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12 maggio 2018

DAMASCO, IL MESSAGGIO DI UN FRATE – Padre Bahjat Elia Karakach


di Alessandra Mulas, inviata di guerra in Siria

Padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa superiore del Convento dedicato alla conversione di San Paolo a Damasco, è il frate coraggioso che immediatamente dopo l'attacco americano aveva lanciato un audio messaggio, attraverso i social network, in cui denunciava la menzogna dell'uso delle armi chimiche da parte del Governo di Bashar al-Assad. Come lui stesso dice l’attacco con armi chimiche da parte di Damasco sarebbe stato una follia, la vittoria sul terrorismo è ormai alla soluzione finale e richiamare l’attenzione dell’Occidente, giustificandone un possibile intervento, sarebbe stato inutile e dannoso. «L’esercito siriano non ha bisogno di usare le armi chimiche, soprattutto perché tra l’altro le ha smantellate, come sappiamo, sotto il controllo dei russi qualche anno fa».
Molto ottimista per il futuro dice di voler infondere la speranza attraverso la creazione di strutture che siano rivolte alla ricostruzione di un paese giovane e coraggioso. Ci racconta che i cristiani alle volte sono accusati dall’Occidente di sostenere il governo, precisa che questo va inserito in un contesto nel quale i cristiani sono una parte della società e non un corpo estraneo; la Siria a livello istituzionale è un paese laico e tutti possono accedere alle cariche pubbliche e ricorda che non è una questione di cristiani ma di una popolazione che all’80% si esprime a favore del suo Presidente. Forse prima della guerra c’era una opposizione che chiedeva modifiche costituzionali e riforme, ma oggi la scelta è tra il caos totale e questo governo che nonostante tutto ha avuto il merito di salvare l’unità della Siria e il pluralismo religioso. Il progetto di creare una divisione su basi etnico religiose è miseramente fallito grazie alla stabilità politica mantenuta nonostante la guerra. «Questo è il tempo di metterci insieme per combattere il terrorismo perché questi ribelli non hanno una visione politica alternativa. Hanno distrutto il patrimonio culturale, storico e l’unica cosa che li accomuna è il sogno di uno Stato Islamico.»
In una breve intervista invia un messaggio all’Occidente per raccontare una verità che merita di essere ascoltata, in un mondo in cui l’informazione si ferma davanti a una ideologia calata dall’alto in cui dietro vi è solo un vantaggio economico a senso unico.
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Riguardo ai cristiani qual è la situazione attuale, soprattutto dei cristiani cattolici, che sono diventati, ormai, una minoranza nella minoranza?
Sì, purtroppo il numero dei cristiani è più che dimezzato, sicuramente, in Siria. Ma possiamo dire sempre che, pur essendo piccola, resta una comunità molto impegnata nella società siriana, che cerca di portare i valori del Vangelo e i valori cristiani. Una comunità culturalmente formata, che non ha mai preso le armi, quindi è dialogante con tutti, è una garanzia anche per il futuro della Siria e per salvarla. Il nostro Presidente Bashar al-Assad ha detto che i cristiani qui non sono un annesso, qualcosa in più, ma sono  le radici di questa società e i garanti del pluralismo in Siria: la comunità cristiana ha questa missione ed è per questo che deve rimanere qui. Io dico sempre: aiutateci a non a lasciare questo Paese per altri migliori e a rimanere qui per continuare la nostra missione.
Lei ha anche mandato un messaggio che ha fatto il giro dei social network in Italia, e credo anche in altri Paesi, in cui lei parla anche della situazione di impunibilità: vuole raccontare quel pezzo di verità che in Occidente è negata in questo momento?
Purtroppo, pur essendoci la democrazia in Occidente e la libertà di espressione, vedo che  questa libertà di espressione è molto mortificata nel caso della guerra in Siria, perché c’è un’informazione a senso unico che vuole demonizzare il nostro Presidente e il Governo. Sappiamo bene che tutte le guerre si fanno per interessi: c’è un grosso interesse per la Siria da parte dell’Occidente che, in questi anni di guerra, ha aiutato questi gruppi ribelli che, purtroppo, non hanno nessuna visione per il futuro della Siria e non sono un’alternativa degna di guidare questo Paese, perché sono delle persone violente che hanno portato solo distruzione e violenza in Siria. Quello che oggi sta accadendo in Siria è una guerra internazionale per questi interessi e, purtroppo, questa verità fa fatica a passare. Non c’è dubbio che il nostro Presidente, attualmente, sia una garanzia dell’unità del Paese, una comunità fondamentale per questa area geografica, perché la Siria è un mosaico di culture e religioni: se questo mosaico viene spezzato, o in qualche modo diviso, ci sarebbe una pulizia etnica  e sarebbe un altro olocausto, che sicuramente nessuno desidera per il Medio Oriente, anche per le gravi conseguenze che potrebbero esserci in Europa. Qui, in questa fase, noi siriani (la maggior parte dei siriani) vogliamo essere più uniti per combattere il terrorismo e cercare di portare questo Paese a un porto sicuro, dove possiamo riprendere la ricostruzione dell’umano e della società. Chiediamo verità, verità, verità! Non disinformazione. I bambini siriani o i siriani non si aiutano con i missili, ma si aiutano se si tolgono le sanzioni al popolo siriano e se si apre un serio dialogo con il Governo siriano, che nessuno può ignorare. Quindi aiutate i siriani non a fare guerra fra di loro, ma a essere uniti, normalizzando i rapporti con la Siria e guardando all’interesse del popolo siriano e non semplicemente agli interessi economici che si possono ricavare dal dominio di questo.
L'articolo DAMASCO, IL MESSAGGIO DI UN FRATE – Padre Bahjat Elia Karakach proviene da ByoBlu - Il video blog di Claudio Messora.

