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03 maggio 2019

URANIO IMPOVERITO / LA VITTIMA NUMERO 365


L’uranio impoverito continua a uccidere. Si tratta della vittima numero 365, una per ogni giorno dell’anno: è infatti morto il quarantacinquenne Daniele Nuzzi, calabrese.
Commenta l’‘Osservatorio militare’ che da anni monìtora una tragedia senza fine e che passa inosservata sui media di Palazzo: “dopo varie missioni in territori bombardati con uranio impoverito, rientrato in Italia, si era ammalato ma aveva dovuto ingaggiare una battaglia legale contro l’amministrazione militare per vedersi riconoscere la causa di servizio”.
Una seconda guerra, contro burocrazie e muri di gomma.
Ex parà del Reggimento Carabinieri Paracadutisti del Tuscania, Nuzzi aveva partecipato a numerose missioni estere. Quelle sempre “umanitarie” volute dai governi “democratici” che finiscono per uccidere i presunti “nemici” e gli stessi militari senza colpa. Aveva prestato servizio in Somalia e nella ex Jugoslavia, prima di rientrare in Italia, passando poi a lavorare nel comando provinciale di Catanzaro.
Secondo il legale dell’OsservatorioDomenico Leggiero, è necessario approvare in parlamento una normativa ad hoc, in grado di superare quegli ostacoli burocratici che intralciano le erogazioni degli indennizzi. Una legge, però “sempre più osteggiata – osserva Leggiero – dall’apparato militare. Le famiglie e gli ammalati sono stanchi. Basta prendere in giro o illudere persone che soffrono. La questione dell’uranio impoverito va affrontata e risolta. La legge c’è e va approvata, perché così non si può più andare avanti”.

15 aprile 2019

VACCINI / PIU’ UTILI E MENO CONTROLLI CON GLAXO NEL MOTORE


Il colosso farmaceutico britannico Glaxo SmithKline, leader nella produzione dei vaccini, è sempre più alla conquista del mercato e anche del territorio italiano.
E' stato infatti appena tenuto a battesimo (28 marzo) un centro di controllo qualità hi-tech a Rosia, in provincia di Siena, dove già esiste un grosso polo industriale per la produzione di vaccini.
Secondo gli esperti il nuovo impianto permetterà di ridurre sensibilmente i tempi di produzione dei vaccini stessi, soprattutto condensando i "controlli". I quali passeranno da una media di 120-125 a non più di 20-25: una riduzione molto drastica, che consentirà di far crescere il tasso di produttività degli impianti e quindi di aumentare i profitti. Il tutto – assicurano a GSK – senza intaccare la qualità dei prodotti.
E' noto che uno dei nodi fondamentali è proprio la qualità dei vaccini, spesso e volentieri messa in discussione da studi scientifici. Come è successo pochi mesi fa con una ricerca voluta dal Corvelva – un'associazione veneta che da oltre vent'anni si batte per un uso consapevole dei vaccini – e cofinanziata dall'Ordine Nazionale dei Biologi.
Sconvolgenti i primi risultati, attraverso cui si è scoperto che in due lotti di vaccini presi in esame c'era di tutto e di più: perfino erbicidi e glifosati!
Insorge il solito gruppo di soloncini capitanato dal numero uno dei Pro Vax, il massone Roberto Burioni, che parla di totale inattendibilità dello studio e dà come di consueto del "Somaro" a tutti.


