18 novembre 2019

L’Italia perde la Fiat, venduta alla Francia. E nessuno fiata

Carlos Tavares L’Italia perde la sua maggiore azienda, per decenni sorretta dallo Stato: a mangiarsi la Fiat è la Francia di Macron, con il gruppo Psa (Peugeot-Citroen-Opel) di cui il governo francese possiede il 13%. Il Cda di quello che diventerà il quarto produttore automobilistico al mondo, con 50 miliardi di dollari di fatturato, sarà guidato dall’attuale numero uno di Peugeot, Carlos Tavares, lasciando a John Elkann la presidenza del nuovo soggetto industriale. Clamorosa l’assenza totale della politica italiana: gli uomini del Conte-bis si limitano al ruolo di semplici spettatori, e tace anche l’opposizione. Silenzio generale, di fronte alla perdita definitiva del gruppo Fiat, fatto a pezzi nel corso degli anni. Stabilimenti delocalizzati in Polonia, Serbia, Turchia, Brasile, Argentina, India e Cina. E domiciliazioni “emigrate” in Gran Bretagna (sede legale), in Lussemburgo (fiscale) e negli Usa (borsistica). E ora, addio anche alla proprietà italiana del marchio, nonostante l’oceano di soldi – agevolazioni sugli stabilimenti, cassa integrazione – versati dai contribuenti italiani per tenere in piedi l’industria torinese. «Al silenzio della politica seguirà quello di giornali e televisioni», avverte il saggista Gigi Moncalvo: «Nessuno oserà contestare l’accordo, visto che il gruppo Fiat spende enormi quantità di denaro, in termini pubblicitari, sui media italiani».
Autore di scomodi libri sul potere della maggiore dinastia industriale italiana (“Agnelli segreti”, “I lupi e gli agnelli”), intervenendo nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, Moncalvo sottolinea lo squallore della situazione italiana, di fronte allo “scippo” francese propiziato da «rabbini e grembiulini vicini a John Elkann». Moncalvo, che ha seguito da vicino anche l’ingloriosa saga dell’eredità di Gianni Agnelli, ha scoperto che il grosso del denaro di famiglia è tuttora custodito all’estero, in un caveau all’aeroporto di Ginevra, fuori dalla portata del fisco italiano. Sempre Moncalvo racconta che la Fiat, “scomunicata” dagli Usa nel 1945 per gli enormi benefici ottenuti dalle commesse belliche del regime fascista, fu improvvisamente riabilitata (e inserita nel Piano Marshall) grazie ai buoni uffici di Pamela Harriman, nuora di Churchill e buona amica dell’allora giovane Avvocato. A partire proprio dal dopoguerra, però – sostiene Moncalvo – il vero timone della Fiat passò nelle mani di Wall Street. Morto il problematico Edoardo Agnelli, che aveva annunciato la sua intenzione di avere voce in capitolo nel destino della Fiat, il gruppo torinese è stato affidato al ramo familiare Elkann.
Scomparso anche Gianni Agnelli, i suoi storici collaboratori – Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens – hanno fatto in modo, d’intesa con la vedova dell’Avvocato, che tutto il potere finisse nelle mani dell’allora giovanissimo John Elkann. Due anni dopo, la finanza Usa ha “spedito” a Torino il super-manager bancario Sergio Marchionne, che ha finto di rilanciare gli stabilimenti italiani per poi invece siglare l’accordo con Chrysler e trasferire il cuore del gruppo a Detroit, con il varo del marchio Fca. E oggi, appena un anno dopo la prematura morte di Marchionne, il gruppo formalmente rappresentato da John Elkann sembra voler “sbaraccare” quel che resta della Fiat in Italia, cedendo il controllo dell’ex impero al paese che più sta danneggiando l’Italia, sul piano industriale: la Francia. Secondo gli analisti, segnala il “Fatto Quotidiano”, la volontà francese di restare alla guida del nuovo gruppo sarebbe evidente anche dai numeri dell’operazione. Il gruppo Psa riconosce ai soci Fca un premio da 6,7 Marchionnemiliardi rispetto alle quotazioni di Borsa antecedenti l’inizio delle indiscrezioni sulle nozze. Senza contare che la cifra in questione sarebbe anche al netto del dividendo straordinario di Fca – 5,5 miliardi, di cui di cui 1,6 destinati ad Exor, la cassaforte degli Agnelli – e delle quote di Faurecia e Comau che verranno distribuite ai soci.
«Psa sta sostanzialmente comprando Fca», ha spiegato senza mezzi termini la società di consulenza Equita, secondo cui i francesi hanno pagato «un buon premio» agli Elkann e si sono assicurati la “maggioranza” per il controllo del nuovo gruppo. Come ha spiegato a “Bloomberg” Philippe Houchois, analista di “Jefferies”, «Psa sta pagando un premio del 32% per assumere il controllo di Fca». Sottraendo dal gruppo italo-americano i 5,5 miliardi del dividendo straordinario e il valore della quota di Comau (circa 250 milioni di euro), e da quello francese il valore della quota in Faurecia (2,7 miliardi), si arriva a una «capitalizzazione di mercato teorica» di 20 miliardi per Peugeot e di 13,25 miliardi per Fca. Sulla base di questi valori e «senza un premio», agli azionisti di Peugeot sarebbe spettato il 60,15% del nuovo gruppo e a quelli di Fca il 39,85%, anziché il 50% a testa John Elkannnegoziato. Insomma, i conti della “fusione alla pari” non tornano, scrive Fiorina Capozzi sul “Fatto”. Del resto, aggiunge, «a Torino era noto da tempo che gli Elkann avessero intenzione di ridimensionare il peso dell’auto nel patrimonio di famiglia».
Non è un mistero neppure che Fca fosse alla ricerca di un partner strategico, come testimonia il tentato “blitz” su Renault, sventato nei mesi scorsi dall’intervento di Macron. Lo Stato francese, socio di Renault, è anche azionista di Psa: segno che «in questo caso, ha fatto bene i suoi conti», chiosa Capozzi. Da parte sua, Moncalvo si domanda che fine faranno, ora, gli operai degli stabilimenti di Cassino, Melfi e Pomigliano d’Arco. Negli ultimi anni la Fiat ha chiuso Termini Imerese e Rivalta, senza contare l’Alfa Romeo di Arese. Nella storica fabbrica torinese di Mirafiori ormai si produce solo il Suv della Maserati, mentre a Cassino si assemblano le Alfa (Giulia, Giulietta e Stelvio), a Melfi la 500 X e la Jeep Renegade, a Pomigliano la Panda. La Cinquecento è prodotta in Polonia, le grandi Jeep in Brasile e in India, la Tipo in Turchia. Il gruppo oggi avrebbe 130.000 dipendenti, in 119 stabilimenti distribuiti nel mondo. Drammatico, negli ultimi anni, il crollo dei livelli occupazionali italiani. Negli anni Sessanta, Mirafiori dava lavoro a 65.000 operai. Oggi, le poche migliaia di addetti rimasti si limitano all’unica linea attiva, quella della Maserati Levante. Residuo futuro per l’ex Fiat? La famiglia Elkann sembra volersene lavare le mani. D’ora in poi a dettare legge saranno i francesi. E addio al made in Italy nel settore auto, simbolo per mezzo secolo della capacità industriale italiana in Europa.

