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08 febbraio 2019

ONG / TUTTI GLI SQUALI NEI MARI DELLA “SOLIDARIETA'” DA GATES A SOROS


Volete sapere tutto sul mondo delle ONG, ossia le Organizzazioni Non Governative? Volete leggere quello che gli altri non scrivono sugli affari, le cifre, i protagonisti, le connection di quell'universo in gran parte sconosciuto e che macina milioni di euro e di dollari sulla pelle dei cittadini, soprattutto dei migranti? Di coloro i quali issano bandiere di solidarietà, pietà umana e fratellanza, ed invece sguazzano nei più luridi traffici, tra scrosci d'appalusi di tutti coloro che "non sanno" o fanno finta di non sapere?
Ebbene alcuni mesi fa – giugno 2018 – è uscito un libro edito da Zambon, "ONG, il cavallo di Troia del capitalismo globale" che tutti dovrebbero leggere, per farsi un'idea di quel mondo spesso sommerso, popolato da montagne di soldi, incredibili interessi, ragnatele societarie, personaggi  spesso border line e tutto quello che fa ONG. Un libro ovviamente oscurato dai media, sempre genuflessi di fronte ai colossi, da Big Pharma (tra l'altro nel volume si parla non poco dei business con i vaccini) ai giganti bancari fino alle ONG, nei cui mari dorati nuotano a loro piacimento squali della specie più famelica, un nome su tutti George Soros a bordo della sua corazzata, la Open Society Foundation.

Il libro di Sonia Savioli. Nel montaggio di apertura George Soros.

Un vero pugno nello stomaco, un j'accuse in piena regola, zeppo di documenti che stanno a sostegno di tutta l'impalcatura giornalistica. A scriverlo è Sonia Savioli, milanese  di nascita e toscana di adozione, un tempo dimafonista dell'Unità e poi fotografa per la Cgil. Al suo attivo romanzi (Campovento, Il viaggio di Bucurie, Il possente coro, Marea nera); e saggi (Alla città nemica, Slow life, Scemi di guerra). Collabora con il giornale on line Il Cambiamento e con Il Centro di Iniziative per la Verità e la Giustizia (Civg).
Seguiamo il filo dell'inchiesta partendo da alcune cifre base.
"Circa 50.000 organizzazioni non governative svolgono attività a livello internazionale. L'ammontare del denaro che utilizzano si misura in migliaia di miliardi di dollari. Nel 2012 si calcolava che superasse i 1.100 miliardi. Nel 2014 erano 4.186 le ONG consulenti dell'Onu".
"Le ONG sono uno degli attori e dei mezzi per sostituire il pubblico con il privato, persino nei rapporti istituzionali. Le ONG 'affiancano gli Stati', le ONG svolgono ruoli politici a livello 'sistemico'. Le ONG, associazioni private che nessuno ha mai eletto. Che non sono soggette ad alcun controllo popolare. Delle quali i popoli non conoscono i dirigenti, i programmi, le politiche e spesso nemmeno i bilanci, sono diventate gli interlocutori delle istituzioni internazionali e gli agenti di politiche decise a livello globale. Altro che embrioni di democrazia internazionale!".
Più chiari di così…

DA AMNESTY A SAVE THE CHILDREN

Sonia Savioli

Comincia la rassegna delle 'stars'. Scrive Savioli: "Amnesty International è finanziata dalla Commissione Europea, dal governo britannico, dalla Open Society Georgia Foundation del famigerato benefattore internazionale George Soros, solo per citarne alcuni. Irene Kahn, direttrice di Amnesty, suscitò lo sdegno degli stessi attivisti andandosene con una liquidazione di 500 mila sterline nel 2009. Suzanne Nossel, altra direttrice di Amnesty nel 2012-2013, aveva prima lavorato per multinazionali Usa della comunicazione, per il Wall Steet Journal, per il Dipartimento di Stato Usa dove si era distinta per le sue posizioni filoisraeliane e a favore dell'intervento militare in Afghanistan. L'attuale direttore di Amnesty, Salil Shetty, prende uno stipendio annuale di 210 mila sterline".


Bill Gates

Passiamo a Save the Children. "Cacciata da Pakistan e Siria con l'accusa di lavorare per la Cia, prende soldi da Chevron, Exxon, Mobil, Merck Foundation, Bank of America e molti altri potentati economici citati sul suo sito ufficiale come sponsor, oltre che dall'immancabile Soros e dai due benefattori mondiali Bill e Melinda Gates, dall'Unione europea e dal governo britannico. Uno dei suoi passati direttori, Justin Forsyth, nel 2013 prendeva un salario di 185 mila sterline per salvare i bambini. Era stato prima direttore di Oxfam, poi consigliere di Tony Blair, quindi direttore delle 'campagne strategiche di informazione' di Gordon Brown; adesso è direttore Unicef".
Eccoci a Medici Senza Frontiere. "Nel 2010 aveva un bilancio da 1 miliardo e 100 milioni di dollari. Nel 2014 il direttore Usa (Doctors Without Borders) prendeva uno stipendio di 164 mila dollari l'anno, però per risparmiare viaggiava in aereo in 'economic class'. E di questo si vantava. Tra i finanziatori di MSF ci sono Goldman Sachs, Citigroup, Bloomberg, Richard Rockfeller, padrone e dirigente di svariate multinazionali, per 21 anni presidente della filiale Usa di questa organizzazione caritatevole, che si è trovata spesso in situazioni ambigue sui teatri di guerra, accusata di essere di parte e non necessariamente la parte giusta. Accusata di lanciare falsi allarmi per false epidemie, che però richiedevano vere campagne di vaccinazione. Naturalmente anche qui non mancano Soros e Bill Gates".
Primo commento: "Il lato 'umoristico' di tutta la faccenda, e rilevatore in modo inequivocabile e incontestabile, è che se i 1.100 miliardi annui delle ONG e quelli spesi ogni anno dalle 'fondazioni benefiche' fossero semplicemente redistribuiti ai poveri, la povertà sarebbe solo un ricordo. Rivela quindi che queste montagne di denaro sono in realtà investimenti per fare altro denaro".
Ancora. "Il capitalismo globale ha intrecciato una rete sinergica tra le proprie grandi industrie, le istituzioni sovranazionali, le grandi fondazioni che ne sono del resto un'emanazione diretta, i centri di studio e di ricerca, le ONG. Che in alcuni casi sono anch'esse un'emanazione diretta e una delle facce del grande capitale".