Antonio Marfella

C'è chi osserva tra gli esperti non filo-Burioni: "La qualità dei vaccini è il primo tassello per una medicina che pensi alla salute più che ai profitti. Ridurre i tempi dedicati ai controlli, a parte le rassicurazioni di rito, non è un buon segnale".
Da anni si batte per la qualità dei vaccini l'oncologo del Pascale di Napoli Antonio Marfella, una vita a denunciare le crescenti patologie tumorali nella Terra dei Fuochi. Marfella da sempre auspica un ritorno alla produzione pubblica sul fronte dei vaccini, in modo da garantire la qualità più assoluta e i controlli più ferrei.
Alla GSK gonfiano il petto per il nuovo investimento da 40 milioni di euro. Osserva l'amministratore delegato di GSK Vaccine Italia Rino Ruoppoli: "Investire più di 40 milioni in un centro di questo genere vuol dire avere fiducia nel futuro: il nuovo edificio è all'avanguardia per i vaccini di adesso, ma soprattutto è pronto per la qualità del futuro".
Controbatte un giornalista in prima fila per una medicina a misura d'uomo, Marcello Pamio: "Vaccini sempre meno sicuri e sfornati a ritmo sempre più accelerato, perché se il nuovo centro in Toscana, per quanto hi-tech, ridurrà i tempi e il numero dei controlli, è ovvio che la sicurezza verrà meno".
Ma la Toscana si prepara ad ospitare un altro grosso investimento, stavolta promosso dalla svizzera KPMG International Cooperative, tra i 60 e gli 80 milioni di euro per dar vita ad un maxi centro specializzato nella revisione e organizzazione contabile, per fornire servizi professionali alle imprese. Quelle farmaceutiche in prima fila, come Eli Illy, GSK Vaccines e Kedrion (la corazzata di casa Marcucci con il renzianissimo Andrea capogruppo del Pd al Sentato).
A sua volta KPMG è riconducibile ad una serie di sigle olandesi. Come al solito gli intrecci societari sono tra i più variegati.
Nei piani, verrà attrezzata un'area di quasi 130 mila metri quadrati, di cui la metà adibiti a magazzini di stoccaggio per prodotti farmaceutici (in primis i vaccini) a temperature controllate.
La Toscana, secondo gli addetti ai lavori, si avvia a diventare uno dei poli industriali più importanti a livello nazionale, soprattutto sul versante farmaceutico. Del resto, fu proprio il governo guidato da Matteo Renzi a proporre l'Italia, nel 2014, come "capofila mondiale per le vaccinazioni".

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03 aprile 2019

VOCE / 5 ANNI FA QUEL KILLERAGGIO SCIENTIFICO


Da cinque anni la Voce ha cessato le sue pubblicazioni cartacee e non è più in edicola. Dove non riuscirono Pomicino, Gava, Scotti, faccendieri e mafiosi d'ogni risma, è riuscito Antonio Di Pietro. Che ha ottenuto dai suoi colleghi prima di Sulmona e poi dell'Aquila sentenze abnormi e tali da decretare la fine del nostro magazine.


Annita Zinni e Antonio Di Pietro

L'esecuzione in piena regola di una Voce che da trent'anni stava combattendo le sue battaglie antimafia, per scovare i politici collusi, i capitali riciclati, le camorre formato esportazione, alzare i veli sui palazzi del Potere, sui santuari bancari, sui controllori che controllano se stessi, sui conflitti d'interesse, sulle endemiche corruzioni, sui Misteri d'Italia, dal caso Alpi alla strage del sangue infetto.
Quella Voce di tutta evidenza "Doveva Morire", come è titolato il libro sulla tragedia di Aldo Moro scritto da due grandi amici di sempre della Voce, Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato.

QUELLA VOCE DOVEVA MORIRE
Ma vediamo le tappe dell'esecuzione scientifica. 2008. Alberico Giostra, giornalista Rai e da parecchi mesi collaboratore della Voce (dopo un anno firmerà "Il tribuno", dedicato allo stesso Di Pietro, senza passare alcun guaio, così come per l'articolo "incriminato") scrive un articolo su Cristiano Di Pietro, il rampollo dell'ex pm che si sta dando alla politica a livello regionale, nel suo Molise. Giostra narra anche della sua problematica maturità, per la quale riceve un aiutino da una insegnante di Sulmona, Annita Zinni. Niente di agghiacciante, nessuna accusa di stampo mafioso né di corruttele: una semplicissima, piccola mano.


