05 agosto 2018

RAI / BURIONI ATTACCA IL CANDIDATO FOA SUI VACCINI: UN CAVERNICOLO



Attacco su tutti i fronti a 360 gradi dai media di regime al candidato presidente Rai Marcello Foa. Da Repubblica al Corsera una velina pressocchè identica: "ultrà di Putin", "contro le Ong", "sovranista", "no euro" e – tanto per aggiungere un ingrediente al minestrone che non guasta mai – anche "No Vax".
Su quest'ultimo fronte entra in scena (anzi in sceneggiata) il solito scienziato (sic) pret a porter, Roberto Burioni, il Verbo Unico sul tema, il solo degno di dare il suo parere e gli altri tutti zitti, muti e "somari" (dal titolo della sua ultima illeggibile fatica letteraria), in ginocchio ad ascoltare il verbo del Vate.
In perfetto conflitto d'interessi, Burioni, come la Voce ha più volte documetato, per i suoi rapporti d'affari con svariate società farmaceutiche in tema di brevetti.
E già ce lo immaginiamo, Fratel Burioni, tra alambicchi & provette, cappucci & grembiulini per inventare le sue miracolose pozioni: visto è iscritto al Grande Oriente d'Italia. Il fatto è che Burioni se ne vergogna, non lo ammette, dice che non è vero. Mostrando un indomito coraggio che non sarà poi tanto gradito ai confratelli del GOI, fieri invece di esserlo.
Ma eccoci all'ultima polemica.


Roberto Burioni. In apertura, Foa

Scrive il Corsera: "ora riemerge dalla memoria della Rete un intervento assai dubbioso del giornalista italo svizzero sull'efficacia dei vaccini. Lo ha scoperto il virologo Roberto Burioni che ha ripescato un'intervista concessa al sito Informarexresistere in cui Foa ricorda che 'in Svizzera i vaccini non sono obbligatori. La gente può scegliere di non vaccinarsi eppure la popolazione non è particolarmente malata".
Suona la fanfara Repubblica: "Il 3 dicembre 2017 in una videointervista al videoblog 'Crescere informandosi', Foa esprime un punto critico sull'obbligatorietà dei vaccini. 'Iniettare 12 vaccini in un arco temporale di tempo molto stretto nel corpo di un bambino, provoca uno choc nel corpo. I vaccini dovrebbero esere limitati allo stretto indispensabile e solo per le malattie davvero gravi".
Ecco i commenti di Mago Burioni via twitter alle estrapolazioni effettuate dai due media di Palazzo.
Scrivono sul quotidiano di via Soferino: secondo Burioni "il presidente Foa dice menzogne sui vaccini, quelle degli antivaccinisti cavernicoli, ignoranti ed egoisti. Sulla salute ci vuole corretta informazione, non la diffusione di balle mortali con i soldi del canone". A valutare se siano o meno balle abbiamo un Giudice Unico, il Mago Burioni.
Più conciso il quotidiano diretto da Mario Calabresi: "Foa dice menzogne sui vaccini, quelle degli antivaccinisti cavernicoli, ignoranti ed egoisti".
Come del resto "cavernicoli, ignoranti ed egoisti" sono il premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier e il virologo Giulio Tarro, allievo di Albert Sabin, l'inventore del vaccino antipolio. Forse qualcosina in più di Burioni ne sanno (ce ne vuol poco, del resto), forse qualche titoluccio accademico in più lo hanno nel loro curriculum, forse quel diritto alla Verità che il solo Burioni si arroga andrebbe un momentino rivisto.
Sorge spontanea la domanda: ma come mai l'Onnisciente Burioni non accetta un confronto pubblico con Montagnier e Tarro? Ha paura di qualcosa? Teme una figura barbina? O si scopra che il re è nudo?
E non hanno diritto di parola coloro i quali non mettono in dubbio l'utilità dei vaccini, ma le modalità di produzione (lo abbiamo scritto altre volte) e di utilizzo, da effettuare basandosi nel modo più assoluto sul principio di "Precauzione", come hanno stabilito un quarto di secolo fa la Nazioni Unite, ribadito 18 anni fa l'Unione Europea e ripetuto ad ogni convegno Montagnier, Tarro e altri scienziati che non la pensano come Mago Burioni.

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04 agosto 2018

Rita Atria: racconto di due giornate di Memoria Attiva

www.ritaatria.it

Pubblichiamo due articoli che raccontano la giornata di Memoria Attiva dedicata a Rita Atria.