A BORDO DELLA CORAZZATA GRIFFATA SOROS
Come nel caso, emblematico su tutti, della Open Society dello squalo di tutti i mari, Soros, il Mangia-Paesi, come cercò di fare addirittura con l'Inghiterra un quarto di secolo fa, provocando il crollo della sterlina, ma anche gravissimi contraccolpi alla nostra lira, quando il governo Amato varò una politica lacrime & sangue.
Una Open, ironizza l'autrice citando alcune parole autocebratative della Fondazione, che "lavora per costruire democrazie vivaci e tolleranti i cui governi

Emma Bonino

siano responsabili e aperti alla partecipazione di tutto il popolo". Incredibile ma vero.
Vediamo i principali dirigenti a livello internazionale. Partendo dalla nostra Emma Bonino, che fa parte del suo international board: "questa signora che ben conosciamo tra il 1994 e il 1999 era commissaria europea per gli aiuti umanitari, la pesca, i consumi, la salute dei consumatori, la sicurezza del cibo. E' dirigente del partito Radicale Transnazionale".
Passiamo a Maria Cattaui: "Segretaria generale della Camera di Commercio Internazionale dal 1996 al 2005. Dal 1977 al 1996 ha diretto il Forum Economico Mondiale (World Economic Forum) a Ginevra. Dirigente dell'Internationl Crisis Group (ICG), dell'East West Institute, dell'Istituto Internazionale per l'Educazione, tra gli altri. Tanto per avere un'idea, l'ICG è una ONG internazionale diretta da politici di professione e globalisti neoliberisti imperialisti per vocazione, che dice di voler prevenire le guerre e, a questo scopo, cerca di far pressione sui governi di tutto il mondo che l'Occidente giudica scomodi, affinchè si sottomettano o levino le tende. Tra questi pacifisti troviamo Javier Solana e il famoso pacifista Wesley Clark, ex comandante supremo della Nato".
Eccoci quindi ad altri pezzi da novanta nella task force delle truppe targate Soros.
Anatole Kaletsky, dirigente di Gavekal Dragonomics (Hong Kong e Pechino), azienda di investimenti globali; dirigente di JP Morgan per il ramo mercati emergenti. Annette Laborey invece si vantava di sostenere gli intellettuali 'indipendenti' in Jugoslavia, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Germania Est e Repubbliche Baltiche, fino a che non sono crollati i regimi socialisti. Marck Mallock Brown è particolarmente interessante: ex numero due dell'Onu, membro del Foreign Office e della Camera dei Lord, dirigente della Society of Ginecologic Oncology, una società diventata nel 2012 ONG i cui partners sono le più grandi multinazionali farmaceutiche; dirigente di Investec, multinazionale della finanza, e di Seplat, compagnia petrolifera nigeriana; dirigente di Kerogen, multinazionale del petrolio e del gas. Quindi vicesegretario Onu sotto Kofi Annan, docente alla Oxford University e alla Yale University". Ottimo e abbondante.
Tra le sigle nell'arcipelago tanto umanitario partorito da Soros, da rammentare un'altra ONG baciata dalla fortuna, Refugee International, dedita all'aiuto quotidiano dei rifugiati di tutto il mondo. Che però, secondo non pochi addetti ai lavori, recita una grande "sceneggiata" solo per drenare soldi e raccogliere applausi, come è stato nel caso dei Rohingya del Myanmar (l'ex Birmania) nel 2017.
Ma chi è il numero uno di Refugee? Si chiama Eric P. Schwartz. "Un pezzo da novanta – dettaglia l'autrice – ha ricoperto l'incarico di assistente Segretario di Stato Usa per il settore Popolazione, Rifugiati, Immigrati; consulente per gli Affari Internazionali e assistente speciale del presidente per gli Affari Multilaterali e Umanitari. Ha giocato un ruolo fondamentale, Schwartz, nel dispiegamento di forze Usa nell'Africa Occidentale e nei rilevanti impegni Usa in Centroamerica e in Kossovo; ha lavorato con la segretario di Stato Hillary Clinton; ha diretto il Connect US Fund, una multifondazione ONG finalizzata a promuovere l'impegno 'responsabile' degli Usa oltreoceano".
Un pedigree anche stavolta multistellare.

SIAMO LA COPPIA PIU' UMANITARIA DEL MONDO 
Siamo ora al cospetto della coppia più bella del mondo sul fronte 'umanitario', gli arcimiliardari Bill e Melinda Gates, a bordo di un'altra super corazzata, la Bill & Melinda Gates Foundation (BMGF), la più ricca al mondo. Un tandem che ha molto a cuore la salute dell'umanità, i destini dei poveri, l'istruzione negata a tanti bimbi del mondo e via di questo passo, con carità & passione.

