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19 agosto 2019

Politica e pedofilia: un mix demoniaco


Il rinvio a giudizio del facoltoso investitore Jeffrey Epstein da parte del procuratore americano per il Distretto Sud di New York (SDNY) con l’accusa di sfruttamento internazionale della prostituzione e cospirazione al fine perpetrare tale attività ha causato ondate di shock in tutti i settori politici, economici e sociali degli Stati Uniti e di altri paesi.
La flotta di aerei privati di Epstein e le sue numerose residenze avevano indotto gli investigatori delle forze di polizia ad indagare a fondo su varie attività, in un arco di diversi decenni, attinenti al passato recente e remoto di Epstein. Inoltre, secondo i rapporti degli inquirenti, i documenti giudiziari e le dichiarazioni dei testimoni, la cerchia degli amici di Epstein comprendeva alcune delle persone politicamente più importanti al mondo, tra cui il presidente Donald Trump, l’ex presidente Bill Clinton, il principe inglese Andrea, il duca di York e l’ex Primo Ministro israeliano Ehud Barak. Tutti questi VIP, così come altri, avevano socializzato con Epstein e Trump, in particolare, era ben consapevole della predilezione di Epstein per  ragazze “veramente molto giovani.” In realtà, Trump ed Epstein sono stati citati come co-imputati in una causa del 2016, sulla base del presunto stupro, nel 1994, di una ragazza di 13 anni avvenuto nella dimora di Epstein a Manhattan. Quella causa, Jane Doe contro Jeffrey Epstein e Donald Trump, ha ricevuto maggior attenzione, ora che Epstein, un ex-condannato per sfruttamento della prostituzione minorile in Florida, è stato incriminato sulla base di accuse federali di sfruttamento della prostituzione.
La connessione di Epstein con l’amministrazione Trump includeva anche la scelta di Trump per la carica di segretario del lavoro di Alex Acosta, il procuratore degli Stati Uniti per la Florida del sud nel 2007- 2008, che aveva firmato un accordo di mancata prosecuzione, valido a livello federale e per lo stato della Florida, che metteva al riparo Epstein e i suoi complici da eventuali futuri procedimenti giudiziari statali o federali relativi allo sfruttamento della prostituzione minorile da parte di Epstein. In cambio di questo patteggiamento “dolce,” Epstein si era semplicemente dichiarato colpevole di alcune accuse di incitamento alla prostituzione di ragazze minorenni, aveva scontato una condanna virtuale a “porte aperte” di tredici mesi nella Contea di Palm Beach e aveva accettato di farsi registrare come colpevole di reati sessuali. Gli interrogativi sul ruolo di Acosta nell’affare Epstein e sull’accordo [da lui firmato] avevano portato alle sue dimissioni da segretario del lavoro. Una parte delle funzioni di Acosta come segretario del lavoro consisteva nel monitoraggio del traffico di donne e bambini a scopo di prostituzione ai sensi delle leggi statunitensi e dei trattati internazionali.
Epstein stava ritornando da Parigi sul suo jet privato il 6 luglio di quest’anno, quando era stato arrestato dalle autorità federali. La natura internazionale dei traffici di Epstein è evidenziata dal fatto che possiede due isole al largo di St. Thomas, Little St. James e Greater St. James, nelle Isole Vergini americane. Epstein ha anche residenze a Manhattan, Palm Beach, in Florida (vicino al complesso turistico Mar-a-Lago di Trump) e nel New Mexico. Epstein usava un passaporto austriaco rilasciato sotto falso nome. L’uso di passaporti falsi o autentici ma con identità false è una specialità del Mossad, che dispone in Israele di una “fabbrica di passaporti” utilizzata per produrre documenti di viaggio fasulli. Questi sono stati utilizzati per le operazioni del Mossad in Australia, Dubai, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada, Svizzera, Costa Rica, India, Tailandia, Messico, Perù, Brasile, Bielorussia, Ucraina, Germania, Spagna, Trinidad e Tobago, Venezuela, Gran Bretagna, Francia, Turchia e Corea del Nord. Epstein aveva usato il suo falso passaporto austriaco per viaggiare in Francia, Spagna (comprese le Isole Canarie), Arabia Saudita e Gran Bretagna.
I vertici della struttura politica e dell’intelligence israeliana sono anch’essi ben rappresentati nella cerchia degli associati e degli amici di Epstein. I misteriosi legami di Epstein con servizi di intelligence nazionali non identificati erano venuti alla luce dopo le rivelazioni che ad Acosta, mentre era procuratore degli Stati Uniti a Miami, era stato ordinato da un’autorità superiore “di stare alla larga” dal caso Epstein perché Epstein “apparteneva all’intelligence” e Acosta avrebbe dovuto “lascialo in pace.”
Mentre l’uso del ricatto sessuale da parte delle agenzie di intelligence è vecchio quanto le operazioni di intelligence stesse, l’uso dei minori in queste “trappole al miele,” in genere, è di competenza di poche organizzazioni di spionaggio, di cui la principale è il Mossad israeliano. E, considerando le connessioni israeliane di Epstein, ci sono ottime possibilità che fosse proprio il Mossad l’organizzazione per la quale Epstein preparava ricatti politici.
In primo luogo, Epstein aveva gestito il portafoglio finanziario di Leslie Wexner, il magnate dei negozi al dettaglio con sede in Ohio. La Wexner Foundation aveva elargito generose sovvenzioni ad organizzazioni israeliane, comprese borse di studio per quei funzionari del governo israeliano che avessero voluto conseguire diplomi post-laurea presso la John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard.
In secondo luogo, l’assistente amministrativa di lunga data di Epstein era Ghislaine Maxwell, figlia del defunto magnate britannico dei media, Robert Maxwell. Epstein e Ghislaine Maxwell erano stati, per parecchio tempo, frequentatori abituali del club Mar-a-Lago di Trump.
Sebbene ci siano state diverse illazioni sui legami di Robert Maxwell con vari servizi di intelligence, la sua sepoltura sul sacro Monte degli Ulivi a Gerusalemme, riservata ai collaboratori più fedeli di Israele, è la prova lampante della sua vita di servitore dello stato israeliano. Nel necrologio di Maxwell del 1991, il Primo Ministro israeliano Yitzhak Shamir aveva dichiarato che Maxwell “aveva fatto per Israele di più di quanto si possa dire oggi.” Andando indietro nel tempo, quella lealtà era servita ad Israele non solo perchè Maxwell era un parlamentare del Regno Unito per il Partito Laburista, ma anche come assicurazione sul fatto che il Partito Laburista avrebbe mantenuto un atteggiamento filo-israeliano. Maxwell e Donald Trump erano anche intimi frequentatori sociali, e spesso si vedevano insieme in occasione di eventi riservati alla crème de la crème di New York.
Robert Maxwell manteneva stretti rapporti con i leader comunisti dell’Europa orientale. Epstein trafficava in ragazze minorenni provenienti dall’Europa dell’Est, compresa l’ex Jugoslavia e la Cecoslovacchia, quest’ultima è la nazione di nascita di Robert Maxwell. I viaggi di Epstein lo avevano anche portato in Slovacchia, Messico, Sudafrica e Marocco.
