25 marzo 2019

REGINE DI PILLOLE / SEGRETI, BUGIE, AFFARI NELL’ELDORADO DI BIG PHARMA


Pillole, farmaci e pozioni miracolose, che passione. E soprattutto una gran cuccagna per le sigle che operano nel settore, sempre più baciato dalla fortuna. E sommerso da palate di miliardi di euro o di dollari.
Basta scorrere le annuali classifiche dei Paperoni d'Italia e del mondo per rendersene conto. Secondo la fresca classifica elaborata da Forbes, nel nostro Paese continua a dominare un tris d'assi composto dai re del cioccolato (Giovanni Ferrero), degli occhiali (Leonardo Del Vecchio) e della distribuzione


Stefano Pessina

farmaceutica (Stefano Pessina). In testa alla hit tutta femminile Lady Vivin C, ossia Massimiliana Landini Aleotti, con i figli al vertice della casa farmaceutica fiorentina Menarini.
Procediamo con ordine.

PESSINA, STORIA DI SUCCESSI & MISTERI
Partiamo dalla terza posizione, occupata dall'ineffabile Pessina, l'arcimiliardario che tra i pochi al mondo riesce a non far parlare mai di sé. Agisce discreto all'ombra delle sue rigogliose società che oggi trovano la stella polare nella statunitense Walgreens Boots Alliance, autentica regina del mercato mondiale del trade in pillole, fatturato 2018 da capogiro, 131 miliardi di dollari e rotti.
Ogni cinque-sei mesi un articolo sulle pagine finanziarie di Repubblica o Corsera per magnificarne le imprese: poi il silenzio più totale, la privacy più completa. Come mai? Perchè una cortina di silenzio mediatico che più forte non si può?


Ornella Barra

Eppure la consorte, Ornella Barra, in pochi anni passata da una piccola farmacia a Lavagna, in Liguria, alle grandeur internazionali, fa capolino sulle pagine mondane soprattutto a stelle e strisce. Per via di premi & cotillon in occasione di donazioni benefiche, per generose sponsorizzazioni, per i galloni che spettano alle donne in carriera.
Mai notizie che entrino nel merito. E soprattutto riescano a far chiarezza sulle origini di tale immensa fortuna che oggi fa concorrenza – udite udite – persino a colossi internazionali come l'Amazon di Jeff Bezos, il Paperòn de' Paperoni mondiale che si è appena tuffato anche nel trade farmaceutico.
Nel lontano 1992 la Voce pubblicò una lunga inchiesta sul tycoon originario di Pescara e da giovanissimo trapiantato a Napoli, con il padre, e alle prese con un deposito di medicinali alla periferia orientale del capoluogo partenopeo. Ci incuriosiva, sotto il profilo giornalistico, approfondire le genesi e il decollo di quel miracolo che profumava tanto di San Gennaro. I prodigi, infatti, si moltiplicavano generosamente. Dal piccolo deposito partenopeo in un baleno alla prima sigla, Alleanza Farmaceutica. E l'accordo con una famiglia catanese, quella degli Zappalà, per rilevare una società, Safarm. Gli Zappalà avevano deciso di diversificare i loro interessi: dal calcestruzzo al mattone, dai prestiti alle finanziarie, e poi alle pillole d'oro.
All'epoca la Voce riportò alcuni brani di un'intervista rilasciata da Pessina ad una rivista di settore, "Tema Farmacia". Chiedeva il redattore: "I farmacisti si chiedono spesso dove abbia preso i soldi per creare tutto questo. I più benevoli parlano di crediti agevolati, i più malevoli addirittura di capitali di provenienza illecita. Qualcuno è anche convinto che lei sia un'emanazione di Farmindustria". E Pessina etichettò quelle voci come autentiche fake news ante litteram, riconducendo i successi alla grossa liquidità che gli consentivano i rapidi pagamenti da parte dei suoi clienti "di primissima qualità".
Dagli anni '90 è tutta una corsa che non conosce ostacoli, soprattutto sul fronte estero. Shopping di società in Francia, Portogallo, e poi lo sbarco in Inghilterra, con lo storico acquisto della catena Boots. Infine la scoperta e la conquista dell'America, con la perla, una dozzina d'anni fa, di un altro super marchio nel ricco mondo farmaceutico made in Usa, Walgreens, dal quale poi gemma la super corazzata pronta a navigare con successo in tutti gli oceani, Walgreens Boots Alliance.
Ormai lontani secoli luce quegli esordi faticosi a Napoli, le cui tossine si trascinano ancora fino ai nostri giorni. Per fare un solo esempio, gli ex commercialisti (e membri di collegi sindacali) della famiglia Pessina, Antonello e Giuseppe Prototipo, sono oggi praticamente sul lastrico, visto il fallimento di alcune società messe in piedi oltre un quarto di secolo fa, inizi anni '90, e finite in crac dopo una lenta agonia.
Ovviamente nessun grattacapo giudiziario per mister Pessina, che venne pure indagato a metà anni '90 dalla magistratura. Ma a rimetterci l'osso del collo i Prototipo, che hanno visto sfumare a botte di aste giudiziarie le loro proprietà immobiliari.
Oggi Pessina vola alto, altissimo, a bordo delle sue super sigle con la compagna Ornella. E chissenefrega di 'o passato.

