Visualizzazione post con etichetta Nuovo Ordine Mondiale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Nuovo Ordine Mondiale. Mostra tutti i post

10 dicembre 2018

La vendetta è mia, disse Washington


In Occidente la Giustizia è scomparsa. Il posto della Giustizia è stato preso dalla Vendetta. Questo fatto è illustrato in modo incontrovertibile dal calvario di Julian Assange, ormai giunto all’ottavo anno.
Da otto anni Assange vive all’interno di uno stato di polizia degno di Kafka. Era stato prima messo agli arresti domiciliari nella sua casa in Inghilterra e poi [praticamente incarcerato] nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, nonostante non siano mai state formalizzate accuse contro di lui.
Nel frattempo, l’intero mondo occidentale, con l’eccezione dell’ex-presidente ecuadoriano Rafael Correa e di una agenzia delle Nazioni Unite che aveva stabilito che Assange era detenuto illegalmente, a causa del rifiuto da parte del governo inglese di riconoscere il suo diritto all’asilo politico, ha voltato le spalle a questa ingiustizia.
Assange è segregato nell’ambasciata ecuadoriana perché, per proteggerlo da un arresto pretestuoso, l’ex-presidente ecuadoriano Rafael Correa gli aveva concesso asilo politico. Però, il corrotto e servile governo della Gran Bretagna, che fa gli interessi di Washington e non quelli della legge o della giustizia, si è rifiutato di onorare l’asilo concesso ad Assange. Il vassallo statunitense noto come Gran Bretagna è pronto, su ordine di Washington, ad arrestare Assange non appena metterà piede fuori dall’ambasciate e a consegnarlo a Washington, dove un gran numero di congressisti, sia democratici che repubblicani, hanno già fatto sapere che [il giornalista] dovrebbe essere giustiziato. Il regime Trump, continuando con le pratiche illegali dei suoi predecessori, ha pronto un mandato di cattura segreto, che verrà reso pubblico una volta che avranno messo le mani su Assange.
L’attuale presidente dell’Ecuador, un servo di Washington, Lenin Moreno (una persona talmente senza carattere che il suo nome è un insulto al vero Lenin), sta lavorando ad un accordo con Washington per privare Assange del suo diritto di asilo, in modo che l’ambasciata ecuadoriana di Londra debba espellere Assange [e consegnarlo] nelle mani di Washington.
Che cosa ha fatto Assange? Nient’altro che dire la verità. E’ il giornalista responsabile di WikiLeaks, un’agenzia di stampa che pubblica documenti riservati, esattamente come aveva fatto il New York Times quando aveva pubblicato i Pentagon Papers, ottenuti tramite Daniel Ellsberg. Proprio come la pubblicazione dei Pentagon Papers aveva messo in imbarazzo il governo americano e aveva contribuito a porre fine alla insensata guerra del Vietnam, i documenti resi di dominio pubblico da WikiLeaks avevano messo in difficoltà il governo statunitense, facendo luce sui crimini di guerra di Washington, sulle bugie e sulle menzogne raccontate al popolo americano e agli alleati degli Stati Uniti.
Gli alleati, naturalmente, erano stati comprati da Washington ed erano rimasti silenziosi, ma gli Stati Uniti intendono crocifiggere Assange per l’imbarazzo e il danno causati al governo criminale di Washington.
Per rivendicare la propria autorità su Assange, Washington sta facendosi forza della extraterritorialità delle leggi americane, una rivendicazione che Washington basa non su principi legali, ma unicamente su quello della forza, per violare la sovranità delle nazioni indipendenti.
Assange è un cittadino dell’Australia e dell’Ecuador. Non deve rispondere alle leggi degli Stati Uniti. La falsa equiparazione che Washington sta cercando di stabilire fra l’appellarsi al Primo Emendamento e il tradimento fa capire come ormai il popolo americano sia completamente perso. Il silenzio dei media americani dimostra che alle prostitute della stampa non interessa perdere la protezione del Primo Emendamento, dal momento che non hanno nessuna intenzione di dire una qualsiasi verità.
Il rinvio a giudizio segreto di Washington (è segreto in modo che un teppistello da due soldi come James Ball possa scrivere sul Guardian che su Assange non pende nessuna minaccia di arresto) molto probabilmente accusa Assange di spionaggio. Ma non è legalmente possibile accusare di spionaggio un cittadino non appartenente alla propria nazione e che opera all’estero. Tutte le nazioni usano lo spionaggio. Ogni paese sulla Terra potrebbe accusare Washington di spionaggio e arrestare [gli agenti della] CIA. La CIA potrebbe, come spesso è successo, accusare Israele di spionaggio. Naturalmente, ogni cittadino israeliano, come Jonathan Pollard, incarcerato negli Stati Uniti con l’accusa di spionaggio diventa un punto di contrasto fra Washington ed Israele, ma Israele vince sempre. La corrotta amministrazione Obama aveva rilasciato Pollard, condannato all’ergastolo, su ordine e, senza dubbio, anche per le generose mazzette di Israele.
Se Assange fosse israeliano, sarebbe senza dubbio già libero e a casa, ma è invece cittadino di due nazioni i cui governi tengono in gran considerazione il fatto di essere vassalli di Washington.
C’è stato un tempo in America, molti decenni or sono, in cui i Democratici si battevano per la giustizia e i Repubblicani per la cupidigia.
C’è stato un tempo in America, prima dell’11 settembre, in cui i media sarebbero accorsi in difesa della libertà di stampa e avrebbero tutelato Assange dai maltrattamenti e dalle false accuse.
Per essere sicuro che i lettori capiscano, la persecuzione di Assange è identica a quella sofferta dal cardinale ungherese Josef Mindszenty, a cui non era stato riconosciuto dal governo sovietico il diritto di asilo concessogli dall’ambasciata degli Stati Uniti di Budapest e che era stato costretto a trascorrere tre anni della sua vita nell’ambasciata americana. Il presidente Nixon aveva negoziato il suo rilascio nel 1971, ma i detrattori di Nixon non riconoscono alcun merito al suo interessamento per un uomo ingiustamente incarcerato in un luogo della Terra dove regnava l’ingiustizia.
Al giorno d’oggi non c’è un simile interesse per l’ingiustizia, eccetto per i gruppi “vittime” della politica identitaria. Che ne è del difensore di Assange, ora che Rafael Correa è costretto a vivere all’estero per sfuggire alla persecuzione del fantoccio di Washington, Moreno?
La debolezza interiore dell’Occidente è spaventosa. Ce ne parla Caitlin Johnstone: “La disdicevole persecuzione di Assange da parte di Trump e la difesa a spada tratta che ne è stata fatta dal liberalismo corporativo ha completamente squalificato l’aspetto più importante di tutta la politica americana, in entrambi gli schieramenti. Nessuno, in quel disastro totale si batte più per qualcosa. Se pensate ancora che Trump o i Democratici vi proteggano dalla marea montante del fascismo, il vostro momento per uscire è arrivato.”