Epstein aveva sempre pronta una scorta di denaro, e anche cospicua. L’aveva utilizzata per acquistare due isolotti nelle Isole Vergini americane e dotarne uno di un’imponente costruzione e di residenze per gli ospiti. Epstein aveva anche una flotta di jet, tra cui un Boeing 727, soprannominato “Lolita Express,” un Gulfstream IV, un Gulfstream GV e un elicottero.
Epstein aveva fatto costruire un enorme ranch nel New Mexico, completo di hangar e pista di atterraggio. Possedeva anche un appartamento in Avenue Foch, vicino all’Arc de Triomphe, nel quartiere più costoso di Parigi. La residenza di sette piani di Epstein nell’Upper East Side di Manhattan veniva usata per intrattenere la nobiltà della politica, dello spettacolo e persino della scienza. Mentre parte della ricchezza di Epstein proveniva indubbiamente dalla gestione del portafoglio di Wexner e dagli investimenti per l’ormai defunta società di titoli Bear Stearns di Wall Street e dall’uomo d’affari saudita Adnan Khashoggi, l’aumento costante delle finanze di Epstein, durante i periodi sia di rialzo che di ribasso di Wall Street, aveva sconcertato gli esperti finanziari. L’uso da parte di Epstein di una serie di società di comodo per spostare i suoi capitali è un forte indizio del fatto che alcuni di questi provenivano dall’intelligence israeliana, mentre altri flussi di cassa derivavano dai pagamenti dei ricatti da parte di coloro che erano implicati nelle attività di Epstein.
Il trasferimento da parte di Epstein di ingenti somme di denaro dagli Stati Uniti a conti esteri aveva fatto si che JP Morgan Chase e Deutsche Bank troncassero i legami con lui. Il movimento di fondi di Epstein attraverso le filiali della Deutsche Bank a New York e a Jacksonville, in Florida, nel 2015 e nel 2016, aveva indotto la banca ad informare il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti tramite rapporti su attività sospette. Per coincidenza o no, la filiale di Jacksonville aveva anche segnalato movimenti sospetti di denaro attraverso Deutsche Bank da parte della Kushner Companies, la società di proprietà del genero di Trump, Jared Kushner, e della Trump Organization.
Le residenze di Epstein erano dotate di sofisticati sistemi di intercettazione e di telecamere di sorveglianza. La Little St. James Island di Epstein aveva una rete WiFi e cellulare estesa a tutta l’isola che serviva ad intercettare telefonate, e-mail e messaggi di testo inviati e ricevuti nell’area di copertura. In una causa contro Epstein intentata da una delle sue numerose vittime, si afferma che Epstein aveva installato telecamere nascoste in tutte le sue proprietà per registrare, a scopo di ricatto, le attività sessuali con ragazze minorenni di personaggi importanti.
Durante la sua visita di stato a Londra, il principale accompagnatore di Trump era stato il principe Andrea. Andrea non solo ha un ruolo di primo piano nella cerchia degli amici di Epstein, ma la Gran Bretagna non si è ancora ripresa dalle gesta pedofile dell’intrattenitore di lunga data della BBC, Jimmy Savile. Implicati per diversi decenni nella dissolutezza di Savile erano stati anche il Primo Ministro conservatore Edward Heath, l’ex funzionario dei servizi segreti del MI-6, Sir Peter Hayman, il deputato democratico liberale Cyril Smith, il parlamentare del Partito Liberale, Sir Clement Freud (nipote del famoso psicopatologo Sigmund Freud) e il collega del Partito Laburista, Lord Greville Janner.
E’ indiscutibile il fatto che i vertici dell’establishment della sicurezza e dell’intelligence britannica siano affollati di pedofili. La misura in cui l’MI-5 e l’MI-6 hanno usato queste oscure inclinazioni per portare avanti le loro agende è fuori discussione. Una cosa è nota, tuttavia. Politici e media che cercano di scoprire fino a che punto i pedofili rivestano posizioni di alto livello nel governo, nella chiesa, nello spettacolo e in altri settori sono spesso oggetto di minacce. D’altro canto, fino a poco tempo fa i soldi di Epstein avevano assicurato il silenzio dei governi delle Isole Vergini americane, del Nuovo Messico, della Florida e dell’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan.
The Miami Herald, i suoi giornalisti e i suoi editori che avevano scoperto i dettagli del caso Epstein, erano stati minacciati. Così anche i politici che avevano perseguito i complici politici di Epstein in Florida. Tra quelli minacciati vi è la senatrice dello stato della Florida, Lauren Book. A causa delle sue ostinate indagini sui pedofili nel governo dello stato della Pennsylvania, Kathleen Kane, procuratore generale del Commonwealth, è stata incriminata sulla base di false accuse, costretta a dimettersi dall’incarico e condannata ad una pena detentiva. L’ex ministro della Sanità dell’Isola di Jersey, Stuart Syvret, è stato etichettato dai media come “pazzo cospirazionista” per le sue indagini sugli abusi sessuali su minori nell’orfanotrofio dell’isola di Haute de Garenne. In un’intervista del 2007 ad una rivista francese, il presidente francese Nicolas Sarkozy aveva scioccato la Francia dicendo che era “incline a pensare che le persone nascano pedofile e che sia anche un problema che non sappiamo come gestire.” C’è anche lo strano fatto che l’attuale presidente francese, Emmanuel Macron, avesse iniziato una relazione, mentre aveva 15 anni, con la sua insegnante, che ora è sua moglie e First Lady di Francia. Anche se Epstein era stato arrestato in un aeroporto del New Jersey, mentre era appena ritornato da Parigi sul suo aereo privato, le autorità francesi non sono state particolarmente veloci nell’aprire un’indagine sulle attività di Epstein in Francia.
È stato l’insabbiamento della sua passata attività di pedofilia che aveva fatto finire in prigione l’ex presidente repubblicano della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Dennis Hastert, un tempo il secondo in ordine di importanza per la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti.
Il processo federale di Epstein è previsto per l’estate del 2020, proprio nel bel mezzo della campagna presidenziale degli Stati Uniti. Le prove che verranno presentate, si parla di oltre un milione di pagine, sono destinate ad influenzare l’esito delle elezioni. Gli stretti rapporti di Trump con Epstein potrebbero essere la ragione per cui così tanti membri repubblicani della Camera dei Rappresentanti stanno abbandonando la nave. Quella che, nel 2020, si crede possa essere una sconfitta dei Repubblicani, potrebbe rivelarsi uno tsunami, se il processo di Epstein producesse le informazioni esplosive che ci si attendono sui miliardari dell’isola di Palm Beach in Florida, la residenza di Epstein, di Trump e di altri mestatori mega-ricchi .
Wayne Madsen
Fonte: www.strategic-culture.org