Una giornata intensa con due eventi di grande intensità.

fonte: www.articolo21.org

26 luglio 2018. In un torrido e silente pomeriggio d’estate romano, una melodia si diffonde in Viale Amelia, accarezzando le persone, i portoni e le finestre con la dolcezza sublime delle sue note: è l’Ave Maria di Shubert. Rita Atria, giovane donna, testimone giustizia a soli 17 anni, Lei che voleva vivere e crescere in «un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle…»,  aveva affidato al suo diario, molto prima di quel Volo di solitudine il 26 luglio 1992, il desiderio che fossero le note dell’Ave Maria ad accompagnarla nell’ultimo viaggio, temeva che i mafiosi l’avrebbero uccisa… dopo la morte del giudice Paolo Borsellino ad ucciderla è stata l’assenza dello Stato, l’indifferenza della società civile e di tutti coloro che avrebbero dovuto proteggerla e invece l’hanno lasciata nella completa solitudine di una casa estranea, in quel palazzo di sette piani al civico 23 di Viale Amelia, lontana da qualsiasi affetto, senza sostegno. Rita sa, probabilmente ha capito tutto, Lei che ha denunciato non solo i boss di Partanna, ma anche i politici collusi, ha fatto nomi e cognomi: «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi… Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta».
Iniziare a raccontare dalla “fine” ascoltando l’Ave Maria, per riprendere il filo della memoria risvegliandola con le emozioni prima che con le parole. Un filo di Memoria Attiva, tessuto giorno dopo giorno, questo l’impegno dell’Associazione Antimafie “Rita Atria”, per tenere viva la testimonianza di Rita, di cui la tragica fine è simbolo di un percorso tanto travagliato, quanto coerente e fermo, per combattere quotidianamente quel pensiero mafioso diffuso: «Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci».
Quest’anno ripartiamo da noi – come sottolineato dalle fondatrici dell’Associazione, Santina Latella e Nadia Furnari, rispettivamente Presidente e Vicepresidente -, senza ”personalità importanti”, dalle persone del quartiere che sono presenti, da chi da ogni anno è qui per ricordare Rita, da chi non la conosceva e sentendo risuonare l’Ave Maria si è avvicinato, vuole capire, sapere… Quindi ripartire da un esame di coscienza collettivo, dal partecipare tutti attivamente, affinché la storia di Rita, la sua scelta netta verso, come disse il giudice Paolo Borsellino, « il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale », si incarni nelle persone, nella lotta quotidiana per la ricerca di verità e giustizia, di liberazione, attraverso la denuncia concreta delle violenze mafiose e quindi nell’impegno per la difesa dei diritti e della dignità.
Per questo, ognuno dei presenti è chiamato a prendere la parole ed esprimere un pensiero, come in un passaggio di testimone. «Sono qui per me», dice Paolo, un giovane studente universitario, e si legge negli occhi l’urgenza di sapere, comprendere ciò che è stato e sottrarlo all’oblio, farsene carico.
Annamaria, che abita nel palazzo di fronte al civico 23, è qui con noi ogni anno: «Quel giorno non ero a Roma», dice con rammarico, quasi volesse prendersi il peso dell’assenza collettiva, «Sento di doverci essere», la presenza come testimonianza, affinché il racconto di Rita sia d’esempio oggi per tutti. Eppure Rita – ricorda Nadia Furnari – almeno negli ultimi istanti, dopo quel Volo, non era sola: c’erano con lei alcune donne che abitavano nel palazzo, che le hanno stretto la mano, l’hanno abbracciata come delle madri, dandole quel conforto che non ha ricevuto in vita dalla vera madre, che l’ha “disconosciuta”. Una di queste donne, tutti gli anni ci ascolta affacciata dalla finestra, quasi che il dolore del ricordo non le permettesse di avvicinarsi…
Eppure, per evitare che le persone vengano isolate occorre avvicinarsi alle storie degli altri, affinché la testimonianza e la denuncia diventi un dovere civico diffuso e collettivo e che finalmente emergano le responsabilità delle stragi del 1992-1993: Rita è la settima vittima di Via D’Amelio, insieme al giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Oggi è scritto in una sentenza che vi furono depistaggi da parte di uomini delle istituzioni. «Noi vogliamo sapere la verità. Per quanto brutta possa essere», esclama Rossella, nel corso del suo intervento.
Già nel 1960, Leonardo Sciascia, ne Il giorno della civetta,  utilizzando la metafora della ”linea della palma” che saliva da sud a nord, fino a Roma e oltre, descriveva la mutazione dell’Italia, la diffusione capillare della mafia, del pensiero mafioso, dei metodi mafiosi. Quella metafora è da tempo realtà: perché la mafia è a Roma, come centro di potere, è stata ed è una questione di classi dirigenti, esiste una “borghesia mafiosa” che inquina questo paese… Lo sapeva bene il giudice Borsellino e nei suoi ultimi giorni di vita gli si manifestò senza “maschere” e ne rimase sconvolto, lui che si ritrovò da solo, come Falcone, «servitore dello Stato in terra infidelium»: «Ho visto la mafia in diretta»… «Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri».
Rita Atria, donna che aveva spezzato il patriarcato mafioso, non è a conoscenza di quello che ha visto Borsellino, ma sa che cosa è veramente la mafia, conosce i suoi codici e le collusioni di cui si alimenta. Rita, stella luminosa in particolare per le tutte le donne e per tutti giovani, rosa rossa che emana il fresco profumo di libertà, ci lascia un testamento prezioso da raccogliere: «L’unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo…».
Per questo l’Associazione Antimafie “Rita Atria” sta chiedendo da mesi alla Sindaca di Roma, Virginia Raggi, che venga riconosciuta la cittadinanza onoraria a Rita Atria. Mentre nell’aula capitolina si è purtroppo dato spazio alla mozione se intitolare una via della città al fascista Almirante (sic!), invece non è degna neanche di un minimo cenno di risposta e quindi giace inascoltata la richiesta dell’Associazione per la cittadinanza onoraria a Rita, che ha incarnato senza compromessi con la sua testimonianza i valori costituzionali. Inoltre, a questo ventiseiesimo anniversario dalla sua morte, le istituzioni del territorio, pur invitate, hanno ritenuto di non essere presenti neanche per un “saluto”. Questa assenza pesa oggi come allora, ma andiamo avanti con i nostri compagni di viaggio, con le persone che vogliono esserci per testimoniare che la Verità vive.
Foto di Valentina Ersilia Matrascia