03 maggio 2018

Dag Hammarskjöld: prove indicano che l'aereo del capo delle Nazioni Unite è stato abbattuto

Testimoni oculari affermano che un secondo aereo ha sparato sull'aereo sollevando domande di insabbiamento britannico sull'incidente del 1961 e sulle sue cause


Il relitto dell'aereo di Dag Hammarskjöld

Il relitto dell'aereo di Dag Hammarskjöld vicino a Ndola, ora Zambia. Testimoni oculari affermano di aver visto un secondo piano di fuoco sull'aereo del capo dell'ONU. Fotografia: TopFoto

Nuove prove sono emerse in uno dei misteri più duraturi delle Nazioni Unite e della storia africana, suggerendo che l'aereo che trasportava il segretario generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjöld fu abbattuto sulla Rhodesia del Nord (ora Zambia) 50 anni fa, e l'omicidio fu coperto da Autorità coloniali britanniche.

Una commissione d'inchiesta gestita da britannici ha accusato l'incidente del 1961 di un errore del pilota e una successiva inchiesta delle Nazioni Unite ha ampiamente impressionato le sue scoperte. Hanno ignorato o minimizzato la testimonianza dei testimoni degli abitanti dei villaggi vicino al luogo dell'incidente che suggerivano un gioco scorretto. The Guardian ha parlato con i testimoni sopravvissuti che non sono mai stati interrogati dalle indagini ufficiali e che erano troppo spaventati per farsi avanti.

I residenti nella periferia occidentale della città di Ndola descrissero la DC6 di Hammarskjöld abbattuta da un secondo velivolo più piccolo. Si dice che il luogo dell'incidente sia stato sigillato dalle forze di sicurezza del Nord-Rodi il mattino dopo, alcune ore prima che il relitto fosse dichiarato ufficialmente trovato, e gli fu ordinato di lasciare l'area.

I testimoni chiave sono stati individuati e intervistati negli ultimi tre anni da Göran Björkdahl, un operatore umanitario svedese con base in Africa , che ha reso le indagini sul mistero di Hammarskjöld una ricerca personale da quando ha scoperto che suo padre aveva un frammento della DC6 caduta.

"Mio padre era in quella parte dello Zambia negli anni '70 e chiedeva alla popolazione locale cosa fosse successo, e un uomo lì, vedendo che era interessato, gli diede un pezzo dell'aereo. Questo è ciò che mi ha fatto iniziare", ha detto Björkdahl. Quando andò a lavorare in Africa, andò sul posto e cominciò a interrogare sistematicamente le persone locali su ciò che avevano visto.

L'inchiesta ha portato Björkdahl a telegrammi inediti - visti dal Guardian - dai giorni precedenti alla morte di Hammarskjöld il 17 settembre 1961, che illustrano la rabbia degli Stati Uniti e britannici a un'operazione militare dell'ONU fallita che il segretario generale ordinò a nome del governo congolese contro una ribellione sostenuta da compagnie minerarie occidentali e mercenari nella regione del Katanga ricca di minerali.

Hammarskjöld stava volando a Ndola per i colloqui di pace con la leadership Katanga in un incontro che gli inglesi hanno aiutato a organizzare. Il diplomatico svedese ferocemente indipendente aveva, allora, fatto infuriare quasi tutte le maggiori potenze del Consiglio di sicurezza con il suo sostegno alla decolonizzazione, ma il sostegno dei paesi in via di sviluppo significava che la sua rielezione come segretario generale sarebbe stata virtualmente garantita al voto di assemblea generale dovuto l'anno seguente.

Björkdahl lavora per l'agenzia svedese per lo sviluppo internazionale, Sida, ma la sua indagine è stata condotta a suo tempo e il suo rapporto non rappresenta le opinioni ufficiali del suo governo. Tuttavia, il suo rapporto riecheggia lo scetticismo sul verdetto ufficiale espresso dai membri svedesi delle commissioni di inchiesta.

Björkdahl conclude che:


 L'aereo di Hammarskjöld fu quasi certamente abbattuto da un secondo aereo non identificato.
 Le azioni dei funzionari britannici e del nord della Russia hanno ritardato la ricerca dell'aereo scomparso.
 Il relitto è stato trovato e sigillato dalle truppe e dalla polizia del nord di Rodi molto prima che la sua scoperta fosse ufficialmente annunciata.
 L'unico sopravvissuto all'incidente potrebbe essere stato salvato ma gli è stato permesso di morire in un ospedale locale mal attrezzato.
 All'epoca della sua morte, Hammarskjöld sospettava che i diplomatici britannici avessero segretamente sostenuto la ribellione del Katanga e avesse ostacolato un tentativo di organizzare una tregua.
 Giorni prima della sua morte, Hammarskjöld autorizzò un'offensiva delle Nazioni Unite su Katanga - nome in codice Operazione Morthor - nonostante le riserve del consulente legale delle Nazioni Unite, alla furia degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.

Le nuove prove più interessanti provengono da testimoni che non erano stati precedentemente intervistati, per lo più produttori di carbone della foresta intorno a Ndola, ora tra i 70 e gli 80 anni.

Dickson Mbewe, ora 84enne, era seduto fuori dalla sua casa nel compound di Chifubu, a ovest di Ndola, con un gruppo di amici la notte dello schianto.