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

29 luglio 2019

Perché il Movimento 5 Stelle sui vaccini ha fallito. Parola del Corvelva


Riceviamo dal Corvelva, l’associazione veneta che da molti anni si impegna sul fronte dell’uso consapevole dei vaccini. E pubblichiamo.

Perché il Movimento 5 Stelle sui vaccini ha fallito? La risposta è semplice: perché i suoi rappresentanti non hanno esercitato le loro funzioni e inoltre hanno tradito le promesse fatte in campagna elettorale.
Il Movimento 5 Stelle sulla questione vaccini ha tradito le sue promesse ma ha fatto un unico sforzo: inviare un suo emissario alla Conferenza Stampa del 27 giugno 2019.  Il partito della “legalità e della trasparenza” il cui Ministro ha firmato la Relazione finale della Commissione “Uranio Impoverito” non ottempera ai suoi doveri e i suoi rappresentanti, parlamentari della Repubblica italiana, violano l’articolo 361 codice
penale,  ovvero “omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale”. Già, perché due sono le cose: o noi abbiamo mentito, pertanto un qualsiasi Parlamentare ci avrebbe dovuto denunciare per “Procurato allarme presso l’Autorità”, articolo 658 codice penale, oppure abbiamo ottemperato a tutti gli obblighi di legge, per cui abbiamo agito nella legalità. Chi dei due non rispetta la legge?
I fatti: la nostra Associazione nel 2018 ha deciso di commissionare a due laboratori analisi qualitative di alcuni vaccini, a proprie spese. Dobbiamo ripetere che abbiamo solo fatto ciò che lo Stato, mediante la sua Commissione Parlamentare di Inchiesta “Uranio Impoverito”, non ha fatto?
Dobbiamo ricordare che la medesima Commissione aveva le analisi dei vaccini tra gli scopi costitutivi? Dobbiamo ricordare che la relazione finale di febbraio 2018 è stata firmata dall’allora deputata Giulia Grillo?