Hillary Clinton

Vediamo adesso chi è al timone di BMGF, oltre ai due "pupazzetti" Bill e Melinda, come li colorisce Sonia Savioli.
"Warren Buffett ne è l'amministratore fiduciario. Un finanziere dalla pelle dura e dallo stomaco impellicciato con un patrimonio stimato nel 2017 da 75 miliardi di dollari (quindi ai vertici della hit internazionale dei Paperoni, ndr). Guadagnato con i fondi d'investimento, cioè con speculazioni perlopiù sulla pelle dei poveri del terzo mondo e dei lavoratori in genere. E' importante azionista di Coca Cola, Gillette, Mc Donald's, Kirky Company, Walt Disney. Possiede la terza compagnia di assicurazioni a livello mondiale. Ed è anche uno dei maggiori licantropi, pardòn, filantropi".
Così prosegue la ricostruzione delle mirabolnati imprese di Bill & Melinda. "Abbiamo poi qualcuno che non si occupa direttamente di affari, Susan Desmond Hellman. Questa signora, amministratore delegato di BMGF, è un'oncologa e biotecnologa. Ma chissà se si è mai occupata di un paziente in vita sua. Di fatto il suo mestiere è realizzare prodotti per l'industria farmaceutica, chemioterapici in particolare. In questa veste ha lavorato per le multinazonali chimico-farmaceutiche, sempre in posizioni dirigenziali, e nel comitato esecutivo della Organizzazione delle Industrie Biotecnologiche. (…) C'è poi Christoper Elias, direttore esecutivo di PATH, Program for Appropriate Technology in Health (Programma per la Tecnologia Avanzata Sanitaria). Quindi Mark Suzman, capo dell'Uffico Strategia di BMGF, un tecnico di alto livello della globalizzazione, specializzato negli affari internazionali, corrispondente del Financial Times da Londra, Washington e Joannesburg, e collaboratore dell'Onu".
Commenta Savioli: "La Fondazione Gates, come le altre organizzazioni cosiddette filantropiche (più di 80 mila nei soli Usa), è un ufficio di rappresentanza mascherato delle multinazionali. Uno strozzino che si finge opera pia. Uno dei numerosi tentacoli della piovra capitalista globale".
Stiamo arrivando ad uno dei cuori pulsanti negli affari di BMGF, i fiumi di dollari che corrono nel mondo della sanità.
Continua l'inchiesta edita da Zambon. "Nel solo 2106 la BMGF ha speso circa 1 miliardo e 300 milioni di dollari per sovvenzionare progetti nell'ambito della sanità. Una delle loro missioni sanitarie è la contraccezione 'delle donne povere dei paesi poveri'. Un'altra sono le vaccinazioni. Sempre dei bambini poveri dei paesi poveri. Per dedicarsi a queste missioni la Fondazione Gates ha prodotto a sua volta altri due tentacoli: GAVI e PATH".

IL GRANDE BUSINESS DEI VACCINI
Ecco di che si tratta. "GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunization) è un'organizzazione che unisce soggetti pubblici e privati, di cui fanno parte governi dei paesi in via di sviluppo e di paesi donatori, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Unicef, la Banca Mondiale, le industrie dei vaccini…. Una potente alleanza di mercato nella quale ha un ruolo dichiarato la cosiddetta 'società civile': nella veste di ONG".


To see the article visit www.lavocedellevoci.it

07 febbraio 2019

L’articolo 13 è tornato. E peggiora, anziché migliorare


di Julia Reda

Riassunto delle puntate precedenti: il 18 gennaio scorso i negoziati sulla nuova legge europea sul diritto d'autore si sono bruscamente interrotti dopo che i governi degli Stati membri non si sono accordati su una posizione comune sull'articolo 13, che costringerebbe le piattaforme internet a censurare i post dei loro utenti utilizzando filtri di upload.

Senza un tale accordo, i negoziati a tre delle riunioni finali, in cui la legge doveva essere finalizzata insieme ai rappresentanti del Parlamento europeo, ha dovuto essere annullata – e il tempo a disposizione si stava esaurendo, con le elezioni dell'UE che rimescoleranno tutte le carte a maggio.

Al contrario di quanto era stato scritto in alcuni articoli, tuttavia, l'articolo 13 non è stato accantonato perché la maggioranza dei governi dell'UE ha capito che i filtri di caricamento sono costosi, soggetti a errori e minacciano i diritti fondamentali.

Senza dubbio, l'opposizione pubblica senza precedenti ha contribuito al fatto che 11 governi degli Stati membri hanno votato contro il procedimento, rispetto ai soli 6 dell'anno scorso. Tuttavia, è rimasta una maggioranza a favore dell'articolo 13 in generale, con solo qualche distinguo sui dettagli. La questione è stata ora risolta, e il processo di promulgazione della legge è di nuovo in corso.

Un accordo ha richiesto un compromesso tra Francia e Germania, che per le loro dimensioni possono fare o rompere una maggioranza. Entrambi i Paesi sono d'accordo con i filtri per gli upload: il punto su cui non sono riusciti a trovare un accordo è chi dovrebbe essere costretto a installarli:

La posizione della Francia

L'articolo 13 è grandioso e deve applicarsi a tutte le piattaforme, indipendentemente dalle dimensioni. Devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il caricamento di materiale protetto da copyright. Nel caso delle piccole imprese, ciò può significare o meno l'uso di filtri per l'upload – in ultima analisi, un tribunale dovrebbe fare quella chiamata.
(Questa era in precedenza la posizione di maggioranza tra i governi dell'UE, prima che il nuovo governo eletto in Italia ritirasse completamente il loro sostegno all'articolo 13.).

La posizione della Germania

L'articolo 13 è grandioso, ma non dovrebbe applicarsi a tutti. Le imprese con un fatturato inferiore a 20 milioni di euro all'anno dovrebbero essere escluse del tutto, per non danneggiare le startup europee di Internet e le PMI.
(Si tratta di una posizione più vicina a quella attuale del Parlamento europeo, che chiede l'esclusione delle imprese con un fatturato inferiore a 10 milioni di euro e meno di 50 dipendenti).