15 novembre 2019

Beppe Scienza: TFR e Corriere della Sera

Confronti sbilenchi a danno del TFR

«Il Tfr batte i fondi pensione, facendo però i giusti confronti»: articolo sul Fatto Quotidiano del 14-10-2019, dove smonto il servizio sul Corriere della Sera del 30-9-2019 coi dati della ditta Consultique, ennesima ripetitiva puntata della campagna del quotidiano contro il TFR. Lo fa infatti apparire regolarmente perdente, il che è falso. Il TFR incorpora una garanzia di alti rendimenti futuri, che non si può bellamente ignorare.

Saluti

Beppe Scienza
Docente di Metodi per le Scelte Finanziarie e Previdenziali

Dipartimento di Matematica
Università di Torino
via Carlo Alberto 10
10123 Torino

www.beppescienza.it
www.ilrisparmiotradito.it

13 novembre 2019

[Reseau Voltaire] Les principaux titres de la semaine 12 nov 2019


Réseau Voltaire
Focus




En bref

 
La Turquie expulsera les jihadistes de Daesh à partir du 11 novembre
 

 
Les banques libanaises priées de se recapitaliser
 

 
Les USA pourront conserver leur position de 1er producteur de pétrole
 

 
Réouverture en trompe-l'œil des banques libanaises
 

 
Les États-Unis se dissocient du négationnisme turc
 

 
Démission de Saad Hariri
 
Controverses
Fil diplomatique

 
Mike Pompeo sur le retrait des États-Unis de l'accord de Paris
 

 
Réaction turque à la proposition française d'interdiction du port du foulard durant les sorties scolaires
 

