

Arnaldo La Barbera

Dichiarazioni pesantissime e tutte da decodificare, soprattutto.
A questo punto sorgono spontanei svariati interrogativi che solo il seguito del procedimento davanti al Csm potrà chiarire. E chissà mai se basterà.
Sostiene Di Matteo:"non ho mai parlato con i colleghi che lo avevano interrogato prima e che non  ho visto convocati qui".
Una affermazione molto dura e di duplice valenza lanciata nei confronti della collega Anna Maria Palma. Primo, "non ho mai parlato con i colleghi", quindi non ho mai avuto in cinque mesi alcuna interlocuzione con chi aveva in mano il fascicolo; secondo, sono stupito del fatto che mentro io sono qui, davanti a voi, la collega Palma non è stata ancora interrogata e non so se verrà  interrogata.
Terzo: nulla ho mai saputo delle dichiarazioni di Boccassini e Sajeva: come è mai possibile? Possibile che in un tribunale, per un caso di eccezionale gravità, gli inquirenti (o almeno un inquirente) sia tenuto all'oscuro di quanto relazionato da altri colleghi su un pentito strategico? Inverosimile.
E il gran botto finale: evidentemente Scarantino è stato imbeccato…
Domandoni finale: s'è rotto l'inossidabile asse Palma-Di Matteo durato un quasi un quarto di secolo?
Si potrà a questo punto chiarire cosa successe nel corso della "ultima cena" a casa di Paolo Borsellino, alla presenza di toghe eccellenti e "amiche" di Borsellino?
Il senso stesso della frase pronunciata un paio di giorni prima di morire alla moglie Agnese Borsellino, "un amico mi tradirà"?
E la reale "scientifica" costruzione del pentito Scarantino, "imbeccato" sempre al punto giusto durante tutto il dibattimento?
E si potrà forse anche chiarire l'eterno mistero del Castel Utveggio, che domina la collina di Palermo e dal quale si controlla perfettamente via d'Amelio? Per molti anni sede del Cerisdi, una sigla prima riconducibile, come centro studi, ai cattolici di Padre Pintacuda; poi diventata un misterioso punto di appoggio dei Servizi Segreti. A presiederlo, per alcuni anni, Adelfio Elio Cardinale, rettore di Medicina a Catania, sottosegretario alla Sanità nel governo Monti: e marito di Anna Maria Palma.

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25 settembre 2018

Ponte Morandi, da Teramo nuovo esposto: «il video è stato manomesso, ecco perchè»

Lo annuncia  il “Dipartimento Europeo Sicurezza Informazioni” (D.E.S.I.)






TERAMO. Anomalie ben visibili nel video mostrato del Ponte Morandi. Le illustra Luciano Consorti in qualità di Presidente e Direttore Editoriale della testata giornalistica  “Dipartimento Europeo Sicurezza Informazioni (D.E.S.I.)” che condensa le sue considerazioni anche in un esposto alla procura di Teramo depositato oggi 6 settembre.

Consorti spiega che, insieme al suo funzionario esperto in videosorveglianza,  osservando attentamente l’unico video pubblico della videocamera del ponte Morandi registrato della Polizia di Stato ha desunto «verosimilmente una palese Manomissione del Video ed evidenzia  con i cerchi in rosso le anomalie, nel video rallentato vedrete una autocisterna di colore bianco davanti al camion verde di Basko, se osservate attentamente l’autocisterna davanti a Basko sparisce nel nulla, mentre nella corsia opposta si vede un Tir bianco che trasporta un Container di colore rosso  che compare improvvisamente nella carreggiata nel lato sinistro del video, inoltre sul bordo del lato sinistro sotto il logo della polizia, si vede un’anomalia di una pianta che cambia aspetto, il che fa pensare ad una sovrapposizione di immagini».

Come riportato dalle varie agenzie di stampa il 1 settembre 2018,  dopo le indagini della squadra mobile di Genova, si è concluso che il presente video non è stato “manomesso” ma la registrazione si è interrotta  per un black out elettrico senza registrare nessun crollo del ponte.
«Come è possibile che la procura di Genova o perlopiu’ la squadra mobile di Genova che ha fatto le indagini proprio sul quel video, viene a raccontarci che non è stato manomesso alcunchè?», sostiene Consorti, «sembrerebbe un film di fantascienza, dove tutti credono a qualsiasi cosa, visto che il video è chiaro e trasparente per questa ragione abbiamo chiesto alla Procura di Teramo  che vengano fatte ulteriori indagini sul Video per portare alla luce la verità e per riscattare e non far morire in vano tutte quelle 43 vittime del ponte Morandi. Per noi è un puro depistaggio dell’indagine, per conto di chi? E per quale motivo?»