I MENARINI, ORGOGLIO D'ITALIA
Così come se ne può fare un baffo di tutte le traversie giudiziarie dopo dieci anni finite in gloria la dinasty degli Aleotti, mamma Massimiliana e i rampolli Lucia e Giovanni Alberto.


Lucia Aleotti

Oggi Massimiliana può godersi il trono di regina d'Italia, la donna più ricca del Belpaese, con la 198esima posizione assegnatale da Forbes nella hit mondiale.
Così genuflessa dipinge Repubblica: "Una delle rare uscite pubbliche di lei risale quasi a sette anni fa. Quel giorno Massimiliana Landini Aleotti, oggi 76 anni, si fece fotografare sorridente accanto ai figli Lucia e Giovanni Alberto, e all'allora presidente della Fondazione Mps Gabriello Mancini. La famiglia Aleotti soccorreva la Fondazione senese nel tentativo di salvare la 'toscanità' dell'azionariato della Banca, con un'iniezione da 150 milioni di euro". "Purtroppo per gli Aleotti – commenta amaro l'agiografo Maurizio Bologni – l'investimento fu un flop".
E così conclude il tenero ritrattino familiare: "Massimiliana sempre discretamente accanto. Negli anni '90, quando Alberto Menarini fece uno dei suoi primi affari oltre confine, acquistando la Chemie Berlin, Massimiliana imparò il tedesco per tradurre al marito. E alla morte di Alberto, nel maggio 2014, ha ereditato insieme ai figli il colosso VivinC: 3,6 miliardi di fatturato e 1.700 dipendenti in tutto il mondo".
Quella campagna estera ai primi '90 disegna uno scenario molto simile a quello targato Pessina.
Ecco cosa pennellava il Corsera nel suo supplemento Economia di novembre 2017: "Menarini Farmaceutica, orgoglio d'Italia". Ottimo e abbondante articolo per tirar su il morale di famiglia, messo a dura prova da una pesantissima inchiesta condotta dalla procura di Firenze a botte di frode fiscale e non solo. Tanto che il primo grado del processo si concluse, a fine 2016, con una condanna da brividi: 10 anni e mezzo per la figlia Lucia e 7 anni e mezzo per Giovanni Alberto. Cui si aggiungeva un maxi confisca da 1 miliardo di euro, oltre all'interdizione nei rapporti con la pubblica amministrazione. Neanche per i tesorieri di Totò Riina.
Tutto ribaltato invece nel taumaturgico Appello, che a fine 2018 azzera tutto. Nessuna condanna, nessun reato, tutti santi subito. Avevamo scherzato. Immaginiamo la sconfinata causa civile per risarcimento ai danni d'immagine che i prodi Aleotti scateneranno contro lo Stato appena la Cassazione farà sentire la sua parola definitiva…
Passate le bufere, dunque, mamma Massimiliana e i felici rampolli possono far le capriole per l'incoronazione made in Forbes.
LADY D.
Peccato non possa fare altrettante capriole di gioia la lady di maggior peso nel panorama farmaceutico di casa nostra, Lady D., al secolo Diana Bracco, per anni al vertice di Assolombarda – la Confindustria dei vip padani – e presidente di Expo 2015 sotto braccio al super manager e poi sindaco meneghino Giuseppe Sala.