 
Intervention de Jean-Yves Le Drian à l'Assemblée nationale sur l'offensive militaire turque dans le nord-est syrien
 

 
Donald Trump sur la mort d'Abou Bakr al-Baghdadi
 

 
Mike Pompeo sur la mort d'Abou Bakr Al-Baghdadi
 

 

« Horizons et débats », n°24, 11 novembre 2019
Le capitalisme à Hong Kong
Partenaires, 11 novembre 2019

« Horizons et débats », n°23, 28 novembre 2019
Trump contre la guerre
Partenaires, 11 novembre 2019
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STRAGE DI CAPACI / QUEL TRITOLO “RAFFINATISSIMO”


Torna alla ribalta la strage di via Capaci e il giallo sugli esecutori dell’attentato. E anche sulle modalità dell’operazione.
Adesso arrivano le dichiarazioni di un mafioso che ha deciso di collaborare con la giustizia dieci anni fa, ma solo ora tira fuori alcune “rivelazioni”. Si chiama Pietro Riggio, 54 anni, uomo dalla doppia vita: di giorno agente della polizia penitenziaria e di notte mafioso, affiliato al clan di Caltanissetta.

IL “TURCO” SULLA SCENA DI CAPACI
Alcuni mesi fa, dopo la prima sentenza nel processo “Stato-Mafia”, ha deciso di riprendere a parlare con gli inquirenti di Caltanissetta. E ha appena tirato fuori la storia del “turco”, un ex poliziotto che – stando alla sua ricostruzione – sarebbe stato il protagonista nella preparazione dell’attentato.

Il tribunale di Caltanissetta
I due si sarebbero conosciuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove è avvenuta la “rivelazione”. Ecco cosa racconta Riggio: “Mi ha confidato di aver partecipato alla fase esecutiva della strage di Capaci, si sarebbe occupato dei riempimento del canale di scolo dell’autostrada con l’esplosivo, operazione eseguita tramite l’utilizzo di skate board”.
Gli hanno domandato Gabriele Paci e Luca Turco, procuratori aggiunti rispettivamente a Caltanissetta e a Firenze: “Perché prima non ha mai parlato di questo ex poliziotto?”.
Ecco la risposta di Riggio: “Fino ad oggi ho avuto paura di mettere a verbale certi argomenti, temevo ritorsioni per me e per la mia famiglia. Ma adesso i tempi sono maturi perché si possano trattare certi argomenti”.

Giorni fa, nel corso di un summit alla Direzione Nazionale Antimafia, guidata da Federico Cafiero de Raho, si sono incontrati gli inquirenti che a diverso titolo si occupano ancora della stagione delle stragi d’inizio anni ’90. Contenuti top secret, ma uno degli argomenti è stato anche quello circa le modalità operative nell’attentato di Capaci.
La figura di Riggio fa capolino tra carte e fascicoli del processo bis per la strage in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie e la scorta. Il procuratore generale, Lia Sava, ha infatti depositato alcuni verbali in cui si trovano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia ora tornato alla ribalta. Fa il nome del ‘turco’ e spiega, appunto, di averlo conosciuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, nel casertano.
Nel 2000 la scarcerazione: e poi – stando alle più attendibili ricostruzioni – l’ex poliziotto recluta il mafioso per far parte di una non meglio identificata “struttura” dei Servizi segreti impegnata nella caccia ai latitanti. Un mistero.

Federico Cafiero de Raho

Tra l’altro, Riggio era cugino di Carmelo Barbieri, un mafioso legato all’entourage dello stesso Provenzano.

