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08 ottobre 2018

Lo Stato non è una famiglia: se risparmia, siamo rovinati

L'esposizione ripetuta a un'immagine o a un contenuto fa sì che l'individuo modifichi la propria percezione della realtà e interiorizzi il messaggio veicolato. E' quello che gli psicologi chiamano "effetto priming", e che pubblicitari ed esperti della comunicazione conoscono molto bene. Quanto più un messaggio viene ripetuto ed enfatizzato, magari attraverso la forma dello spot, tanto più esso risulterà familiare. Così può accadere che un concetto privo di veridicità, ma ripetuto con insistenza e in modo convincente, acquisisca il rango di verità. E' quanto accaduto con la fake news economica del momento, tanto assurda quanto apparentemente efficace: il bilancio dello Stato sarebbe come quello di una famiglia. La ripetono all'unisono giornalisti, conduttori televisivi, economisti e qualunquisti. Così la gente comune, digiuna di economia e soprattutto in buona fede, ha interiorizzato un pensiero del tutto fuorviante. Secondo questa logica, quando un paese presenta un debito pubblico – dunque la normalità in un'economia moderna – dovrebbe assumere il comportamento di una brava e accorta casalinga: stringere la cinghia e tagliare le spese familiari. Così, come una donna morigerata risparmierà sul cibo, sul vestiario e, in condizioni di estrema ratio, alle cure sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, così lo Stato dovrebbe seguire il suo virtuoso esempio.

Dunque, poiché la "famiglia" dello Stato è lo Stato stesso, ossia l'insieme dei cittadini che lo abitano, il suo territorio e le sue istituzioni, i tagli si ripercuoteranno sull'intera collettività. Per risparmiare occorre innanzitutto che contravvenga a quello che casalingain un sistema socio-economico civile dovrebbe essere la sua funzione principale: tutelare chi non ha tutela, chi per nascita o per eventi sopravvenuti o condizioni particolari si trova in una situazione di evidente svantaggio. E qui gli esempi potrebbero essere infiniti, dal disoccupato all'invalido, alle vittime di disastri naturali. Potrebbe poi, in un'ottica di far quadrare il bilancio, ristrutturare la sanità pubblica in un'ottica mercatistica orientata al profitto, trasformando il paziente in un cliente. Continuare poi in un'opera di privatizzazione dei servizi pubblici e delle infrastrutture, facendoli gestire al mercato – considerato per antonomasia efficiente. A parte qualche piccola eccezione come successo a Genova. Così si potrebbe abbracciare un modello di scuola privata, in cui i genitori offriranno ai loro figli un livello di istruzione strettamente legato al proprio reddito. Ci sarebbe solo il piccolo inconveniente di bloccare l'ascensore sociale e rinstaurare il censo.

Siccome non amo la retorica, mi fermo qui, ma gli esempi pratici per smontare l'assurda comparazione tra bilancio pubblico e familiare potrebbero andare avanti ancora a lungo. Lo Stato non è una famiglia perché esso ha come obiettivo il benessere e la Ilaria Bifarinitutela di tutti cittadini, non solo dei suoi figli come la famiglia, e opera su un orizzonte temporale di lungo periodo. Deve inoltre garantire il funzionamento delle istituzioni a garanzia del diritto e della democrazia. Infine, come dicono gli inglesi last but not least, da un punto di vista economico e contabile adottare la condotta della brava casalinga, che per uno Stato significa adottare l'austerity, vuol dire licenziare, rendere i servizi pubblici essenziali sempre più costosi, aumentare il livello di povertà, di disuguaglianza e disoccupazione. Così potrebbe accadere che la stessa virtuosa casalinga a causa dell'austerity debba rinunciare a curarsi o, addirittura, che suo marito perda il lavoro. Esiste infatti una relazione diretta, alquanto intuitiva, tra tagli dello Stato e diminuzione della ricchezza privata perché, per dirla con le parole del premio Nobel Krugman, «la tua spesa è il mio reddito». Potremmo dunque a ragion veduta ribaltare lo spot e affermare: «Il bilancio dello Stato è il contrario di quello della famiglia». Ma i pregiudizi si sa, una volta sedimentati sono difficili da scardinare.

(Ilaria Bifarini, "Lo Stato è il contrario di una famiglia", dal blog della Bifarini del 28 settembre 2018).

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01 ottobre 2018

Savona all’Ue: più deficit salva-Stati e una Bce anti-spread

O l'Eurozona diventa una vera unione monetaria, con la Bce che garantisce sempre e comunque i debiti degli Stati membri, o la valuta comune rischia il collasso. Accusato di voler uscire dall'euro per l'aver sottolineato la necessità di una "exit strategy" qualora si materializzi lo scenario peggiore, il ministro agli affari europei ci tiene a chiarire una volta per tutte che la sua nomea di euroscettico è una distorsione e che, anzi, per lui «la moneta unica è indispensabile per il buon funzionamento di un mercato unico». Ma perché l'euro sopravviva, l'Europa deve cambiarne il funzionamento, traendo le opportune lezioni dal disastro greco. È questo il famoso "piano A" di Paolo Savona, che ha inviato a Bruxelles un documento dal titolo "Una politeia per un'Europa diversa, più forte e più equa". Politeia, termine che in greco antico indica la comunità di cittadini e il suo legame con lo Stato, non le pure e semplici istituzioni o le norme che esse applicano. Una parola scelta non a caso, per sottolineare la necessità di rinsaldare quel legame tra politica comunitaria e società che in questi anni si è lacerato fino a innescare un risorgere dei nazionalismi. Ma cosa significa in concreto?

Savona, spiega "Milano Finanza", chiede di «istituire un gruppo di lavoro ad alto livello, composto dai rappresentanti degli Stati membri, del Parlamento e della Commissione, che esamini la rispondenza dell'architettura istituzionale europea vigente Paolo Savona, il ministro che Mattarella non volevae della politica economica con gli obiettivi di crescita nella stabilità e di piena occupazione esplicitamente previsti nei trattati», con lo scopo di «sottoporre al Consiglio Europeo, prima delle prossime elezioni, suggerimenti utili a perseguire il bene comune». Savona ha già le idee chiare sui mutamenti necessari. Bce prestatore di ultima istanza: «I divieti posti alla Bce di muoversi in aiuto degli Stati hanno creato condizioni favorevoli alla speculazione, che ha imperversato anche quando questi Stati si comportavano secondo gli impegni. Hanno fatto gravare sulle loro economie costi aggiuntivi in termini di interessi sul debito pubblico e sul credito. Se i poteri di intervento della Bce contro la speculazione fossero veramente pieni, gli spread tra rendimenti dei titoli sovrani si dovrebbero azzerare». Savona vuole in sostanza una banca centrale che, come ogni altra omologa a partire dalla Fed americana, abbia il potere illimitato di garantire il debito delle nazioni, evitando differenziali del costo del debito tra paesi che condividono la stessa valuta.

Tetto del deficit non più fisso: «Le regole dei disavanzi pubblici non hanno previsto alcuna correzione strutturale delle bilance dei pagamenti correnti, privando il sistema europeo di una rilevante componente di domanda e aggravando la tendenza alla deflazione. Servono investimenti pubblici consistenti, a livello di Unione e di singoli Stati, rispettando una sola regola aurea: la percentuale di disavanzo del bilancio non deve essere superiore al saggio di crescita nominale del Pil che ne risulta». In sostanza, il tetto del massimo rapporto stabilito tra deficit e Pil non dovrà essere fissato al 3% ma oscillerà a seconda della crescita dell'economia. Ma se i paesi più virtuosi temessero così di dover pagare per chi sfora? «Esistono le soluzioni tecniche per garantire che ciò non avvenga. Si tratta di attivarle in pratica effettuando scelte politiche, come quella di concordare un piano di rimborsi a lunghissima scadenza e ai tassi ufficiali praticati, fornendo una garanzia alla Bce fino al rientro nel parametro del 60% rispetto al Pil, in contropartita di una ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una o più rate. Ovviamente tra le clausole di un siffatto accordo vi sarebbe anche quella che il disavanzo di bilancio pubblico si collochi in modo dinamico entro la regola indicata di coerenza rispetto al saggio di crescita nominale del Pil e quindi non comporti un nuovo superamento del rapporto debito pubblico/Pil».