Alberico Giostra

Apriti cielo. Neanche avessimo accostato il nome della maestrina a quello di Totò Riina, dopo alcuni mesi riceviamo una citazione civile, in cui lady Zinni sostiene di aver ricevuto danni incalcolabili da quell'articolo killer, quantificabili in almeno 40 mila euro. A quanto pare non poteva più uscire di casa per la vergogna!
Francamente prendiamo la vicenda giudiziaria sottogamba, perché quelle lamentele non stanno né in cielo né in terra. Tant'è vero che in quel lasso di tempo, circa 9 mesi, l'insegnante ha fatto carriera politica, come documentato da alcuni filmati su Yuo Tube: da semplice segretaria di nome e di fatto è diventata segretario provinciale dell'Italia dei Valori del suo amico storico, Tonino Di Pietro.
Veniamo a sapere, da fonti molisane, che lo stesso ex pm avrebbe voluto querelare la Voce in prima persona; ma poi, consigliato dalla consorte e da un fido avvocato, avrebbe optato per l'amica Zinni. Avanti lei con la citazione milionaria.


Il Tribunale di Civitavecchia

Eccoci alla sentenza di primo grado, pronunciata dal giudice Massimo Marasca del tribunale di Sulmona (oggi in servizio a Civitavecchia). La Voce viene condannata a 90 mila euro, addirittura il doppio di quanto richiesto dalla stessa Zinni. Ai confini della realtà.
E ancora più ai confini della realtà sono le motivazioni. Secondo il giudice Marasca, infatti, la povera Zinni ha subito un triplice danno: morale per la reputazione rovinata dall'articolo, di relazione per il fatto che la maestrina ha dovuto per quasi un anno interrompere qualsiasi tipo di relazione sociale (non è potuta, per fare un esempio, neanche andare in piscina), poi psicologico, un "patema d'animo transeunte", come attestava il certificato di un'amica psicologa.
Siamo lieti, comunque, di capire quanto la Voce conti: più di un Espresso e di una Repubblica, ritualmente condannate per episodi ben più eclatanti a 30-40 mila euro; più di un Roberto Saviano, che per una "svista" nel suo Gomorra (aveva scritto di un normale cittadino come di un camorrista) costò alla Mondadori 30 mila euro. Nel nostro piccolo siamo felici di tali attestati di stima da parte del giudice Marasca.
Gli attestati però volano via, mentre restano decreti ingiuntivi, pignoramenti, chiusura dei conti correnti, tutto l'autentico calvario che la Voce e il suo direttore, Andrea Cinquegrani, sono stati per 5 anni esatti costretti a percorrere.

IL LUNGO CALVARIO
La Voce, da allora, non è più uscita in edicola, per il semplice fatto che non era di tutta evidenza più possibile pagare le spese tipografiche e di distribuzione, non avendo più lo straccio di un conto corrente.


Cristiano Di Pietro "interrogato" da Filippo Roma delle Iene

Gli ultimi spiccioli sono finiti per difenderci dagli attacchi giudiziari a raffica di lady Zinni, la quale è riuscita anche ad ottenere dal giudice civile di Roma l'ultima tranche di quel fondo per l'editoria derivante dal rimborso per le spese tipografiche. Ha incassato circa 20 mila euro di una annualità e bloccato ogni possibilità di riceve le seguenti. Cinquegrani, da allora, non ha più potuto avere un conto corrente, come neanche il peggior appestato.
E' riuscita Zinni – con il suo amico e mandante Di Pietro – a fare il deserto economico intorno a noi. Quel deserto che, in ben altro modo, evocava il grande Giorgio Bocca nel suo "Inferno", in cui dedicava un intero paragrafo al nostro magazine, "Una Voce nel deserto". Venne a trovarci nella piccola ma animatissima redazione di piazza Mercato nel 1991 e dopo quasi 15 anni tornò in occasione del suo "Napoli siamo noi", per la cui realizzazione ha collaborato Rita Pennarola.