La totalità dei media e delle TV occidentali (anche la stessa RT) funziona come ministero della propaganda di Washington contro Assange. Per esempio, abbiamo letto più e più volte che Assange si nasconde nell’ambasciata ecuadoriana di Londra per sfuggire alle accuse di stupro formulate contro di lui in Svezia. Il fatto che le prostitute della stampa e le femministe possano tenere in vita questa accusa infondata, nonostante tutte le smentite ufficiali, ci fa vedere il mondo di Matrix in cui sono rinchiuse le popolazioni occidentali.
Assange non è mai stato accusato di stupro. Le due signore svedesi che lo avevano sedotto e portato nelle loro case e nei loro letti non hanno mai detto di essere state stuprate. Le tribolazioni di Assange erano iniziate quando una delle due donne che lo avevano sedotto si era preoccupata del fatto che egli non avesse usato il preservativo e che potesse essere affetto da HIV o AIDS. Aveva chiesto ad Assange di sottoporsi ai test per accertarsi che non soffrisse di malattie sessualmente trasmissibili, e Assange, offeso, aveva rifiutato. Invece avrebbe dovuto dire “Naturalmente, capisco la tua preoccupazione” e fare l’esame.
La donna si era rivolta alla polizia per vedere se fosse stato possibile costringere Assange a sottoporsi al test. Era stata la polizia a trasformare il tutto in un’indagine per stupro. Era stata fatta un’indagine e l’ufficio del procuratore legale svedese aveva lasciato cadere le accuse, dal momento che l’atto sessuale era stato consensuale.
Assange aveva lasciato la Svezia in modo assolutamente legale, non fuggendo, come vorrebbe la storia inventata da Washington. Era andato in Inghilterra, un altro errore, perché l’Inghilterra è terreno di gioco degli Stati Uniti. Washington e/o femministe lesbiche bramose di mettere sotto processo un maschio eterosessuale avevano convinto un procuratore svedese di sesso femminile a riaprire un caso già chiuso.
Con un gesto senza precedenti, il procuratore svedese aveva inoltrato una richiesta alla Gran Bretagna per l’estradizione di Assange [in Svezia], dove avrebbe dovuto essere interrogato. Gli ordini di estradizione sono validi solo se sono state formulate delle accuse e qui non c’erano accuse depositate perchè il caso era già stato chiuso. Anche un governo corrotto come quello inglese non aveva prima di allora acconsentito ad ordini di estradizione a scopo di interrogatorio. [Però, questa volta], il governo britannico, fantoccio di Washington, si era detto d’accordo nel consegnare Assange alla Svezia. Era evidente che, dal momento che in Svezia non esisteva nessun processo penale a carico di Assange, il procuratore svedese, probabilmente per denaro, lo avrebbe consegnato a Washington, dove non c’è tutela legale per nessuno, neanche per chi, come i delatori, è protetto dalle leggi degli Stati Uniti e che, nonostante la protezione della legge, finisce allo stesso modo in prigione.
Visto quello che si stava profilando all’orizzonte, Assange aveva ottenuto asilo politico dal presidente Correa ed era uscito dagli arresti domiciliari in Gran Bretagna per rifugiarsi nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, dove si trova ancora adesso, nonostante il governo svedese abbia fatto cadere tutte le accuse contro di lui e abbia nuovamente chiuso il caso.
Nel frattempo, un procuratore degli Stati Uniti, corrotto come tutti (non credete mai a nessuna accusa federale, sono create dal nulla, senza bisogno di prove) era riuscito a convincere un incompetente gran giurì americano ad incriminare Assange per un reato che ancora non conosciamo, molto probabilmente per spionaggio. Il gran giurì che ha approvato questa incriminazione segreta non si è reso conto di aver messo sotto accusa una persona colpevole solo di aver detto la verità, che poi è esattamente quello che la Costituzione degli Stati Uniti protegge e richiede (se il governo fosse controllato dal popolo). Tutto quello che Assange aveva fatto era stato pubblicare i documenti inviati a WikiLeaks da una persona dotata di coscienza morale, turbata dalla palese criminalità e disumanità del governo statunitense.
Non c’è nessuna differenza legale fra la divulgazione da parte di Wikileaks dei documenti di cui era venuto in possesso e la pubblicazione da parte del New York Times dei Pentagon Papers. L’unica differenza è quella temporale. Quando Daniel Ellsberg aveva fatto avere i Pentagon Papers al New York Times, i media non erano stati ancora concentrati dal corrotto regime di Clinton nelle mani di poche persone e l’11 settembre, che sarebbe stato usato da Dick Cheney per criminalizzare chi osava dire la verità, non si era ancora verificato. Perciò, negli anni ‘70, era ancora possibile che una parte importante dei media potesse dire la verità. Tuttavia, L’unica ragione per la quale il New York Times aveva pubblicato i Pentagon Papers era stata l’odio che questo quotidiano provava per Richard Nixon, a cui i media democratici addossavano la colpa della guerra in Vietnam, anche se quella era stata una guerra voluta dal presidente democratico Johnson e Nixon voleva terminarla.
Quando la sclerotica popolazione americana ed occidentale prende come buone le bugie dei propri governi, accetta anche la propria fine e la propria schiavitù. Lo slancio e l’abbandono con cui in Occidente le persone si sottomettono lascia pensare che esse preferiscano l’asservimento. Non vogliono essere libere, perché la libertà comporta troppe responsabilità e queste non le vogliono.
Quello che desiderano è guardare un film, o un programma televisivo, giocare ad un videogame o fare sesso, fare compere, ubriacarsi, drogarsi o darsi ad una qualunque altra attività ricreativa che venga valutata più interessante della libertà, della verità o della giustizia.
Per una persona appartenente ad una generazione ormai quasi scomparsa è una cosa inspiegabile come le nazioni del pianeta, tanto più l’America, rimangano indifferenti, mentre il giornalista migliore, più fidato e onesto del mondo è destinato ad essere distrutto da un governo degli Stati Uniti totalmente corrotto. Il risultato della persecuzione di Assange sarà un processo che metterà in imbarazzo il governo americano.
Quando contemplo questa enorme ingiustizia a cui le popolazioni del mondo replicano con il silenzio, mi chiedo se quelli che cercano di salvare la civiltà occidentale non siano mal consigliati.
Qual è il senso di salvare una civiltà totalmente corrotta? Quelli che attaccano Assange sono esseri spregevoli. Se avrete la possibilità di spingere davanti ad un camion uno o più partecipanti al linciaggio, considerate il gesto come una opportunità per fare pulizia.
Paul Craig Roberts
Fonte: www.paulcraigroberts.org
20.11.2018
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