Diana Bracco

Non tanto perchè non è stata proclama reginetta da Forbes, ma soprattutto perché per lei la giustizia fa ancora cilecca. La condanna inflittale in primo grado per evasione fiscale, infatti, in Appello, sempre a fine 2018, è stata appena limata: ora si tratta di 1 anno e 9 mesi per aver evaso le tasse con la sua agile società di famiglia. Secondo le accuse dei pm della procura di Milano, la principessa in pillole ha trasferito le pingui spese sostenute per mantenere le sue ville ai mari e ai monti (nonché per la manutenzione del suo yacht) dai conti personali a quelli societari, con un'abile acrobazia dei suoi commercialisti. Si consola l'avvocato: "perlomeno è caduta l'ipotesi di appropriazione indebita". Contento lui.
Lei, Lady D., comunque non fa mai mancare la sua presenza di peso in tutte le occasioni eque & solidali: dalle sue casse, infatti, ogni anno escono palate di soldi per benedire iniziative per la ricerca scientifica, la cultura, la civiltà. Anche lei santa subito.

I RE DEGLI EMODERIVATI
E certo santi subito i Marcucci, la super dinasty che da decenni oligopolizza il ricchissimo mercato degli emoderivati in Italia e non solo. Oggi la star di casa è Kedrion, sul cui ponte di comando siede Paolo Marcucci, fratello di Marialina (coeditrice de L'Unità nel 2001-2002) e di Andrea Marcucci,   capogruppo del Pd al Senato ma in odore di defenestrazione con l'ascesa di Nicola Zingaretti alla segreteria Pd. Una carriera politica nata nel 1991 sotto i vessilli del PLI di Renato Altissimo e Francesco De Lorenzo.
Il fondatore del gruppo è stato Guelfo Marcucci, grande amico di Sua Sanità, tanto che il fratello dell'allora ministro, Renato De Lorenzo, a fine anni '80 entrò nel consiglio d'amministrazione della neo acquistata (dai Marcucci) Sclavo, altra società chiave nel settore degli emoderivati e prima di proprietà del gruppo Montedison.


Andrea Marcucci

Non ha fatto in tempo, Marcucci senior, a veder iniziare a Napoli lo storico giudizio per il "sangue infetto", perché è passato a miglior vita a dicembre 2015. Dopo qualche mese, aprile 2016, è partito il processo, che lo avrebbe visto alla sbarra in compagnia di un altro grande amico, l'ex re Mida della sanità ministeriale Duilio Poggiolini, oltre ad una dozzina di ex dirigenti e funzionari di ex aziende del gruppo Marcucci.
Una strage che ha fatto oltre 5 mila vittime, anche se il processo cominciato tre anni fa a Napoli e ora al rush finale (prossima udienza l'11 marzo) vede costituite solo 9 parti civili. 5 mila vittime che fino ad oggi rimangono senza lo straccio di una giustizia.
Ma la sentenza che verrà pronunciata il 25 marzo dal giudice monocratico Antonio Palumbo, presidente della sesta sezione penale del tribunale di Napoli, è "storica": per il rispetto di una memoria ignorata dai media e calpestata da una giustizia fino ad oggi del tutto assente.
E perché nel mondo della salute non prevalgano sempre gli interessi famelici di Big Pharma ma i diritti dei cittadini.