Filippo Roma delle Iene durante la preparazione del servizio sulla vicenda giudiziaria di Sulmona che ha portato alla chiusura della Voce

Arrivano tre anni fa a Napoli le "Iene" con Filippo Roma per realizzare un servizio sul caso della Voce.
Un servizio che non uscirà mai. Solo l'intervista a Cristiano Di Pietro, per documentarne l'alto tasso di cultura con domande sulle capitali del mondo: quella del Brasile è Buenos Aires…
Ma l'odissea è solo all'inizio. Perché appena lette le farneticanti motivazioni della sentenza ci affrettiamo a chiedere che l'appello si possa tenere nel più breve tempo possibile, perché – lo sanno anche i bambini – se un giornale non esce presto muore.
Sapete cosa ci ha risposto il solerte tribunale dell'Aquila? Una multa, una sanzione di 1000 euro per aver osato disturbare lorsignori, chiedendo semplicemente di fare il loro dovere e il loro lavoro, visto che quello dell'Aquila non è un foro così intasato come possono essere quelli di Roma e Napoli. Lesa maestà.
E sapete quando si è svolto il secondo grado? A fine dello scorso anno, 2018, quindi dopo ben 4 anni da quello di primo grado. Ormai a quel punto non aveva più alcun senso, visto che era del tutto impossibile riprendere le pubblicazioni cartacee dopo una pausa così lunga. E del tutto scontato, poi, l'esito del giudizio: una limatina alla condanna, ridotta da 90 a 50 mila euro; però addirittura tornata sopra l'asticella dei 100 per via di interessi, spese legali e tutto quanto fa giustizia di casa nostra.
Una farsa all'italiana.

LE NOSTRE BATTAGLIE
Come abbiamo detto all'inizio, in trent'anni di pubblicazioni, a partire da aprile 1984, ne abbiamo passate di cotte e di crude (ma la Voce ha nel frattempo vinto il premio Penne Pulite e il premio Saint Vincent per le migliori inchieste), sia per via delle querele che delle pesanti citazioni civili, quelle richieste di risarcimento danni puntate come un autentico revolver alle tempie dei giornalisti scomodi, soprattutto se non hanno alle spalle un editore di una certa forza: ma anche in questi casi l'intimidazione riesce, perché da un bel po' ormai gli editori "scaricano" i giornalisti; se poi sono free lance vengono lasciati tranquillamente sbranare dagli aggressori in colletto bianco o anche sporco di mafia.


Oliviero Beha

Siamo passati dalle citazioni miliardarie di Paolo Cirino Pomicino e i suoi 11 miliardi di lire per 'O Ministro, a quelle della sua creatura del cuore, l'ICLA acchiappatutto nel dopo terremoto e non solo; dalla raffica di querele e citazioni di Franco De Lorenzo per "Sua Sanità" e la Farmatruffa, a quelle degli amici Marcucci, gli oligopolisti nella lavorazione e distribuzione di emoderivati; da Alessandra Mussolini all'amico-camerata Roberto Fiore, il leader di Forza Nuova. Da quella di Bettino Craxi appena sbarcato in Tunisia, alla citazione del faccendiere dei Casalesi Cipriano Chianese ben prima che la magistratura cominciasse ad indagare su di lui. Ed a quella del Centro Sociologico Italiano, la seconda obbedienza massonica in Italia. Negli ultimi mesi una citazione perfino dalla Wada (il colosso internazionale che sulla carta è impegnato sul fronte antidoping) per il giallo del campione di marcia Alex Schwazer.
Per condire il tutto con altri faccendieri, camorristi e colletti bianchi, dalla sanità alla giustizia (sic) alla finanza. Un bel mix.
Siamo riusciti a spuntarla con tutti, ci siamo svenati in spese giudiziarie (ormai insostenibili anche solo per attrezzare un minimo di difesa), abbiamo resistito, siamo andati avanti tra sforzi inenarrabili per 30 anni.
Poi è arrivato lui, il Giustiziere, l'Uomo che voleva cambiare l'Italia. Ce l'aveva giurata, perché la Voce è stata la prima testata a scrivere del suo "tesoro", quella società Antocri che ne custodiva tutti i segreti e gli immobili, palate milionarie.
Ne scrivemmo dieci anni fa per primi. Nello stesso periodo usciva "Italiopoli" del grande Oliviero Beha, dove metteva a confronto, tra le varie coppie di italiani, come magistrati le figure di Ferdinando Imposimato e di Di Pietro. E Oliviero alzava il sipario sugli altarini del fondatore-affondatore di Italia dei Valori, Antocri ben compresa.
Qualche anno dopo Italiopoli e l'inchiesta della Voce, arriva il servizio di Report, che decreta in 24 ore la fine di Italia dei Valori e del suo leader maximo.
Di Pietro si è ricordato bene di quella cronologia…