"Abbiamo visto un aereo sorvolare Chifubu ma non gli abbiamo prestato attenzione la prima volta", ha detto al Guardian. "Quando l'abbiamo vista una seconda e una terza volta, abbiamo pensato che all'aereo fosse negato il permesso di atterraggio all'aeroporto. All'improvviso, abbiamo visto un altro aereo avvicinarsi all'aereo più grande ad una maggiore velocità e rilasciare un incendio che appariva come una luce brillante.

"L'aereo in alto si è girato e ha preso un'altra direzione, abbiamo percepito il cambiamento nel suono dell'aereo più grande, è andato giù e è scomparso".

Verso le 5 del mattino, Mbewe andò alla sua fornace di carbone vicino al luogo dell'incidente, dove trovò soldati e poliziotti che stavano già disperdendo persone. Secondo il rapporto ufficiale, il relitto è stato scoperto solo alle 15:00 di quel pomeriggio.

"C'era un gruppo di soldati bianchi che trasportavano un corpo, due davanti e due dietro", ha detto. "Ho sentito la gente che diceva che c'era un uomo che è stato trovato vivo e dovrebbe essere portato in ospedale, a nessuno è stato permesso di rimanere lì".

Mbewe non ha trasmesso questa informazione prima perché non gli è mai stato chiesto, ha detto. "L'atmosfera non era pacifica, eravamo cacciati via, avevo paura di andare alla polizia perché potevano mettermi in prigione".

Un altro testimone, Custon Chipoya, un produttore di carbone di 75 anni, sostiene anche di aver visto un secondo aereo nel cielo quella notte. "Ho visto un aereo girare, aveva luci chiare e ho potuto sentire il rombo del motore", ha detto. "Non era molto alto, secondo me era al culmine degli aerei quando stanno per atterrare.

"È tornato una seconda volta, il che ci ha fatto guardare e la terza volta, mentre si stava dirigendo verso l'aeroporto, ho visto un aereo più piccolo avvicinarsi dietro quello più grande: l'aereo più leggero, un tipo di aereo più piccolo, seguiva da dietro e ha avuto una luce lampeggiante, poi ha rilasciato un po 'di fuoco sul piano più grande sottostante e si è mosso nella direzione opposta.

"L'aereo più grande ha preso fuoco e ha iniziato a esplodere, schiantandosi contro di noi. Abbiamo pensato che ci stesse seguendo mentre tagliava rami e tronchi d'albero, pensavamo fosse una guerra, quindi siamo fuggiti".

Chipoya ha detto che è tornato al sito la mattina dopo alle 6 del mattino e ha trovato l'area delimitata da poliziotti e ufficiali dell'esercito. Non ha menzionato ciò che aveva visto perché: "Era impossibile parlare con un ufficiale di polizia, poi abbiamo capito che dovevamo andare via", ha detto.

Safeli Mulenga, 83 anni, anche a Chifubu nella notte dello schianto, non ha visto un secondo aereo ma è stato testimone di un'esplosione.

"Ho visto l'aereo girare due volte", ha detto. "La terza volta che il fuoco proveniva da qualche parte sopra l'aereo, brillava così luminoso: non poteva essere l'aereo che esplodeva perché il fuoco si stava avvicinando ad esso", ha detto.

Non c'è stato alcun annuncio per le persone di farsi avanti con le informazioni dopo l'incidente, e il governo federale non voleva che la gente ne parlasse, ha detto. "C'erano alcuni che hanno assistito all'incidente e sono stati portati via e imprigionati".

John Ngongo, ora 75, fuori nella boscaglia con un amico per imparare a fare il carbone di legna la notte dello schianto, non ha visto un altro aereo ma ne ha sicuramente sentito uno, ha detto.

"All'improvviso, abbiamo visto un aereo con il fuoco da un lato che veniva verso di noi: era in fiamme prima che colpisse gli alberi L'aereo non era solo Ho sentito un altro aereo ad alta velocità scomparire in lontananza ma non l'ho visto ," Egli ha detto.

L'unico sopravvissuto tra le 15 persone a bordo della DC6 era Harold Julian, un sergente americano sui dettagli della sicurezza di Hammarskjöld. Il rapporto ufficiale dice che è morto per le sue ferite, ma Mark Lowenthal, un medico che ha aiutato a trattare Julian in Ndola, ha detto a Björkdahl che avrebbe potuto essere salvato.

"Considero l'episodio come uno dei miei peggiori fallimenti professionali in quella che è diventata una lunga carriera", ha scritto Lowenthal in una e-mail. "Devo prima chiedere perché le autorità statunitensi non hanno immediatamente deciso di aiutare / salvare uno di loro? Perché non ho pensato a questo in quel momento? Perché non ho provato a contattare le autorità statunitensi per dire:" Invia con urgenza un aereo per evacuare un cittadino statunitense in disimpegno alle Nazioni Unite che sta morendo per insufficienza renale? '"

Julian fu lasciato a Ndola per cinque giorni. Prima di morire, ha detto alla polizia di aver visto scintille nel cielo e un'esplosione prima dello schianto.

Björkdahl solleva anche delle domande sul motivo per cui la DC6 è stata fatta circolare fuori da Ndola. Il rapporto ufficiale afferma che non c'era un registratore nella torre di controllo del traffico aereo, nonostante il fatto che la sua attrezzatura fosse nuova. Il rapporto sul controllo del traffico aereo dell'incidente non è stato depositato fino a 33 ore dopo.

Secondo i registri degli eventi della notte, l'alto commissario britannico della Federazione di Rodi e Nyasaland, Cuthbert Alport, che era all'aeroporto quella sera, "improvvisamente disse di aver sentito che Hammarskjöld aveva cambiato idea e intendeva volare da qualche parte Altrimenti, il gestore dell'aeroporto non ha inviato alcuna segnalazione di emergenza e tutti sono semplicemente andati a letto ".