To see the article visit www.lavocedellevoci.it

23 marzo 2019

[Reseau Voltaire] Les principaux titres de la semaine 22 mar 2019


Réseau Voltaire
Focus




En bref

 
Nord Stream 2 au cœur de la succession de Jean-Claude Juncker
 

 
La politique énergétique US
 

 
Mehdi Nemmouche condamné à perpétuité
 

 
La dénomination de la Macédoine n'est toujours pas réglée
 
Controverses
Fil diplomatique

 
Message attribué à Abdelaziz Bouteflika à l'occasion de la Fête de la Victoire
 

 
Déclaration de l'UE sur la République autonome de Crimée et la ville de Sébastopol
 

 
Déclaration des coprésidences de la Troisième conférence de Bruxelles sur l'aide à apporter pour l'avenir de la Syrie et des pays de la région
 

 
Résolution du Parlement européen du 12 mars 2019 sur l'état des relations politiques entre l'Union européenne et la Russie
 

 
Point de presse de Mike Pompeo sur le Venezuela
 

 
Message attribué à Abdelaziz Bouteflika prolongeant son mandat
 

 
« Sortez des traités, stupides ! »
 

 
« Faisons l'Europe comme il faut »
 

 
abonnement    Réclamations


SANGUE INFETTO / IL 25 MARZO A NAPOLI LA “STORICA” SENTENZA


Processo per il sangue infetto. A Napoli la sentenza verrà pronunciata il 25 marzo dal presidente della sesta sezionale penale del tribunale, Antonio Palumbo.
Una sentenza "storica", dal momento che le prime indagini risalgono a quasi 40 anni fa, il processo è cominciato a Trento 20 anni fa, poi trasferito a Napoli dove è ricominciato tre anni fa, aprile 2016.
Il capo di imputazione è man mano scalato da strage ad epidemia colposa ed infine ad omicidio colposo plurimo. La Voce ha scritto decine e decine di inchieste e articoli su quella tragedia largamente annunciata. Fin dal 1977…

BIG PHARMA & C.

Il tribunale di Napoli

Alla sbarra l'ex re mida della sanità ministeriale, Duilio Poggiolini, ed alcuni ex funzionari del gruppo Marcucci, da sempre oligopolista nella importazione, lavorazione e distribuzione di emoderivati.
Patriarca storico di quelle aziende Guelfo Marcucci, passato a miglior vita proprio alla vigilia del processo. Nel quale non sono mai entrati né il timoniere della corazzata di famiglia Kedrion, ossia il rampollo Paolo Marcucci, né tantomeno la sorella Marilina (ad inizio 2000 coeditore dell'Unità e oggi primattrice nella Fondazione che organizza il Carnevale di Viareggio) ed Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato e una carriera politica decollata sotto le protettive ali dell'ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo.
Grande amico della dinasty dei Marcucci e storicamente legato a Poggiolini (con il quale ha condiviso la condanna penale e civile per la Farmatruffa, con un risarcimento da 5 milioni di euro a testa), neanche Sua Sanità è mai entrato in questo processo, né come imputato e nemmeno come teste: quando ad esempio è stata chiamata a verbalizzare davanti alla sesta sezione del tribunale di Napoli anche la Dc Maria Pia Garavaglia, che gli è poi succeduta sulla poltrona di ministro.
Appena 9 le parti costituite in giudizio: malati o familiari di alcune vittime.