06 dicembre 2018

Galloni: come sopravvivere se lo spread sale a quota 400

Ieri l’asta dei Btp è stata molto fiacca. Dicono i giornali perché lo spread è salito a quota oltre 330; insomma, se ci si aspetta che lo spread salga ancora (magari in funzione della procedura contro l’Italia preannunciata per il 22 novembre), gli investitori aspettano a comperare titoli a più lungo termine. Se è così – e, soprattutto gli investitori (grandi banche dealer) sono costrette a comperare titoli per l’immensa disponibilità liquida loro fornita dalle banche centrali che poi obbligano a depositi presso di esse con tassi negativi – perché non offrire bonds a breve e risparmiare sui tassi? Non si sa. Giornali, televisioni, politici e accademici dicono che l’aumento dello spread determina un impoverimento dei possessori di titoli: se anche io li voglio vendere anticipatamente, so che il prezzo cala, quindi, che li venderò (sempre che decida di rientrare in possesso della liquidità prima della scadenza) ad un valore più basso; ma, se me li tengo fino a scadenza, avrò il reddito pattuito e, infine, il rimborso del capitale originario.
Casomai, se l’attesa di aumento dei rendimenti dei titoli futuri supera la svalutazione di quelli vecchi di cui si chiede il rimborso anticipato, allora sarà conveniente chiedere quest’ultimo e aspettare il momento buono per investire sul nuovo Nino Galloniprimario. Di qui due deduzioni: 1) agli speculatori serve che l’aumento delle spread sia seguito da un aumento dei tassi sulle nuove emissioni e, quindi, possono operare in tal senso (come è già accaduto qualche anno fa coi titoli greci); 2) bisogna offrire nuovi titoli a rendimenti e scadenze più corte.
A quota 400 tutti – compreso il ministro dell’economia – pensano che il sistema non regga: certo questo sistema che, però, lo si dice da una vita, è intrinsecamente sballato. Occorrono, invece, quattro cose: 1) ridurre i tempi delle scadenze delle nuove emissioni per guadagnare dai tassi più bassi che la speculazione accetta in attesa delle nuove emissioni a lungo termine coi tassi più alti (e che determineranno tra non tantissimo tempo la crisi delle borse ed il rafforzamento dei ribassisti); 2) consentire agli Stati di immettere moneta non a debito a sola circolazione nazionale per finanziare attività  nell’ambiente e l’occupazione soprattutto giovanile; 3) non interrompere il quantitative easing della Bce sul mercato secondario; 4) istituire un’agenzia di rating titolata a dare giudizi su basi serie e trasparenti.
(Nino Galloni, “Come sopravvivere a quota 400”, da “Scenari Economici” del 20 novembre 2018).

05 dicembre 2018

La secessione dell'Unione Europea, di Thierry Meyssan


Secondo Thierry Meyssan, il modo in cui Germania e Francia negano al Regno Unito il diritto di uscire dall’Unione Europea dimostra che quest’ultima non è soltanto una camicia di forza. Dimostra altresì che gli europei insistono a preoccuparsi poco dei propri vicini, come accadde per le due guerre mondiali. Evidentemente hanno dimenticato che governare non vuole dire semplicemente difendere gli interessi immediati del proprio Paese, significa avere un orizzonte di ampio respiro e scongiurare conflitti con chi ci sta accanto.
Le popolazioni dell’Unione Europea non sembrano essere consapevoli delle nuvole che si stanno addensando sopra le loro teste. Hanno individuato i gravi problemi della UE, ma li affrontano con disinvoltura e non capiscono cosa c’è in gioco con la secessione britannica, la Brexit. Si stanno inoltrando lentamente in una crisi che potrebbe risolversi solo con la violenza.

L’origine del problema

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, i membri della Comunità Europea hanno accettato di piegarsi al volere degli Stati Uniti e hanno ammesso gli Stati dell’Europa Centrale, benché non rispondessero affatto ai criteri logici di adesione. Imboccata questa strada, hanno adottato il Trattato di Maastricht, che ha fatto scivolare il progetto di un coordinamento economico degli Stati europei verso l’idea di uno Stato sovranazionale. Si trattava di creare un vasto blocco politico che, con la protezione militare degli Stati Uniti, si sarebbe avviato insieme a loro sulla via della prosperità.
Questo super-Stato non è per niente democratico. È amministrato da un consesso di alti funzionari, la Commissione, composta da un delegato per ogni Stato dell’Unione, designato dal capo di Stato o di governo del proprio Paese. Mai nella storia si è visto un impero funzionare così. Il modello paritetico della Commissione ha partorito molto presto una gigantesca burocrazia paritaria, dove alcuni Stati sono “più uguali di altri”.
Il disegno di uno Stato sovranazionale si è dimostrato inadeguato al mondo unipolare. La Comunità Europea (CE) era nata dalla branca civile del piano Marshall, di cui la NATO era l’ambito militare.
Le borghesie dell’Europa occidentale, che si sentivano minacciate dal modello sovietico, sostennero la CE sin dal congresso convocato nel 1948 all’Aia da Winston Churchill. Dissolta l’URSS, non avevano più interesse a continuare su questa via.
Gli Stati dell’ex Patto di Varsavia esitavano tra imbarcarsi nell’Unione Europea o allearsi direttamente con gli Stati Uniti. La Polonia, per esempio, acquistò aerei da guerra USA, che utilizzò in Iraq, con il finanziamento della UE per la modernizzazione dell’agricoltura.
Oltre a istituire una cooperazione di polizia e giudiziaria, il Trattato di Maastricht diede vita anche a una moneta e a una politica estera uniche. Tutti gli Stati membri avrebbero adottato l’euro non appena la loro economia lo avesse permesso. Solo Danimarca e Regno Unito intuirono i problemi che sarebbero sorti e ne rimasero fuori. In un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti, la politica estera sembrava non porre problemi.
Considerate le differenze all’interno della zona euro, gli Stati piccoli divennero in breve preda di quello più grosso, la Germania. La moneta unica, che al momento della messa in circolazione era stata allineata al dollaro, si trasformò progressivamente in una versione internazionalizzata del marco tedesco. Non in grado di competere, Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna erano emblematicamente definiti dai mercati finanziari PIGS (maiali). Mentre saccheggiava le loro economie, Berlino propose ad Atene di ristabilirne l’economia in cambio della cessione di parte del suo territorio.
Accadde che l’Unione Europea, pur perseguendo una crescita economica globale, fosse superata da altri Stati il cui sviluppo economico era di parecchie volte più rapido. L’adesione all’Unione Europea, vantaggiosa per i Paesi ex membri del Patto di Varsavia, divenne invece una palla al piede per gli europei dell’Occidente.
Facendo buon uso di quanto insegnato dal fallimento, il Regno Unito decise di ritirarsi dal super-Stato (Brexit) per potersi consociare con gli alleati storici del Commonwealth e, se possibile, con la Cina. La Commissione temette che l’esempio britannico potesse aprire la strada ad altre defezioni, nonché alla fine dell’Unione, pur conservando il Mercato Comune. Decise perciò di stabilire condizioni d’uscita dissuasive.

I problemi interni del Regno Unito

Poiché l’Unione Europea è al servizio dei ricchi contro i poveri, contadini e operai britannici hanno votato per uscirne, il settore terziario per rimanervi.
Come negli altri Paesi europei, anche nella società britannica vi è un’alta borghesia che deve il proprio arricchimento all’Unione Europea, ma, diversamente dagli altri Grandi d’Europa, nel Regno Unito vi è anche una potente aristocrazia. Prima della seconda guerra mondiale essa già godeva dei vantaggi ora procurati dalla UE, nonché di una prosperità che Bruxelles non le può più assicurare. L’aristocrazia ha perciò votato contro l’alta borghesia, ossia per la Brexit, aprendo una crisi all’interno della classe dirigente.
Alla fine, Theresa May fu scelta come primo ministro, pensando che potesse garantire gli interessi degli uni e degli altri (Global Britain). Non è andata così. – In primo luogo, May non è riuscita a concludere un accordo preferenziale con la Cina e incontra difficoltà con il Commonwealth, con cui i legami si sono col tempo allentati. – In secondo luogo, May deve fare i conti con le minoranze scozzese e irlandese, a maggior ragione perché la sua maggioranza include protestanti irlandesi aggrappati ai loro privilegi. – Infine, May deve far fronte alla rimessa in discussione della «relazione speciale» che legava Regno Unito e Stati Uniti.