Rita Atria, 26 anni dopo la morte commemorazione a Partanna


“L’ho capito da lei cosa vuol dire avere coraggio. Ho imparato che nella vita non ci si deve inchinare alla prepotenza e che alla giustizia non servono parole tonanti, ma racconti veri, fatti concreti”. Scriveva così Rita Atria, in una lettera indirizzata allo zio Paolo, Borsellino. Amareggiata perché definita “pentita” pur non avendo nessuna colpa, se non l’onta “gravissima” di aver denunciato a 17 anni mafiosi e politici del suo paese, trasformando l’iniziale voglia di vendetta per l’uccisione di padre e fratello in sete di giustizia, grazie a quel giudice che credette alle sue dichiarazioni prendendola sotto la propria ala. Rita Atria, la “picciridda” di Borsellino, la settima vittima di via d’Amelio che quasi mai nessuno cita. Per lei stamattina un fiore sulla tomba a Partanna: un modo semplice scelto dall’Associazione Antimafie Rita Atria per ricordarla nel 26esimo anniversario della morte, avvenuta in solitudine dopo un volo dal settimo piano di una palazzina di viale Amelia a Roma, a una settimana dalla strage in cui persero la vita il magistrato e la sua scorta. “Siamo qui per ricordarla con coerenza. Nel Paese dell’apparenza abbiamo preferito dare un taglio discreto – è intervenuta la fondatrice dell’associazione, Nadia Furnari – Rita vive nelle parole che ha scritto, nelle sue denunce e nel suo gesto, tanto estremo che definirla vittima della sola mafia ci pare riduttivo”. Presenti i presìdi dell’associazione sul territorio e la testimone di giustizia Michela Buscemi, che con le donne del digiuno portò a spalla la bara di Rita. L’associazione ha organizzato anche un altro momento di memoria nella Capitale, dove da tempo chiede venga conferita la cittadinanza onoraria a Rita, ma attende ancora una risposta dalla Giunta capitolina.

Nel pomeriggio, un folto corteo ha colorato le vie di Partanna, quello delle bandiere di Libera sventolate dai ragazzi arrivati per rendere omaggio a Rita, da Torino a Vibo Valentia. “Vedere così tanti giovani in un luogo simbolo fa ben sperare – ha detto il sindaco Nicola Catania – Rita è stata e continua a essere per noi un segnale di positività, pur nella tragicità della sua vicenda. Il suo coraggio, la sua determinazione e forza di ribellione sono elementi portanti di una comunità ancora in cerca di riscatto per i soprusi subiti quotidianamente”. A Partanna anche i rappresentanti di tutte le forze dell’ordine che hanno ricordato come sia importante “non abbassare mai la guardia”, e Vincenzo Agostino, padre dell’agente ucciso Antonino insieme alla moglie, che ha parlato di fenomeno mafioso presente a tutti i livelli, da combattere con maggior vigore. Salvatore Inguì, di Libera Trapani, ha ricordato: “Rita Atria parlava della mafiosità che c’è in ognuno di noi. Senza la capacità di metterci costantemente in discussione e il desiderio di realizzare una vera giustizia sociale, la lotta alla mafia non è che un’ipocrisia”.