Andrea Marcucci

Ma la "strage del sangue infetto" conta almeno 5 mila caduti sul campo degli emoderivati killer. Una cifra superiore, ad esempio, rispetto a quella registrata in Inghilterra, dove si contano circa 3 mila vittime.
Paradosso nei paradossi, a Napoli il processo riguarda solo le case farmaceutiche nostrane – in particolare quelle del gruppo Marcucci – perché le azioni penali riferite alle case estere è stato archiviato e con ogni probabilità potrà ricominciare, non si sa in quale o in quali procure, dopo la conclusione di questo procedimento.
Tutto il processo è ruotato intorno ad un interrogativo base: riuscire a dimostrare il nesso causale tra l'assunzione (o le assunzioni) di emoderivati e l'insorgenza delle patologie che hanno condotto in molti casi alla morte.


I CONFLITTI DEL SUPER TESTE



L'avvocato Stefano Bertone

Un nesso che la difesa delle parti civili – ossia gli avvocati Stefano Bertone ed Ermanno Zancla – hanno dimostrato carte, documenti scientifici e perizie alla mano. E sono anche riusciti a provare la validità scientifica di "re-infezioni" e "sovra-infezioni". Proprio come quando un plotone di esecuzione ti uccide più volte.
Di diverso avviso il pubblico ministero, Lucio Giugliano, che fin dalla prima udienza ha chiesto l'assoluzione per alcuni imputati e nella sua requisitoria finale ha chiesto l'assoluzione di tutti gli imputati perché "il fatto non sussiste".
Ovviamente dello stesso avviso i legali degli imputati – in prima fila Alfonso Stile e Massimo Di Noia – che non vogliono sentire parlare di prescrizione ma chiedono una assoluzione piena nel merito (la stessa che chiede il pm).
Fin dalla prima udienza il pm Giugliano ha richiesto una perizia tecnica d'ufficio che – durata diversi mesi – ha partorito un vero e proprio topolino. La perizia, infatti, si è basata in modo particolare sulle tesi di un ematologo milanese, che poi è stato anche il primo teste di questo processo, maggio 2016, ossia Piermannuccio Mannucci.
Un teste in palese conflitto di interessi, visto è stato consulente (pagato) di Kedrion ed ha partecipato (gettonato) a svariati simposi nazionali e internazionali organizzati dalla stessa Kedrion.
Gli avvocati di parte civile hanno chiesto lo stralcio della posizione di Mannucci, accusato di falsa testimonianza.
Quando in udienza è stato chiesto all'ematologo meneghino da dove provenissero mai – a suo sapere – quegli emoderivati, così ha risposto: "Mi dicevano (il riferimento è ai funzionari delle aziende Marcucci, ndr) che era di fonte certa, sicura, proveniendo dai campus universitari americani e dalle casalinghe statunitensi". Alice nel Paese delle Meraviglie…

SANGUE DAL CARCERE

Elio Veltri

In successive verbalizzazioni due testi hanno fornito versioni opposte.
L'ematologo e scrittore Elio Veltri (autore del recente "L'Italia non è un paese per onesti", in cui un capitolo è dedicato ai traffici del sangue e dei suoi derivati) ha dichiarato che quei prodotti arrivavano dagli Stati Uniti, dall'Asia e dall'Africa.
Il regista americano Kelly Duda, autore dodici anni fa di uno choccante docufilm "Fattore VIII", ha illustrato i suoi due anni di lavoro e descritto per filo e per segno una delle fonti base di provenienza. Le carceri statunitensi, in particolare quello di Cummings, nell'Arkansas.
Un docufilm della BBC dello stesso anno (2007) ha illustrato i medesimi scenari.
Risale invece addirittura a 42 anni fa, luglio 1977, la prima inchiesta della Voce su quegli emoderivati: inchiesta in cui si parlava dei campi di raccolta organizzati nell'ex Congo belga dalle aziende del gruppo Marcucci, che proprio in quegli anni – metà/fine '70 – vedevano germogliare le loro fortune.
P.S. Grandi assenti, nei tre lunghi anni di processo partenopeo, i media. Si contano sulle dita di una (1) mano i nomi dei giornalisti che hanno fatto capolino nell'aula 212 del tribunale penale di Napoli.
C'è da sperare che almeno in occasione della sentenza si possa vedere qualcuno. Per rendere Memoria – oltre che Giustizia – alle migliaia di vittime della strage per il sangue infetto.