UN ATTENTATO ARTIGIANALE?
Ma sulle effettive modalità della strage di Capaci a quanto pare il buio è ancora pesto. La verità “giudiziaria” fino ad oggi ufficiale è quella affidata alle ricostruzioni di Giovanni Brusca, il boss che ha appena chiesto i domiciliari dopo anni di galera: rifiutati. Brusca ha sempre ammesso di aver organizzato, sotto il profilo tecnico, l’attentato. Vero? Falso?
E sulla dinamica, da lui stesso ricostruita, ci sono valanghe di dubbi.
Uno dei punti nodali riguarda, appunto, la tecnica: artigianale o professionale? Da dilettanti o da super esperti?
Seguiamo entrambe le piste. E partiamo dalla prima.
I periti nominati dalla procura di Caltanissetta, Claudio Miniero e Marco Vincenti, non hanno dubbi: “L’attentato di Capaci? E’ stato fatto in maniera artigianale”.
E scendono in una serie di dettagli. “L’esplosivo utilizzato era composto da tritolo, nitrato di ammonio e rdx. Un composto compatibile con il contenuto di mine e ordigni navali di fabbricazione americana o inglese”.

Giovanni Brusca
Ancora: “Immediatamente dopo l’attentato, il modo di procedere fu artigianale perché era la prima volta che si manifestava un evento di tale portata. Chi intervenne era impreparato a fronteggiare una situazione del genere”.
Poi: “Lo scopo è stato comunque raggiunto. Non c’era la perfezione ma il tutto è stato compensato con la gran quantità di esplosivo utilizzato. Nell’incertezza hanno collocato una carica molto alta”.
Ed hanno praticamente escluso che fosse stato utilizzato esplosivo Sementex H, proveniente dall’est Europa, come venne invece ipotizzato dagli investigatori dell’Fbi che hanno effettuato indagini sull’attentato di via Capaci. Con ogni probabilità, già allora, depistando…
Da rammentare che Gaspare Spatuzza, nel corso degli interrogatori resi dopo la sua decisione di collaborare con la giustizia, ha dichiarato di essersi occupato del reperimento dell’esplosivo e di averlo recuperato da ordigni bellici inesplosi e rimasti sui fondali del Golfo Persico dopo la seconda Guerra mondiale. Spatuzza, tra l’altro, ha permesso di scoprire – con le sue verbalizzazioni – il taroccamento del teste chiave nei processi Borsellino, ossia di Vincenzo Scarantino, attraverso le cui parole è stato costruito a tavolino, dagli inquirenti, il depistaggio di Stato (arieccoci!) che ha causato la galera per degli innocenti e resi uccel di bosco mandanti & killer per la strage di via D’Amelio, ancora “a volto coperto”.

Tornando a quel tritolo killer usato per Capaci, la ricostruzione dei due periti fa acqua da tutte le parti. Assai poco verosimile, in particolare, il carattere “artigianale”, quasi “fai da te” a cui avrebbero fatto ricorso le “menti raffinatissime” che stanno dietro le stragi. Ai confini della realtà.

‘O SISTEMA DEGLI APPALTI
Ma c’è un’altra versione – tutta da capire – sulle modalità della strage di via Capaci, su tritolo & quant’altro. L’ha fornita tempo fa alla Direzione Investigativa Antimafia un personaggio chiave per decodificare il Sistema degli appalti in quella Sicilia delle stragi e, prima ancora, su quella fittissima rete di lavori pubblici che costituì il “corpus” del maxi rapporto del Ros “Mafia-Appalti”, il detonatore per le stesse stragi che intendevano eliminare quei magistrati-coraggio.
Si tratta del geometra Giuseppe Li Pera, all’epoca un funzionario del gruppo friulano di costruzioni Rizzani De Eccher, tra i più in vista sul fronte dei lavori pubblici a livello nazionale, e quindi anche in Sicilia.

Antonio Di Pietro
Il nome della Rizzani de Eccher faceva parte di quel gruppo di imprese baciate dalla “fortuna”, come ad esempio anche la regina degli appalti in Campania, l’ICLA molto cara ad ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino.
Li Pera ha più volte verbalizzato con i magistrati siciliani ma le sue “piste” sono state concretamente seguite solo dal pm Felice Lima: per questo opportunamente trasferito ad altri incarichi, meno “pesanti” ed ambientalmente molto meno ingombranti.
Il nome di Li Pera, tra l’altro, fa capolino nella fresca verbalizzazione resa da Antonio Di Pietro (e ferocemente contestata proprio da Pomicino) nel corso del processo di Caltanissetta. Perché Di Pietro avrebbe convocato, all’epoca, Li Pera al palazzo di giustizia di Milano per farsi “illustrare” il sistema degli appalti mafiosi in Sicilia, che vedeva il pieno coinvolgimento dello star system delle sigle nazionali, le cosiddette “portappalti”.
Un’inchiesta che Di Pietro “mollò” troppo presto, soprattutto non utilizzando la fonte delle fonti, l’Uomo a un passo da DioFrancesco Pacini Battaglia, che era perfettamente a conoscenza (essendone il protagonista) del meccanismo Appalti-Corruzione in tutta Italia, a partire dalla maxi mazzetta Enimont, la madre di tutte le tangenti.

