14 aprile 2021
Perché la Nato dieci anni fa demolì la Libia, di Manlio Dinucci
Dieci anni fa, il 19 marzo 2011, le forze Usa/Nato iniziano il bombardamento aeronavale della Libia. La guerra viene diretta dagli Stati Uniti, prima tramite il Comando Africa, quindi tramite la Nato sotto comando Usa. In sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettua 30 mila missioni, di cui 10 mila di attacco, con oltre 40 mila bombe e missili. L’Italia – con il consenso multipartisan del Parlamento (Pd in prima fila) – partecipa alla guerra con 7 basi aeree (Trapani, Gioia del Colle, Sigonella, Decimomannu, Aviano, Amendola e Pantelleria); con cacciabombardieri Tornado, Eurofighter e altri, con la portaerei Garibaldi e altre navi da guerra. Già prima dell’offensiva aeronavale, erano stati finanziati e armati in Libia settori tribali e gruppi islamici ostili al governo, e infiltrate forze speciali in particolare qatariane, per far divampare gli scontri armati all’interno del Paese.
Viene demolito in tal modo quello Stato africano che, come documentava nel 2010 la Banca Mondiale, manteneva «alti livelli di crescita economica», con un aumento del pil del 7,5% annuo, e registrava «alti indicatori di sviluppo umano» tra cui l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e, per oltre il 40%, a quella universitaria. Nonostante le disparità, il tenore medio di vita era in Libia più alto che negli altri paesi africani. Vi trovavano lavoro circa due milioni di immigrati, per lo più africani. Lo Stato libico, che possedeva le maggiori riserve petrolifere dell’Africa più altre di gas naturale, lasciava limitati margini di profitto alle compagnie straniere. Grazie all’export energetico, la bilancia commerciale libica era in attivo di 27 miliardi di dollari annui.
13 aprile 2021
[Reseau Voltaire] Les principaux titres de la semaine 13 apr 2021
ARIECCOLI / DALLA TAV AL TERZO VALICO, TUTTI I PREDONI DEGLI APPALTI MILIONARI
Maxi inchiesta della procura di Genova sulle gare d’appalto truccate per la realizzazione del Terzo Valico ferroviario, soprattutto quelle dei tunnel tra la Liguria e il Piemonte.
Il gup, accogliendo la richiesta dei pm Paola Calleri e Francesco Paolo Cardona, ha appena rinviato a giudizio 30 persone, tra cui pezzi da novanta delle costruzioni e di tutta la nomenklatura che detta legge sul fronte dei lavori pubblici.
Incredibile ma vero, si tratta di quegli stessi personaggi che ritroviamo in altre maxi inchieste a partire da inizio anni ’90, i quali l’hanno regolarmente fatta franca in tutti i procedimenti giudiziari che li hanno visti coinvolti.
La prima inchiesta della Voce dove li possiamo trovare tutti insieme appassionatamente è di novembre 1993: la bellezza di 28 anni fa, nel corso dei quali lorsignori hanno potuto tranquillamente scorazzare nelle praterie dorate degli appalti, gestendo immense quantità di danari pubblici.
Lo stesso copione va in scena oggi, con le gare per il Terzo Valico tra la Liguria e il Piemonte. Anche stavolta gare taroccate, anche stavolta una maxi inchiesta che documenta fatti e misfatti, anche stavolta concreto rischio flop per la solita, miracolosa prescrizione, grazie alla quale, come al solito, saranno tutti felici e contenti. E soprattutto impuniti e liberi di continuare ad usare i danari dello Stato per i loro sporchi comodi.
PROTAGONISTI IN CAMPO
Partiamo dalle news. E ricorriamo a una delle rare fonti, l’Ansa, visto che la vicenda è stata snobbata dai media, ormai allineati e coperti nella più totale disinformazione.
“Tra i rinviati a giudizio – batte l’Ansa – Pietro Salini, Ad di Webuild (accusato di turbativa d’asta); Giandomenico Monorchio (turbativa d’asta e corruzione), imprenditore e figlio dell’ex ragioniere generale dello Stato Andrea(quest’ultimo inquisito per turbativa d’asta, avrebbe fatto da sponsor al figlio); Ettore Incalza (turbativa d’asta), storico ‘grand commis’ delle maxi opere, che si sarebbe speso per Monorchio. Tra gli altri imprenditori figurano Stefano Perotti e Duccio Astaldi”.
Continua il dispaccio Ansa. “Nel mirino della procura è finito il sistema con cui venivano smistati gli appalti da parte del general contractor individuato dallo Stato per la realizzazione dell’opera (53 chilometri di cui 37 sotterranei, valore superiore ai 6 miliardi di euro). Tutto ruota intorno al ‘Cociv’, consorzio formato in origine da Salini-Impregilo, Società Condotte d’Acqua e Civ, il general contractor che ha gestito un fiume di danaro pubblico”.
12 aprile 2021
IL PROGETTO TERRAMAR DI GHISLAINE MAXWELL
Secondo il New York Times , il Terramar Project era “un’organizzazione opaca che non aveva uffici, non dava sovvenzioni ad altre organizzazioni” e poco dopo l’arresto di Jeffrey Epstein, Terramar annunciò ufficialmente la sua chiusura.
Ma qual era il progetto Terramar? A prima vista, sembrerebbe che l’ormai famigerata Ghislaine Maxwell avesse un debole per l’ambiente. Si potrebbe benissimo concordare con il sentimento di proteggere l’ambiente ma, come stiamo per vedere, il Terramar Project di Maxwell non si limitava a “proteggere gli oceani”, ma a controllarli e possederli.
Coloro che si sono associati e che hanno finanziato il Progetto Terramar includevano molti di coloro che dal 2016 riconosciamo come collegati al traffico sessuale di minori, tra cui la Fondazione Clinton, James Alefantis della cometa Ping Pong, John Podesta e Tamera Luzzatto, insieme a molti altri appartenenti all’alta società.
11 aprile 2021
Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 11 aprile 2021
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The D Daily 11 aprile 2021: BMJ “Obbligo vaccinale Covid-19 per i medici?” Una risposta tra tante
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