To see the article visit www.lavocedellevoci.it

22 marzo 2019

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 22 mar 2019


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Nord Stream 2 al centro della successione a Jean-Claude Juncker
 

 
La politica energetica degli USA
 

 
Mehdi Nemmouche condannato all'ergastolo
 

 
Denominazione della Macedonia, questione ancora irrisolta
 
Controversie

 
abbonamento    Reclami


Dalle armi di distruzione di massa irachene alle armi chimiche siriane, di Thierry Meyssan


In un rapporto del 1° marzo 2019, l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche certifica che nell’attacco di Duma (Siria) del 7 aprile 2018 non c’è stato uso di sostanze chimiche vietate; il bombardamento tripartito, intrapreso per rappresaglia da Stati Uniti, Francia e Regno Unito, era perciò ingiustificato: uno scandalo che ricalca esattamente quello delle pseudo-armi di distruzione di massa irachene. Le manipolazioni non finiranno, almeno fino a quando gli Occidentali si fideranno a occhi chiusi dei loro media.


Il comportamento dei giornalisti occidentali è davvero sconcertante: prendono per buone e diffondono le affermazioni dei politici ritenendole fondate a priori,senza tener conto delle smentite degli organismi internazionali. Sono incapaci di riconoscere di essere stati manipolati.

La giustificazione della devastazione dell’Iraq

Nel 2003 i media occidentali unanimemente presero per buone le affermazioni di George W. Bush, secondo cui l’Iraq disponeva di armi di distruzione di massa. In seguito, credettero a Tony Blair, secondo cui l’Iraq aveva vettori in grado di colpire l’Occidente in 45 minuti e di far morire le popolazioni disperdendo gas tossici. Infine, credettero persino al segretario di Stato, Colin Powell, secondo cui l’Iraq offriva rifugio a Osama Bin Laden.
Eppure, nello stesso periodo la Commissione di Controllo, Verifica e Ispezione delle Nazioni Unite (COCOVINU, UNMOVIC in inglese) dichiarava che le affermazioni di Bush e Blair erano senza alcun dubbio false. La Commissione fu l’unico organismo ad aver accesso al territorio iracheno, nonché a effettuare tutte le necessarie verifiche. Né CIA né MI6 ne ebbero l’opportunità; eppure entrambi smentirono le conclusioni della Commissione.
Ricordiamo, incidentalmente, che la Francia di Jacques Chirac si oppose alla guerra contro l’Iraq, a motivo che «la guerra è sempre la peggiore delle soluzioni». Nemmeno la Francia quindi affermò che le accuse anglo-statunitensi erano, con ogni evidenza, false, come si deduceva dalle conclusioni dell’organismo di controllo internazionale, la COCOVINU appunto.
Oggi si ricostruire la storia a forza di film e serie televisive. Siamo tutti concordi nel riconoscere di essere stati manipolati. Però sosteniamo che le intelligence statunitense e britannica sono state a loro volta manipolate dai politici e che nessuno aveva strumenti per conoscere la verità. È falso. Basta immergersi nella stampa dell’epoca per verificare come tutti congiurassero per screditare il direttore della COCOVINU, lo svedese Hans Blix, che osava tenere testa alla più grande potenza mondiale del tempo. Questo è quanto ha stabilito, tredici anni più tardi, la Commissione Chilcot [1].
E si tace anche delle accuse scagliate da Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell’ONU [2]: nel 2002 Osama Bin Laden viveva a Bagdad, i suoi luogotenenti erano tuttora lì e fabbricavano derivati tossici del ricino. Lì, sosteneva Powell, si preparavano attentati in Francia, Regno Unito, Spagna, Italia, Germania e Russia. Era perciò urgente intervenire.
Ebbene, credere a simili sciocchezze significa non conoscere affatto il partito al potere in Iraq, il Baas. Così, per non riconoscere la propria ignoranza, i giornalisti occidentali hanno preferito dimenticare l’episodio.