I racconti dei testimoni di un altro piano sono coerenti con altri resoconti interni della morte di Hammarskjold. Entrambi i suoi migliori assistenti, Conor Cruise O'Brien e George Ivan Smith, si erano entrambi convinti che il segretario generale fosse stato abbattuto da mercenari che lavoravano per gli industriali europei nel Katanga. Credevano anche che gli inglesi aiutassero a coprire le riprese. Nel 1992, i due hanno pubblicato una lettera nel Guardian spiegando la loro teoria. Il sospetto delle intenzioni britanniche è un tema ricorrente della corrispondenza che Björkdahl ha esaminato dai giorni precedenti la morte di Hammarskjöld.

Formalmente, il Regno Unito appoggiava la missione delle Nazioni Unite, ma, in privato, il segretario generale ei suoi collaboratori ritenevano che i funzionari britannici stessero ostacolando le mosse di pace, probabilmente come risultato di interessi minerari e simpatie con i coloni bianchi sul lato Katanga.

La mattina del 13 settembre il leader separatista Moise Tshombe ha segnalato che era pronto per una tregua, ma ha cambiato idea dopo un incontro di un'ora con il console britannico nel Katanga, Denzil Dunnett.

Non c'è dubbio che al momento della sua morte Hammarskjöld, che aveva già alienato i sovietici, francesi e belgi, aveva anche irritato gli americani e gli inglesi con la sua decisione di lanciare l'operazione Morthor contro i leader ribelli e mercenari nel Katanga.

Il segretario di stato americano, Dean Rusk, ha detto a uno degli assistenti del segretario generale che il presidente Kennedy era "estremamente turbato" e stava minacciando di ritirare il sostegno dell'ONU. Il Regno Unito, ha detto Rusk, era "ugualmente sconvolto".

Alla fine della sua inchiesta, Björkdahl non è ancora sicuro di chi abbia ucciso Hammarskjöld, ma è abbastanza sicuro del perché sia ​​stato ucciso: "È chiaro che c'erano molte circostanze che indicavano il possibile coinvolgimento delle potenze occidentali. gli interessi dell'ovest negli immensi giacimenti minerari del Congo. E questo fu il periodo della liberazione dell'Africa nera, e tu avevi i bianchi che cercavano disperatamente di aggrapparsi.

"Dag Hammarskjöld stava cercando di attenersi alla carta delle Nazioni Unite e alle regole del diritto internazionale, ho avuto l'impressione dai suoi telegrammi e dalle sue lettere private di essere disgustato dal comportamento delle grandi potenze".

Gli storici del Foreign Office dissero che non potevano commentare. I funzionari britannici credono che, in questa data tardiva, nessuna ricerca avrebbe dimostrato o smentito in modo conclusivo quelle che considerano teorie cospirative che hanno sempre circondato la morte di Hammarskjöld.

www.theguardian.com

02 maggio 2018

Sondaggio SWG: 3 italiani su 4 contrari ai raid sulla Siria

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(SIR-DIRE) Roma 20 apr. – Il 73% degli italiani boccia nettamente la scelta di bombardare la Siria compiuta da Usa, Gran Bretagna e Francia sferrato all'alba di sabato 14 aprile. È quanto si legge in 'PoliticApp', lo speciale di Swg 'Raid sulla Siria', pubblicato ieri.
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Alla domanda se si è o meno d'accordo con la scelta effettuare un attacco missilistico sulla Siria gli intervistati 1.000 soggetti maggiorenni – hanno risposto per il 46% "per niente" e per il 27% "poco".
"Molto" e "abbastanza" d'accordo sono risultati, rispettivamente, il 3% e il 13%. Inoltre, per la maggioranza degli intervistati il raid di sabato scorso è stato un errore di strategia e un'aggressione illecita.
Infatti, per il 31% si è trattato di "un'aggressione a un Paese sovrano, una violazione del diritto internazionale" mentre il 23% sostiene che sia stato "un errore perchè unirà la Siria sotto la leadership di Assad".
Secondo il 15% il bombardamento è stato "un atto giusto perchè Assad ha usato le armi chimiche contro la popolazione" e per un altro 7% il raid è stato "un atto legittimo nel quadro multilaterale". Quasi un intervistato su quattro (24%) non si è espresso.
Rispetto alle sanzioni che gli Stati Uniti chiedono siano inflitte alla Russia "perchè è stata complice nell'uso delle armi chimiche in Siria" la metà degli intervistati si dice contraria. Infatti il 32% sarebbe "poco" d'accordo con le sanzioni mentre il 18% sarebbe "per niente" d'accordo.
"Molto" e "abbastanza" favorevoli si sono dichiarati rispettivamente il 6% e il 18%, mentre il 21% non si è espresso.
Foto SANA, e US DoD
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30 aprile 2018

VACCINI / DUE SCIENZIATI INDIANI SCOPRONO LE CARTE TRUCCATE DI GLAXO

Il colosso farmaceutico britannico e numero uno dei vaccini a livello mondiale, GlaxoSmithKline, trucca le carte. Alcuni ricercatori indiani, infatti, hanno scoperto che un recente rapporto inviato all'EMA, l'Agenzia europea per il farmaco, contiene dati incompleti e fuorvianti: quindi tali da non fornire un attendibile profilo circa la sicurezza di un vaccino, Infanrix Hexa.
In sostanza, secondo quanto ricostruito, sono stati taroccati i numeri sui decessi post vaccino. Un fatto – se confermato – di eccezionale gravità.
Vediamo cosa è successo. Si tratta di un prodotto-combinazione di svariati vaccini: vale a dire contro difterite, tetano, pertosse, epatite B, polio e influenza di tipo B.
GSK, ovvero GlaxoSmithKline, lo ha immesso sul mercato nel 2005, lo stesso anno in cui è entrato nel circuito commerciale un altro prodotto simile, Hexavax, realizzato da Sanofi Pasteur, la casa 'rivale' sul fronte dei vaccini: ebbene, nel 2005 Sanofi ha dovuto ritirarlo perchè alcune verifiche successive hanno dimostrato un aumento nelle morti di bimbi a 48 ore dall'assunzione.
Cosa succede ora per Infanrix? Qualcosa di simile, solo che fino ad oggi tutto è rimasto ben nascosto.