Giulia Grillo
Ricordiamolo, male non fa. Con Delibera del 30 giugno 2015 è stata istituita la Commissione parlamentare di inchiesta che per brevità soprannominiamo “Uranio Impoverito”. All’Articolo. 1, lettera D di questa delibera, possiamo leggere che la Commissione aveva “il compito di indagare… componenti  dei vaccini somministrati al personale militare”. Non solo: la relazione finale pubblicata il 7 febbraio 2018, nelle conclusioni del capitolo “vaccini”, diceva che “il completamento dell’analisi documentale sui dossier di registrazione fin qui svolta (dalla commissione ndr), richiede la verifica sperimentale su vaccini da prelevare a campione… solo in tal modo è possibile controllare la conformità alla scheda tecnica nonché la presenza di componenti non dosati… questo obiettivo, già prefissato dalla legge istitutiva della Commissione non ha trovato attuazione a causa delle limitate risorse economiche a disposizione della Commissione”.
Quindi lo Stato si pone un obiettivo, non lo finanzia e non lo rispetta.
Quando nel 2018 abbiamo ricevuto i primi risultati delle analisi, allarmanti, abbiamo prontamente avvisato tutti gli enti regolatori: EMA, Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute e AIFA, enti che per mesi si sono rimbalzati tra loro il problema.
Oggi alcuni risultati sono stati confermati interlaboratorio e mediante standard di controllo certificato, ovvero, lo spieghiamo per i meno avvezzi alla terminologia, abbiamo commissionato l’acquisto di alcuni composti per vaccino tra quelli rilevati per poterli confrontare e identificare. Di più non potevamo permetterci, non essendo noi ente di ricerca e finanziando questi lavori con le sole entrate in donazioni e quote associative.
In questo modo abbiamo identificato alcuni composti che evidenziano palesi non conformità in base alle normative nazionali ed europee, ma il fatto che solo questi siano stati acquistati e confrontati per identificarli non significa che tutti gli altri segnali emersi durante le analisi siano inesistenti. Esistono e ci sono, ma per confermare la loro precisa identità si necessita di altri studi che onestamente non competono al cittadino
né per logica né per legge.
Vogliamo qui ricordare che viviamo in Italia, quel meraviglioso Paese fatto anche di leggi e norme, tra cui il programma di controllo annuale della composizione dei medicinali commercializzati, ai sensi dell’art. 53, comma 15 del D.Lgs. 219/2006, dove si prevede l’obbligo di garantire che i farmaci in commercio corrispondano esattamente alle specifiche di qualità delle procedure autorizzative, concetto ribadito dal “Piano di Attività per l’anno 2018 – AIFA”,  dal “Piano di Attività per l’anno 2019  – AIFA” e il “Piano delle Performance 2019-2020 – AIFA”  per il contrasto al crimine farmaceutico. Basti pensare che l’articolo 445 del codice penale, “Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica” e l’articolo 443  del codice penale, “Commercio o somministrazione di medicinali guasti”, prevedono pene fino a 10 anni di carcere.
Il cittadino ha la possibilità, e per noi il dovere, di segnalare possibili difetti di produzione e difformità nella composizione di qualsiasi medicinale e l’ente preposto alla gestione di queste segnalazioni è proprio l’AIFA che, mediante il sistema di Rapid Alert, che recepisce disposizioni europee, si è data l’obiettivo di rispondere alle segnalazioni entro ventiquattro ore e di gestirle al 100%.
Ovvero, dovrebbero rispondere ad ogni segnalazione entro ventiquattro ore dalla ricezione.
Ventiquattro ore… ed è passato un anno.
Corvelva non ha mai detto di avere ragione, abbiamo informato e chiesto aiuto alle istituzioni che si sono mostrate sorde e questo avrà un costo politico certo, e lo avrà a maggior ragione nei confronti dei partiti che hanno costruito la propria propaganda elettorale sulla libertà di scelta e contro l’obbligo introdotto dalla legge Lorenzin e del partito che si ergeva a paladino della democrazia diretta e che, non solo è rimasto sordo, ma ha attaccato pubblicamente tramite un suo rappresentante un’associazione di privati cittadini, con accuse infondate e pretestuose in un contesto dai toni pacati e rispettosi, qual era la conferenza stampa tenutasi alla Camera dei Deputati.
Le nostre domande restano tuttora inevase:
AIFA ha mai eseguito analisi sul prodotto finito?
Se sì, dove sono le analisi di AIFA o dell’Istituto Superiore di Sanità?
Quante altre segnalazioni dei cittadini sono pervenute ad AIFA o altro organo, e sono rimaste inevase?
Concludiamo dicendo che sono stati ritirati dal commercio 62 farmaci nel 2016, 54 nel 2017 e 40 nel 2018,  per un totale di oltre 150 farmaci ritirati dal commercio nell’ultimo triennio, e nella quasi totalità dei casi il ritiro è avvenuto su segnalazione spontanea del produttore stesso.
Ricordiamo che tutti questi farmaci avevano superato i requisiti degli standard internazionali ed erano pertanto «certificati e conformi alle procedure e ai requisiti condivisi a livello europeo e internazionale sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili». Eppure, non erano sicuri, e sono stati ritirati dal commercio.

22 luglio 2019

GIALLI / BORSELLINO, ROSSI, PANTANI: E’ DEPISTAGGIO CONTINUO

L’eterno giallo sulla strage di via D’Amelio. La vergogna di una verità non raggiunta, di una giustizia che non arriva. E lo scandalo di un maxi depistaggio di Stato, orchestrato proprio da chi avrebbe dovuto operare per mandare in galera killer e mandanti: ed invece ha coperto, occultato, sviato.
La più colossale menzogna costruita calpestando la memoria del giudice coraggio Paolo Borsellino, il simbolo, con Giovanni Falcone, nella vera, autentica lotta alle mafie e ai loro riciclaggi stramiliardari.