Il problema che l’avvio della Brexit ha fatto emergere

Dopo aver inseguito invano diversi aggiustamenti dei trattati, il 23 giugno 2016 il Regno Unito ha democraticamente votato per la Brexit. Sorpresa dall’esito del referendum, l’alta borghesia ha tentato immediatamente di rimettere in discussione il risultato. Si parlò di organizzare un secondo referendum, come avvenne con la Danimarca per il Trattato di Maastricht. Poiché questo non è possibile, ora si fa distinzione tra una “Brexit dura” (senza nuovi accordi con la UE) e una “Brexit flessibile” (con la salvaguardia di parecchi impegni). La stampa sostiene che la Brexit sarà una catastrofe economica per i britannici. In realtà, studi anteriori al referendum, nonché a questo dibattito, dimostrano che i primi due anni dopo l’uscita dall’Unione saranno di recessione, ma che il Regno Unito non tarderà a ripartire e a sorpassare l’Unione. L’opposizione al risultato del referendum – nonché alla volontà popolare – vuole dilatare i tempi di applicazione. Il governo ha notificato il ritiro britannico alla Commissione con nove mesi di ritardo, ossia il 29 marzo 2017.
Il 14 novembre 2018 – ovvero due anni e quattro mesi dopo il referendum – Theresa May si è arresa e ha accettato un cattivo accordo con la Commissione Europea. Però, quando lo sottopone al suo governo sette ministri si dimettono, fra cui l’incaricato della Brexit, che evidentemente non conosceva elementi dell’accordo che invece il primo ministro gli attribuisce. Il testo dell’accordo comprende una clausola del tutto inaccettabile per qualunque Stato sovrano: viene fissato un periodo di transizione, la cui durata non è stabilita, in cui il Regno Unito non sarà più considerato membro dell’Unione, ma dovrà sottostare alle sue regole, comprese quelle che saranno adottate in detto periodo.
Dietro questo stratagemma ci sono Germania e Francia.
Appena conosciuto il risultato del referendum, la Germania prese coscienza che la Brexit avrebbe provocato una caduta del PIL di diverse decine di miliardi di euro. Il governo Merkel si applicò quindi non ad adattare l’economia tedesca, bensì a sabotare l’uscita del Regno Unito dall’Unione.
Quanto al presidente francese, Emmanuel Macron rappresenta l’alta borghesia europea, quindi è per sua natura contrario alla Brexit.

Chi c’è dietro i politici

La cancelliera Merkel può contare sull’appoggio del presidente dell’Unione, il polacco Donald Tusk. Effettivamente costui non occupa il posto in quanto ex primo ministro di Polonia, ma per queste due ragioni: la prima è che durante la Guerra Fredda la sua famiglia, che apparteneva alla minoranza casciuba, preferì gli Stati Uniti all’Unione Sovietica, la seconda perché è un amico d’infanzia di Angela Merkel.
Tusk ha iniziato il lavorio d’appoggio alla Merkel ponendo il problema dell’impegno britannico in programmi pluriennali dell’Unione. Se Londra dovesse sborsare quel che s’è impegnata a finanziare, non potrebbe lasciare l’Unione se non versando un indennizzo che oscilla tra i 55 e 60 miliardi di sterline.
L’ex ministro e commissario francese Michel Barnier è stato nominato capo negoziatore con il Regno Unito. Barnier si è già fatto solide inimicizie alla City, che ha maltrattato durante la crisi del 2008. Per di più, i finanzieri britannici sognano di gestire la convertibilità dello yuan cinese in euro.
Barnier ha accettato come sua vice la tedesca Sabine Weyand. È lei in realtà a condurre i negoziati, con l’obiettivo di farli fallire.
Contemporaneamente, l’artefice della carriera di Emmanuel Macron, l’ex capo dell’Ispezione Generale delle Finanze, Jean-Pierre Jouyet, è stato nominato ambasciatore della Francia a Londra. È amico di Barnier, con cui ha gestito la crisi monetaria del 2008. Per far fallire la Brexit, Jouyet si appoggia al leader conservatore dell’opposizione a Theresa May, il presidente della Commissione degli Esteri alla Camera dei Comuni, il colonnello Tom Tugendhat.
Jouyet ha scelto come sua vice la moglie di Tugendhat, l’enarca Anissia Tugendhat.
La crisi si è cristallizzata al summit del Consiglio Europeo di Strasburgo di settembre 2018, in cui Theresa May ha presentato l’accordo che era riuscita a ottenere a casa propria, e che molti altri Paesi avrebbero interesse a prendere come esempio, il piano dei Chequers: mantenere tra le due entità il Mercato Comune, ma non la libera circolazione dei cittadini, dei servizi e dei capitali; non dover più sottostare alla giustizia amministrativa europea del Lussemburgo. Donald Tusk lo respinge bruscamente.
A questo punto è necessario fare un passo indietro. Gli accordi che posero fine alla rivolta dell’IRA contro il colonialismo inglese non hanno risolto le cause del conflitto. Si è avuta la pace solo perché l’Unione Europea ha permesso di abolire la frontiera tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Ora Tusk pretende che, per evitare il rinfocolarsi di questa guerra di liberazione nazionale, l’Irlanda del Nord sia mantenuta nell’Unione Doganale, il che implica la creazione di una frontiera controllata dalla UE, che divide il Regno Unito in due, separando l’Irlanda del Nord dal resto del Paese.
Alla seconda riunione del Consiglio, davanti a tutti i capi di Stato e di governo, Tusk ha fatto chiudere la porta in faccia a May, lasciandola fuori da sola. Un’umiliazione pubblica che non potrà non avere conseguenze.
JPEG - 21.8 Kb

Riflessioni sulla secessione dell’Unione Europea

Tutte queste manovre di basso conio indicano l’inclinazione dei dirigenti europei all’inganno. In apparenza, rispettano le regole d’imparzialità e decidono collettivamente per servire l’interesse generale (anche se questo concetto è rifiutato dai soli britannici). In realtà, alcuni difendono gli interessi del proprio Paese a scapito dei loro partner, mentre altri difendono quelli della classe sociale d’appartenenza, a scapito di tutte le altre. Il peggio è certamente il ricatto nei confronti del Regno Unito: che sottostia alle condizioni economiche di Bruxelles, in caso contrario ricomincerà la guerra d’indipendenza dell’Irlanda del Nord.
Questo comportamento finirà col risvegliare i conflitti intra-europei, che già hanno causato le due guerre mondiali; conflitti che l’Unione sul proprio territorio ha mascherato, ma che, irrisolti, persistono fuori dell’Europa.
Lo Stato sovranazionale è diventato a tal punto autoritario che durante i negoziati per la Brexit sono sorti altri tre fronti. La Commissione, su richiesta del parlamento europeo, ha aperto due procedure sanzionatorie contro la Polonia e l’Ungheria, accusate di violazioni sistematiche dei valori dell’Unione; procedure il cui obiettivo è costringere questi due Stati in una posizione analoga a quella cui si vuol costringere il Regno Unito durante il periodo di transizione: essere vincolati al rispetto delle regole dell’Unione, senza tuttavia partecipare alla loro definizione. Inoltre, infastidito dalle riforme che si vogliono attuare in Italia, che contrastano con la sua ideologia, lo Stato sovranazionale rifiuta a Roma il diritto a un bilancio che le permetta di attuare la propria politica.
Il Mercato Comune della Comunità Europea aveva permesso d’instaurare la pace in Europa Occidentale. Il suo successore, l’Unione Europea, ne distrugge l’eredità, mettendo i Paesi membri gli uni contro gli altri.
Traduzione
Rachele Marmetti