Su cosa concordano: peggiorare ulteriormente l'articolo 13

Nell'accordo franco-tedesco [PDF], trapelato oggi, l'articolo 13 si applica a tutte le piattaforme a scopo di lucro. I filtri di upload devono essere installati da tutti, ad eccezione di quei servizi che soddisfano tutti e tre i seguenti criteri estremamente ristretti:
  • Disponibile al pubblico per meno di 3 anni
  • Fatturato annuo inferiore a 10 milioni di euro
  • Meno di 5 milioni di visitatori unici al mese
Innumerevoli applicazioni e siti che non soddisfano tutti questi criteri avrebbero bisogno di installare filtri di upload, gravando sui loro utenti e operatori, anche quando la violazione del copyright non è un problema per loro. Alcuni esempi:
  • Forum di discussione su siti commerciali, come i forum di Ars Technica o Heise.de (di età superiore a 3 anni)
  • Patreon, una piattaforma con l'unico scopo di aiutare gli autori ad essere pagati (non soddisfa nessuno dei tre criteri)
  • Reti sociali di nicchia come GetReeled, una piattaforma per i pescatori (ben al di sotto dei 5 milioni di utenti, ma con più di 3 anni)
  • Piccoli concorrenti europei di grandi marchi statunitensi come Wykop, una piattaforma polacca di condivisione delle notizie simile a Reddit (fatturato ben al di sotto dei 10 milioni di euro, ma può raggiungere i 5 milioni di visitatori ed ha più di 3 anni).
Inoltre, anche le piattaforme più piccole e più recenti, che soddisfano tutti e tre i criteri, devono comunque dimostrare di "aver fatto tutto il possibile" per ottenere le licenze dai titolari dei diritti, come le case discografiche, gli editori di libri e i database di foto stock per qualsiasi cosa i loro utenti possano pubblicare o caricare – un compito impossibile. In pratica, tutti i siti e le applicazioni in cui gli utenti possono condividere i contenuti saranno probabilmente costretti ad accettare qualsiasi licenza che il titolare dei diritti offre loro, indipendentemente dalle cattive condizioni e dal fatto che vogliano o meno che il materiale protetto da copyright del titolare dei diritti sia disponibile sulla loro piattaforma, per evitare l'enorme rischio legale di entrare in conflitto con l'articolo 13. Il Comitato ritiene che la Commissione non sia in grado di valutare se i siti e le applicazioni in cui gli utenti possono condividere i contenuti.
In sintesi:
  • Il compromesso di Francia e Germania sull'articolo 13 richiede ancora che quasi tutto ciò che pubblichiamo o condividiamo online richieda l'autorizzazione preventiva di "macchine per la censura", algoritmi che sono fondamentalmente incapaci di distinguere tra violazioni del copyright e opere legali come parodie e critiche.
  • Trasformerebbe il web da un luogo in cui possiamo esprimerci (con una certa moderazione applicata eventualmente dopo eventuali violazioni) in un luogo in cui i grandi titolari dei diritti aziendali sono i custodi di ciò che può e non può essere pubblicato prima ancora che venga pubblicato. Permetterebbe a questi titolari dei diritti di intimidire qualsiasi sito commerciale o app che includa una funzione di posting.
  • L'innovazione europea sul web sarebbe scoraggiata dai nuovi costi e dai rischi legali per le startup, anche se si applicano solo quando le piattaforme hanno tre anni di vita o raggiungono un certo successo. I siti e le applicazioni straniere che non possono permettersi eserciti di avvocati sarebbero incentivati a bloccare geograficamente tutti gli utenti dell'UE per essere sul sicuro.

Ora tutto dipende dal Parlamento europeo

Con questo blocco stradale fuori mano, i negoziati a tre per completare la nuova legge sul diritto d'autore sono tornati. Senza tempo da perdere, ci saranno enormi pressioni per raggiungere un accordo globale nei prossimi giorni e approvare la legge in marzo o aprile.

Molto probabilmente, il compromesso di Germania e Francia sarà approvato dal Consiglio venerdì 8 febbraio e poi, lunedì 11 febbraio, si svolgerà un ultimo trilogo finale con il Parlamento.

Gli eurodeputati, la maggior parte dei quali si battono per la rielezione, avranno un'ultima parola. Lo scorso settembre, una ristretta maggioranza per l'articolo 13 ha potuto essere trovata in Parlamento solo dopo l'inclusione di un'eccezione per le piccole imprese che era molto più forte di quello che Francia e Germania propongono ora – ma purtroppo non c'è motivo di credere che il negoziatore del Parlamento Axel Voss sosterrà la sua posizione e insisterà su questo punto nel dialogo a tre. Si arriverà invece alla votazione finale nella plenaria di marzo o aprile, dove tutti i deputati hanno voce in capitolo.

Se i deputati europei respingeranno questa versione dannosa dell'articolo 13 (come hanno fatto inizialmente nel luglio scorso) o si piegheranno alla pressione dipenderà dal fatto che tutti noi glielo diciamo chiaramente:

SE ROMPETE INTERNET E APPROVATE L'ARTICOLO 13, NOI NON VI ELEGGEREMO.

Fonte: www.partito-pirata.it 

05 febbraio 2019

Internet è salvo? Purtroppo no! Save The Internet

Save The Internet ha appena condiviso un aggiornamento sulla petizione Internet è in pericolo e tu puoi salvarlo Guardalo e lascia un commento:
Aggiornamento sulla petizione

Internet è salvo? Purtroppo no!


Purtroppo alcune false informazioni circolano in rete promettendo che internet è stato salvato! La controversa riforma del diritto d'autore nel mercato interno digitale è fallita dopo che il Consiglio dell'UE ha cancellato il trilogo di lunedì scorso. Purtroppo questo non corrisponde al vero. Ecco quindi un breve chiarimento da parte nostra sulla situazione attuale:

Attualmente vi è...
Leggi l'aggiornamento completo

04 febbraio 2019

20 modi in cui abbiamo perso la privacy


Postini che aprono la nostra corrispondenza per controllare se all'interno delle buste non ci sia materiale che viola la proprietà intellettuale di qualcuno. Proprietari di bar che vengono multati o mandati in carcere se qualche cliente affigge messaggi "sbagliati" sulle bacheche. Televisori che ci guardano e registrano ciò che diciamo, autorità che sono sempre al corrente della nostra posizione anche se non siamo sospettati di nessun crimine.

Fino a qualche decennio fa, tutti questi scenari avrebbero fatto gridare allo scandalo la generazione dei nostri genitori, quelli dell'era analogica; eppure oggi sono serenamente accettate come assoluta normalità, semplicemente perché non avvengono nel "mondo analogico", ma nel cyberspazio digitale.

Questa è la contraddizione su cui insiste Rick Falkvinge, fondatore del movimento politico globale chiamato Partito Pirata, in una serie di 21 post pubblicati sul suo blog, e che qui vi offriamo raccolti e tradotti in italiano.

Uno storytelling estremamente efficace, che ruota attorno ad una domanda tanto semplice quanto spiazzante: perché le nuove generazioni ("i nostri figli digitali") non dovrebbero avere almeno gli stessi diritti delle vecchie ("i nostri genitori analogici")? Il fatto che la tecnologia sia nel frattempo estremamente progredita è forse una ragione accettabile per rinunciare alla privacy?