QUEI CANDELOTTI DI TRITOLO
Ma ecco cosa raccontò il geometra Li Pera agli investigatori della DIA, ricostruzione che fa totalmente a pugni con quella fornita ai magistrati dallo stesso Brusca.
“La ricostruzione fatta da Brusca era, ed è, completamente fasulla”.“Sono un discreto esperto di dinamite, grazie ai lunghi anni di cantiere passati sia all’estero che in Italia. Ho acquisito una discreta conoscenza sull’uso della dinamite sia per lo sfruttamento delle cave che per gli a scavi in trincea e per altre esigenze di cantiere”.

“Posso assicurare che collocare 700-750 chili di tritolo significa collocare almeno, se i candelotti sono da 400 grammi, da 1750 a 1875 pezzi; se invece sono stati usati candelotti da 200 grammi il numero raddoppia”.
“Pezzi che vanno collegati tra loro con il sistema a spina di pesce, nei vari nodi; poi, vanno collegati i detonatori, tarati con millisecondi, in modo tale che l’esplosione vada, dall’estremità del tombino, verso il centro della carreggiata e soprattutto verso l’alto”.
“Bene, tutto questo lavoro di preparazione non può essere stato fatto nel poco tempo che dice Brusca, una notte; non può essere stato fatto di notte; e soprattutto non può essere stato fatto da loro, è sicuramente intervenuto un super esperto”.
Sorgono a questo punto spontanei alcuni interrogativi.
Se così stanno le cose, chi ha imbeccato Brusca?
Come mai dei seri periti sono arrivati a scrivere di “operazione artigianale”?
A questo punto, quali menti raffinatissime stanno alle spalle della preparazione “tecnica” della strage di Capaci?
Tutti interrogativi che bruciano. Oggi più che mai.

www.lavocedellevoci.it

12 novembre 2019

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 12 nov 2019

Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Dall'11 novembre la Turchia espellerà gli jihadisti di Daesh
 

 
Gli Stati Uniti potrebbero conservare l'attuale posizione di primo produttore mondiale di petrolio
 

 
L'illusoria riapertura delle banche libanesi
 
Controversie

 
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11 novembre 2019

La stampa australiana contro la censura del governo


La stampa australiana ha annerito i caratteri di stampa delle prime pagine e fatto annunci sulle reti televisive per protestare contro l’applicazione della legge sulla censura.
Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito hanno una legislazione molto stringente a protezione dei segreti di Stato.
Non si sente mai parlare, e a ragione, di censura governativa in questi Paesi, cionondimeno essa è molto frequente.
Tre giornalisti sono perseguiti per aver rivelato che: − il governo aveva intenzione di utilizzare gli strumenti d’intercettazione dei “Cinque Occhi” (i quattro Paesi di cui stiamo parlano e gli Stati Uniti) per spiare i cittadini australiani; − le forze speciali australiane hanno commesso crimini di guerra in Afghanistan.

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08 novembre 2019

François Hollande è il primo a riconoscere la sconfitta


L'ex presidente francese François Hollande ha per primo riconosciuto la sconfitta del vecchio mondo. In un’intervista all’AFP ha dichiarato:
«Cos’è accaduto in questa fase, forse l’ultima, del conflitto siriano? Hanno vinto tutti coloro cui si voleva impedire il trionfo: il regime di Bashar; la Turchia, che in realtà vuole dare la caccia ai kurdi, nostri alleati; infine Vladimir Putin, che è il pacificatore e i cui soldati sono andati, peraltro nello stesso tempo degli iraniani, a proteggere e salvare il regime di Bashar al-Assad».
François Hollande osserva la crisi del mondo occidentale, il cui principale leader, il presidente USA Donald Trump, ha deciso di non stare più al gioco:
«Siamo davanti a un problema della massima importanza per il futuro della NATO: come fidarsi del presidente americano Donald Trump?».

www.voltairenet.org