02 agosto 2018

A Partanna il ricordo di Rita Atria



Nel cimitero di Partanna, nel trapanese, la commemorazione di Rita Atria, la ragazza 17enne suicida a Roma subito dopo la strage di Via D'Amelio.

Aveva affidato a Paolo Borsellino le sue accuse contro i clan della provincia di Trapani, dopo gli omicidi del padre Vito e del fratello Nicolò.

A Partanna nel pomeriggio ci saranno i ragazzi di Libera, arrivati da tutta Italia, con Don Luigi Ciotti. Manifestazioni per ricordarla anche a Roma.

Il servizio di Ernesto Oliva

www.rainews.it

01 agosto 2018

La rivoluzione della verità: Marcello Foa alla guida della Rai

Marcello FoaChe succede, se diventa presidente della Rai l’uomo che più di ogni altro, in Italia, ha denunciato le malefatte quotidiane degli “stregoni della notizia”? E’ semplicemente favolosa, infatti, la nomina di Marcello Foa nel Cda di viale Mazzini, caldeggiata dalla Lega e appoggiata dai 5 Stelle. Gli “stregoni” ovviamente sono già al lavoro: da quelli de “L’Espresso”, querelato da Foa per aver insinuato che il grande giornalista possa aver avuto un misterioso ruolo nella presunta sparizione in Svizzera del “tesoro-fantasma” del Carroccio, all’Enrico Mentana che, a caldo, in prima serata al Tg de La7, ha presentato Foa – liberale, anticomunista e noto estimatore di Trump – come un intellettuale “non amico” degli Usa. Un benvenuto a colpi di “fake news”, dunque, per il giornalista italiano, allievo di Indro Montanelli, che dal suo blog sul “Giornale” ha additato senza esitazioni le notizie false spacciate regolarmente per vere dai media mainstream a reti unificate. Notizie pesanti: dalle armi chimiche in Siria (mai usate da Assad contro i civili) alla foto straziante del bambino messicano in lacrime, presentato come profugo separato ferocemente dai genitori per colpa del perfido Trump, pur essendo invece solo un piccolo attore, impegnato in una drammatica performance di protesta in Texas. Marcello Foa alla guida della Rai? L’impossibile, che diventa possibile: qualcuno finalmente comincerà a dire che “il re è nudo”, e lo farà dagli studi dal Tg1?
Ha un che di destabilizzante e rivoluzionario, la decisione di Salvini e Di Maio. Obiettivo evidente: coprire le spalle al governo gialloverde, sottoposto al fuoco di sbarramento del sistema televisivo, pilotato dal vecchio establishment per il quale la verità è solo una variabile del copione. La nomina di Foa piomba come un ordigno nucleare su una palude maleodorante di telegiornali bugiardi e reticenti, di talkshow orwelliani infestati di testimonial unilaterali del calibro di Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, presentati come marziani super-partes paracadutati, loro malgrado, fra le disgrazie “neo-sovraniste” dell’Italietta gialloverde. Lo stesso Mentana – piazzato da Craxi al Tg2 e poi approdato a Mediaset prima di finire a La7 – liquida con irridente sarcasmo i poveri fessi che ancora non credono alla versione ufficiale dell’11 Settembre, cioè la madre di tutte le “fake news” – la peggiore e più sanguinosa, la più gravida di orrori per il resto dell’umanità, letteralmente travolta da un quindicennio di guerre devastanti, organizzate da una propaganda che ha presentato il massone Osama Bin Laden, socio dei Bush e giù uomo Cia in Afghanistan, come una specie di cavernicolo anti-Usa. Da Al-Qaeda all’Isis, dall’Iraq alla Siria fino alla catena di spaventosi attentati “false flag” in Europa: mai un brandello di verità, da Mentana e soci, sulla strategia della tensione finto-islamista che ha indotto la Francia a sigillare col segreto di Stato (segreto militare) le indagini su Charlie Hebdo, dopo la “triangolazione delle armi” emersa a collegare il commando Isis ai servizi segreti.
Dal 2001, il pubblico occidentale è stato sistematicamente inondato di menzogne e “fake news” di regime, propagandate dai governi, senza che i giornalisti delle principali testate abbiano opposto la minima resistenza civile, professionale e intellettuale. Se i reporter avessero fatto onestamente il loro mestiere, accusa un grande del giornalismo anglosassone come Seymour Hersh, Premio Pulitzer, non avremmo dovuto seppellire così tante vittime innocenti. Poi, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato: non grazie ai giornalisti, ma malgrado loro. Gli inglesi hanno votato la Brexit e gli americani hanno eletto Trump nonostante i media fossero tutti schierati per il Remain e per la Clinton. Nel suo piccolo, l’Italia si è sbarazzata di Renzi con il referendum sulla riforma costituzionale, supportata a reti unificate da giornali e televisioni. Peggio: contro il sistema mainstream ancora allineato al vecchio ordine politico (Obama e Merkel, Draghi e Mattarella) gli elettori italiani hanno scelto i 5 Stelle e la Lega, che infine hanno trovato il coraggio di un compromesso di governo. Fino al punto, oggi, di insediare alla guida della Rai un cavallo di razza come Foa, alle prese con una missione incredibile: rompere il muro di omertà mediatica, spezzare il coro delle finte notizie e cominciare a raccontare, finalmente, la verità.