("Savona ha presentato all'Europa il suo Piano-A", dal sito dell'agenzia di stampa Agi; post editato il 13 settembre 2018).

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27 settembre 2018

Foa in Rai: che succede quando un eretico sale al potere?

Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l'establishment se l'è già "comprato": intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla "voce del padrone", utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.
C'è qualcosa di meta-politico, di profondamente eversivo, nella sola idea di aver pensato a un cavaliere solitario e coltissimo come Foa, giornalista di razza e gentiluomo, per la presidenza della televisione di Stato, vera e propria fabbrica del consenso, Marcello Foaper decenni affidata il più delle volte a mani servili e mediocri. È antropologicamente eversiva, la figura del liberale Foa al vertice della Rai: è il bambino che non può fare a meno di svelare l'imbarazzante nudità del sovrano, del monarca che si gloria nel celebrare una pace apparente, mentre intorno infuria la peggiore delle guerre. La guerriglia di oggi, nella quale Marcello Foa si trova coinvolto – dopo aver dato la sua avventurosa disponibilità a quell'ipotesi democratica chiamata "governo gialloverde" – non è un conflitto come quelli che l'hanno preceduto: è un sordido massacro quotidiano perpetrato ovunque, senza frontiere, senza più neppure le bandiere di un tempo. È una guerra orwelliana, affidata a mercenari. Navi corsare, che combattono (per lo più in incognito) per conto di padroni potentissimi, protetti dall'anonimato. Non c'è più neppure il triste onore della battaglia: si viene sopraffatti in modo subdolo, sistematicamente sommersi da menzogne spacciate per verità di fede, che il sistema mediatico non si cura più di verificare. Ed è proprio per questo che l'attuale sistema mediatico italiano detesta, e teme, Marcello Foa.
Ascoltando solo e sempre un'unica campana, il sistema mainstream ci ha raccontato in questi anni che le poderose, ciclopiche Torri Gemelle di Manhattan sono crollate su se stesse, come se fossero state di cartone anziché di acciaio, solo perché colpite – con una manovra proibitiva persino per i migliori "top gun" – da normalissimi e leggerissimi jet di linea fatti di alluminio, dirottati da apprendisti piloti arabi, di cui tuttora non si sa nulla: non un'immagine, al fatale imbarco, di nessuno dei 19 presunti dirottatori (salvo poi rintracciare i loro passaporti, nientemeno, nell'inferno fumante di Ground Zero). Finge di credere sempre e soltanto alla versione ufficiale, il mainstream media, anche quando dimentica di ricordare che furono gli Usa a incoraggiare Saddam Hussein a invadere il Kuwait, dopo averlo spinto a combattere contro l'Iran. Dà retta unicamente al super-governo universale, il club dei telegiornali, anche quando assicura che Saddam disponeva di micidiali armi di distruzione di massa. E tace, invece, quando l'Onu dimostra che quelle armi erano pura fantasia, come i gas siriani di Assad, le 11 Settembrefosse comuni di Gheddafi, le violenze della polizia di Yanukovich in Ucraina. E poi applaude a reti unificate, la consorteria mediatica, quando in Italia appaiono i cosiddetti salvatori della patria – i Monti, i Cottarelli – armati del bisturi che useranno per amputare carne viva, risparmi e pensioni, economia italiana di aziende e famiglie, oscurando il futuro dei giovani.
All'epoca in cui Marcello Foa lavorava al "Giornale" di Indro Montanelli, il mondo probabilmente appariva infinitamente più semplice – più chiaro, più visibile nei suoi errori e orrori: la guerra fredda, il Medio Oriente e gli sconquassi africani della decolonizzazione, la strategia della tensione organizzata per gambizzare l'Italia e impedirle di prendere il volo come autonoma potenza euromediterranea fondata sulla forza formidabile dell'economia mista, pubblico-privata. In quella redazione milanese, dove Foa è cresciuto professionalmente, su una parete c'era appesa una carta geografica di Israele che indicava come capitale Gerusalemme, già allora, anziché Tel Aviv. Se Enrico Berlinguer impiegò anni per ammettere che si sentiva più al sicuro sotto l'ombrello della Nato piuttosto che tra i carri armati del Patto di Varsavia, Marcello Foa e il suo maestro Montanelli non avevano mai avuto dubbi sul fatto che niente di buono potesse venire, per l'Occidente, da un'oligarchia sedicente comunista che aveva soppresso sul nascere i primi vagiti democratici della Russia, cambiando semplicemente look all'antico dispotismo zarista. L'eroico sacrificio dell'Unione Sovietica, decisivo nell'abbattere il nazifascismo, non poteva Indro Montanellicancellare né i Gulag di Stalin né l'esilio di Aleksandr Solženicyn. Era fatto di certezze, il mondo di Foa e Montanelli: la libertà (inclusa quella d'impresa) come fondamento irrinunciabile di qualsiasi comunità civile degna di chiamarsi democratica.
Ed è questo che rende Foa insopportabile al potere economico di oggi, dove la libertà d'impresa cede il passo al dominio di immensi oligopoli finanziari globalizzati, privilegiati da legislazioni truccate come quelle dell'Unione Europea ordoliberista. È tanto più sgradevole e insidioso, Foa, perché non proviene – come invece molti anchorman televisivi – dalla contestazione giovanile del capitalismo: credeva, Foa, negli stessi valori professati dall'élite economica di un tempo, orientata pur sempre alla promozione della mobilità sociale, in sostanziale accordo con le forze sindacali dell'allora sinistra. Una dialettica anche aspra, ma vocata in ogni caso al miglioramento complessivo del sistema-paese. E mediata – sempre – dalla politica, letteralmente scomparsa dai radar italiani per 25 lunghissimi anni. Solo oggi, alla distanza, ci si mette le mani tra i capelli nel rivedere il film dell'euforia generale con la quale i cittadini avevano accolto il Trattato di Maastricht e, dieci anni dopo, l'ingresso nell'Eurozona disegnata dalle banche e governata dalla Bce con modalità feudali, imperiali, senza la supervisione di alcun controllo democratico. Succedeva negli anni in cui, con la caduta del Muro di Berlino benedetta da Gorbaciov, l'umanità si era illusa che il fantasma della guerra sarebbe stato semplicemente cancellato dalla storia del pianeta.
Magari fosse un comune complottista, Marcello Foa: sarebbe più comodo liquidarlo, come velleitario chiacchierone. Chi oggi gli promette guerra, invece, sa benissimo che l'ex caporedattore del "Giornale", nonché docente universitario, nonché feroce critico del sub-giornalismo odierno, è un vero e proprio disertore. Non era un eretico: lo è diventato negli ultimi anni, disgustato dallo spettacolo al quale è stato costretto ad assistere. Per questo, al di là del reale potere che gli conferisce la carica di presidente Rai, Marcello Foa rappresenta un vero pericolo, per i malintenzionati che oggi gli danno del traditore. Nell'Italia corporativa delle caste, ha osato "sparare" contro la sua – quella dei giornalisti – definendoli "stregoni della notizia", bugiardi L'ultimo saggio di Marcello Foae omertosi spacciatori di "fake news" di regime. E non c'è niente di peggio, per i servi, che l'ex schiavo che si libera delle catene: la sua rivolta personale, intellettuale, suona umiliante per chi si ostina a raccontare che la Terra è piatta, e che è il Sole a orbitarle attorno.
Chi l'avrebbe detto? Oggi l'Italia riesce incredibilmente a piazzare una persona autorevole, onesta e competente, alla guida della televisione pubblica. Marcello Foa non è infallibile: ma quando ha sbagliato – anche di recente, prendendo per buona la notizia di presunte istruzioni che il governo tedesco avrebbe impartito alla polizia, per enfatizzare il terrorismo "casereccio" targato Isis – non ha esitato ad ammetterlo, tempestivamente. Quanti, al suo posto, avrebbero avuto lo stesso coraggio? E ora, questo volto pulito del nostro giornalismo è alle prese con una sfida estremamente impegnativa. È davvero impossibile fare molta strada, in politica, se non si è almeno in parte ricattabili, e quindi controllabili, in quanto complici dell'apparato da cui si è stati promossi? Così almeno ebbe a..