Falcone, Borsellino e Antonino Caponnetto. In apertura Paolo Borsellino e, sullo sfondo, il tribunale di Palermo
I cittadini sono ormai stufi di marce, marcette, sbandierate e sceneggiate: vogliono la verità su quei morti, e vedere finalmente sotto processo tutti quelli che fino ad oggi l’hanno fatta franca.
Siamo alla seconda puntata sui Misteri d’Italia, che sono in piedi da decenni, come tanti sepolcri imbiancati. Abbiamo parlato del caso clou, quello che ha visto l’assassinio a Mogadiscio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. E adesso siamo al giallo della strage di via D’Amelio, che guarda caso ha non pochi punti in comune.

QUEL DEPISTAGGIO CHE HA NOMI E COGNOMI
In primo luogo perché, come nel giallo Alpi, siamo in presenza di un clamoroso Depistaggio di Stato. Sul quale fino ad oggi non si sono levate proteste, in mezzo ad un totale, complice silenzio politico e istituzionale. Nessuna forza politica, infatti, è scesa in campo per dire una parola su quel depistaggio, né il governo gialloverde, né l’impalpabile opposizione, né s’è udita una sillaba da parte del presidente mummia Sergio Mattarella. Una vergogna.
Un depistaggio sul quale s’è aperto un processo: alla sbarra tre poliziotti che facevano parte, all’epoca delle prime indagini, del team guidato dall’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera. Un uomo anche dei Servizi segreti, La Barbera, sul quale è stata scaraventata tutta la responsabilità per il depistaggio, vale a dire il taroccamento del pentito Vincenzo Scarantino.
Adesso La Barbera non può difendersi, perché da una quindicina d’anni è passato a miglior vita. Non può quindi più raccontare se ha fatto tutto di testa sua, se ha organizzato la tragica sceneggiata da solo, oppure se ci sono stati interventi dall’alto, ad esempio dei magistrati dai quali funzionalmente e gerarchicamente dipendeva.

Il falso pentito Vincenzo Scarantino
A questo punto sorge spontanea la domanda: riuscirà mai il processo in corso sul depistaggio a chiarire quale effettivo ruolo hanno giocato i magistrati?
Vorranno e potranno raccontare quello che è veramente successo i tre poliziotti ora alla sbarra? Sarà verità oppure omertà? Staremo a vedere.
Il nodo sta tutto nella costruzione a tavolino del pentito Scarantino. Una costruzione emersa mano a mano, attraverso non poche testimonianze. La verbalizzazione sulla strage di Scarantino era servita a far condannare 7 innocenti che hanno scontato la bellezza di 16 anni di galera.
Proprio come è successo per il giovane somalo che ha scontato sempre 16 anni (sembra un macabro rituale) per un omicidio mai commesso, quello di Ilaria e Miran, sulla base della testimonianza taroccata di un altro somalo, alias Gelle.
Nella sua ultima verbalizzazione Scarantino (e così poi ha fatto la moglie) ha descritto per filo e per segno tutta l’operazione-taroccamento. E’ stato minacciato, intimidito, convinto non certo con metodi anglosassoni ad imparare un copione a memoria. Ogni giorno, prima delle udienze processuali, veniva istruito come uno scolaretto, gli veniva fatta ripetere la parte. Gli era stato anche detto che in caso difficoltà avrebbe potuto chiedere di andare in bagno, lì dove avrebbe trovato un poliziotto pronto a ricordagli la parte e imbeccargli le risposte. Ai confini della realtà.

Nino Di Matteo
Tutto questo è ormai storia. Ora occorre arrivare agli autori del testo della sceneggiata. In che misura e con quali ruoli sono coinvolti i tre magistrati che ne hanno “gestito” il pentimento, ossia Anna Maria PalmaCarmine Petralia e Nino Di Matteo?
La figlia di Paolo, Fiammetta Borsellino, ha più volte puntato l’indice nei confronti dei magistrati che fino ad oggi non hanno subito alcuna conseguenza, né civile, né penale. Chiede con la forza e la passione civile che la animano di accertare per ciascuno le precise responsabilità. Potranno saltare fuori dal processo che vede alla sbarra i tre poliziotti?
Da tener presente un elemento non da poco. Uno dei tanti magistrati che hanno seguito le prime piste per far luce sulla strage di via D’Amelio è stata Ilda Boccassini. Toga di gran prestigio, la quale ha potuto valutare l’attendibilità di Scarantino. E prima di passare alla procura di Milano, ha inviato una memoria ai suoi colleghi – evidentemente Palma, Petralia e Di Matteo in prima fila – per metterli in guardia da un pentito del tutto inattendibile e inaffidabile come Scarantino. Ma di tutta evidenza i colleghi non hanno tenuto in alcun conte le sue parole.
Sarà possibile approfondire tale circostanza nel corso dell’odierno processo per il maxi depistaggio?

DAVID ROSSI / GENOVA INDAGA SU SIENA (?)
Passiamo ad altri due gialli senza mai alcuna risposta. Nemmeno parziale. Con il concreto rischio che vadano a finire definitivamente in naftalina. Stiamo parlando dei casi di David Rossi e Marco Pantani. Accumunati, anche stavolta, da non poche, tragiche somiglianze.