QUEI RICERCATORI FICCANASO
Fino al momento in cui due ricercatori indiani, Jacob Pulijel e Christina Sathyamala, hanno scoperto delle anomalie in un rapporto trasmesso dalla casa produttrice, GSK, ad EMA, l'Agenzia per mesi al centro delle polemiche per la sede trasferita da Londra (dove tra l'altro c'è il quartier generale di GSK) ad Amsterdam, mentre Milano è rimasta clamorosamente esclusa.
In particolare i due scienziati hanno passato ai raggi x il rapporto periodico sulla sicurezza, il cosiddetto PSUR, contenente dati sul vaccino prodotto da Glaxo, aggiornati a tutto il 2015. Si tratta di un report "riservato", che per fortuna i due sono riusciti ad ottenere grazie alla legge sull'informazione che vige in India (certo più avanzata di quella esistente oggi in Italia, a botte di querele penali e citazioni civili milionarie)

Jacob Pulijel

Ecco cosa denuncia Corvelva, il coordinamente veneto per la libertà delle vaccinazioni: "I medici hanno scoperto che l'ultimo rapporto presentato da Gsk nel 2015 ha cancellato i decessi riportati dalla stessa Gsk in precedenza (il sedicesimo rapporto del 2012)".
Uno degli autori del rapporto farlocco, tra l'altro, ha ammesso di "aver omesso informazioni statisticamente significative: cioè che i maschi afroamericani a cui era stato somministrato il vaccino prima di 36 mesi, erano a maggiore rischio di autismo".
Tutta l'equipe al servizio di Glaxo, quindi, ha trovato prove sull'incremento del rischio, ma ha  pensato bene di eliminare i dati di "un elevato numero di bimbi di colore".

NUMERI TAROCCATI
Sono stati poi presentati i dati finali – taroccati – secondo cui "non vi era un aumento del rischio di autismo". Un vero e propro gioco delle tre carte: sulla pelle dei bambini di mezzo mondo, tanto è ampio il mercato internazionale di uno dei pezzi da novanta di Big Pharma, GSK appunto.
Puntualizza Corvelva: "se queste morti non fossero state cancellate, il numero dei decessi dopo vaccinazione sarebbe stato significativamente superiore. Il produttore, Gsk, avrebbe dovuto ammettere davanti all'Ema che quel vaccino era la causa di tali morti in eccesso".


Christina Sathyamala

Pulijel e Sathyamala sostengono poi che la casa produttrice del vaccino "deve spiegare le cifre che ha presentato alle autorità regolatorie. Fino ad ora ha sostenuto che le morti riportate dopo il vaccino sono 'coincidenti' e che avrebbero avuto luogo anche se non ci fossero state le vaccinazioni".
I due ricercatori sottolineano che la loro analisi ha dimostrato e portato alla luce un dato clamoroso e drammatico: ben l'83 per cento delle morti prese in esame è avvenuto immediatamente dopo la vaccinazione, cioè nei primi 10 giorni. E solo il 17 per cento si è verificato nei successivi 10 giorni.
Quindi, "se si fosse trattato di morti 'coincidenti', non si sarebbero tutte raggruppate subito dopo la vaccinazione, ma sarebbero state distribuite uniformemente nel periodo di 20 giorni".
Durissimo un altro commento degli scienziati indiani. "Qualsiasi argomento – precisano – secondo cui le morti improvvise dopo la vaccinazione sono compensate dalle vite salvate dal vaccino, non è accettabile: allo stesso modo in cui sarebbe considerato illecito uccidere una persona per usare i suoi organi per salvare altre 5 persone".
Non è finita. Il j'accuse va avanti: "Celare le morti dopo le vaccinazioni può impedire o ritardare le valutazioni dei profili di sicurezza e ciò può portare a decessi inutili e difficilmente giustificabili  sotto il profilo etico".

GLAXO PIGLIATUTTO 
E mettono in guardia anche le autorità indiane circa l'importazione di vaccini dagli Usa e dall'Europa, chiedendo il massimo rigore da parte del "Drug Controller General of India" e una revisione dell'attuale politica di approvazione autorizzativa all'import.
D'altro canto l'India è all'avanguardia sul fronte della produzione pubblica di vaccini, con il Serum Institute of India.
Va ricordato che ad inizio anni '80 anche l'Italia poteva contare su un grosso polo nazionale di produzione: la vecchia e prestigiosa Sclavo, passata a inizio anni '80 all'Eni e da questa smistata alla sua divisione chimico-farmaceutica, Anic. A fine anni '80, poi, Eni passò il suo gioiello Sclavo al gruppo Marcucci, già oligopolista degli emoderivati e all'epoca sotto la protettiva ala di Sua Sanità Francesco De Lorenzo.