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18 settembre 2018

“Il popolo si sta rivoltando contro le élite che lo hanno ingannato, il populismo non c’entra e ha anche una storia rispettabile”


Verso le elezioni di MidtermSecondo il filosofo il popolo si ribella contro le élite, non è populismo. «Lo spostamento a destra nasce dalla rivolta contro le istituzioni e le classi dominanti e in Europa accade lo stesso e anche peggio»
Linguista, filosofo, accademico, teorico della comunicazione e attivista politico: il prof. Noam Chomsky non avrebbe bisogno di presentazioni. Dopo aver trasformato radicalmente il mondo della linguistica con la sua teoria sulla grammatica generativo-trasformazionale negli anni ’50-‘60, ha continuato ad osservare la realtà e le dinamiche sociali con uno sguardo rivoluzionario, producendo analisi e saggi sui temi del potere, del consenso, della democrazia e del linguaggio. Nonostante nell’ultimo anno e mezzo – dopo l’elezione di Trump – abbia intensificato il suo calendario di appuntamenti e interviste, ha trovato comunque il tempo di rispondere ad alcune domande sullo scenario statunitense e sulle derive politiche in Europa.
Negli USA e in Europa stiamo assistendo ad un progressivo spostamento a destra di una grande fetta della classe lavoratrice. I media lo chiamano «populismo» ma non credo che questo sia il termine adatto. Da cosa è dipeso questo processo? Cosa dovrebbe fare la sinistra per recuperare terreno? 
Porrei la questione un po’ diversamente. I lavoratori si stanno rivoltando contro le élite e le istituzioni dominanti che li hanno puniti per una generazione. Oggi negli Stati Uniti, ad esempio, i salari reali sono inferiori rispetto a quando fu portato avanti l’assalto neoliberale a partire dalla fine degli anni ’70 – intensificandosi bruscamente sotto Reagan e Thatcher – con i prevedibili effetti sul declino del funzionamento di istituzioni formalmente democratiche. C’è stata una crescita economica e un aumento della produttività, ma la ricchezza generata è finita in pochissime tasche, per la maggior parte a istituzioni finanziarie predatorie che, nel complesso, sono dannose per l’economia. In Europa è accaduto più o meno lo stesso, in qualche modo anche peggio perché il processo decisionale su questioni importanti si è spostato sulla Troika che è un organismo non eletto. I partiti di centro-destra / centro-sinistra (democratici americani, socialdemocratici europei) si sono spostati a destra, abbandonando in gran parte gli interessi della classe lavoratrice. Ciò ha portato alla rabbia, alla frustrazione, alla paura e al capro espiatorio. Poiché le cause reali sono nascoste nell’oscurità, deve essere colpa dei poveri non meritevoli, delle minoranze etniche, degli immigrati o di altri settori vulnerabili. In tali circostanze le persone si arrampicano sugli specchi. Negli Stati Uniti molti lavoratori hanno votato per Obama, credendo nel suo messaggio di «speranza» e «cambiamento», e quando sono stati rapidamente disillusi, hanno cercato qualcos’altro. Questo è terreno fertile per demagoghi come Trump, che finge di essere la voce dei lavoratori mentre li indebolisce di volta in volta attraverso le brutali politiche anti-sindacali della sua amministrazione, che rappresenta l’ala più selvaggia del Partito Repubblicano. Non ha nulla a che fare con il «populismo», un concetto con una storia mista, spesso piuttosto rispettabile. Al tempo stesso ci sono reazioni costruttive, come le campagne di Sanders e Corbyn, avvenute sotto il rancoroso attacco delle élite dell’establishment, in particolare nel Regno Unito dove quest’ultimo è insolitamente violento. Per quanto riguarda il continente, DiEM25 (Democracy in Europe Movement 2025) è piuttosto promettente ma affronta ostacoli rilevanti.
Recentemente ha dichiarato che il Partito Repubblicano costituisce l’organizzazione più pericolosa che sia mai apparsa nella storia dell’umanità. Non crede che il Partito Democratico sia la causa principale della vittoria di Trump?
L’abbandono della classe operaia da parte dei democratici è stato un fattore significativo nella vittoria di Trump (nel collegio elettorale, con una minoranza del voto popolare), insieme ad altri fattori, come la riuscita repressione degli elettori da parte dei governi degli Stati repubblicani, che ora si sta intensificando con il sostegno della Corte Suprema più reazionaria della storia. Ma questo non cambia il fatto molto chiaro e inequivocabile, per quanto inesprimibile possa essere, che il Partito Repubblicano sia l’organizzazione più pericolosa della storia umana. Persino Hitler non dedicò i suoi sforzi ad indebolire la prospettiva dell’esistenza umana organizzata nel prossimo futuro. E con piena consapevolezza di ciò che stanno facendo. Trump, ad esempio, crede fermamente nel riscaldamento globale. Recentemente ha chiesto al governo irlandese il permesso di costruire un muro per proteggere il suo campo da golf dall’innalzamento del livello del mare, invocando i pericoli del riscaldamento globale. Oppure prendiamo in considerazione Rex Tillerson, considerato «l’adulto della situazione», così sano di mente da non durare a lungo nel gabinetto di estrema destra di Trump. Era diventato un alto funzionario di ExxonMobil alla fine degli anni ’80 (in seguito CEO), quando il riscaldamento globale divenne un problema pubblico con la ben pubblicizzata testimonianza di James Hansen del 1988 sulle minacce estreme. Sulla sua scrivania, Tillerson aveva i rapporti dei suoi scienziati, risalenti a molti anni prima, che avvertivano dei terribili effetti del riscaldamento globale. Non appena le minacce hanno raggiunto l’opinione pubblica, la società ha iniziato a versare fondi nel negazionismo, continuando, al momento, a sviluppare nuovi modi per distruggere l’ambiente. Riesci a pensare ad una parola per un simile comportamento, in qualsiasi lingua? Io no. Se non per l’incapacità di vedere la situazione per quella che è.
Bernie Sanders potrebbe rappresentare un’alternativa concreta e credibile al Partito Repubblicano e ai tradizionali candidati democratici?
La caratteristica realmente degna di nota della campagna elettorale del 2016 non è stata l’elezione di un miliardario, con un’enorme quantità di finanziamenti, in particolare nelle fasi cruciali della campagna, e con un enorme supporto mediatico (Fox News è praticamente un organo dell’ala destra del Partito repubblicano, ed i talk radiofonici, con un pubblico enorme, sono stati da tempo rilevati da aziende di estrema destra). La caratteristica davvero degna di nota è stata la campagna di Sanders, che ha interrotto oltre un secolo di storia politica americana nel quale la vittoria elettorale poteva essere prevista con notevole precisione, anche per il Congresso, considerando la semplice variabile della spesa per le campagne elettorali. Sanders era quasi sconosciuto, è stato scartato o ridicolizzato dai media, non ha ricevuto fondi dai grandi capitali e dalla ricchezza privata, e ha persino usato la parola «socialismo», una parola spaventosa negli Stati Uniti, a differenza di altre società. In effetti, le sue politiche «socialiste» non avrebbero sorpreso il presidente Eisenhower, un conservatore vecchio stile, ma con lo spostamento a destra dello spettro politico negli anni neoliberali, sembravano rivoluzionarie, tranne che per l’opinione pubblica, che in gran parte supporta le sue politiche spesso con ampi margini, come i sondaggi regolari mostrano. Sanders avrebbe potuto vincere benissimo la nomination democratica se non fosse stato per le macchinazioni dei dirigenti del partito Obama-Clinton. È emerso come la figura politica più popolare nel Paese. Le propaggini della sua campagna, combinandosi con altre, stanno diventando una forza significativa, nonostante l’ostilità dei media e la forte opposizione dei centri del potere economico, che sono solitamente decisivi nel determinare i risultati elettorali e la formazione politica, come dimostrato da un ampio lavoro accademico in scienze politiche. La vera domanda è se gli Stati Uniti possano diventare una democrazia funzionante, che si avvicina agli slogan di uso comune: «di, da, e per le persone».
Le stesse domande possono essere poste in Europa.
Fabrizio Rostelli