David Rossi
Una cortina di silenzio sta sempre più avvolgendo la morte dell’ex responsabile delle comunicazioni per il Monte dei Paschi di Siena, David Rossi, volato giù dal quarto piano della sede centrale in via dei Salimbeni, a Siena.
Un caso che la procura di Siena ha più volte cercato di archiviare, sostenendo la tesi del suicidio. Una tesi che non sta in piedi, manifestamente infondata, per tutta una serie di anomalie che anche uno scolaretto delle elementari sarebbe in grado di vedere.
Per questo oltre un anno fa il fascicolo è passato alla procura di Genova, che dovrebbe indagare anche sulle stesse indagini farlocche portate avanti a Siena.
Ma da Genova non arrivano notizie. Tutto fermo, a quanto pare. Come mai? C’è forse qualche remora nel cavar fuori scomode verità sulle inerzie, quanto meno, dei colleghi senesi?
Periodicamente saltano fuori alcune news, soprattutto per i servizi mandati in onda dalla Iene. Ed emergono di volta in volta notizie su festini, attività massoniche, strani intrecci all’interno del Montedei Paschi, interventi vaticani. Poi di nuovo cala il silenzio più assordate.
Una scena del crimine che parla da sola, come documentano alcune perizie. Quella sulla dinamica della caduta del corpo, da cui risulta chiaro come si sia verifica una spinta e non si possa essere trattato di una caduta da suicidio Poi la perizia grafologica, per dimostrare come le due lettere lasciate ai familiari da David Rossi fossero state scritte sotto coazione. E soprattutto quella medica che evidenzia segni di colluttazione sul corpo, da trascinamento e da sollevamento: che fanno letteralmente a pugni con ogni ipotesi di suicidio.
Senza contare uno degli elementi base. I vertici MPS – già teatro di diverse altri morti sospette di funzionari in quei bollenti anni di “crisi”, come viene documentate nel libro “Morte dei Paschi di Siena” di Elio Lannutti – erano a conoscenza del fatto che a brevissimo David Rossi si sarebbe recato dai magistrati per raccontare la sua verità sugli scandali targati Mps. Una testimonianza che poteva risultare devastante. Per questo David non doveva parlare.

MARCO PANTANI / GIRI E GIRONI INFERNALI
Così come non avrebbe mai dovuto parlare Marco Pantani sugli scandali del doping nelle corse e sulle mani delle scommesse pilotate dalla camorra in occasione del Giro d’Italia del 1999.
Un giallo che dovrebbe tornare ancor più di attualità oggi, dopo le recenti rivelazioni su un altro giallo, la morte del calciatore David Astori.

Marco Pantani
La fine di Pantani resta avvolta in una cortina di nebbia su cui la magistratura non ha voluto far luce. La scena del crimine, quel 14 febbraio 2004 al residence Le Rose di Rimini, parlava in un modo che più chiaro non si può.
Una stanza sottosopra, il letto squarciato, un giubbotto non si sa chi di chi e soprattutto un corpo che racconta di ferite, trascinamento, tracce ematiche, tutto evidente frutto di una colluttazione. E ancora, una pallina di pane e coca che avrebbe dovuto subito indirizzare gli inquirenti verso una pista ben precisa: Pantani venne “abboffato” con palline di pane e coca, tali da provocargli un arresto cardiaco.
Ma quella scena del crimine è stata subito inquinata: indagini fatte con i piedi e, per fare un solo esempio, tracce di un cornetto Algida nel contenitore dei rifiuti, lì lasciato – così scrivono i magistrati – da chi ha subito fatto le indagini: forse per concentrarsi meglio…
Cento e passa anomalie, ha denunciato con amarezza il legale della famiglia Pantani, Antonio De Rensis. Che si è dovuto arrendere davanti alla richiesta di archiviazione sancita dalla procura di Forlì e poi ratificata dalla Cassazione.
Sotto il mero profilo tecnico resta in vita una flebile inchiesta alla Procura di Napoli, affidata al pm antimafia Antonella Serio. Lo stesso De Renzis, ingoiata la sentenza della Cassazione, ha cercato di far riaprire il caso del Giro d’Italia 1999, quello che decretò la fine sportiva e anche umana del Pirata. Un Giro chiaramente comprato e taroccato dalla camorra, che aveva scommesso miliardi di lire, all’epoca, sulla sconfitta del campione.

L’avvocato Antonio De Rensis
Il quale fu fermato, infatti, al tappone di Madonna di Campiglio. Per uno ematocrito troppo elevato, frutto di una combine, proprio perché la camorra aveva effettuato quelle maxi scommesse. Non ci volle molto a “convincere” con metodi non proprio inglesi i medici dell’equipe ad alterare quei dati. “Oggi il ciclismo è morto”, disse quel giorno il capo equipe, un medico svedese, Wim Jeremiasse, dopo qualche mese “affondato” in un lago austriaco.
Della combine aveva parlato un camorrista in carcere a RenatoVallanzasca, e da lì partì l’indagine della procura di Forlì. Che identificò quel camorrista, il quale confermò la sua versione, poi ribadita da diversi altri pentiti di camorra. Ma che fa la procura di Forlì? Se ne frega, ritiene le prove non sufficienti e archivia!
De Renzis chiede alla procura di Napoli la riapertura del caso quasi tre anni fa: proprio perché è coinvolta la camorra e hanno parlato dei pentiti.
Ma da allora di quel fascicolo giudiziario non si sa più niente.
La giustizia è sempre in fase di archiviazione.