31 luglio 2018

VACCINI: NESSUNA OFFESA DAL CODACONS PER RICCIARDI. LO DICE LA MAGISTRATURA – Carlo Rienzi



In esclusiva su Byoblu il commento del Presidente del Codacons Carlo Rienzi: il tribunale gli ha dato ragione, riguardo alla sponsorizzazione delle iniziative di Gualtiero Ricciardi, presidente Istituto Superiore della Sanità, da parte delle case farmaceutiche Crucell, Glaxo Smith Kline, Pfizer e Sanofi Pasteur MSD.
L’antefatto: nel novembre 2016, in occasione di un convegno sui vaccini, il Codacons aveva diffuso un volantino dove riportava che “le iniziative” del Ricciardi “sarebbero” state sponsorizzate da varie case farmaceutiche produttrici di vaccini, mentre era a capo dell’ISS come Commissario straordinario.
Il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità aveva allora denunciato Carlo Rienzi e Nicola Basilico per aver leso il suo onore e la sua reputazione, in quanto sarebbe stato affermato che “egli stesso” era sponsorizzato dalle case farmaceutiche. Ora, la sentenza n.1231/18 del Tribunale di Roma, emessa in data 13 giugno, ha dichiarato il non luogo a procedere, perché “il fatto non sussiste”.
Nelle motivazioni della sentenza si legge che “emerge dagli atti che, almeno alla data del 28.5.2013, il Ricciardi aveva effettivamente svolto consulenze per diverse case farmaceutiche anche produttrici di vaccini”e, si aggiunge, “che le varie iniziative (e non il Ricciardi) siano state sponsorizzate dalle case farmaceutiche produttrici di vaccini, vi è prova in atti: vi sono i contratti con i quali le case farmaceutiche hanno sponsorizzato i Progetti di cui si parla nel volantino, stipulati con l’Università Cattolica del Sacro Cuore o le dichiarazioni dei legali rappresentanti delle case farmaceutiche che confermano il dato”.
Nella sostanza, il Giudice per l’Udienza Preliminare Giulia Proto ha rigettato la richiesta di Ricciardi in quanto mal formulata: mentre il volantino di Rienzi sosteneva infatti che sarebbero state “le iniziative” di Ricciardi ad essere state sponsorizzate dalle case farmaceutiche (fatto acclarato), la denuncia è stata presentata sul fatto che “il Ricciardi stesso” sarebbe stato sponsorizzato dalle case farmaceutiche. “Non vi è dunque alcuna offesa al Ricciardi”, si legge nella sentenza, “dal momento che nello scritto incriminato non si legge quanto riportato nell’imputazione, riferensodi invece, la sponsorizzazione, alle iniziative ivi indicate, circostanza oggettivamente dimostrata“.
Dunque le iniziative di Ricciardi sono state sponsorizzate dalle case farmaceutiche produttrici di vaccini e Ricciardi è in una posizione tale da avere un’influenza determinante nelle decisioni sulle politiche vaccinali. La magistratura non lo dice, ma lasciamo ai lettori decidere se questo configuri o meno un conflitto d’interessi.
L'articolo VACCINI: NESSUNA OFFESA DAL CODACONS PER RICCIARDI. LO DICE LA MAGISTRATURA – Carlo Rienzi proviene da ByoBlu - Il video blog di Claudio Messora.