To see the article visit www.voltairenet.org

03 dicembre 2018

SOROS / LA STRENUA E CONTINUA DIFESA GRIFFATA REPUBBLICA


Repubblica scende l'ennesima volta in campo per difendere l'onore e il prestigio del "miliardario-filantropo di sinistra", George Soros, una vera icona secondo il quotidiano diretto da Mario Calabresi.
Stavolta la story è incentrata sulla bagarre che si è scatenata negli Usa tra Facebook e lo stesso Soros. Nel mirino dell'inviato speciale in bretelle dagli Usa, Federico Rampini, è finita la numero due di Facebook, Sheril Sandberg, una delle più note giornaliste americane, stimata per le sue qualità investigative.
Ecco cosa scrive il bretellato, riportando quanto riferisce un articolo del New York Times (non si è neanche scomodato più di tanto, Rampini, per scrivere la paginata pro Soros di Repubblica): "Fu lei in persona – scrive il super corrispondente – a commissionare 'fango' su Soros, per il solo fatto che il miliardario-filantropo di sinistra aveva osato criticare Facebook. Tutto ebbe inizio a gennaio, all'ultimo World Economic Forum di Davos. Vi partecipavano sia Sandberg che Soros. Lui criticò pubblicamente Facebook e Google, li definì pericolosi per la democrazia, invocò nuove regole e maggiori controlli sui giganti oligopolisti dell'economia digitale".
Ma eccoci al cuore della singolar tenzone. Riprendono le trombe di Rampini anti Sandberg: "Ma la Sandberg anzichè ripondere nel merito (alle accuse di Soros, ndr), chiese ai suoi collaboratori di indagare su Soros, sui suoi moventi, su eventuali interessi finanziari. Per esempio, se stesse effettuando 'vendite allo scoperto' in Borsa per arricchirsi dopo aver fatto scendere il titolo di Facebook. In cerca di prove per accusarlo di aggiotaggio, insomma: perchè se uno ti critica deve essere un delinquente che ci specula sopra".


Federico Rampini. In alto, Soros

Non basta. Il prode Rampini non ha terminato la genuflessione nei confronti del suo magnate-filantropo: "Soros risultava indigesto da tempo ai vertici dei social media, ma tutte le sue campagne si svolgevano alla luce del sole, per esempio finanziando un'associazione che si chiama 'Free from Facebook' e denuncia da tempo i pericoli di questa rete sociale".
Non è certo finita, ci sono altre cartucce nel cinturone del pistolero Rampini: "Sandberg ha fatto ingaggiare una nota società di relazioni pubbliche legata alla destra repubblicana, Definers Public Affairs, che ha cominciato una campagna anti Soros, rispolverando anche argomenti antisemiti. Proprio come si usa fare nel campo dei suprematisti bianchi, per i quali Soros è il capro espiatorio ideale, il regista del 'complotto giudaico-plutocratico' di hitleriana memoria".
E il tric trac finale: "Quando sul NYT cominciarono ad uscire le prime rivelazioni, Zuckerberg  e l'intero vertice aziendale fecero quadrato intorno alla Sandberg per difenderla. E lei cominciò ad accumulare bugie su bugie".
"La Sandberg sapeva tutto fin dall'inizio e fu la vera regista".
Sorgono spontanee un paio di domande. Sulle 'prodezze' di Soros, a cavallo della sua Open Society Foundation tanto umanitaria, se ne conoscono in dettaglio di tutti i colori e da un bel pezzo.
Dalla narrazione rampiniana, invece, sembra sia tutto spuntato fuori oggi come il cavolo a merenda.
Secondo punto. Ma conosce qualcosa mister Rampini del giornalismo d'inchiesta? Sa che è l'anima della vera informazione, e non i lecchinaggi di palazzo? Cosa c'è di strano se lady Sandberg ha sguinzagliato i suoi reporter a caccia di notizie sulle tante acrobazie finanziarie dal magnate? Sui suoi giganteschi affari? Sulle sue malefatte internazionali? Sa mister Rampini che Soros con una mano finanzia le Ong e con l'altra cerca di divorarsi interi Paesi pezzo pezzo, come da qualche anno sta cercando di fare con la Macedonia, mentre l'Italia potrebbe entrare presto nel suo mirino?
Finalmente qualcuno cerca di alzare i veli sull'impero Soros. Anche se a Rampini non piace…

To see the article visit www.lavocedellevoci.it

30 novembre 2018

Vaccini Hpv: “Manufactured Crisis” il film che svela la realtà criminale del vaccino hpv

E dopo VAXXED , ecco in arrivo “La crisi dell’HPV: reale o prodotta?” Una nuova versione cinematografica, un nuovo documentario che svela i danni a seguito della vaccinazione che dovrebbe proteggere dal papilloma virus.
Potrete visionarlo cliccando sul titolo (vi comparirà con Vimeo,  vi consigliamo di guardarlo e salvarlo).
Siamo a LONDRA, Regno Unito.  Un  docu-film, pubblicato online nel Regno Unito e visibile in tutta Europa questa settimana, mette in dubbio le affermazioni delle autorità sanitarie britanniche, danesi e spagnole sulla sicurezza del vaccino hpv. Giunge in un momento in cui  medici britannici ed europei stanno proponendo di estendere l’uso del vaccino anche ai bambini inferiori agli 11 anni, quindi non si parla più di adolescenti. Un obblig che si estenderà a caro prezzo questo (1).
“Manufactured crisis” : ciò che non ti dicono del vaccino HPV ” espone i casi di reazioni avverse gravi  che cambiano la vita a ragazze e giovani donne a seguito di somministrazione del vaccino Gardasil o Cervarix . Le reazioni avverse registrate includono grave disabilità, paralisi e persino la morte. Durante tutto il documentario, le famiglie raccontano i loro drammi e le loro vite cambiate per sempre. Storie strazianti che non possono e non devono essere ignorate.
Il film della durata di 60 minuti include anche le posizioni di medici e scienziati rispettati che sfidano le affermazioni sul valore del vaccino HPV. Loro affermano che ci vorranno almeno 10 anni prima di sapere se i vaccini HPV saranno davvero in grado di diminuire i casi di  cancro, comprese le forme più comuni di cancro cervicale ed -in caso affermativo- a quale costo.
Mettono in discussione anche i famosi “rischi e benefici” che pesano fortemente a favore della vaccinazione da sempre. In realtà, affermano gli scienziati, il caso della vaccinazione di massa non è chiaro. E queste decisioni sono state prese senza nemmeno considerare gli approcci alternativi e collaudati alla prevenzione, in particolare lo screening e l’educazione sessuale (2, 3).
Manufactured Crisis è una produzione di Alliance for Natural Health (ANH) realizzata in collaborazione con Sanevax , l’ associazione britannica di HPV Vaccine Injured Daughters (AHVID), l’ associazione danese delle vittime di vaccini HPV e l’associazione spagnola di persone danneggiate da vaccino HPV ( AAVP ).
Steve Hinks
Steve Hinks
Il vicepresidente di AHVID, Steve Hinks, ha dichiarato: “È ridicolo che così tanti professionisti del settore sanitario nel Regno Unito ignorino che la “sicurezza” e “l’efficacia” del vaccino HPV è in dubbio per il grave danno che sta causando. Perché non ci viene detta la verità? ”
Il presidente dell’Associazione danese delle vittime del vaccino contro l’HPV, Karsten Viborg ha dichiarato: “Il vaccino HPV è un esperimento enorme e molto pericoloso. Bambini e genitori hanno bisogno di informazioni corrette sui benefici e rischi. I nostri membri hanno tutti seguito la raccomandazione delle autorità per la vaccinazione – ora non c’è alcun dubbio: le autorità sanitarie non informano i cittadini ed i politici “.
La presidente dell’AAVP, Alicia Capilla, ha dichiarato: “Incomprensibilmente, le autorità sanitarie non vogliono collegare queste reazioni ai vaccini HPV, lasciando le vittime in una situazione di abbandono. ”
Norma Erickson
Norma Erickson
Il presidente di SaneVax, Norma Erickson, ha dichiarato: “Il team di SaneVax collabora con rappresentanti di oltre 50 paesi. Questo documentario mette in luce gli eventi che si verificano in ogni paese che ha adottato un programma nazionale di vaccinazione HPV. È giunto il momento di istituire il principio di precauzione in tutto il mondo. Dobbiamo scoprire perché così tanti soffrono e sviluppare protocolli di trattamento per aiutarli a riprendere in mano la propria vita “.
Questo documentario suggerisce gli interessi fraudolenti dei governi che hanno messo in primo piano questa procedura farmacologica al benessere e alla salute dei cittadini. Gli interessi commerciali vengono prima della salute pubblica.