Visto su: comedonchisciotte.org

13 settembre 2018

Bavaglio al web in Europa: ce l’hanno fatta, ora sarà legge

Bavaglio al web: alla fine ce l'hanno fatta. Il Parlamento Europeo ha dato il via libera alla proposta di direttiva sui diritti d'autore nel mercato unico digitale. La proposta sul copyright avanzata da Axel Voss è stata adottata con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni, modificando leggermente i contestatissimi articoli 11 e 13, che furono bersaglio – a luglio – di una rumorosa campagna a favore della libertà di Internet. L'articolo 11, ricorda il "Corriere della Sera", è quello che coinvolge anche la stampa e introduce l'obbligo del pagamento, da parte delle piattaforme come Google e Facebook, per l'utilizzo delle notizie, anche sotto forma di "snippet", l'anteprima formata da titolo, sommario e immagini che i motori di ricerca catturano automaticamente. «Quindi: non si tratta più di riconoscere solo i diritti dell'intero testo, ma anche della sua presentazione online, che spesso è l'unica a essere consultata dai lettori». L'articolo 13 introduce invece l'obbligo per le piattaforme di mettere dei filtri per bloccare il caricamento dei contenuti protetti. YouTube, ad esempio, sarà direttamente responsabile delle copie e degli spezzoni pirata che vengono caricati dagli utenti. Il via libera della plenaria (arrivato il 12 settembre) apre ora la strada ai negoziati con il Consiglio.
«Con la scusa della riforma del copyright, il Parlamento Europeo ha di fatto legalizzato la censura preventiva. Una pagina nera per la democrazia e la libertà dei cittadini», protesta Isabella Adinolfi, europarlamentare 5 Stelle. «Il testo approvato oggi Antonio Tajanidall'aula di Strasburgo contiene l'odiosa "link tax" e filtri ai contenuti pubblicati dagli utenti. È vergognoso, ha vinto il partito del bavaglio». Purtroppo, aggiunge la Adinolfi, sono stati respinti tutti gli emendamenti che il Movimento 5 Stelle aveva presentato, «in particolare l'articolo 11, che prevede l'introduzione della cosiddetta "link tax", e il 13, che mira a introdurre una responsabilità assoluta per le piattaforme, nonché un meccanismo di filtraggio dei contenuti caricati dagli utenti», conclude. Che tirasse brutta aria, a Strasburgo, lo si capiva dalle premesse, anticipate di prima mattina dal "Blog delle Stelle": «L'Europa dei banchieri e dei lobbisti ha scelto la sua preda: il web libero. Anziché scardinare i paradisi fiscali e salvare in modo serio il diritto d'autore, il Parlamento Europeo rischia di usare il copyright come una mannaia dei diritti dei cittadini».
Non sono in pochi a ritenere che la riforma – avanzata nel 2016 dall'allora commissario Ue alla Digital Economy Günther Oettinger – potrebbe «distruggere Internet per come lo conosciamo». Per gli europarlamentari rappresentati da Julia Reda, relatrice per il Parlamento Europeo del dossier sulla riforma del copyright e membro del Partito Pirata tedesco, «il progetto limita la libertà di espressione online e mette in difficoltà i piccoli editori e le startup innovative». Di fatto, il divieto di citare liberamente le fonti (con l'introduzione della "link tax") equivale alla censura preventiva sul web: fine della libera circolazione di contenuti, come finora è stato nella Rete. Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, punta il dito contro lo stesso Oettinger, il tedesco secondo cui sarebbero stati "i mercati" a "insegnare agli italiani come Günther Oettingervotare". Proprio quell'Oettinger, dice Magaldi, milita nei circuiti supermassonici reazionari che hanno trasformato l'Ue in un mostro giuridico, gestito da tecnocrati al soldo di interessi privatistici che mirano a svuotare le democrazie e privatizzare Stati non più sovrani, a cui viene impedito di investire (sotto forma di deficit) per creare occupazione.
Comunque lo si legga, l'attacco al web finisce per colpire uno strumento di comunicazione potentissimo, cercando di riportarlo sotto il completo controllo dei media mainstream, spesso protagonisti di un uso pressoché criminale di autentiche "fake news". Il voto del Parlamento Europeo è stato salutato con soddisfazione da Antonio Tajani, coinvolto – secondo il saggista Gianfranco Carpeoro – nell'operazione che ha portato (premendo su Berlusconi) a bloccare la nomina, alla presidenza della Rai, di Marcello Foa, autorevole giornalista, autore del volume "Gli stregoni della notizia", che smaschera le tante imposture del mainstream. Secondo Carpeoro, la manovra anti-Foa è nata dalle parti dell'Eliseo: Jacques Attali (mentore di Macron ed esponente della superloggia reazionaria "Three Eyes") si sarebbe rivolto al massone Tajani e poi allo stesso Berlusconi, dopo essersi consultato con Giorgio Napolitano, che nel libro "Massoni" lo stesso Magaldi presenta come esponente della "Three Eyes", la medesima Marcello Foasuperloggia nella quale milita Attali, contigua al mondo supermassonico di cui fa fa parte, da molti anni, il tedesco Oettinger, vero e proprio "architetto" del bavaglio europeo imposto al web.
E' noto a tutti che le oligarchie al potere, in Europa e non solo, hanno sviluppato un'enorme diffidenza nei confronti della Rete: un network che si ritiene abbia avuto un ruolo assai rilevante in tutti i "dispiaceri" che gli elettori hanno rifilato, negli ultimi anni, all'establishment – la Brexit e il referendum di Renzi, quindi l'elezione di Trump e infine il boom dei "gialloverdi" in Italia. «Se Grillo vuole fare politica fondi un partito, se ne è capace», disse Piero Fassino, non immaginando che l'ex comico non solo ce l'avrebbe fatta, ma sarebbe finito praticamente al governo, scalzando il Pd. Il Movimento 5 Stelle è stato creato proprio via web, a partire dalle candidature. Colpire il web in Europa, proprio oggi, significa predisporre contromisure in vista delle elezioni europee 2019, in cui i grandi poteri economici e oligarchici che si nascondono dietro la tecnocrazia Ue temono l'exploit dei partiti "sovranisti" e "populisti", o meglio democratici. Mentre le televisioni sono letteralmente "militarizzate" dall'establishment, le vendite dei giornali sono in caduta libera. Ecco dunque la necessità, per gli oligarchi, di silenziare in ogni modo il web.

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09 settembre 2018

L'effetto Streisand e Claudio Messora



L'effetto Streisand ha colpito ancora, e questa volta a beneficiarne è stato Claudio Messora. Per "effetto Streisand" si intende quel fenomeno per cui il tentativo di affossare o sopprimere una verità scomoda non fa che diffonderne maggiormente la sua conoscenza, provocando così un risultato opposto a quello desiderato. Guardate questo video, nato in relazione al recente attacco a Messora da parte del Corriere, e capirete cosa voglio dire.
Il termine "effetto Streisand" venne coniato nel 2003, quando l'attrice americana Barbara Streisand cercò di bloccare la pubblicazione in rete di una foto della sua villa sulle coste di Malibu, in California. [...]

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20 agosto 2018

Julia Reda: il 26 agosto Copyright Action Day

Julia Reda: il 26 agosto Copyright Action Day

Un mese fa abbiamo fatto la storia: abbiamo stoppato una legge che avrebbe massicciamente ristretto la nostra libertà di espressione, e abbiamo inflitto a potenti lobby una "sconfitta senza precedenti". Grazie per aver contribuito a rendere tutto ciò possibile!

Abbiamo fermato il treno, ma il lavoro non è ancora finito: ora dobbiamo rimetterlo sui binari giusti.

Il giorno della decisione: 12 settembre
Il 12 di settembre il Parlamento deciderà su come procedere con la direttiva sul copyright. Le proposte possono essere inviate fino al 5 settembre.