21 luglio 2019

Beppe Scienza: banche fallite - Inps - oro

Rimborsi per le banche "fallite"

Fra poco inizieranno i 180 giorni per richiedere gli indennizzi per gli azionisti e obbligazionisti di Banca Marche, Veneto Banca, Popolare di Vicenza ecc. Le incombenze burocratiche previste non sono poche. Si veda «Etruria & C.: la via crucis burocratica per i risparmiatori vittime dei crac» sul Fatto Quotidiano dell'8-7-2019.
Criticabile poi la nuova normativa, che privilegia fortemente chi l'anno scorso aveva un reddito complessivo sotto i 35.000 euro oppure (!) un patrimonio mobiliare sotto i 100.000. Si veda «Risparmiatori truffati, i nuovi rimborsi non piacciono a tutti» sul Fatto Quotidiano del 13-5-2019.

Inps: svantaggi e rischi inventati

Circolano molte falsità sull'Inps, spesso messe in giro ad arte. Dicono che la previdenza integrativa renda più dell'Inps. Non è vero: si veda «Pensioni a perdere, la propaganda degli alti rendimenti del privato» sul Fatto Quotidiano del 27-5-2019.
Analogamente lanciano allarmi infondati sul c.d. fondo di tesoreria dell'Inps, per fare paura ai lavoratori, sempre per mettere le mani sul loro TFR. Vedi «Il TRF in pancia all'INPS, non c'è nessun rischio per i lavoratori» sul Fatto Quotidiano del 24-6-2019.

Puntare sull'oro (o sulle Borse) a costi minimi

La soluzione meno costosa, per puntare sulle quotazioni dell'oro, è sistematicamente ignorata dai giornalisti economici. Non ne parlano mai, vuoi per ignoranza, vuoi per non dispiacere a banche, gestori, promotori finanziari ecc. che collocano strumenti più costosi. Si veda: «Oro, la soluzione più economica è investire nei contratti future» sul Fatto Quotidiano del 4-3-2019.
La cosa richiede una qualche dimestichezza con la materia finanziaria. Per altro permette analogamente di puntare sulla Borsa Italiana, su Wall Street, sull'Eurostoxx 50 ecc. con costi minori che con gli Etf.
Infine una notizia fuori tema. Olimpiade 2026: erano scappati tutti, salvo Svezia e Italia. L'assegnazione delle olimpiadi invernali è un gioco dove vince chi perde. Lo spiega Der Spiegel scrivendo fra l'altro: "In ogni caso le stime in particolare degli italiani continuano a essere rudimentali e cariche di grossi rischi".
Beppe Scienza

Dipartimento di Matematica
Università di Torino
via Carlo Alberto 10
10123 Torino

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19 luglio 2019

PROCURA DI ROMA / PERCHE’ CONTINUA IL SILENZIO SUL DEPISTAGGIO ALPI – HROVATIN?


Misteri di casa nostra, è buio profondo. Un buio che acquista sempre più il sapore di tragica beffa per le vittime, per i familiari, per i cittadini e per quel senso di giustizia ogni volta di più oltraggiato e calpestato.
Ed oggi, dopo le vergognose storie targate CSM e dintorni, quella luce diventa ancora più sinistra. E si fa strada una chiave di lettura che odora ancora più di depistaggi di Stato, di manovre decise a tavolino, di aggiustamenti e insabbiamenti, come del resto documentano oggi le notizie di inchieste e processi “manovrati”, “ritardati”, “dimenticati” e chi più ne ha più ne metta nel vocabolario di errori, orrori & omissioni d’ogni genere.
Partiamo, in questa ricognizione, proprio da Roma, lo storico porto delle nebbie che pare proprio rimasto tale, nonostante le “glasnost” sbandierate dai media del gruppo Espresso sulla radiosa era Pignatone. Ed ora siamo alle prese con le bagarre orchestrate dalla Palamara band.

QUEL PORTO RIMASTO SEMPRE NELLE NEBBIE

Il capo dello Stato Sergio Mattarella. Nel fotomontaggio di apertura Ilaria Alpi e, sullo sfondo, la Procura della capitale.
La storia più vergognosa riguarda il caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sul quale la Voce ha scritto decine di inchieste. La vicenda del più clamoroso depistaggio di Stato, per la prima volta “certificato” addirittura da una sentenza pronunciata dal tribunale di Perugia e di cui però quello di Roma se ne fotte altamente. Un caso più unico che raro nelle storie non certo di malagiustizia, di cui è quotidianamente lastricato il nostro povero Paese, ma di giustizia massacrata, fatta a pezzi, nel più totale disinteresse generale e soprattutto delle forze politiche e delle istituzioni.
Perché sul caso Alpi-Hrovatin nessun partito ha pronunciato una sillaba? Tutti collusi, coperti e conniventi? E come mai il capo dello Stato, l’imbalsamato Sergio Mattarella, che ogni tanto parla di giustizia lenta, non sente il dovere morale e civile di pronunciare una parola, anche una sola, su questa tragica vergogna di Stato?
Partiamo dalle ultime notizie che “non arrivano” per ricostruire per sommi capi il giallo di Mogadiscio.
Siamo da mesi in attesa dell’ultima parola che verrà pronunciata dal gip incaricato del tribunale di Roma, il quale è chiamato a rispondere alla (ennesima) richiesta di archiviazione firmata dal pm Elisabetta Ceniccola e controfirmata dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone.
In seguito alla clamorosa sentenza di Perugia che ha scagionato, dopo 16 anni di inferno e di galera, il somalo ingiustamente accusato e condannato, gli avvocati della famiglia Alpi hanno immediatamente chiesto di far luce sul caso, ora molto meno misterioso visto che nella stessa sentenza perugina vengono ricostruiti per filo e per segno non solo tutti i dettagli della tragedia, ma soprattutto i successivi, incredibili sviluppi.