LAURIE POWELL, EX DIRIGENTE DEL MARKETING FARMACEUTICO, AFFERMA:

“NON SI TRATTA DI CURA DEL PAZIENTE. SI TRATTA DI FARE SOLDI “.

Tim Reihm
Tim Reihm, the director of Manufactured Crisis
In una dichiarazione congiunta, i produttori del film hanno dichiarato: “Le autorità sanitarie stanno ingannando il pubblico sostenendo che la capacità del vaccino di aumentare gli anticorpi HPV nel giro di pochi anni equivale alla protezione dai tumori correlati all’HPV, in particolare il cancro del collo dell’utero. La scienza invece, ci svela altro.https://vimeo.com/277078546/7812e25bb1
“Tim Reihm, il regista e narratore del film va oltre:” Quello che abbiamo scoperto è stato un esempio scioccante di avidità aziendale, disonestà scientifica, complicità del governo e tragedia umana “.
“Manufactured crisis” : quello che non ti dicono sul vaccino HPV ” è prodotto da Focus for Health e Freda Birrell ed è diretto da Tim Reihm.

Il documentario di un’ora è disponibile sul seguente link:

 Ricerca e traduzione a cura di Vacciniinforma

(1) “The British Medical Association believes the HPV (human papilloma virus) vaccine should be given to youngsters under nine in an effort to catch them before they have sex” https://www.mirror.co.uk/lifestyle/health/health-experts-say-primary-school-12791841
2) “The cervical cancer rate in the USA is 12/100,000. By Merck’s own admission, for every 100,000 girls that receive Gardasil you can expect 2,300 serious adverse events.” Norma Erickson, president, Sanevax.
(3) “If your daughter gets regular Pap smears her chances of dying from cervical cancer are 0.00002%.” Shannon Mulvihill, executive director, Focus for Health.

23 novembre 2018

Dopo la morte di Khashoggi, Trudeau non bloccherà una vendita di armi da 12 miliardi di dollari ai Sauditi, perché i soldi la spuntano sempre sull’omicidio