Il nostro obiettivo è chiaro: il Parlamento deve adottare delle alternative per l'Articolo 11 e l'Articolo 13. Non si devono costringere le piattaforme ad installare filtri in upload e non si deve mettere il copyright sui link e gli snippet.

E bisogna anche ribaltare la pessima decisione della Commissione Affari Legali: con un singolo voto, la Commissione ha deciso di non adottare eccezioni per i contenuti generati dagli utenti (remix, doppiaggi o fan fiction), e non ha espressamente chiarito che linkare non è un'infrazione al copyright. Al contrario, ha richiamato gli organizzatori di eventi sportivi a garantire protezione al copyright, cosa che potrebbe rendere illegale anche le foto postate dai tifosi durante le partite (Emendamento 76). È stato anche proposto di richiedere ai motori di ricerca per immagini di acquistare costose licenze per permetterci di trovare immagini sul web (Emendamento 79).

Io lavorerò per raggiungere questi obiettivi nel Parlamento Europeo, con i nostri alleati. Nel frattempo, le persone là fuori possono comunque supportarci.

Il giorno dell'azione: 26 agosto
Non abbiamo ancora vinto. Dopo lo shock iniziale di aver perso nella votazione di Luglio, i proponenti dei filtri in upload e della tassa sui link sono tornati alla carica con una narrazione più accattivante per sgonfiare l'opposizione di massa che hanno dovuto fronteggiare.


Sostengono che la campagna era un fake, generato da bot e orchestrato dalle grandi aziende di Internet. Secondo loro, agli europei non interessa davvero la libertà d'espressione. Le leggi europee non ci interessano abbastanza da far sentire le nostre voci. Resteremo semplicemente immobili mentre il nostro Internet viene ristretto per salvaguardare interessi di parte.

Ma le persone in tutta Europa sono pronte a dimostrare il contrario: porteranno la protesta nelle strade. Se arriveremo ad 1 milione di firme online contro i filtri in upload e la tassa sui link, non potranno più ignorare l'opposizione. Questo il messaggio:

1 milione

Unisciti a noi Domenica 26 agosto in una città vicino a te. Vari gruppi (partiti locali, associazioni e individui) si stanno organizzando in tutta Europa.

Se sei a conoscenza di una protesta nella tua città o sei in grado di organizzare una, avverti il mio team, e aggiungeremo l'evento alla mappa. E non dimenticare di chiamare i politici tuoi connazionali che hanno votato contro la riforma, così come i media locali!

Io condividerò via Facebook e Twitter le località e i momenti della protesta, appena ne verrò a conoscenza.

Io sarò a protestare a Berlino. E tu?