30 luglio 2018

Come mai ad Aleppo c’erano mortai fabbricati in Bosnia?


Nelle cantine di un edificio adibito a deposito armi di al-Qaeda, ad Aleppo-Est, l’anno scorso avevo ritrovato i documenti di accompagnamento di armi che provenivano da una fabbrica di mortai in Bosnia, dove, su ogni pagina, vi era la firma di uno dei loro dirigenti, Ifet Krnjic. [Questi documenti] erano arrivati dai Balcani nel gennaio 2016, insieme ad un carico di 500 mortai da 120 mm. Ed ora, nel cuore boscoso della Bosnia Centrale, ho ritrovato il sig. Krnjic, che [in persona] mi ha riferito che era stata la sua azienda ad inviare le armi all’Arabia Saudita.
Seduti sul prato di casa sua, a sud della cittadina di Novi Travnik, un centro manufatturiero di armi, Krnjic scorre con il dito la prima pagina del documento che gli ho mostrato. “Questa è la mia firma! Si, è la mia!”, esclama ad alta voce. “E’ la garanzia di un mortaio da 120 mm., questo è uno standard NATO. Il carico era andato in Arabia Saudita. Faceva parte di una spedizione di 500 mortai. Ricordo bene quella spedizione per l’Arabia Saudita. [I Sauditi] erano venuti nel nostro stabilimento per controllare le armi, all’inizio del 2016.
Questo è stupefacente. Non solo Krnjic, il sessantaquattrenne neo-pensionato, responsabile del controllo armi nello stabilimento della BNT-TmiH di Novi Travnik, riconosce la sua firma, ma afferma anche di ricordare la visita dei rappresentanti ufficiali sauditi e del loro personale militare, venuti ad ispezionare i mortai prima del loro imbarco per Riyadh, e sottolinea che queste vendite erano in perfetta regola con i certificati di destinazione finale che la sua azienda richiedeva a tutti gli acquirenti,  in cui si precisava che le suddette armi potevano essere utilizzate solo dalle forze armate della nazione acquirente.

Un certificato di garanzia per un mortaio, firmato da Krnjic, rinvenuto nello scantinato di un edificio occupato da al-Nusrah ad Aleppo-Est.


Cinquecento mortai sono un carico notevole di armi, la maggior parte degli eserciti europei non ne ha in magazzino un simile quantitativo, e, almeno alcuni di essi, sembra siano finiti nelle mani dei nemici di Bashar al-Assad, il Fronte Islamico al-Nusra e al-Qaida, nel nord della Siria, neanche sei mesi dopo il loro trasferimento dalla Bosnia, distante quasi 2.000 km.  Dal momento che i mortai avevano lasciato la Bosnia il 15 gennaio 2016, con una garanzia di 24 mesi rilasciata dalla fabbrica BNT-TmiH (n° 779,  numero di serie per le armi da 3677), i documenti attualmente in possesso dell’Independent dovevano essere arrivati ad Aleppo prima della fine di luglio 2016, quando le truppe del governo siriano avevano completamente circondato l’enclave controllata dalle varie fazioni armate, comprendenti al-Nusra, l’Isis ed altri gruppi etichettati come “terroristi” dagli Stati Uniti.
Quando The Independent aveva chiesto alle autorità saudite una spiegazione riguardante la documentazione in suo possesso e sul perchè fosse stata rinvenuta ad Aleppo-Est, l’ambasciata saudita a Londra aveva replicato dicendo che il Regno non aveva mai fornito “assistenza pratica o di altro tipo ad alcuna formazione terrorista [comprese quindi al-Nusra e l’Isis] in Siria o in altre nazioni” e definiva le accuse lanciate dall’Independent come “vaghe ed infondate.” Aveva poi asserito che l’Arabia Saudita manteneva “un ruolo guida nell’ambito della comunità internazionale nella ricerca di una soluzione diplomatica al conflitto siriano, collaborando allo stesso tempo con i paesi confinanti e con gli alleati per contrastare la crescita delle forze estremiste.” Non faceva commenti sui registri, sui certificati di garanzia delle armi e sulle fotografie che l’Independent aveva chiesto loro di esaminare.
In ogni caso, è chiaro che è stato il fanatico credo wahabita dell’Arabia Saudita ad ispirare al-Nusra, l’ISIS e le altre formazioni islamiche violente in Siria. L’Arabia Saudita è stata spesso accusata di armare i ribelli in Siria e gli opuscoli di propanda religiosa di Riyadh sono stati ritrovati nelle città occupate in precedenza dai gruppi islamici. Inoltre, l’Arabia Saudita si è sempre espressa per il rovesciamento di Bashar al-Assad e del suo governo di Damasco.