Questa serie di brevi articoli costituiscono una lettura assolutamente fondamentale, al giorno d'oggi. La difesa della privacy è considerata dall'uomo medio, nella migliore delle ipotesi, una questione secondaria e irrilevante, e in alcuni casi addirittura un ostacolo alla "ben più urgente" (e perenne) emergenza sicurezza.

Eppure, il mondo sta diventando una distopia forse anche peggiore di tutte quelle immaginate dagli artisti negli anni passati. La Cina è già andata oltre Black Mirror, introducendo il grottesco Sistema di Credito Sociale. La vicenda di Cambridge Analytica ha svelato al mondo come una piccola agenzia di marketing possa influenzare in modo decisivo l'esito di elezioni o referendum contando "solo" sulla giusta quantità di Big Data.
SCARICA IL TESTO

Fonte: www.partito-pirata.it 

01 febbraio 2019

PROCESSO SANGUE INFETTO / PER IL PM “IL FATTO NON SUSSISTE”. TUTTI ASSOLTI E SANTI SUBITO

Tutti assolti. Il fatto non sussiste.
Con queste parole è terminata la requisitoria del pm, Lucio Giugliano, al processo per le morti da sangue infetto in corso da quasi tre anni davanti alla sesta sezione penale del tribunale di Napoli, presieduta da Antonio Palumbo.
Un processo “storico”, iniziato 27 anni fa a Trento e che vede alla sbarra ex dirigenti, funzionari e addetti delle aziende del gruppo Marcucci, all’epoca oligopolista nel settore degli emoderivati in Italia e ancor oggi al vertice con la nuova corazzata Kedrion. Alla sbarra anche l’ex direttore del settore farmaci al ministero della Sanità Duilio Poggiolini.
Nove le parti civili che si sono costituite, rappresentate dai familiari delle vittime, più parecchie associazioni nate nel corso degli anni a tutela della salute dei malati di emofilia e non solo. Come dato “storico”, comunque, è bene sapere che la questione “sangue infetto” ha riguardato e riguarda migliaia e migliaia di cittadini, infettati nel corso del tempo, a partire dagli anni ’70: e molti altri casi potranno manifestarsi ancora, perchè il periodo di “incubazione” dell’infezione può arrivare a superare i vent’anni (un po’ come per i roghi tossici nella Terra dei Fuochi). Stragi impunite.

Duilio Poggiolini a un’udienza del processo. Nel montaggio di apertura l’ingresso del tribunale di Napoli
Va sottolineato che l’odierno processo per le morti da sangue infetto è stato totalmente silenziato dai media, sia locali che nazionali (tratte il Fatto). Meglio scrivere di pizza & bombe carta.
Riavvolgiamo adesso il nastro delle tre ore di requisitoria per analizzarla nei suoi vari aspetti.
Il pm ha voluto subito far chiarezza e così ha esordito: “Sono sicuro che le mie parole di assoluzione nei confronti degli imputati potranno causare dolore e delusione nei familiari dei pazienti deceduti. Testimonio la vicinanza mia e dell’ufficio ai loro sacrifici e alle loro sofferenze”.
Ciò detto, ha tracciato una breve storia del processo ed ha rimarcato fin dall’inizio che anche il processo odierno si deve basare sostanzialmente sui materiali probatori raccolti nelle fasi investigative di Trento: materiali insufficienti – ha  subito precisato – per individuare quel fondamentale nesso di causalità tra l’assunzione dei farmaci e l’insorgenza delle patologie (e quindi, in molti casi, la morte). Carenti quindi le indagini trentine e per questo il processo è presto finito con l’archiviazione ed è passato per competenza a Napoli, dove anche stavolta non ha avuto lunga vita perchè è stato di nuovo impossibile trovare ogni nesso causale e risalire al primo contagio.
Quel secondo processo partenopeo, però, a parere del pm, si è concluso con un provvedimento definito “tecnicamente abnorme” preso dal gip: ossia riprendere da capo, con un nuovo processo, basandosi su un diverso capo d’accusa, “omicidio colposo plurimo”. In pratica una “imputazione coatta” che a parere di Giugliano non stava né in cielo né in terra.
Ma eccoci al processo di oggi, che si è aperto ad aprile 2016.

NESSUNA PROVA, SOLO INDIZI  
Chiarisce il pm: “nei faldoni non ci sono prove, ma solo cartelle cliniche. Per questo ho ordinato subito in questo processo una perizia tecnica, che sulla base di quelle cartelle cliniche potesse portare a qualche chiarimento circa il nesso causale”
Giugliano ha quindi passato in rassegna le posizioni dei singoli malati: stando alla perizia per tre di essi non è possibile risalire a niente, in cinque casi c’è la possibilità di arrivare a un nesso (il nono è nel frattempo deceduto). Ma ecco un altro ostacolo. In tutti i casi, tranne uno, le cure sono quasi sempre  in seguito avvenute a domicilio: e in quei casi si può reperire  un piccolo diario domestico, alcuni appunti, nella migliore delle ipotesi. E c’è un’altra circostanza sfavorevole: quando anche si abbia una qualche traccia precisa dell’assunzione di emoderivati, praticamente mai si riesce a sapere di quale casa farmaceutica siano. Insomma una autentica giungla.
L’elemento fondamentale, ha spiegato Giugliano, rifacendosi soprattutto alla perizia, è sapere la data del contagio, della prima somministrazione alla base di tutta la patologia. Connessa è la causa, ossia il farmaco, quindi la ditta produttrice. E di tutto ciò non v’è chiarezza né alcuna certezza né alcun elemento probatorio. Niente.
Dopo aver effettuato varie ricognizioni temporali, il pm individua la fascia ‘incriminata’ in tutti gli anni ’70 e i primi ’80: di sicuro tutti gli ammalati i cui nomi sono presenti al processo (tranne uno) hanno contratto l’infezione in quel decennio ’70, solo nel caso di uno dei fratelli Scalvenzi quella data è possibile collocarla negli ’80, fino all’87.  Ciò permette – secondo il pm – di escludere le responsabilità di molte aziende, soprattutto del gruppo Marcucci.
Ancora. Un altro motivo che finisce per minimizzare le responsabilità delle aziende italiane è il fatto che in quegli anni il mercato era praticamente in mano alla case farmaceutiche straniere, che nel campo degli emoderivati avevano una fascia compresa tra il 5 e il 10 per cento (per molti anni non hanno superato la soglia del 5 per cento).