See full screen

Fonte: www.partito-pirata.it

09 agosto 2018

L’intervista di Paul Craig Roberts all’American Herald Tribune


AHT: Lei crede che nessun accordo con Washington possa essere ritenuto degno di fiducia; che cosa ci insegna la storia a questo proposito?
PCR: C’è una maglietta con la scritta: “Certo che puoi fidarti del governo, chiedi agli Indiani.” Alcuni governi sono più degni di fiducia di altri. Reagan, per esempio, aveva detto che avrebbe posto termine alla stagflazione e lo ha fatto. Reagan avevava detto che avrebbe terminato la guerra fredda e lo abbiamo fatto. Eisenhower ci aveva messo in guardia sul pericolo che rappresentava per la democrazia il complesso militare industriale, e noi abbiamo ignorato l’avvertimento.
Sembra che, quando c’è la possibilità di ritagliarsi grosse fette di potere e il governo è nelle mani di persone che perseguono programmi politici occulti, questi programmi vengono portati avanti con l’inganno. Per esempio, la “guerra al terrore” è in realtà una guerra contro quei paesi mussulmani che hanno una politica estera indipendente dai voleri di Washington e di Israele; è una guerra alle libertà civili degli Stati Uniti, ma è anche una guerra a quelle nazioni del Medio Oriente che ostacolano l’espansionismo territoriale di Israele. Ma Washington finge che sia una “guerra per la democrazia,” una “guerra per la libertà dal terrorismo, “ ecc.
I Russi hanno imparato, o avrebbero dovuto farlo, che, per Washington, nessun accordo è significativo. Quando la Russia aveva acconsentito alla riunificazione della Germania, le era stato promesso che la NATO non si sarebbe spostata di un centimetro verso est, ma l’amministrazione Clinton ha portato la NATO fino alla frontiera con la Russia. L’amministrazione Bush ha buttato nel cesso il trattato Anti-ABM e la Russia è ora minacciata dalle batterie dei missili antibalistici che si trovano a ridosso dei suoi stessi confini.
Non bisogna sforzarsi troppo per vedere che la parola di Washington, nella maggior parte dei casi, non vale nulla.
AHT: Perchè chiama gli stati europei “vassalli?” Quali sono i costi per gli Europei?
PCR: Tutta l’Europa, il Canada, la Gran Bretagna, l’Australia, il Giappone e la Corea del Sud sono vassalli di Washington. Ad essi non è consentito avere una politica estera o economica indipendente. L’Europa, per sempio, non ha nessun interesse a mettersi in conflitto con la Russia, ma è costretta a farlo da Washington. La NATO, l’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, che, dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica non aveva più scopo di esistere, serve ora come copertura ai crimini di guerra di Washington in Medio Oriente, in Serbia e in Nord Africa. Tutti i leaders europei, con l’eccezione di Charles de Gaulle, [hanno servito e] servono Washington, non i loro popoli. Nessuno dei vassalli di Washington è uno stato sovrano. Se, per esempio, la Francia fosse uno stato sovrano, sarebbe una decisione tutta francese permettere, o no, che una banca francese presti denaro alle aziende che intrattengono attività commerciali con l’Iran. Ma la Francia non è uno stato sovrano e il maggiore istituto di credito francese è stato costretto a pagare miliardi di dollari di penale a Washington per aver finanziato società che facevano affari con l’Iran. Un altro esempio è quello dei cantieri navali francesi che avevano un contratto con la Russia per la costruzione di navi militari, navi che non hanno potuto consegnare per l’opposizione di Washington. Più o meno una settimana fa, il governo tedesco è stato informato da Washington che, se avesse collaborato con la Russia alla costruzione del gasdotto Nord-Stream 2, sarebbe stato colpito da sanzioni.
Gli esempi sono infiniti.
AHT: Lei ha più volte criticato la Russia per aver cercato di blandire Washington; crede che Russia voglia scendere a compromessi?
PCR: Non ho mai criticato la Russia per aver offerto l’altra guancia nel tentativo di raggiungere un accordo con Washington. Rispetto i tentativi della Russia per evitare la guerra. Mi sono chiesto se questi sforzi siano in grado di evitare una guerra o se invece rischino di provocarla. Ho espresso la preoccupazione che la grande resistenza di Putin agli insulti ed alle provocazioni finisca con l’attirarne ancora di più, fino al punto che l’unica alternativa rimasta alla Russia sarebbe la guerra. Ho suggerito che, forse, un atteggiamento più fermo da parte della Russia manderebbe un messaggio di allarme all’Europa sull’aggressività di Washington e potrebbe costringere gli Europei ad adottare nei confronti della Russia una politica più indipendente, che ridurrebbe le probabilità di un conflitto armato.
AHT: Riuscirà la Russia a stare in bilico fra Iran ed Israele, in Siria?
PCR: Se il governo russo non riuscirà a capire che la politica di Washington in Medio Oriente è determinata da Israele, allora il governo russo è completamente fuori di testa. Israele vuole destabilizzare la Siria e l’Iran perché queste due nazioni sostengono gli Hezbollah, la milizia libanese che ha frustrato per ben due volte i tentativi israeliani di occupare il Libano meridionale. Israele vuole le risorse idriche di quella regione. Se Israele riuscisse ad utilizzare l’esercito americano per togliere di mezzo i propri avversari, porterebbe avanti il suo progetto senza incontrare ostacoli.
Il governo russo si rende sicuramente conto che un Iran destabilizzato è una minaccia per la Russia anche più grande di una Siria destabilizzata.
AHT: In una sua frase famosa lei ha detto: “La Russia potrà entrare a far parte dell’Occidente solo se si arrenderà all’egemonia di Washington.” Ce la può spiegare?
PCR: Gli Stati Uniti sono un impero che, come quello di Roma, tollera con molta difficoltà le nazioni indipendenti. Le basi della politica estera degli Stati Uniti erano state formulate nel 1991 dall’allora Capo del Pentagono Paul Wolfowitz. Conosciuta come “Dottrina Wolfowitz” (reperibile su Internet), definisce come scopo principale della politica americana la prevenzione della crescita di qualsiasi nazione, in modo particolare della Russia, che possa in qualche modo ostacolare l’unilateralità di Washington. La Dottrina Wolfowitz è pienamente in vigore ed è la ragione per cui la Russia e il suo presidente sono stati demonizzati con oltraggiose bugie e false accuse, fin da quando la Russia aveva bloccato la prevista invasione della Siria (voluta da Obama) e il bombardamento dell’Iran. I Neoconservatori sono furiosi perché la Russia (e la Cina) hanno raggiunto un livello militare tale che permette loro, uniche nazioni al mondo, di non doversi piegare ai voleri di Washington.
AHT: Qual’è il modo migliore per trattare con gli Stati Uniti?
PCR: Il modo migliore per Russia, Cina, Iran e Corea del Nord di trattare con Washington è ignorare Washington e andare per la propria strada. Devono sganciarsi completamente dai sistemi occidentali che vengono usati per tenerli sotto controllo, dal sistema di compensazione SWIFT, dall’Internet con i server in America, dall’uso del dollaro americano come moneta di riserva, dal pareggio di bilancio nelle banche occidentali, dall’accettazione, all’interno dei propri confini, delle ONG finanziate dall’Occidente, dei media di proprietà straniera, dei capitali e delle banche occidentali nella propria economia. La maggior parte di questi avvertimenti riguarda la Russia e la Cina. La Corea del Nord è un paese chiuso, ma l’Iran è parzialmente aperto, come si è potuto vedere alcuni anni fa dai tentativi, sponsorizzati dagli Stati Uniti, di dar vita ad una “Rivoluzione Verde.”
Se volete sapere la verità, la propaganda americana è stata, fin dalla Seconda Guerra Mondiale, la forza più di successo in tutto il mondo. In tutte le nazioni, con l’eccezione forse della Corea del Nord, ci sono persone, compresi gli uomini politici, che credono alla propaganda americana. Vogliono solo copiare i successi magnificati dalla propaganda americana.
AHT: Lei ha scritto in precedenza: “Il problema di Washington con l’Iran non è mai stato il programma nucleare iraniano.” Allora, qual’è?
PCR: Washington ha due problemi con l’Iran. Il primo è che l’Iran è una nazione sovrana che contrasta la politica degli Stati Uniti. L’altro problema è che l’Iran è sulla strada di Israele. L’Iran sostiene gli Hezbollah e gli Hezbollah impediscono ad Israele l’annessione del Libano meridionale.
AHT: Una settimana prima della firma dell’accordo sul nucleare iraniano lei aveva scritto: “Il finto problema del nucleare serve a mascherare l’intenzione di Washington di abbattere l’indipendenza dell’Iran; finora il governo e i media iraniani hanno seguito le indicazioni di Washington e dei suoi organi di stampa venduti nell’accettare come vera una questione in realtà fittizia. Se l’Iran sopravviverà, sarà un miracolo.” Crede ancora che l’Iran abbia commesso un errore firmando l’accordo? E’ cambiato qualcosa da allora?
PCR: Non ho detto che l’Iran aveva fatto un errore firmando l’accordo. Indubbiamente, l’Iran non aveva scelta. Se l’Iran non avesse firmato il trattato avrebbe gettato al vento la protezione fornitagli dalla Russia. Avevo semplicemente avvertito l’Iran sul fatto che Washington non avrebbe tenuto fede agli accordi e ne sarebbe uscita il più in fretta possibile. Evidentemente avevo ragione. Una delle prime azioni di Trump è stata proprio quella di ritirarsi dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano e minacciare di sanzioni gli altri firmatari, se non si fossero anch’essi ritirati dell’accordo.
Nel caso dell’Iran, Trump fa gli interessi di Israele, che lo comanda a bacchetta. Ogni persona sulla Terra con un minimo di cognizione sa che l’Iran non ha un progetto per la costruzione di armi atomiche e che, anche secondo la CIA, ha rinunciato molti anni or sono ad un simile programma di armamento. L’Iran ha tenuto fede agli accordi che ha firmato. Sono gli Stati Uniti che si sono rifiutati di farlo. Il problema è se Gran Bretagna, Francia e Germania staranno ai patti o faranno il contrario, così come ordinato da Washington. E’ chiaro che Russia e Cina, a meno che i loro due governi non impazziscano, terranno fede all’accordo.
AHT: Che suggerimenti pratici darebbe agli Iraniani per controbilanciare il ritiro statunitense dall’accordo?
PCR: La mia risposta a questa domanda è praticamente identica a quella di una domanda precedente: l’Iran dovrebbe sganciarsi completamente dall’Occidente.
L’Iran dovrebbe perseguire accordi di cooperazione militare con l’alleanza russo-cinese. L’Iran dovrebbe usare gli introiti petroliferi per i servizi sociali di base dei suoi cittadini e per investimenti in Russia, Cina e, tramite la Cina, nelle altre economie asiatiche. L’Iran dovrebbe capire che il credo religioso è una questione interna della nazione, che non va esportato e dovrebbe concentrarsi sul compito di rendere l’Iran un paese felice. Visto che è sotto attacco da parte degli Stati Uniti e di Israele, l’Iran ha assolutamente bisogno del sostegno della sua gente e questo significa che l’Iran non può essere governato come l’America e non può permettersi una politica che favorisca solo i ricchi e i benestanti.
L’Iran, come la Russia, sta cercando di creare una popolazione moralmente elevata, immune alla depravazione dell’Occdente.
Il problema è se i Russi e gli Iraniani potranno resistere alla dissolutezza dell’Occidente e segnare la via per il futuro.
Paul Craig Roberts
Fonte: ahtribune.com