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VACCINI / PER PRODURLI ANCHE CELLULE DI FETI ABORTITI


Da molti anni si usano cellule di feto abortito per produrre vaccini. Ma pochi lo sanno.
I media, travolti nella scriteriata campagna Pro Vax senza se e senza ma, propagandando bufale e fake news d'ogni sorta, preferiscono ignorare e suonare le trombe.
Perchè gli scienziati taroccati e Big Pharma vengano regolarmente serviti, riveriti omaggiati.
Di Vaccini & Feti si è parlato in un recentissimo convegno a Roma sul tema "Fede, Scienza e Coscienza", al quale sono intervenuti ricercatori i quali cercano, con gran fatica, di far conoscere agli italiani alcune verità nascoste sui vaccini, e soprattutto, su un loro razionale utilizzo.
Materia bollente, visti i muri di gomma innalzati da una classe politica sempre più genuflessa davanti ai mega interessi delle case farmaceutiche.
Sono intervenuti, tra gli altri, Debi Vinnedge, Martina Collotta, Stefano Montanari e Theresa Deisher.
Deisher afferma di aver trovato tracce di DNA fetale in alcuni vaccini e che questa presenza può spiegare lo scatenarsi di risposte autoimmuni.
Montanari rammenta che le linee cellulari fetali sono più di due: "Al momento – sostiene – esistono una trentina di vaccini realizzati con le due linee cellulari WI-38 e MRC-5, oltre a creme di bellezza. Ma sono in preparazione altre linee cellulari".


Stefano Montanari

Collotta, dal canto suo, spiega come avviene un aborto. Osserva che quelli finalizzati alle linee cellulari "lasciano il feto integro. E il feto deve essere assolutamente sano".
Per questo motivo gli interessi di Big Pharma non riguardano bimbi abortiti spontaneamente, che possono essere partoriti con qualche malformazione. Ma quelli abortiti per scelta, e quindi perfettamente sani. Come neanche gli ariani al tempo dei nazi.
Of course le industrie farmaceutiche che producono farmaci, vaccini & creme di bellezza hanno la vista lunga, pensano alle montagne di profitti e se ne strafottono della vita umana.
Su questi temi ha di recente "esternato" un medico ed ex consulente del colosso in pillole Sanofi-Pasteur. Dettagliando le incredibili ricerche portate avanti al Wistar Institute di Philadelphia per conto di Big Pharma. Al centro dell'interesse i feti, per produrre vaccini e cosmetici. Ne sono stati sacrificati ben 76 (di feti) stando alle sue solo conoscenze.
Ma ecco un altro raccapricciante racconto. "Per combattere una malattia esantematica, pericolosa solo per donne in gravidanza, si uccidono e fanno a pezzi i figli di chi rifiuta la maternità".
Scrive un sito di controinformazione: "Ci chiediamo che senso abbia impedire l'uso delle cellule embrionali per la ricerca e usare, senza dichiaralo apertamente, quelle fetali per fabbricare sieri farmaceutici. Non è certo 'tenendo nascosto' un crimine che se ne perdono i risvolti morali".
Racconta con grande amarezza una madre: "Ero all'oscuro di tutto questo al momento di vaccinare le mie bimbe e non mi sento, per questo, giustificata. Né la mia pediatra, né gli operatori della Asl mi avevano messa al corrente. Si obietterà che non vi è reato visto che quelle donne abortiscono volontariamente: loro sì, liberissime, ma chi è contrario all'aborto e ignora come vengono prodotti questi vaccini, compie una scelta che non gli appartiene, una scelta immorale. Diventa complice suo malgrado. Sono stata ingannata. E con me milioni di genitori".