Piermannuccio Mannucci
Il pm ha poi effettuato una lunga dissertazione sul tema di “re-infezioni” e “sovra-infezioni|”, oggetto di una seconda consulenza svolta dai tre periti. In sostanza, i pareri nel mondo scientifico non sono unanimi, ma ciò non sposta più di tanto il problema centrale: ossia, la questione non serve a far chiarezza sul dilemma del nesso di causalità né contribuisce a conoscere quale sia stato il primo contagio, la prima infusione che ha provocato l’insorgere della patologia.
Eccoci ai nodi centrali. Ossia il ruolo del gruppo Marcucci e quello di Poggiolini.

QUELLE AZIENDE IMMACOLATE
Soprattutto in questa circostanza (ma anche in altre) il pm si rifà alla prima testimonianza resa a questo processo, quella dell’ematologo milanese Piermannuccio Mannucci. Tenuto conto che gli emoderivati arrivavano dall’estero e che il principale paese dal quale importavamo erano gli Usa, secondo la letteratura scientifica dell’epoca quel sangue era particolarmente affidabile, testato, sicuro, anche perché c’erano i rigidi controlli esercitati dalla Food and Drug Administration.
“Non risulta che le aziende del gruppo Marcucci abbiano mai violato le leggi, le normative sanitarie in materia. Tutto risulta fatto in modo corretto, sono state rispettate le procedure. Non sono state dimostrate nel corso del processo colpe o responsabilità di alcun tipo”.
Tutti da assolvere quindi gli ex dipendenti del gruppo Marcucci. Anche i vertici aziendali come Enzo Bucci e Giovanni Rinadi, rispettivamente direttore tecnico e responsabile del marketing. “Non è stata dimostrata alcuna loro responsabilità. Del resto, quali potevano mai averne? Potevano fra l’altro mai essere responsabili della qualità dei prodotti che venivano importati con tutte le certificazioni del caso?”.
Ed eccoci ad un altro passaggio fondamentale, la posizione di Duilio Poggiolini. Del quale il pm ha tracciato un profilo, elencandone tutti i ruoli strategici ricoperti a livello di ministero della Sanità durante un ventennio, dal 1973 al 1993.
“Il sospetto non basta, ci vogliono prove, e nel caso di Poggiolini non ci sono”, ha subito chiarito il pm.
Così prosegue la requisitoria sull’ex re mida della sanità.

POGGIOLINI, SANTO SUBITO
“Di cosa lo si può accusare? Quali sono i reati che avrebbe commesso, le norme che avrebbe infranto, le leggi che non avrebbe rispettato? Nel corso del dibattimento non è emerso niente. Almeno in quel periodo base, tra il 173 e il 1978,  di cosa mai si sarebbe macchiato? Poteva mai evitare qualunque di quei tragici eventi nei vari ruoli che ricopriva? Non sono emersi, nel corso di questo processo, elementi probatori a suo carico, neanche uno. In questi anni si è semplificato, si è voluto addossare ogni responsabilità sulle spalle di un solo soggetto, colpevole di ogni reato. Si può imputare ad un solo vertice della sanità le colpe di una politica sbagliata o insufficiente? E’ stata proprio la mancanza, in Italia, di una politica lungimirante nel campo degli emoderivati la fonte prima di tutti i problemi. Perché non è stato fatto da noi come in molti altri paesi soprattutto del nord e dell’est europeo? Vale a dire far in modo di non dover dipendere così tanto, fino al 95 per cento, dalle importazioni, ma di avere una vera ‘politica del sangue’ nella più totale sicurezza e qualità dei prodotti? Come si possono imputare a Poggiolini queste cose, tutte le falle della nostra politica per anni?”.
Qualche piccola nota di riflessione sulla requisitoria del pm.
In larghissima parte prende spunto e trova linfa nelle due perizie svolte dai tre consulenti tecnici, tutti esperti del settore: si tratta di Raffaele Pempinello, infettivolgo, Pasquale Madonna, ematogo e Pierluigi Zangani, medico legale.
Di particolare pregnanza, evidentemente, la prima perizia,  ordinata dal pm fin dalla prima udienza (in cui fra l’altro chiedeva subito il proscioglimento di tre imputati ex gruppo Marcucci). I periti hanno chiesto diverse proroghe e alla fine hanno partorito il loro lavoro, una trentina di pagine dattiloscritte. Non proprio una gran fatica, di cui non pochi addetti ai lavori hanno notato le gravi carenze e lacune scientifiche.
Fatto sta che nella bibliografia della perizia predomina su tutti un nome (una decina di citazioni sul totale di una ventina): quello di Piermannuccio Mannucci, il primo teste sentito al processo, circa due anni e mezzo fa.

UN TESTE IN PALESE CONFLITTO D’INTERESSE
Un teste, come ha più volte sottolineato la Voce, in palese conflitto d’interessi, circostanza mai venuta alla ribalta a livello processuale né ha tantomeno ha fatto capolino nella requisitoria del pm (soltanto l’avvocato delle parti civili Stefano Bertone ha vi ha fatto cenno).