Giuseppe Pignatone
Da brividi, in particolare, le fasi del taroccamento del super pentito Gelle, costruito letteralmente a tavolino. Proprio come è successo nell’altro maxi depistaggio di Stato, quello per il processo Borsellino, dove il teste fasullo Vincenzo Scarantino è stato fabbricato dagli stessi inquirenti: poliziotti e, di tutta evidenza, magistrati.
Gelle – documenta passo passo la sentenza di Perugia – fu sentito dal pm, ma non testimoniò mai in aula. Perché venne “protetto” dalla stessa polizia, fatto lavorare per alcuni mesi in un’officina meccanica romana dove veniva accompagnato la mattina e prelevato la sera, quindi fatto fuggire comodamente prima in Germania e poi in Inghilterra.
Dove nessuno l’ha mai cercato. Intanto – Gelle assente in aula – veniva pronunciata la prima condanna a carico del giovane somalo, poi confermata in appello e in Cassazione.

TRA DEPISTAGGI & ARCHIVIAZIONI
Se non fosse stato per la tenacia di Chiara Cazzaniga, inviata di Chi l’ha visto, che dopo alcune ricerche ha facilmente trovato Gelle a Londra, tutto sarebbe morto e sepolto. E invece la giornalista l’ha intervistato e si è fatta raccontare tutto il taroccamento momento per momento.
La testimonianza di Gelle è la chiave per ribaltare a Perugia la sentenza di condanna a carico del giovane somalo. A questo punto la procura di Roma non ha altro da fare che riprendere quel filone, portarlo avanti, e andare a processo: proprio perché nella sentenza di Perugia ci sono nomi, cognomi e piste che più chiare non si può su killer e mandanti del duplice omicidio di Mogadiscio.

Chiara Cazzaniga
Ma c’è di più. Nel frattempo la procura di Firenze viene a conoscenza di conversazioni telefoniche tra somali, risalenti al 2012, in cui si parla anche del caso Alpi. Una pista su cui Firenze lavora, poi smista tutto a Roma. Solo che il fascicolo, per arrivare alla capitale, ci impiega circa quattro anni. Come mai? Per le nebbie incontrate lungo il percorso? Misteri nei misteri.
Fatto sta che il pm Ceniccola ha la strada spianata per procedere, sulla scorta della sentenza perugina, appunto, e degli elementi arrivati, se pur in clamoroso ritardo, da Firenze.

Ma Ceniccola se ne frega. In poche pagine smonta pezzo pezzo le richieste dei legali della famiglia Alpi, appallottola la sentenza di Perugia, prende a calci i materiali fiorentini. E chiede l’archiviazione, controfirmata da Pignatone.
La richiesta viene esaminata dal gip Andrea Fanelli che la respinge. Ceniccola è un pezzo duro, non demorde e torna per la seconda volta alla carica ad inizio anno, ri-chiedendo l’archiviazione. Anche stavolta, of course, Pignatone controfirma, sarà uno degli ultimi atti della sua gestione. Ora si è in attesa del secondo gip chiamato a pronunciarsi.
Vengono alla memoria le parole pronunciate dalla madre di Ilaria, Luciana Riccardi, morta circa un anno fa dopo aver atteso invano giustizia, l’unico scopo che le rimaneva: ‘ricordo quando il procuratore Pignatone mi ha ricevuta a Roma dopo Perugia. E mi disse: beh, signora, adesso chi vuole che le faccia interrogare?’”.

E I GIALLI ORLANDI E PASOLINI
Da un eterno giallo all’altro eccoci ad Emanuela Orlandi. Stavolta il Vaticano apre due vecchie tombe in cui potrebbe spuntare qualcosa.
Ma sorge spontanea la domanda: come mai in tutti questi anni la procura capitolina è stata con le mani in mano? Soprattutto dopo i documenti top secret venuti alla luce circa un anno e mezzo fa e custoditi per anni nella super cassaforte vaticana. In quelle carte c’erano le tracce della permanenza, a metà anni ’90, di Emanuela in una casa di suore a Londra: perché il Vaticano allora ha coperto e non ha rivelato il soggiorno londinese di Emanuela, né tantomeno ha ritenuto opportuno rimpatriarla? Perchè la procura non ha mai bussato alle stanze vaticane?
E poi l’altro giallo sull’omicidio di Pierpaolo Pasolini. Due anni fa i legali del grande regista scoprono tracce di un altro Dna sulla scena del crimine, oltre a quello di Pino Pelosi, guarda caso morto proprio nei mesi della riapertura del caso. Ma in questi due anni il pm Francesco Minisci, incaricato delle indagini, a quanto pare non ha mosso un dito, troppo preso dagli impegni all’Associazione Nazionale Magistrati. E quindi quella pista che porta al delitto di Stato e individua nel bollente “Petrolio” (l’ultima grande opera) il movente, va a farsi benedire. Almeno per ora.
Giustizia, per l’ennesima volta, calpestata.