Manifesti di Corvelva

Ma chi ha poi fatto un sol boccone di Sclavo? GlaxoSmithKline, of course: nel momento in cui il gruppo Marcucci ha deciso di tuffarsi a capofitto nei mari 'rossi' e miliardari. Veleggiando a bordo della sua corazzata Kedrion, che qualche anno fa ha celebrato l'ingresso nel suo azionariato (ben il 25 per cento) della nuova Iri di casa nostra, la Cassa Depositi e Prestiti, che ha 'investito' nella lavorazione e nel commercio di sangue ben 100 milioni di euro.
Torniamo a bomba. Farà sapere ad EMA (e non solo) i dati reali sul suo vaccino Big Glaxo? Sarà in grado di fornire prove tangibili sui profili di rischio del suo Infanrix Hexa? O dovremo aspettare il prossimo report?
E poi. Come mai EMA nel frattempo sta a guardare? Timorosa di disturbare il Manovratore? O troppo impegnata nel trasloco da Londra ad Amsterdam?

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29 aprile 2018

Il clamoroso reportage di Robert Fisk dalla Siria: “Non era gas, era polvere”

Robert Fisk in Siria
Robert Fisk è considerato uno dei più grandi reporter di guerra del mondo. In Medio Oriente dal 1976 come corrispondente del Times, ha seguito la guerra civile libanese, l’invasione sovietica dell’Afghanistan, la guerra Iran-Iraq, le guerre balcaniche, la prima e la seconda guerra del Golfo, sempre denunciando crimini di guerra di opposte fazioni e molte delle attività dei governi occidentali in Medio Oriente. Un vero testimone del nostro tempo. Oggi collabora con l’Independent, e qui vi proponiamo ampi stralci del suo ultimo clamoroso articolo sulla Siria. Titolo: “La ricerca della verità tra le macerie di Duma – e i dubbi di un medico sull’attacco chimico”. La parola di Fisk ha un peso, e se anche lui si chiede “gli attacchi con il gas sono avvenuti davvero?”, il mondo non può non ascoltare.
Questa è la storia di una città chiamata Duma, un luogo devastato tra palazzi distrutti, e di una clinica sotterranea le cui immagini di sofferenza hanno autorizzato tre delle nazioni più potenti del mondo occidentale a bombardare la Siria la settimana scorsa. C’è un dottore amichevole in camice verde che, mentre lo seguo nella clinica, allegramente mi dice che il video sul “gas” che ha fatto inorridire il mondo, malgrado i dubbiosi, è perfettamente autentico.
Le storie di guerra, comunque, hanno l’abitudine di diventare sempre più oscure. E lo stesso esperto dottore siriano 58enne aggiunge poi qualcosa di profondamente disturbante: i pazienti, sostiene, non sono stati sopraffatti dal gas ma dalla carenza di ossigeno nei tunnel pieni di immondizia e nelle cantine dove vivono, durante una notte di vento e di pesanti bombardamenti che hanno sollevato una tempesta di polvere.
Mentre il dottor Assim Rahaibani  annuncia questa straordinaria conclusione, è giusto osservare che per sua stessa ammissione lui non è un testimone, e malgrado parli un buon inglese si riferisce due volte ai miliziani jihadisti di Jaish el-Islam (l’Esercito Islamico) a Dumas come a dei “terroristi”, la parola del regime per definire i nemici e un termine usato da tanta gente per tutta la Siria. Sto capendo bene? A quale versione degli eventi dobbiamo credere?
Per mia sfortuna, inoltre, i dottori che erano in servizio quella notte del 7 aprile sono tutti a Damasco per rispondere ad una commissione di inchiesta, che cercherà di arrivare ad una risposta definitiva alla questione nelle prossime settimane.
La Francia, intanto, ha detto di avere “le prove” che siano state usate armi chimiche, e i media USA hanno citato fonti che sostengono che i test di sangue e urina hanno mostrato la stessa cosa. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha comunicato che i suoi partner sul posto hanno trattato 500 pazienti “che esibiscono segni e sintomi consistenti con l’esposizione ad agenti chimici tossici”. Gli ispettori dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC) però non riescono ad arrivare nel sito del presunto attacco col gas, apparentemente in quanto mancanti dei corretti permessi ONU.
Prima di andare avanti, i lettori devono sapere che questa non è l’unica storia a Duma. Ci sono molte persone con cui ho parlato, tra le rovine di questa città, che affermano di “non aver mai creduto” alle storie sul gas che vengono solitamente diffuse, così sostengono, dai gruppi armati islamisti. (…)
E’ stata una breve camminata fino al Dr Rahaibani. Dalla porta della sua clinica, chiamata “Punto 200” nella strana geologia di questa città in parte sotterranea, scende un corridoio fino al suo ospedale e ai pochi letti, dove una bambina piange mentre le infermiere le curano un taglio sopra un occhio. “Ero con la mia famiglia nella cantina della mia casa a 300 metri da qui, quella notte, ma tutti i dottori sanno ciò che è successo. C’erano grossi bombardamenti (delle forze governative) e gli aerei sono sempre sopra Duma durante la notte. Ma quella notte c’era vento, e grandi nuvole di polvere hanno cominciato ad infiltrarsi nelle cantine dove vive la gente. Le persone hanno cominciato ad arrivare qui in ospedale soffrendo di ipossia e scarsità di ossigeno. Poi qualcuno alla porta, un Casco Bianco, ha urlato “Gas!” ed è cominciato il panico. Le persone hanno preso a tirarsi addosso l’acqua l’una con l’altra. Sì, il video è stato filmato qui, è genuino, ma quelle che tu vedi sono persone colpite da ipossia e non da avvelenamento da gas. (…)
I Caschi Bianchi -i primi soccorritori, già leggendari in occidente, ma con alcuni risvolti interessanti nella loro stessa storia- hanno giocato un ruolo familiare durante le battaglie. Loro sono parzialmente finanziati dal Foreign Office inglese, e molti degli uffici locali impiegano uomini di Duma. (…)
Naturalmente volevamo ascoltare il loro punto di vista, ma non è stato possibile: una donna ci ha detto che tutti i membri dei caschi Bianchi hanno abbandonato il loro quartier generale e hanno scelto di evacuare con i bus organizzati dal governo verso la provincia ribelle di Idlib, insieme ai miliziani che hanno aderito alla tregua. (…)
Le mie domande sul gas hanno trovato solo una franca perplessità. Come è possibile che i rifugiati di Duma che hanno raggiunto i campi in Turchia abbiano descritto un attacco con il gas che nessuno a Duma oggi sembra ricordarsi? Mi è venuto in mente, mentre camminavo per un miglio in questi tunnel, che i cittadini di Duma vivono così isolati gli uni dagli altri e per così tanto tempo che le notizie come le intendiamo noi semplicemente per loro non hanno significato. La Siria non è una democrazia, come dico cinicamente ai miei colleghi arabi, ed è sicuramente una spietata dittatura, ma questo non dovrebbe trattenere persone felici di incontrare finalmente stranieri, dal rispondere con parole di verità. Così, cosa mi stavano davvero dicendo? (…) Un colonnello siriano in cui mi sono imbattuto davanti a uno di questi edifici mi ha chiesto se volevo vedere quanto erano profondi i tunnel. Mi sono fermato dopo oltre un miglio, e lui ha curiosamente osservato: “Questi tunnel possono arrivare lontano, fino in Gran Bretagna”. Ah sì, la signora May, mi ricordo, i cui bombardamenti sono così intimamente collegati a questi luoghi di tunnel e polvere. E anche di gas?
L'articolo Il clamoroso reportage di Robert Fisk dalla Siria: "Non era gas, era polvere" proviene da ByoBlu - Il video blog di Claudio Messora.