L’avvocato Stefano Bertone
Mannucci, infatti, è stato per anni consulente di Kedrion, la corazzata di casa Marcucci, ricevendone evidentemente dei compensi. Ha avuto anche un ‘indirizzo scientifico’ proprio presso il principale stabilimento toscano dei Marcucci, ed ha preso parte, regolarmente gettonato, a svariati simposi nazionali e internazionali organizzati da Kedrion. Che, val la pena di rammentarlo, viaggia oggi col vento sempre più in poppa, espandendo i suoi mercati internazionali sotto la guida di Paolo Marcucci (figlio del patriarca Guelfo, imputato in questo processo ma deceduto alcuni mesi prima dell’avvio), fratello di Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato e formatosi alla scuola di Sua Sanità Francesco De Lorenzo, tanto che sotto i vessilli del Pli venne eletto per la prima volta in Parlamento nel ’91.
Tornando a Mannucci, nel corso della sua “storica” verbalizzazione, circa la provenienza di quegli emoderivati, così disse: “quando ho chiesto alla dirigenza del gruppo Marcucci qualche informazione circa la provenienza di quel sangue, ho ricevuto tutte le rassicurazioni possibili. Mi dissero che era sicuro, testato e che arrivava dai campus degli studenti universatari e dalle casalinghe americane”. Boom.
Nessun cenno da parte di Mannucci ad altre provenienze poco raccomandabili di cui già si parlava all’epoca. Come nel caso delle carceri a stelle e strisce, in particolare quelle dell’Arkansas. “Non ne ho mai sentito parlare, neanche per sogno”, confermò dopo quell’udienza alla Voce.
Tra i testi principali delle parti civili, ha verbalizzato il regista statunitense Kelly Duda, autore nel 2007 di uno choccante docufilm, “Fattore VIII”, in cui vengono illustrati in modo drammatico i traffici di sangue per anni in corso tra le galere a stelle e strisce, sotto il vigile sguardo delle autorità americane (anche la Bbc ha documentato i traffici dei “vampiri” di casa nostra). Immagini da brivido, di cui ha parlato nella sua testimonianza, confermando per filo e per segno quanto noto a molti, anche nella comunità scientifica dell’epoca, e invece clamorosamente ignorato da Mannucci.
Un’udienza turbolenta, quella in cui ha parlato Duda. Conclusasi con una querela – con tanto di minacciato arresto seduta stante – proprio da parte del pm Giugliano, stizzito per alcune parole pronunciate in inglese dal regisita al termine dell’udienza. Coda di paglia o che? Quanto meno un forte pregiudizio – e un clima certo non idilliaco – nei confronti di quel teste base delle parti civili.

PICCOLI INTERROGATIVI CRESCONO
Come mai quella verbalizzazione bollente non è stata citata neanche en passant nella lunga requisitoria del pm? Un fatto “sostanziale”, nel caso da smontare: invece neanche un cenno, non una parola, mentre lunghe sono state le dissertazioni parascientifiche.
Come mai neanche un cenno a quelle carceri dell’Arkansas, tanto per dire che si trattava di  fake newsante litteram?
Ancora. Come mai nella sempre lunga requisitoria non è stato fatto il nome, neanche per caso, di Sua Sanità De Lorenzo, storicamente grande amico sia di Poggiolini che di Guelfo Marcucci e della sua dinasty? Perchè non è stato fornito alcun ragguaglio circa gli stretti rapporti intercorsi?
Come mai nessuna parola sui conflitti d’interesse, tanti, del super ematologo Mannucci?

Una manifestazione di protesta degli ammalati per sangue infetto
Come mai nessun cenno specifico (se non un criptico passaggio) al processo per la Farmatruffa che ha visto la condanna prima penale e poi civile sia di De Lorenzo che di Poggiolini ad un maxi risarcimento da 5 milioni di euro a testa?
Come mai  nessun cenno alle conclamate carenze della perizia, che invece è stata alla base della requisitoria stessa?
Come mai nessun cenno a quella letteratura scientifica e a quei ricercatori che spiegano i nessi di causa ed effetto? Nè agli altri processi internazionali per la stragi da sangue infetto? Nemmeno una parola sulle vittime senza giustizia? Nè alla fresca commissione d’inchiesta decisa perfino in Inghilterra?
Tanti, troppi buchi neri, per una giustizia che ancora una volta viene calpestata. Compresa la memoria di tante vittime, pur omaggiate (quelle del processo) dalle parole iniziali del pm.
Una prima conclusione però c’è. I legali di tutti gli imputati (in prima fila i big del foro Massimo Di NoiaAlfonso Stile) potranno risparmire tutte le fatiche in vista delle loro arringhe: basta e avanza la requisitoria del pm.
Comunque il processo è aggiornato all’11 febbraio, quando prenderanno la parola tutte le parti civili, tranne quelle rappresentate da Stefano Bertone ed Ermanno Zancla, previsti per le due udienze successive. La sentenza è stata fissata dal giudice Palumbo per il 25 marzo.

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Addio a Eleonora Fais: 43 anni alla ricerca della verità sulla strage di Montagna Longa