La complicità dei media è immutata

Dopo l’attacco all’Iraq da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, i media hanno continuato a mentire, questa volta volontariamente, per nascondere la precedente menzogna involontaria. Tutti hanno preferito raccontare di essere stati ingannati. Nessuno ha ammesso il proprio errore professionale: l’aver sottovalutato il parere degli esperti delle Nazioni Unite.
Gli storici che hanno studiato la propaganda di guerra hanno dimostrato come, quando si vuole una guerra, si fabbrichi sempre una quantità incredibile di testimonianze e prove false. Benché tutti i giornalisti riconoscano che «la prima vittima di una guerra è la Verità» (Rudyard Kipling), nessuno ha adottato il semplice metodo che ci vaccina contro le intossicazioni: conservare sangue freddo mentre tutti si agitano, non esitare ad andare controcorrente e svolgere il proprio lavoro, verificando le fonti. Questo è il metodo di Réseau Voltaire, che ci è valso il marchio di «cospirazionisti».

La giustificazione della guerra contro la Siria

Così, a proposito della guerra in Siria tutti persistono a non voler aprire gli occhi, a credere che i fatti siano scaturiti da «una rivoluzione contro una dittatura», cui il «regime» ha risposto «massacrando il suo stesso popolo» a colpi di «tortura», di «barili-bomba», «di armi chimiche», spingendo la popolazione alla violenza. Ebbene, tutto questo, oltre che stupido, come nel caso del preteso invito di Osama Bin Laden da parte del presidente Saddam Hussein, è stato anche smentito da missioni internazionali, come la COCOVINU.
La «rivoluzione contro la dittatura» è stata formalmente smentita dall’unica organizzazione che ha avuto gli strumenti per giudicare: una missione internazionale della Lega Araba, autorizzata a viaggiare in tutta la Siria e che con il personale a disposizione ha potuto coprire l’intero territorio, dal 24 dicembre 2011 al 18 gennaio 2012 [3]. Ma i giornalisti occidentali preferiscono sempre credere alle versioni dei fatti offerte dai governi piuttosto che agli organismi che hanno gli strumenti per verificarli.
Le fotografie dei morti per “tortura”, che il Rapporto Cesar ha imputato alla Siria, sono in realtà le immagini delle vittime della tortura degli jihadisti. Basterebbe riflettere solo un po’: Cesar dichiara di averle scattate per l’esercito arabo siriano, ma di non conoscere l’identità dei morti. Quale interesse potrebbe avere Damasco per un archivio fotografico senza informazioni sulle vittime?
I «barili-bomba» sono una leggenda altrettanto stupida: perché l’esercito arabo siriano avrebbe utilizzato bombe artigianali quando ne dispone di sofisticate fornite dalla Russia?