Ad almeno 5.000 miglia di distanza dalla città in cui il suo corpo è stato sepolto in segreto (intero o a pezzettini) dai suoi assassini sauditi, l’omicidio di Jamal Khashoggi ora irrita la coscienza (e i cordoni della borsa) di un’altra nazione. Perchè il Canada, patria del pensiero libero e democratico (sopratutto con Justin Trudeau), si trova di colpo a dover gestire l’eredità del predecessore (conservatore) del brillante e giovane Primo Ministro, insieme ad una semplice questione di coscienza o soldi: deve Trudeau stracciare un accordo militare con l’Arabia Saudita, risalente al 2014, del valore di 12 miliardi di dollari?
Quando Ottawa aveva deciso di vendere i suoi veicoli blindati leggeri (LAV) nuovi di zecca al regno saudita, i Sauditi erano già famosi per tagliare teste e sostenere furiosi e ben armati Islamisti. Ma Mohammed bin Salman non era ancora diventato l’erede al trono di questa pia nazione. I Sauditi non avevano ancora invaso lo Yemen, tagliato la testa ai suoi leaders sciiti, imprigionato gli stessi principi della famiglia reale, rapito il Primo Ministro libanese e smembrato Khashoggi.
Così, il governo conservatore canadese di Stephen Harper non si era fatto scupoli per rifilare i suoi LAV (come vengono chiamati questi mostriciattoli corazzati) a Riad, specificatamente per il “trasporto e la protezione” dei funzionari governativi.
Ora, difficilmente si può accusare Trudeau di essere un sostenitore del regime saudita. In agosto, gli uomini di Mohammed bin Salman avevano ordinato l’espulsione dell’ambasciatore canadese a Riad e avevano bloccato gli accordi commerciali con il Canada, dopo che il Ministro degli Esteri di Trudeau aveva protestato contro l’arresto nel regno [saudita] di alcuni attivisti per i diritti delle donne. I Canadesi avevano rilasciato false dichiarazioni, avevano affermato i Sauditi, che, per quanto riguarda le false dichiarazioni, avrebbero presto raggiunto una fama degna di un film dell’orrore holliwoodiano. Trudeau si è ritrovato sul libro nero dei Sauditi, insieme a Washington, perché, solo due mesi prima, Trump lo aveva definito debole e disonesto.”
Naturalmente, appena Khashoggi è stato fatto fuori nel consolato saudita di Istanbul, l’anima liberale del Canada ha iniziato a mobilitarsi. Sicuramente, ora Trudeau deve stracciare l’accordo del 2014 che riguarda tutti quei luccicanti mezzi corazzati che Harper aveva venduto ai Sauditi in quell’anno. Purtroppo, alcuni giorni fa si è scoperto che l’accordo comprendeva quella che il governo Trudeau ha descritto come una ‘clausola sulla cancellazione dell’accordo’ che, nel caso la transazione riguardante i veicoli blindati non venisse completata, costerebbe ai Canadesi miliardi di dollari.
Economicamente parlando, la cosa può anche avere un senso, fino ad un certo punto, ma, con tutto quello in cui sono coinvolti i Sauditi, c’è anche il fattore “opps!”
Perchè è venuto fuori, ahimè, che questi innocui LAV canadesi sono stati filmati nel 2017 nella provincia orientale dell’Arabia Saudita mentre soffocavano una rivolta di civili sciiti. Il Ministero degli Esteri canadese, che ora si chiama (e questo è un capolavoro di ironia) “Global Affairs Canada,” ha sospeso le esportazioni di armi e ha aperto un’indagine “completa ed approfondita.” Al giorno d’oggi abbiamo tutti familiarità con le “indagini complete ed approfondite,” come quella che i Sauditi stanno portando avanti con entusiasmo sulla scomparsa di Khashoggi, sepolto di nascosto; ovviamente, la versione canadese di questo tipo di inchiesta ha concluso che i veicoli provenienti dal Canada erano stati sottoposti a “modifiche” successive all’esportazione.
Adesso, chi dirige lo spettacolo a Riad è Mohammed bin Salman e ad Ottawa lo presenta Trudeau. Ma ora è arrivato, ancora una volta, il fattore saudita “opps!”
I LAV, come si è saputo in seguito, erano stati equipaggiati in segreto con torrette e mitragliatrici e questi veicoli erano stati utilizzzati nel 2017 in un’operazione in cui erano stati uccisi 20 civili, Ma, ecco che arriva il deus ex machina che batte tutti, il rapporto di Global Affairs aggiungeva (con ulteriore ed inconscia ironia) che non si era verificata nessuna violazione dei diritti umani, che le forze saudite “si erano sforzate di ridurre al minimo le perdite fra i civili” e che l’uso della forza (i lettori lo avranno ormai immaginato) era stato “proporzionato ed appropriato.”
Grazie a Dio, i Sauditi da quei veicoli sparavano con le mitragliatrici e non stavano attaccando i loro nemici con coltellacci e seghe da ossa.
Ma ora, e qui la vecchia metafora calza stranamente a pennello, Trudeau si è ritrovato con il coltello piantato nella schiena. Si fa avanti un certo Ed Fast, un parlamentare canadese dell’opposizione conservatrice, che, quando aveva ricoperto la carica di Ministro per il Commercio Internazionale di Ottawa, aveva contribuito a condurre in porto l’originale e redditizia vendita di armi ai Sauditi. Lui non ha nulla a che vedere con le minuzie del contratto. Le penali erano state volute dalla General Dynamics Land Systems, [l’azienda] che aveva assemblato in Ontario queste sciagurate macchine.
Inoltre, durante lo scorso fine settimana, Fast aveva aggiunto che il contratto andrebbe rispettato; il Canada dovrebbe invece punire i Sauditi confiscando le proprietà dei cittadini sauditi che si rendono colpevoli di violazioni dei diritti umani e terminare le importazioni di greggio saudita. E incrementare il trasbordo di petrolio canadese dall’Alberta, che confina con la Columbia Britannica, dove, opps!, Fast, guarda caso, fa il parlamentare.
Nessuno più dei Sauditi avrebbe potuto apprezzare meglio una cosa del genere. Perchè Fast, da buon recidivo, ha minimizzato alla grande l’omicidio Khashoggi. Ha descritto la decapitazione del giornalista saudita ad Istanbul e la sua sepoltura in segreto da parte dei Sauditi come una “questione” e una “situazione.” “Questione” intesa come “problema,” suppongo. Secondo il punto di vista di Fast, la mancata consegna delle armi non “punirebbe” realmente i Sauditi perchè, e ci risiamo, Riad non farebbe altro che rifornirsi di mezzi corazzati da altre nazioni.
Dennis Horak, un ex-ambasciatore canadese in Arabia Saudita (è strano come gli ex-ambasciatori occidentali a Riad abbiano l’abitudine di battere la grancassa per i Sauditi), aveva annunciato che la cancellazione [del contratto] “sarebbe servita solo a punire più di 3.000 lavoratori canadesi… che avrebbero visto i loro posti di lavoro, ad alta specializzazione, tipici della classe media, sparire a causa di una presa di posizione che non avrebbe avuto nessuna conseguenza sull’Arabia Saudita.” Un simile messaggio sarebbe stato “sprecato per la dirigenza saudita.” Vendere veicoli blindati non era un favore ma una “transazione commerciale.” Quello che dovremmo fare, aveva detto Horak al Toronto Star, è “parlare direttamente” con loro: “Impegnarci, piuttosto che disimpegnarci.”
Chi potrebbe mai credere che questo Horak sia lo stesso ambasciatore che, solo lo scorso agosto, i Sauditi avevano cacciato da Riad, dopo che il Ministro degli Esteri canadese aveva protestato per l’arresto, nel regno, degli attivisti per i diritti delle donne? Per l’amor di Dio, vuole forse ritornarci?
Non è difficile scoprire gli aspetti morali (o immorali) di questa storia. Le armi hanno sempre la meglio sull’omicidio. I nostri ragazzi della “classe media” e le loro famiglie (perché, fortunatamente, non ho notato molte donne fra i dirigenti delle aziende produttrici di armi) devono avere la sicurezza del posto di lavoro, qualunque sia il costo da pagare in termini di convitati di matrimonio yemeniti uccisi, ospedali rasi al suolo o giornalisti decapitati. E, neanche due settimane dopo aver appreso che i consolati sauditi possono svolgere attività molto più ambiziose del rilascio dei certificati di divorzio, la realtà delle cose è già riuscita a smussare gli scrupoli anche delle nazioni occidentali più liberali. In modo che “questioni” e “situazioni” non interferiscano nelle “transazioni commerciali” dell’economia globale.
Robert Fisk
Fonte: www.independent.co.uk

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

16 novembre 2018

DOCUMENTO / TUTTI I DANNI DEL GLIFOSATO MADE MONSANTO – BAYER


Pubblichiamo un interessante intervento dell'avvocato Valentina Scaramuzzo, specializzata nelle controversie legali in tema di salute e ambiente.

Quella del 10 agosto 2018 sarà ricordata nel mondo dell'agrochimica, e non solo, come una data storica. Un primo passo verso il riconoscimento di tutte le battaglie che da anni portano avanti i sostenitori della nocività dei pesticidi.
Da quel verdetto, emesso da una giuria di San Francisco, tutto il mondo ha gli occhi puntati su Dewayne Johnson, l'uomo che per oltre trenta anni ha lavorato come giardiniere in varie scuole pubbliche della California e si è ammalato di cancro al sistema linfatico.
Il tribunale di San Francisco lo scorso agosto ha infatti stabilito che la causa della malattia fu l'uso dell'erbicida "Roundup", un prodotto a base di glifosato, prodotto dalla Monsanto ('fresca' di fusione con Bayer, l'altro colosso mondiale della chimica di sintesi), riconosciuta colpevole per non aver informato i consumatori dei rischi alla salute, connessi all'utilizzo del proprio prodotto.
La giuria popolare del processo aveva condannato la Monsanto a pagare a Johnson 250  milioni di dollari, a titolo di danni punitivi (che normalmente vengono comminati alle imprese che  "agiscono incautamente"), oltre ai 39 milioni di dollari come risarcimento danni.
Sono trascorsi solo due mesi ed arriva un secondo verdetto.
Il giudice Suzanne Bolanos respinge la richiesta di Monsanto di rifare il processo per insufficienza di prove, ma riduce da 289 milioni di dollari a 78 milioni di dollari il risarcimento,  tagliando drasticamente i danni punitivi da 250 milioni a 39 milioni di dollari.
Se Johnson accetterà la somma, cosi determinata, entro il 7 dicembre, non ci sarà più alcun altro processo, in caso contrario ci sarà un nuovo processo.
Intanto, i legali della Monsanto insistono nel voler ricorrere in appello.
Il caso Dewayne Johnson contro Monsanto è la prima denuncia, di fronte ad un tribunale, in cui si sostiene il legame tra il glifosato e cancro.
Gli avvocati Robert Kennedy jr e Michael L.Baum, difensori di Johnson, il 5 settembre, intervenuti in un udienza pubblica al Parlamento Europeo, hanno riferito: "Il giudice non ci ha permesso di mostrare l'80% dei documenti che abbiamo, che mostrano come la Monsanto ha manipolato la scienza, ha aiutato a scrivere studi sotto falso nome e ha soppresso i risultati cancerogeni  di Roundup e glifosato". 