21 aprile 2018

DECRETO LORENZIN SUI VACCINI: L'INCHIESTA DI GRAMICCIOLI A TEATRO A L'AQUILA


"Il decreto", inchiesta in chiave teatrale di David Gramiccioli
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L’AQUILA - "Il decreto" è un inchiesta giornalistica di David Gramiccioli sulla libertà legata ai vaccini, raccontata in chiave teatrale dalla Compagnia del teatro artistico d'inchiesta, che andrà in scena all’Aquila, sabato 28 aprile alle 18, all’Auditorium del Parco.
Lo spettacolo è stato organizzato dal gruppo "Libertà di Scelta e Sicurezza Vaccinale L'Aquila", che tramite il suo portavoce, l'aquilano Nino Bruno, ha spiegato l'impegno di anni, "per la chiarezza e una corretta informazione in ambito medico e vaccinale e soprattutto, per la libertà di scelta, il faro principe per il quale scendiamo in piazza e manifestiamo pacificamente".
Per la regia di Angela Turchini, la direzione tecnica di Michele Rizzi, il coordinamento di Laura e Maria Antonietta Pittore, "Il decreto" è il risultato di un lavoro di anni di Gramiccioli, giornalista, reporter e attore di teatro romano, che ha voltuo questo spettacolo, "per raccontare il punto di vista su questa libertà di scelta in modo inconfutabile, in un percorso che parte dai casi di febbre suina del 2009, fino alla legge Lorenzin, che impone i vaccini nei primi anni di vita", come ha spiegato ad AbruzzoWeb.
Una legge che per Gramiccioli è paragonabile, "alle leggi razziali promulgate in Italia nel 1938, che privarono gli ebrei delle libertà fondamentali. E così il decreto Lorenzin, definito anticostituzionale e illegittimo anche da una delle personalità che più rappresenta il simbolo della giustizia, il giudice Ferdinando Imposimato".
"La legge Lorenzin - ha aggiunto - ha innescato un esemplare movimento spontaneo di opinione pubblica, capace di svilupparsi al di fuori delle ordinarie dinamiche politiche e sociali. Lo stesso strumento normativo che da una parte dovrebbe garantire i diritti dei cittadini, è in questo frangente in grado di piegare il diritto di libertà dei medesimi, nello scegliere consapevolmente in merito alla salute dei propri figli, provocando preoccupazione e disorientamento nelle famiglie italiane".
Con l’inizio del racconto si torna indietro nel tempo, è il 2009, due figure di donne coraggiose anticipano e precorrono i tempi in una visione lucida e competente.
"Con loro si avvia la narrazione volta a rafforzare, l’importanza del progresso e della scienza, mai in disaccordo con le conquiste scientifiche anzi, sempre nel rispetto di una lettura degli accadimenti supportata da documentazione e dal rigore narrativo, l’opera è un intreccio di fatti e accadimenti che non sfiorano argomentazioni tecniche o mediche ma che ricostruiscono quello che è stata la storia di questo decreto", spiega.

"I fatti del passato tornano prepotentemente come attualità, suggerendoci una via interpretativa, per dare corpo e significato alla necessità di difendere il nostro ruolo di uomini, di genitori e di cittadini. Uno strumento di riflessione per tutti coloro che avranno, in coscienza, l’interesse a darsi una risposta, non del tutto scontata, che anche la salute, prima di essere tradotta in articoli di legge, è un diritto che deve essere garantito a tutti, indistintamente", conclude.
Il costo del biglietto è di 10 euro, l'incasso e l'autotassazione già in atto da parte di membri del gruppo "Libertà di Scelta e Sicurezza Vaccinale L'Aquila", serviranno per coprire le spese vive sostenute.