Se n'è andata per una malattia che le aveva rubato le ultime energie, dopo che per lustri aveva chiesto giustizia e si era scontrata con muri di silenzio. Una battaglia durata quasi 44 anni e dimenticata dalla maggioranza degli italiani. È morta così Eleonora Fais, sorella di Angela, scomparsa giovanissima nell'indecifrato disastro aereo di Montagna Longa.
Non si rassegnava alla reticenza delle istituzioni
Vivace e instancabile quasi fino all'ultimo, incapace di rassegnarsi all'oblio e alle reticenze istituzionali che rendono molto difficile, per chi è stato toccato da vicende come questa, una compiuta elaborazione del lutto. Nella vita di Eleonora Fais, già militante del Pci, vicinissima a Pio La Torre, assassinato da Cosa nostra nel 1982, si erano accumulate più domande che risposte, e questo probabilmente le aveva fatto più male di quanto potesse farle una malattia. Una sconfitta di cui diceva di sentirsi responsabile, anche se non dimenticava come si fosse giunti a quel risultato.
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Il disastro il 5 maggio 1972
È il 5 maggio 1972. Il comandante comunica alla torre di controllo di trovarsi a cinquemila piedi sulla verticale dell'aeroporto palermitano di Punta Raisi. Sono le 22,18 minuti del 5 maggio 1972, quasi 44 anni fa. "Viro sul mare", annuncia e il velivo inizia un'immenso arco, quasi un cerchio, perché il Dc8, un quadrimotore prodotto dalla Douglas Aircraf, possa appoggiare le ruote sulla pista "25 sinistra" di Punta Raisi. È l'ultima comunicazione radio prima che il volo Az 112 si schianti contro Montagna Longa, un rilievo di 935 metri che si erge sul confine tra i comuni di Cinisi e Carini.
"Sbandava come una persona malmenata"
Poco prima molti testimoni l'hanno visto passare già in fiamme sulle loro teste. "Procedeva sbandando, come una persona che sia stata malmenata. Hanno detto che i piloti, il comandante Roberto Bartoli e Bruno Dini, che in quel momento era ai comandi, avevano sbagliato rotta. Ma anche su una rotta sbagliata un aereo procede in maniera lineare, non come un un modellino di cartone lanciato da un bambino", diceva Eleonora. Torretta, Partinico, Balestrate, poi la valle tra Cinisi e Montagna Longa. Qui il Dc 8 sbatte su una parete e poi rimbalza come una gigantesca palla infuocata su un piccolo altopiano.
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Furono 115 le vittime, nessun sopravvissuto
Il tracciato degli ultimi minuti di volo è un' asettica collezione di puntini su una mappa, nella memoria di Eleonora era granito. Perché su quell'aereo c'erano 115 passeggeri e uno di questi si chiamava Angela Fais, giovanissima segretaria di redazione dell'Ora di Palermo e poi di Paese Sera, militante comunista, come tutta la sua famiglia, giovane cronista in attesa di diventare professionista.
La magistratura: "Colpa dei piloti"
Per la verità, una risposta – se così si può definire – la magistratura l'ha già data all'inizio degli anni Ottanta, dando la colpa a chi non può più rispondere, cioè ai piloti, professionisti con migliaia di ore di volo alle spalle e forti di moltissimi atterraggi e decolli proprio da Punta Raisi. La sentenza è stata una pietra tombale, che nel 2012 il parente di una delle vittime ha chiesto di risollevare per fugare dubbi, interrogativi, veri e propri misteri che gravano su quel disastro.
Da Trapani la pista neofascista e dei sequestri
Quando cerchi la verità, spiegava Eleonora, la vita continua. «Cresci i tuoi figli, ti occupi della famiglia, poi esci di casa e vai a bussare a tutte le porte che fino a quel momento sono rimaste chiuse». Un giorno Eleonora Fais ha bussato a quella della questura di Trapani, dove era custodito il rapporto su Montagna Longa di un serio e puntiglioso commissario di polizia, Giuseppe Peri, che aveva analizzato i fermenti di gruppi neofascisti e una serie di sequestri di persona. Il disastro, ipotizzava Peri, poteva essere stato provocato da una bomba che avrebbe dovuto esplodere a terra, quando i passeggeri avevano già lasciato il velivolo. Questo non era accaduto perché il volo Az 112 aveva dovuto dare la precedenza a un altro aereo, rimanendo in volo alcuni minuti più del necessario. Vero o falso che fosse, Peri non aveva potuto accertarlo perché qualcuno si era premurato di farlo trasferire. Un provvedimento, come scrive Francesco Terracina in una documentata analisi degli avvenimenti, propiziato dai buoni uffici di un magistrato e di un funzionario iscritti alla P2.
"Angela era felice, tornava da Roma"
"Non c'è bisogno che vieni all'aeroporto, vai direttamente al comizio davanti al Teatro Massimo, ci vediamo lì". Furono le ultime parole di Angela dette a Eleonora. "Per noi era una specie di riflesso condizionato", raccontava la sorella, "bisognava che le iniziative pubbliche ottenessero sempre il massimo di partecipazione, non un militante doveva essere distolto da questo compito, certo non per andare a prendere amici o parenti all'aeroporto". Mancavano solo due giorni alle elezioni politiche anticipate, il presidente Giovanni Leone aveva sciolto le camere 12 mesi prima che la legislatura si concludesse. I ricordi di Eleonora erano netti e inossidabili. "Angela era felice. Stava venendo a Roma con il regista Franco Indovina, assistente di Francesco Rosi".
L'intreccio con la mafia e il delitto Mattei
Indovina cercava elementi per ricostruire vita e morte di Enrico Mattei, vulcanico presidente dell'Eni, e Angela era una delle fonti. Sull'aereo insieme a loro c'erano personaggi importanti. All'epoca si disse che la mafia aveva tutto l'interesse a provocare l'incidente perché a bordo c'erano, tra gli altri, il comandante della Guardia di Finanza di Palermo e il magistrato Ignazio Alcamo, che aveva preso provvedimenti restrittivi nei confronti di Francesco "Ciccio" Vassallo, costruttore legatissimo a Vito Ciancimino. Un altro passeggero era Letterio Maggiore, già medico medico personale di Salvatore Giuliano, secondo Terracina uno dei pochi a conoscere la vera storia della strage di Portella della Ginestra.
Quel giorno c'era un'esercitazione
C'era più di un motivo per indagare meglio su quel disastro. Giuseppe Casarrubea, scomparso anche nel 2015i, da anni gestiva un prestigioso archivio delle vicende siciliane e nazionali e ricordava che il 5 maggio 1972 era in corso un'esercitazione "Dawn Patrol" (ricognizione all'alba).Le foto ufficiali evidenziavano sulla carlinga del Dc 8 tracce di colpi che potevano essere la conseguenza dell'impatto, o forse la causa. Non fu mai disposta una perizia per accertarlo. Come se una voragine avesse inghiottito tutte le risposte, lasciando solo le domande.
Un caso Ustica ante litteram?
"Una di queste", diceva Eleonora Fais, "riguarda la conversazione tra il comandante Bartoli e il pilota di un Ilyuscin sovietico. Si sa che i due si parlavano in inglese, ma di quell'aereo non si sa altro. Che ci faceva a Punta Raisi, chi erano i passeggeri a bordo, dove era diretto?" Impossibile nascondere il dubbio che quella di Montagna Longa sia stata una tragedia molto simile a quella di Ustica, quando un Dc 9 diretto a Palermo fu abbattuto per errore nel corso di un'azione di guerra i cui contorni non sono ancora completamente definiti. "Siamo stati lasciati soli, anche dal partito", concludeva Eleonora e altro non voleva aggiungere.

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