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

01 agosto 2018

La rivoluzione della verità: Marcello Foa alla guida della Rai

Marcello FoaChe succede, se diventa presidente della Rai l’uomo che più di ogni altro, in Italia, ha denunciato le malefatte quotidiane degli “stregoni della notizia”? E’ semplicemente favolosa, infatti, la nomina di Marcello Foa nel Cda di viale Mazzini, caldeggiata dalla Lega e appoggiata dai 5 Stelle. Gli “stregoni” ovviamente sono già al lavoro: da quelli de “L’Espresso”, querelato da Foa per aver insinuato che il grande giornalista possa aver avuto un misterioso ruolo nella presunta sparizione in Svizzera del “tesoro-fantasma” del Carroccio, all’Enrico Mentana che, a caldo, in prima serata al Tg de La7, ha presentato Foa – liberale, anticomunista e noto estimatore di Trump – come un intellettuale “non amico” degli Usa. Un benvenuto a colpi di “fake news”, dunque, per il giornalista italiano, allievo di Indro Montanelli, che dal suo blog sul “Giornale” ha additato senza esitazioni le notizie false spacciate regolarmente per vere dai media mainstream a reti unificate. Notizie pesanti: dalle armi chimiche in Siria (mai usate da Assad contro i civili) alla foto straziante del bambino messicano in lacrime, presentato come profugo separato ferocemente dai genitori per colpa del perfido Trump, pur essendo invece solo un piccolo attore, impegnato in una drammatica performance di protesta in Texas. Marcello Foa alla guida della Rai? L’impossibile, che diventa possibile: qualcuno finalmente comincerà a dire che “il re è nudo”, e lo farà dagli studi dal Tg1?
Ha un che di destabilizzante e rivoluzionario, la decisione di Salvini e Di Maio. Obiettivo evidente: coprire le spalle al governo gialloverde, sottoposto al fuoco di sbarramento del sistema televisivo, pilotato dal vecchio establishment per il quale la verità è solo una variabile del copione. La nomina di Foa piomba come un ordigno nucleare su una palude maleodorante di telegiornali bugiardi e reticenti, di talkshow orwelliani infestati di testimonial unilaterali del calibro di Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, presentati come marziani super-partes paracadutati, loro malgrado, fra le disgrazie “neo-sovraniste” dell’Italietta gialloverde. Lo stesso Mentana – piazzato da Craxi al Tg2 e poi approdato a Mediaset prima di finire a La7 – liquida con irridente sarcasmo i poveri fessi che ancora non credono alla versione ufficiale dell’11 Settembre, cioè la madre di tutte le “fake news” – la peggiore e più sanguinosa, la più gravida di orrori per il resto dell’umanità, letteralmente travolta da un quindicennio di guerre devastanti, organizzate da una propaganda che ha presentato il massone Osama Bin Laden, socio dei Bush e giù uomo Cia in Afghanistan, come una specie di cavernicolo anti-Usa. Da Al-Qaeda all’Isis, dall’Iraq alla Siria fino alla catena di spaventosi attentati “false flag” in Europa: mai un brandello di verità, da Mentana e soci, sulla strategia della tensione finto-islamista che ha indotto la Francia a sigillare col segreto di Stato (segreto militare) le indagini su Charlie Hebdo, dopo la “triangolazione delle armi” emersa a collegare il commando Isis ai servizi segreti.
Dal 2001, il pubblico occidentale è stato sistematicamente inondato di menzogne e “fake news” di regime, propagandate dai governi, senza che i giornalisti delle principali testate abbiano opposto la minima resistenza civile, professionale e intellettuale. Se i reporter avessero fatto onestamente il loro mestiere, accusa un grande del giornalismo anglosassone come Seymour Hersh, Premio Pulitzer, non avremmo dovuto seppellire così tante vittime innocenti. Poi, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato: non grazie ai giornalisti, ma malgrado loro. Gli inglesi hanno votato la Brexit e gli americani hanno eletto Trump nonostante i media fossero tutti schierati per il Remain e per la Clinton. Nel suo piccolo, l’Italia si è sbarazzata di Renzi con il referendum sulla riforma costituzionale, supportata a reti unificate da giornali e televisioni. Peggio: contro il sistema mainstream ancora allineato al vecchio ordine politico (Obama e Merkel, Draghi e Mattarella) gli elettori italiani hanno scelto i 5 Stelle e la Lega, che infine hanno trovato il coraggio di un compromesso di governo. Fino al punto, oggi, di insediare alla guida della Rai un cavallo di razza come Foa, alle prese con una missione incredibile: rompere il muro di omertà mediatica, spezzare il coro delle finte notizie e cominciare a raccontare, finalmente, la verità.

26 luglio 2018

Trump è un traditore perché vuole la pace con la Russia?