Per informazioni telefonare ai numeri 348/5200386 e 328/8376982, o tramite mail,libertadisceltaaq@gmail.com.
'DECRETO LORENZIN SUI VACCINI: L'INCHIESTA DI ...   Abruzzoweb.it

18 aprile 2018

Siria, vescovo Aleppo: “Stanno facendo come in Iraq. Armi chimiche un pretesto”


"Sia fatta luce su tutto ed emerga la verità non come hanno fatto con l'Iraq in cui hanno distrutto il Paese dicendo che c'erano le armi chimiche. Così come hanno fatto con l' Iraq lo stanno facendo ora con la Siria. La gente lo ha capito, non è stupida".. Lo ha detto il vescovo caldeo di Aleppo e presidente della Caritas siriana, mons. Antoine Audo, intervistato da Antonio Soviero, manifestando forti dubbi sul fatto che il regime di Damasco abbia usato armi chimiche a Douma, nel Ghouta est. "Come è possibile che Assad – ha aggiunto mons. Audo – abbia usato armi chimiche per difendersi ? Non è logico. Gli americani e i russi usano la Siria come pretesto per farsi la guerra e difendere i loro interessi internazionali".


www.tv2000.it

16 aprile 2018

I cristiani siriani: «Le armi chimiche un pretesto per fare la guerra» famigliacristiana.it

«Siamo stati svegliati alle 4 di notte dal sibilo dei missili e abbiamo capito che gli attacchi erano in corso. Si sono udite delle esplosioni nei dintorni di Damasco. Qui al centro per ora tutto è tranquillo ma la gente è preoccupata per il futuro. La popolazione vuole vivere in pace e non sotto l'incubo delle bombe». Al Sir, l'agenzia della Cei, le parole di padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della Capitale, a Damasco, racconta l'attacco congiunto di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sferrato nella notte contro tre obiettivi a Damasco e Homs. Si tratterebbero di un centro di ricerca nella capitale siriana, di un impianto di stoccaggio di armi chimiche e di una struttura contenente armi chimiche ed equipaggiamenti, entrambi a ovest di Homs. La risposta militare di Trump al presunto utilizzo di armi chimiche contro la città siriana di Douma, che gli Usa hanno da subito attribuito al regime di Bashar al Assad, non si è fatta attendere oltre. «Sapevamo che esisteva l'intenzione di bombardare da parte degli Usa dopo il presunto attacco chimico alla Ghouta orientale ma la speranza era riposta in un'indagine oggettiva sull'uso di armi chimiche e che per questo non ci sarebbero stati lanci di missili», dichiara il frate che spera che «non si ripeta quanto già avvenuto in Iraq che fu invaso nel 2003 (da una coalizione formata per la maggior parte da Stati Uniti e Regno Unito, e con contingenti minori di altri Stati, ndr) perché il regime di Saddam Hussein era stato accusato di possedere armi di distruzione di massa. Armi che non furono mai trovate. La volontà è distruggere la Siria. Il progetto va avanti con queste bombe. Non ci resta che pregare per la pace ora più che mai».
All'agenzia DIRE monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, accusa Donald Trump: «Usano l'argomento degli attacchi chimici solo per continuare la guerra, alimentare il commercio di armi e compiacere l'Arabia Saudita», ha detto. «Vogliono dimostrare il loro potere ma come vescovi e come cristiani diciamo che alla storia delle armi chimiche non crediamo», ha aggiunto il Vescovo dopo i raid contro obiettivi governativi a Damasco e Homs. «Questo è solo un argomento per alimentare la guerra in Siria e il commercio delle armi, sfruttando la lotta tra sunniti e sciiti e compiacendo l'Arabia Saudita e le altre potenze del Golfo».
Il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen
Il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen

IL VICARIO APOSTOLICO DI ALEPPO: «CON QUESTI MISSILI HANNO GETTATO LA MASCHERA»

Molto critico sui raid di Usa, Francia e Gran Bretagna anche il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen, che al Sir ha detto: «Con questi missili hanno gettato la maschera. Prima era una guerra per procura. Ora a combattere sono gli attori principali. Sono sette anni, è iniziato l'ottavo, che si combatte sul suolo siriano e ora che gli attori minori sono stati sconfitti, in campo sono scesi i veri protagonisti del conflitto».
Le bombe della scorsa notte sono state sganciare come reazione ai presunti attacchi chimici nel Ghouta: «Aspettiamo gli esperti per indagare sul presunto attacco chimico a Douma ma dopo questi raid sarà tutto più difficile», dice Khazen. «Ogni appello alla pace cade nel vuoto, solo papa Francesco continua a sperare nella pace e noi con lui. Intanto cresce la sofferenza della popolazione che chiede pace e in cambio ottiene bombe e missili. Qui la gente si aspettava qualcosa di simile e purtroppo è avvenuto». L'auspicio di mons. Abou Khazen è che «questi attacchi non si allarghino anche in altri luoghi della regione perché sarebbe davvero pericoloso e tutto potrebbe sfuggire di mano. Serve una soluzione condivisa da raggiungere senza menzogne. Non abbiamo altre armi che la preghiera. Oggi», conclude il francescano, «il Vangelo ci propone il racconto degli Apostoli sulla barca in mezzo alla tempesta, di notte, salvati da Gesù che, apparso loro, diceva: "Sono io, non abbiate paura!". Questa sia la nostra speranza e la nostra forza». Proprio nei giorni scorsi era stata annunciata dal vicario l'organizzazione di una «Giornata di preghiera nazionale per la pace».