MONSANTO PAPERS
Michael L.Baum ha spiegato inoltre che la raccolta di documenti fa parte dei cosiddetti "Monsanto Papers", ottenuti attraverso la procedura di 'scoperta', cioè una procedura civile pre-processuale statunitense, che permette alle parti di ottenere prove l'una dall'altra.
Ha descritto in dettaglio quella che considera la 'strategia' targata Monsanto: manipolare la scienza e sopprimere i risultati sulla cancerogenicità, utilizzando i documenti divulgati come prove. Testimonianze e prove, presentate al processo dai legali del Johnson, hanno dimostrato che i segnali di allarme, osservati nella ricerca scientifica, risalgono ai primi anni '80 e sono aumentati solo nel corso dei decenni. Ma con ogni nuovo studio che mostrava danni, la Monsanto ha lavorato non solo per non avvertire gli utenti, ma per creare la "propria scienza", per dimostrare che erano al sicuro.
L'azienda, spesso, ha spinto la sua versione della scienza, nel regno pubblico, attraverso il lavoro di ghostwritten, progettato per apparire indipendente e, quindi più credibile. L'autore fantasma, il ghostwriting, è una grave forma di inquinamento scientifico, una strategia di riciclaggio dei messaggi di cui si serve certa industria, specie nel settore farmaceutico, chimico ed agrochimico. Ecco cosa accade: l'industria scrive un articolo scientifico, se lo fa firmare da scienziati noti e questi prestanome vengono profumatamente retribuiti. Segue poi la diffusione dell'articolo su riviste scientifiche, e/o sui mezzi di informazione di massa, in barba al conflitto d'interessi, all'etica professionale ecc.. ecc…
Dai Monsanto Papers è emerso che molti scienzati, impegnati a dimostrare la non tossicità del glifosato e contrari all'agricoltura biologica, sono risultati legati da contratti più o meno fantasma con la mutinazionale.
Nella lista dei "prestanome" anche i vertici all'EFSA, l'Autorità Europea per la sicurezza alimentare (oggi tutti rimossi), responsabili di aver prodotto pareri scientifici non derivanti da sperimentazioni autonome, bensì da dati copiati dai documenti forniti dalla Monsanto, ricerche nelle quali risultava che il glifosato fosse una sostanza non pericolosa per la salute umana, smentendo di fatto quello che da anni ha sempre sostenuto lo IARC (Associazione Internazionale per la ricerca sul cancro), organo che fa capo alla stessa Organizzazione Mondiale per la Salute (OMS), la quale ha definito senza mezzi termini il Roundup genotossico, cancerogeno per gli animali, "probabilmebnte cancerogeno" per l'uomo.

E L'EUROPA COSA FA ?
Gioca continuamente al rinvio, esprime parere negativo al rinnovo della licenza di questo pesticida, ma solo a partire dal 2022, invece di applicare da subito il principio di "Precauzione". Sino a tale data, si salvi chi può!
La decisione della UE era stata presa il 27 novembre 2017, al culmine di una tortuosa trattativa politica. Alla fine, 18 paesi si erano espressi a favore del via libera all'uso della sostanza per altri cinque anni. Decisivo, a far pendere il piatto della bilancia, era stato il sì della Germania (guarda caso, sede della multinazionale Bayer), che aveva vinto l'ostilità di altri paesi (ad esempio Italia e Francia) che avrebbero preferito un vincolo più stretto. Il voto dei governi aveva peraltro sconfessato quello dell'Europarlamento, contrario a una proroga per il glifosato.
Dal canto suo, il Parlamento Europeo ha istituito una commissione speciale incaricata di esaminare la procedura di autorizzazione della Ue per i pesticidi, in risposta alle preoccupazioni sul sistema di valutazione dei rischi che hanno accompagnato il rinnovo per cinque anni dell'autorizzazione al commercio dell'erbicida glifosato, deciso dalla maggioranza degli Stati Ue e dalla Commissione europea.
La Commissione speciale del Parlamento Europeo, dovrà valutare: 1) eventuali carenze nel modo in cui le sostanze sono valutate scientificamente e approvate; 2) il ruolo della Commissione Europea nel rinnovo della licenza di glifosato ed eventuali conflitti di interesse nella procedura di approvazione; 3) il ruolo delle agenzie dell'Ue e se esse dispongono di personale e finanziamenti adeguati per adempiere al loro mandato.
Solo qualche settimana prima il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione in cui affermava che la pubblicazione dei cosiddetti "Monsanto Papers" – i documenti interni della Monsanto, azienda proprietaria e produttrice del Roundup, di cui il glifosato è la principale sostanza attiva – ha fatto sorgere dubbi in merito alla credibilità di alcuni studi utilizzati dall'Ue ai fini della valutazione della sicurezza. La risoluzione affermava che la procedura di autorizzazione dell'Ue dovrebbe basarsi unicamente su studi pubblicati e indipendenti sottoposti a revisione paritaria e commissionati dalle autorità pubbliche competenti, e che le agenzie dell'Unione europea dovrebbero essere rafforzate per consentire loro di lavorare in questo modo.

Fabian Tomasi. In apertura l'avvocato Kennedy con Dewayne

IL GLIFOSATO KILLER IN ARGENTINA
Ma ritorniamo in America. Forse Dewahine Jonhson non avrebbe mai voluto diventare un simbolo della lotta contro il glifosato, così come non lo avrebbe voluto essere Fabian Tomasi, uomo simbolo della lotta contro i pesticidi in Argentina e morto lo scorso 7 settembre all'età di 53 anni. Era diventato il simbolo della lotta degli agricoltori argentini contro il glifosato.
Aveva iniziato a lavorare per un'azienda agricola all'età di 23 anni. Doveva riempire i serbatoi degli aerei, usati per l'irrorazione degli erbicidi sui campi di soia. Serbatoi che contenevano  soprattutto glifosato. Fabian, che lavorava come gli altri operai agricoli senza nessuna formazione specifica, nessuna precauzione dai veleni, seguendo un solo consiglio: "non metterti contro vento, così i gas non ti raggiungono", comincia ben presto ad accusare gravi disturbi,  fino a che gli viene diagnosticata una polineuropatia tossica grave. Ma non è il solo. Nella sua stessa famiglia, il fratello, anche lui esposto all'irrorazione di erbicidi, era già morto per un tumore al fegato. Nelle campagne circostanti, i tumori sono il triplo di quelli che si riscontrano nelle città.
L'Argentina non ha mai regolamentato l'uso dei pesticidi, e Fabian comincia la sua battaglia affinché sia riconosciuta la relazione tra la  malattia e il  suo lavoro incessante nell'agrochimica. La stampa internazionale ne parla. Le foto del suo corpo fanno il giro del mondo. Diventa l'emblema delle lotte ambientaliste.
Si batte in particolare contro il glifosato, il pesticida prodotto dalla Monsanto e irrorato nella misura di 300.000 tonnellate all'anno sui campi argentini di soia transgenico.
"Siamo colpiti da un sistema di produzione che si preoccupa più di riempire le tasche di alcuni che della salute delle persone", diceva durante una delle sue ultime interviste televisive, parlando degli effetti dei pesticidi sulla salute dell'uomo.
Fabian Tomasi è morto senza aver ottenuto un processo.
Poche settimane prima della sua morte, commentando la condanna della Monsanto al maxirisarcimento in favore di Dewayne Johnson, aveva detto: "Non ho bisogno di soldi, ho bisogno di vivere. Non sono imprese, sono operatori della morte". 
(…) "Quando me ne sarò andato, continuate a difendere la verità".

VALENTINA SCARAMUZZO

To see the article visit www.lavocedellevoci.it