Il Partito Democratico americano preferisce portare il mondo verso una guerra termo-nucleare piuttosto che ammettere che Hillary Clinton ha perso le elezioni in maniera equa. Il PD è stato completamente corrotto dal regime dei Clinton, ed ora è totalmente impazzito. I leader del partito, come Nancy Pelosi e Chuck Schumer, mio ex co-autore al New York Times, hanno risposto in modo non democratico al primo passo che Trump ha intrapreso per ridurre le tensioni con la Russia, tensioni che i regimi Clinton, George W. Bush ed Obama hanno creato tra le due superpotenze.
Sì, la Russia è una superpotenza. Le sue armi sono così superiori alla spazzatura prodotta dal military/security complex americano, che la nostra al confronto è una potenza militare di seconda classe. Se folli neocon, come Max Boot, William Kristol ed altra feccia si faranno strada, Europa, Regno Unito e Stati Uniti saranno una rovina radioattiva per migliaia di anni.
La leader Democrat alla Camera, Nancy Pelosi (California), leader dell’opposizione alla Camera dei Rappresentanti, ha dichiarato che, per paura di una non ben definita punizione da parte di Putin, forse un dossier, il presidente USA ha venduto il popolo americano alla Russia perché vuole la pace: “Si pone la domanda: cos’hanno Putin ed i russi su Trump, personalmente, politicamente e finanziariamente, per il quale si comporta in questo modo?”. Il “questo modo” è voler siglare la pace invece che la guerra.
In pratica, la Pelosi ha accusato Trump di alto tradimento contro gli Stati Uniti. Non s’è levata alcuna protesta contro questa accusa totalmente priva di prove. I media presstitute, al contrario, strombazzano l’accusa come verità evidente. Trump è un traditore perché vuole la pace con la Russia.
Ecco il senatore democratico Chuck Schumer (Stato di New York) che ripete la stessa falsa accusa: “Milioni di americani continueranno a chiedersi se l’unica spiegazione per questo pericoloso comportamento sia la possibilità che Putin abbia informazioni dannose su Trump”. Se pensate che tutto questo non sia stato orchestrato da Pelosi e Schumer, siete stupidi oltre ogni immaginazione.
Ecco cosa dice John Brennan, lo sciagurato direttore CIA sotto Obama, uno dei leader della bufala Russiagate: “La performance di Trump alla conferenza stampa di Helsinki pareggia e supera la soglia di ogni reato. È stato sovversivo. Non solo i suoi commenti sono stati idioti, è palesemente nel taschino di Putin. Patrioti repubblicani: dove siete???”.
E qui la BBC, totalmente a libro paga CIA: https://www.bbc.com/news/world-europe-44852812
NOTATE CHE NESSUN MEDIA OCCIDENTALE STA CELEBRANDO O RINGRAZIANDO TRUMP E PUTIN PER AVER ALLENTATO LE TENSIONI ARTIFICIALMENTE CREATE. COM’È POSSIBILE? COM’È POSSIBILE CHE I MEDIA OCCIDENTALI SIANO COSÌ CONTRO LA PACE? QUAL È LA SPIEGAZIONE?
I russi, i cinesi, gli iraniani ed i nordcoreani, così come il resto del mondo, dovrebbero notare la reazione estremamente ostile alla pace da parte del Partito Democratico americano, di molti membri del Partito Repubblicano, tra cui i deprecabili senatori Lindsey Graham e John McCain, e dei media presstituti occidentali, un branco di gente a libro paga CIA, secondo quanto rivelato dal giornalista tedesco Udo Ulfkotte e dalla CIA stessa.
Graham, McCain, Pelosi, Schumer ed il resto dell’immondizia corrotta che ci governa sono a libro paga del military/security complex. Basta indagare su chi ha finanziato le loro campagne di rielezione. Il budget di 1.000 miliardi di dollari del military/security complex, amplificato dalle corporations di facciata della CIA e dal business dei narcotici, fornisce enormi somme, con le quali comprare deputati e senatori, che gli ignoranti americani credono di eleggere.
Avete idea di quanti siano 1.000 miliardi? Dovreste contare ogni giorno tutti i giorni per migliaia di anni per raggiungere quella cifra. È una somma che i destinatari considerano meritevole di protezione.
Il pubblico americano non ottiene pertanto rappresentanza, solo menzogne ​​che giustificano conflitti e guerre. Il military/security complex, sul quale Eisenhower mise invano in guardia il proprio popolo, ha un disperato bisogno di un nemico. In obbedienza, i regimi di Clinton, George W. Bush ed Obama hanno reso la Russia tale. Se Trump e Putin non lo capiscono, saranno facilmente marginalizzati.
Potrebbero essere entrambi assassinati: a questo puntano le dichiarazioni di Graham, McCain, Pelosi, Schumer ed altri, ripetuti all’infinito da quel Ministero della Propaganda che è la stampa occidentale. Trump può essere assassinato o rovesciato per aver venduto l’America alla Russia, come affermano i membri di ambo i partiti e come i media strombazzano all’infinito. Putin può essere facilmente assassinato da quegli agenti CIA ai quali il governo russo ingenuamente permette di operare in tutta la Russia; non solo sono nelle ONG e nei media di proprietà occidentali, ma anche tra gli Integrazionisti Atlantisti, la Quinta Colonna di Washington in Russia che serve gli scopi americani. Questi traditori si trovano nel governo di Putin!
Gli americani non hanno idea di che rischio Trump stia correndo a sfidare il military/security complex. Per farvelo capire, racconterò la mia esperienza. Nella seconda metà degli anni ’70 ero un membro dello staff del Senato americano. Stavo lavorando con un membro dello staff del Senatore Repubblicano S. I. Hayakawa, della California: l’obiettivo era trovare un rimedio alla stagflazione che minacciava la capacità del budget USA di soddisfare i propri obblighi. I senatori repubblicani Hatch, Hayakawa e Roth stavano cercando di introdurre una politica economica dal lato dell’offerta. I Democrat, che in seguito al Senato aprirono la strada ad una mossa del genere, erano, a quel tempo, contrari (vedasi Paul Craig Roberts, The Supply-Side Revolution, Harvard University Press, 1984). Sostenevano che la politica avrebbe peggiorato il deficit di bilancio, l’unica volta in quei tempi in cui se ne sono preoccupati. Dicevano che avrebbero sostenuto le riduzioni dei tassi d’imposta se i Repubblicani avessero appoggiato tagli al bilancio per sostenere un bilancio in pareggio. Fu uno stratagemma per mettere il GOP in difficoltà, per aver preso finanziamenti da alcuni gruppi per “tagliare le aliquote fiscali a favore dei ricchi”.
La politica sul lato dell’offerta non richiedeva tagli al budget; per dimostrare però la mancanza di sincerità dei Dems, gli aiutanti di Hayakawa ed io facemmo sì che i nostri senatori introdussero una serie di tagli al bilancio assieme a riduzioni delle tasse che mantenevano il bilancio in pareggio; ogni volta i democratici votarono contro.
Quando la combinazione di tagli alle tasse e tagli al bilancio della Difesa passò per un voto, il leggendario senatore Strom Thurmond, un 48enne senatore della Carolina del Sud, mi diede un colpetto sulla spalla. Mi disse: “ragazzo, non mettere mai il tuo senatore contro il military/security complex. Lui non verrà rieletto, e tu sarai senza lavoro”. Risposi che stavamo solo stanando i Democratici, che, di solito favorevoli a più governo, avrebbero votato per una riduzione dell’aliquota fiscale, anche se forse avrebbe posto rimedio alla stagflazione. Rispose: “ragazzo, al military/security complex non importa”.
La mia fuoriuscita dalla Matrix iniziò con la pacca sulla spalla di Thurmond. Crebbe poi ai tempi del Wall Street Journal, quando imparai che alcune verità semplicemente non potevano essere dette. Al Tesoro, sperimentai come questi interessi esterni, opposti alle politiche di un presidente, schierino le proprie forze ed i media di loro proprietà per bloccarlo. In seguito, come membro di un comitato presidenziale segreto, vidi come la CIA tentò di impedire a Reagan di porre fine alla Guerra Fredda.
Oggi, proprio ora, in questo momento, ci troviamo di fronte ad un massiccio sforzo del military/security complex, dei neocon, del Partito Democratico e dei media presstitute per screditare e rovesciare il Presidente eletto. La corrotta élite che governa l’America vuole continuare a mantenere il potere e proteggere il massiccio bilancio del military/security complex, che, assieme alla lobby israeliana, finanzia le elezioni di chi ci governa. Trump, come Reagan, è un’eccezione; sono proprie le eccezioni che accendono le ire della sinistra, corrotta e venduta, e dei media, concentrate in ristretti gruppi, debitori verso coloro che hanno permesso l’illegale concentrazione di media americani un tempo diversificati ed indipendenti, che un tempo servivano, all’occasione, come cane da guardia contro il governo. La destra, avvolta nella bandiera, respinge ogni verità come “anti-americana”.
Se Putin, Lavrov, il governo russo, la Quinta Colonna russa – cioè gli Integrazionisti Atlantisti – i cinesi, gli iraniani, i nordcoreani pensano che qualsiasi pace o tentativo in tal senso possa venire dall’America, sono pazzi. Le loro illusioni li porterebbero alla distruzione. Non esiste un’istituzione in America, pubblica o privata, di cui ci si possa fidare. Qualsiasi governo o persona che si fidi dell’America o di qualsiasi altro paese occidentale è stupido oltre ogni immaginazione.
L’intera bufala del Russiagate è un’orchestrazione del military/security complex, guidato da Brennan, Comey e Rosenstein. Lo scopo è screditare Trump, per due ordini di motivi. Uno è quello di prevenire qualsiasi normalizzazione delle relazioni con la Russia. L’altro è quello di rimuovere l’agenda del presidente come alternativa a quella del Partito Democratico.
Trump è quasi impotente. Putin, cinesi, iraniani e nordcoreani dovrebbero capirlo prima che sia troppo tardi per loro. Non può licenziare od arrestare per alto tradimento Mueller e Rosenstein. E non può nemmeno incriminare la Clinton per i suoi palesi crimini, o Comey o Brennan, che dice che Trump è “completamente nelle mani di Putin”, per tentato colpo di Stato. Trump non può neanche far sì che i servizi segreti indaghino su questi sobillatori.
Non può nemmeno fidarsi dei servizi, che varie prove suggeriscono siano stato complici negli assassinî di John e Bob Kennedy.
Se Putin e Lavrov, così ansiosi di essere amici di Washington, abbasseranno la guardia, saranno sconfitti.
Il Russiagate, come detto sopra, è un’orchestrazione per impedire la pace tra Stati Uniti e Russia. I principali esperti del military/security complex hanno dimostrato in modo schiacciante che è una bufala, progettata per impedire a Trump di normalizzare le relazioni con la Russia, paese che ha il potere di distruggere l’intero mondo occidentale quando vuole.
Ecco il report dei professionisti della sicurezza, ora in pensione e che quindi, a differenza di quelli ancora in carica, non possono essere licenziati o privati ​​di una carriera per aver detto la verità: original.antiwar.com/mcgovern/2018/07/15/memo-to-the-president-ahead-of-mondays-summit.
Ecco cosa ha da dire Sergey Shoigu, l’informato Ministro della Difesa russo, sulle azioni aggressive dell’Occidente contro la madrepatria: strategic-culture.org/news/2018/07/13/defense-minister-shoigu-on-moscow-vision-security-problems.html. Se Putin non lo ascolta, la Russia finirà nel cestino della storia.
Nessun media vi informa meglio del mio sito. Se venisse oscurato, restereste al buio. Nessuna informazione valida proviene dal governo americano o dagli organi di stampa occidentali. Se vi sedete davanti allo schermo TV a guardare i media occidentali, vuol dire che vi hanno fatto il lavaggio del cervello oltre ogni speranza. Neanch’io posso salvarvi. Neanche Dio in persona.
Gli americani, ma anche i russi, non lo capiscono, ma c’è una possibilità che Trump venga rovesciato e che un attacco occidentale venga lanciato contro quei pochi paesi che insistono sulla sovranità.
Pochi elettori di Trump crederanno alla propaganda contro di lui; il problema è che non sono né organizzati né armati. La polizia, militarizzata da W. Bush ed Obama, verrà schierata contro di loro. Le ribellioni, come sempre avvenuto in America, saranno locali e soppresse da ogni violazione della Costituzione, da parte delle potenze private che governano Washington.
In Occidente, cui i russi sono così ansiosi di aderire, tutte le libertà sono morte: di riunione, di parola, di associazione, di inchiesta, alla privacy, …, assieme alle protezioni costituzionali del giusto processo e dell’habeas corpus. Oggi non esiste paese meno libero degli Stati Uniti d’America.
Perché allora gli Integrazionisti Atlantisti russi vogliono unirsi ad un mondo occidentale non libero? Sono così indottrinati dalla propaganda occidentale?
Se Putin ascolta questi pazzi illusi, distruggerà la Russia.
C’è qualcosa di sbagliato nella percezione che il governo russo ha di Washington. L’élite russa, con l’eccezione di Shoigu e pochi altri, sembra incapace di comprendere la spinta neocon per l’egemonia mondiale e la determinazione a distruggere la Russia, vista come limite all’unilateralismo statunitense. Mosca, in qualche modo, e nonostante tutte le prove contrarie, ritiene che l’egemonia di Washington sia negoziabile.
Paul Craig Roberts
Traduzione per www.comedonchisciotte.org di HMG