Ifet Krnjic,ex direttore del controllo armi nella fabbrica di Novi Travnik in Bosnia, la cui firma si trova sui documenti allegati alle armi.


Nel 2016, durante le ultime fasi dell’assedio di Aleppo, le truppe siriane e russe erano state condannate dall’Occidente per i bombardamenti quotidiani dei quartieri civili di Aleppo-Est e venivano costantemente diffusi  video e  immagini di morti e feriti, uomini, donne e bambini. Però, nello stesso periodo, i difensori islamisti della città, la maggior parte dei quali avrebbe in seguito lasciato la zona con la promessa di un lasciapassare per la regione di Idlib, controllata dagli Jihadisti, sparavano salve di mortaio nella zona occidentale di Aleppo, tenuta dai governativi.
Nelle settimane seguite alla resa dei ribelli ad Aleppo-Est, a metà dicembre, numerosi chilometri quadrati di macerie erano ancora infestati da mine e trappole esplosive. C’erano interi quartieri  transennati, quando, nel febbraio 2017, ero entrato in tre ex caserme dei gruppi islamici, con le macerie che a volte bloccavano il passaggio; pietre, mattoni, pezzi di metallo e schegge di granata in strada e all’interno degli edifici, danneggiati e pericolanti ma ancora in piedi. Dentro uno di questi, seminascosti da frammenti metallici e bende da campo avevo trovato pile di documenti abbandonati, con le istruzioni per l’uso di mitragliatrici e mortai, tutte in inglese.
C’erano anche bolle di carico e libretti di istruzioni di armi provenienti dalla Bosnia e dalla Serbia, con le pagine ancora umide per le piogge invernali, alcuni macchiati da impronte. Ne aveva infilati più che potevo nella tracolla che porto sempre con me in zona di guerra; più tardi avevo trovato, in un altro edificio, una bolla di carico bulgara per proiettili di artiglieria. Nella cantina profonda di un terzo edificio nel quartiere di Ansari, con la scritta Jaish al-Mujaheddin (esercito dei guerrieri sacri) maldipinta, ma ancora chiaramente visibile all’ingresso, con i piani superiori che portavano i segni dei bombardamenti dei jet siriani e russi, c’erano decine di casse vuote di armi anticarro, tutte con il marchio del produttore, la Hughes Aircraft Company, California. Le casse erano etichettate “Guided Missile Surface Attack” [missili guidati per attacchi di superficie] con numeri di serie che partivano da “1410-01-300-0254.”
Questi documenti, molti dei quali in mezzo a fucili rotti e frammenti di schegge, costituiscono la più affascinante traccia cartacea mai scoperta sui produttori delle armi finite nelle mani dei più feroci oppositori islamici di Assad e su come esse siano arrivate ai ribelli in Siria, attraverso nazioni “alleate” dell’Occidente. Mentre, nel suo ufficio, asseriva di dover “cercare” la documentazione riguardante la destinazione finale della spedizione di mortai del 2016, Adis Ikanovic, il direttore generale della fabbrica di Novi Travnik, mi aveva confermato che la maggior parte delle esportazioni della sua azienda erano destinate “probabilmente all’Arabia Saudita.” Una e-mail di sollecito ad Ikanovic, sei giorni dopo il nostro incontro, con la richiesta di poter avere in copia la documentazione sulla destinazione finale della fornitura di mortai, non ha mai avuto risposta.

Adis Ikanovic, direttore generale della fabbrica di armi BNT-TMiH in Bosnia. Ha asserito che la maggior parte delle sue esportazioni belliche era destinata all’Arabia Saudita.


Milojko Brzakovic, direttore generale della fabbrica di armi Zastava, in Serbia, sfoglia i manuali delle armi che avevo ritrovato ad Aleppo, compreso un documento di 20 pagine con le istruzioni della mitragliatrice pesante Coyote MO2, fabbricata dalla sua azienda, e mi dice “non c’è una sola nazione del Medio Oriente che, negli ultimi 15 anni, non abbia acquistato armi della Zastava.” Concorda sul fatto che le pubblicazioni che gli ho mostrato (compreso il manuale di 52 pagine della sua mitragliatrice media M84 da 7,62 mm., anch’esso rinvenuto fra le rovine di Aleppo, nelle cantine di un palazzo bombardato, contraddistinto dalla scritta in arabo “al-Nusrah” sul muro) erano state stampate in Serbia per conto della Zastava e che l’Arabia Saudita e gli Emirati erano fra i loro clienti.