Dopo le armi di distruzione di massa irachene,
le armi chimiche siriane

Il fatto più significativo è l’accusa alla Siria di aver fatto uso di armi chimiche. L’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC, OPCW in inglese), incaricata di fare luce sull’asserito attacco del 7 aprile 2018 a Duma – che Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno sanzionato unilateralmente con un bombardamento sulla Siria – ha reso pubblico il proprio rapporto il 1° marzo 2019. Pur senza affermarlo esplicitamente, esso conferma, punto per punto, che la vicenda fu una montatura.
Si noti che cinque anni prima dell’attacco della Ghuta, la Siria aveva aderito alla Convenzione internazionale contro le armi chimiche. Le sue scorte di armi chimiche furono poste sotto sequestro, quindi distrutte congiuntamente da Russia e Stati Uniti, sotto il controllo dell’OPAC. Affermare che nel 2018 Damasco fosse ancora in possesso di armi chimiche significa innanzitutto contestare l’operato dell’Aia, di Mosca e Washington.
Nel 2018 il Dipartimento di Stato sostenne di essere in possesso di prove credibili dell’«uso di gas sarin da parte della Siria» contro i «democratici»; la Russia denunciò invece una messinscena orchestrata dal Regno Unito. Con grande faccia tosta, il ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, s’indignò per le accuse russe, definendole «grottesche, bizzarre», nonché una «flagrante menzogna».
Ebbene
- Le tre fonti che confermarono l’attacco sono tutte britanniche: i Caschi Bianchi (ONG controllata dal MI6), l’Osservatorio Siriano per i Diritti dell’Uomo (fucina dei Fratelli Mussulmani, alimentata con le informazioni dell’MI6) e l’Esercito dell’Islam (gruppo armato fondato da Zohran Allouche, la cui famiglia all’epoca risiedeva a Londra, in una lussuosa residenza presidiata dalla polizia).
- L’Esercito dell’Islam impedì all’OPAC di vedere i corpi delle vittime, di contarli e di fare le autopsie. La delegazione poté entrare a Duma solo dopo che i cadaveri furono cremati. La cremazione non è costume islamico e non fu necessaria per ragioni sanitarie.
- Secondo l’OPAC i reperti prelevati dimostrano che a Duma non è stata utilizzata alcuna sostanza chimica. Neanche una.
- L’organizzazione ammette tuttavia che sul luogo del preteso attacco chimico potrebbero essere stati tirati due razzi, che avrebbero potuto contenere una sostanza tossica clorata. Tuttavia, il cloro all’aria aperta si disperde. Può uccidere solo in uno spazio chiuso. Per questo motivo il cloro non è inserito nella lista delle armi chimiche vietate ed è utilizzato come presidio per la manutenzione.
Facciamo incidentalmente notare che l’Esercito dell’Islam (Jaych al-Islam) è l’organizzazione “democratica” che decapitò i «cani di Bashar» tenuti alla catena, ossia i siriani che si rifiutavano di dileggiare il presidente eretico Bashar el-Assad [4]. Salì alla ribalta per aver condannato a morte siriani giudicati omosessuali gettandoli dai tetti. E fu il loro capo, Mohamed Allouche, a presiedere la delegazione dell’«opposizione moderata» durante i negoziati ONU a Ginevra.
In poche parole, il bombardamento della Siria da parte di Stati Uniti, Francia e Regno Unito non soltanto fu una violazione del diritto internazionale, ma non ha nemmeno giustificazione.

Come la stampa ha trattato il rapporto dell’OPAC

Se la stampa occidentale fosse onesta, avrebbe fatto un resoconto fedele del rapporto dell’OPAC. Ma così non è stato.
I giornalisti anglosassoni sono stati particolarmente silenziosi e solo in via eccezionale hanno trattato l’informazione. I giornalisti francesi sono stati più capziosi.
In Francia i media non hanno mancato di ricordare che in precedenza un rapporto del Meccanismo congiunto ONU/OPAC aveva confermato l’uso di armi chimiche da parte della Siria. Hanno però omesso di dire che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva respinto il rapporto, perché il Meccanismo non aveva rispettato le regole OPAC.
Altri giornalisti hanno affermato che la delegazione ha accertato l’uso di cloro a Duma. Hanno però omesso di precisare che l’OPAC ritiene probabile l’uso di un agente tossico contenente clorina, utilizzata come arma, e ritiene possibile che la dispersione sia avvenuta per mezzo di due razzi. In particolare hanno evitato di dire che, all’aria aperta, anche la clorina non è un agente tossico mortale, bensì solo un irritante; per questa ragione non è un’arma chimica vietata.
Vi state chiedendo perché questi articoli vi sono sfuggiti e perché non avete sentito May, Macron e Trump scusarsi? Semplicemente perché la stampa non fa informazione e perché la classe politica occidentale non ha principi morali.