SVELATO L’ARCANO
Dopo alcuni giorni dall'esposto si è potuto appurare che la Squadra mobile di Genova ha fornito una versione ai media non integrale per cui il video trasmesso presenta tagli realizzati a posteriori dall’ufficio
della questura che ovviamente non sono presenti nella versione integrale del video.

Tutto chiarito?
Nient’affatto perchè lo stesso firmatario dell’esposto ha aggiunto: «con questa dichiarazione ipotizziamo che qualcuno voglia depistare le indagini per nascondere ulteriori dettagli su una eventuale o possibile esplosione come supportato dalla tesi del prof.Enzo Siviero docente Universitario»

24 settembre 2018

Gli eurocrati sono Ancien Régime. Ecco perché sono scemi.

Un breve recupero dei fatti della settimana per rilevare fino a che punto l’euro-oligarchia ha assunto i modi, costumi, le arroganze e soprattutto la stolidità dell’antica nobiltà di sangue – quella che per lo più sotto la ghigliottina perse la testa: testa della quale non aveva mai fatto uso, per secoli non avendone avuto bisogno per comandare.
Il primo caso plateale è ovviamente quello del ministro lussemburghese Asselborn a Vienna. Siccome lui ha detto che l’Europa ha bisogno di immigrati perché invecchia, per lui questa è le verità definitiva. Non si aspettava nessuna contraddizione. Sicchè la pacata osservazione di Salvini – “Ho una prospettiva completamente diversa. Io penso di essere al governo per aiutare i nostri giovani a tornare a fare quei figli che facevano qualche anno fa e non per espiantare il meglio dei giovani africani per rimpiazzare i giovani europei che per motivi economici oggi non fanno più figli” – lo ha fatto soffocare di rabbia. L’ha sentita come un insulto personalmente a lui, il barone Asselborn da Steinfort: dove andiamo a finire, se i subalterni cominciano a risponderti? Se un discendente di un servo italiano si permette di contraddirti? Soprattutto mostrandosi più ragionevole di te? E’ un affronto scandaloso.
Infatti l’antica aristocrazia reazionaria, i Polignac, i Courvoisier magistralmente descritti da Proust, hanno sempre ritenuto qualunque manifestazione, anche minima, di intelligenza, qualcosa di sconveniente; una cosa da contabili o da scrittori, da sensali o da scienziati – insomma da borghesi da non invitare nei salotti. Come disse la duchessa Madame de Guermantes del conte Breuté-Consalvi detto Babal: “Babal uno snob? Ma è tutto il contrario, caro amico! Detesta le persone brillanti!”
Infatti quando la duchessa Oriane (progresista) invitava musicisti, pittori, grandi medici, “Babal” si rifiutava di andare al ricevimento: questi borghesucci, con le loro chiacchiere e nozioni, disturbavano la conversazione fra i nobili, che verte incessantemente su un unico argomento: chi di noi è parente di chi. Una continua, estasiata rivisitazione degli alberi genealogici reciproci, e il loro intrecciarsi.
L’osservazione di Salvini non è che fosse brillante. Semplice buonsenso. Ma il ministro del Lussemburgo ha sentito l’urgenza di lavare l’offesa fatta al suo rango, in un modo rivelatore: “Io sono il ministro del Lussemburgo e controllo le mie finanze e voi in Italia dovete occuparvi dei vostri soldi per aiutare a dare da mangiare ai vostri figli” – frase sconnessa e idiota, che sottintende l’altra: non osate ribattere, voi straccioni pieni di debiti, a me che sono ricco di famiglia mentre voi siete poveri, “merde alors”. Si è intuito che è stato sul punto di chiamare i suoi servi in polpe e livrea per far buttare giù dalla scalea questo discendente di immigrati italiani che osava mancargli di rispetto, esibendo quella facoltà indecorosa che è il pensiero.
Prudono le mani a lorsignori, per la comparsa di questi bassi sediziosi nella scena elettorale. Guy Verhofstadt, a proposito di Orban, che “ha deviato troppo dai valori europei”, ha promesso: “faremo abbassare la testa a chiunque mira a distruggere il progetto europeo”.
L’espressione che usa, “face down”, è quella che adottano i poliziotti verso il delinquente: “Faccia a terra!”, “Non osare alzare gli occhi verso di noi, inferiore!”. Gli eurocrati vogliono fare “abbassare la cresta” a tutti i capi plebei che danno segni di non voler obbedire al loro ordine.
Pierre Moscovici: “L’Italia è un problema nella zona euro”, ci stanno nascendo dei piccoli Mussolini (cui faremo abbassare la cresta). La saggista francese Coralie Delaume gli ha twittato: “L’Italia è un problema per la zona euro. La Grecia è un problema per la zona euro, l’Ungheria è un problema per l’Unione Europea, la Polonia è un problema per l’Unione Europea… Guardi in faccia la realtà: gli europei sono un problema per l’Europa”.
Visto su: luogocomune.net