Milojko Brzakovic,direttore generale della fabbrica di armi Zastava a Kragujovac, in Serbia, ha ammesso che l’Arabia Saudita era un loro cliente.


La descrizione di Ifet Krnjic della spedizione dei mortai da parte della BNT-TmiH in Bosnia è precisa e dettagliata. “Quando i Sauditi erano venuti a fare un sopralluogo nel nostro stabilimento, all’inizio del 2016, c’era un ‘ministro’ saudita…ed erano arrivati anche degli ufficiali sauditi per controllare le armi prima della spedizione. Gli ufficiali erano in abiti civili. Il ministro aveva la tunica. Tutta la nostra produzione dopo la guerra [in Bosnia] è sotto il controllo degli Americani e della NATO, che vanno e vengono in continuazione…sanno esattamente quanti pezzi della nostra produzione escono dalla fabbrica.”
Krnjic, che vive nel piccolo villaggio di Potok Krnjic (i villaggi bosniaci alle volte portano il nome delle famiglie allargate), a sud di Novi Travnik, mi descrive come faceva a riconoscere gli ufficiali della NATO in visita alla fabbrica, uno era un “ufficiale canadese, un tipo di colore di nome Stephen.” Ikanovic, il direttore della BNT-TmiH, mi conferma che tutte le spedizioni, comprese quelle all’Arabia Saudita, erano controllate dall’European Union Force Althea (EUFOR), la missione militare dell’UE che ha sostituito quella dalla NATO (SFOR), in conformità agli accordi di Dayton del 1995, che avevano posto fine alla guerra in Bosnia. Ikanovic mi dice che le ispezioni alla fabbrica vengono condotte da un generale austriaco e, con l’aiuto di alcuni impiegati dello stabilimento, riesco a capire che si tratta del Maggiore Generale austriaco a due stelle Martin Dorfer, il comandante dell’EUFOR. Krnjic afferma che le armi di loro produzione vengono esportate dall’aereoporto di Tuzla o da quello di Sarajevo.
I Sauditi, mi riferisce Krnjic, “non si lamentavano mai, perché è ormai molto tempo che godiamo di buona reputazione, non solo per la qualità delle armi, ma anche perché abbiamo tempi di consegna più rapidi… Lo so che non dovrei dirlo, ma la NATO e l’UE ci avevano dato il via libera per farlo. Il nostro è l’unico mortaio che può sparare dall’asfalto. Ogni mortaio ha un piatto-base, ma gli altri piatti-base [dei mortai di altre nazioni] si rompono, si possono usare solo su terreno soffice. I nostri possono anche essere portati nei sacchi, tre proiettili e un tubo, spari a un edificio e sparisci. Solo i mortai cinesi sono migliori dei nostri, li ho visti in Iraq.”
Si scopre che, anche se Krnjic non è mai stato in Siria, aveva lavorato in una fabbrica di armi che la BNT-TmiH aveva costruito in Iraq nel 1986, durante la guerra degli otto anni fra Iraq ed Iran. “Lavoravo all’interno della fabbrica in Iraq, non facevo di certo la guerra laggiù,” mi dice. “Lo stabilimento era più moderno del nostro [a Novi Travnik], eravamo a Fallujah e a Ramadi. All’epoca costruivamo i lanciamissili da 260 mm. per Saddam, ho visto Saddam tre volte.”
Ma le fortune di Novi Travnik erano andate in declino con l’inizio, nel 1992, della guerra in Bosnia; da una forza lavoro di 10.000 persone si è passati, al giorno d’oggi, a meno di 900. La maggior parte dell’area dello stabilimento è invasa dalla vegetazione, con i macchinari che arrugginiscono nei capannoni. Krnjic, un membro del Partito Socialdemocratico bosniaco e veterano della guerra civile, era andato in pensione alcuni mesi prima della nomina di Ikanovic a direttore generale.
“Non possiamo esportare niente senza un nullaosta approvato, qui in Bosnia, da cinque ministeri differenti e [il contratto] deve essere supervisionato dalla NATO,” mi aveva detto Ikanovic. “Possiamo vendere solo alle nazioni che sono sulla ‘lista bianca’ della NATO.” Come già avevano fatto Krnjic e Brzakovic in Serbia, afferma che la sua azienda deve ottenere, per ogni esportazione di armi, una certificazione di ultimo impiego internazionalmente riconosciuta, ma conviene che gli esportatori non hanno l’obbligo e neanche i mezzi per impedire il trasferimento delle proprie armi a terze parti, dopo il loro arrivo alla destinazione iniziale.
Robert Fisk
Fonte: www.independent.co.uk

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org