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25 marzo 2019

REGINE DI PILLOLE / SEGRETI, BUGIE, AFFARI NELL’ELDORADO DI BIG PHARMA


Pillole, farmaci e pozioni miracolose, che passione. E soprattutto una gran cuccagna per le sigle che operano nel settore, sempre più baciato dalla fortuna. E sommerso da palate di miliardi di euro o di dollari.
Basta scorrere le annuali classifiche dei Paperoni d'Italia e del mondo per rendersene conto. Secondo la fresca classifica elaborata da Forbes, nel nostro Paese continua a dominare un tris d'assi composto dai re del cioccolato (Giovanni Ferrero), degli occhiali (Leonardo Del Vecchio) e della distribuzione


Stefano Pessina

farmaceutica (Stefano Pessina). In testa alla hit tutta femminile Lady Vivin C, ossia Massimiliana Landini Aleotti, con i figli al vertice della casa farmaceutica fiorentina Menarini.
Procediamo con ordine.

PESSINA, STORIA DI SUCCESSI & MISTERI
Partiamo dalla terza posizione, occupata dall'ineffabile Pessina, l'arcimiliardario che tra i pochi al mondo riesce a non far parlare mai di sé. Agisce discreto all'ombra delle sue rigogliose società che oggi trovano la stella polare nella statunitense Walgreens Boots Alliance, autentica regina del mercato mondiale del trade in pillole, fatturato 2018 da capogiro, 131 miliardi di dollari e rotti.
Ogni cinque-sei mesi un articolo sulle pagine finanziarie di Repubblica o Corsera per magnificarne le imprese: poi il silenzio più totale, la privacy più completa. Come mai? Perchè una cortina di silenzio mediatico che più forte non si può?


Ornella Barra

Eppure la consorte, Ornella Barra, in pochi anni passata da una piccola farmacia a Lavagna, in Liguria, alle grandeur internazionali, fa capolino sulle pagine mondane soprattutto a stelle e strisce. Per via di premi & cotillon in occasione di donazioni benefiche, per generose sponsorizzazioni, per i galloni che spettano alle donne in carriera.
Mai notizie che entrino nel merito. E soprattutto riescano a far chiarezza sulle origini di tale immensa fortuna che oggi fa concorrenza – udite udite – persino a colossi internazionali come l'Amazon di Jeff Bezos, il Paperòn de' Paperoni mondiale che si è appena tuffato anche nel trade farmaceutico.
Nel lontano 1992 la Voce pubblicò una lunga inchiesta sul tycoon originario di Pescara e da giovanissimo trapiantato a Napoli, con il padre, e alle prese con un deposito di medicinali alla periferia orientale del capoluogo partenopeo. Ci incuriosiva, sotto il profilo giornalistico, approfondire le genesi e il decollo di quel miracolo che profumava tanto di San Gennaro. I prodigi, infatti, si moltiplicavano generosamente. Dal piccolo deposito partenopeo in un baleno alla prima sigla, Alleanza Farmaceutica. E l'accordo con una famiglia catanese, quella degli Zappalà, per rilevare una società, Safarm. Gli Zappalà avevano deciso di diversificare i loro interessi: dal calcestruzzo al mattone, dai prestiti alle finanziarie, e poi alle pillole d'oro.
All'epoca la Voce riportò alcuni brani di un'intervista rilasciata da Pessina ad una rivista di settore, "Tema Farmacia". Chiedeva il redattore: "I farmacisti si chiedono spesso dove abbia preso i soldi per creare tutto questo. I più benevoli parlano di crediti agevolati, i più malevoli addirittura di capitali di provenienza illecita. Qualcuno è anche convinto che lei sia un'emanazione di Farmindustria". E Pessina etichettò quelle voci come autentiche fake news ante litteram, riconducendo i successi alla grossa liquidità che gli consentivano i rapidi pagamenti da parte dei suoi clienti "di primissima qualità".
Dagli anni '90 è tutta una corsa che non conosce ostacoli, soprattutto sul fronte estero. Shopping di società in Francia, Portogallo, e poi lo sbarco in Inghilterra, con lo storico acquisto della catena Boots. Infine la scoperta e la conquista dell'America, con la perla, una dozzina d'anni fa, di un altro super marchio nel ricco mondo farmaceutico made in Usa, Walgreens, dal quale poi gemma la super corazzata pronta a navigare con successo in tutti gli oceani, Walgreens Boots Alliance.
Ormai lontani secoli luce quegli esordi faticosi a Napoli, le cui tossine si trascinano ancora fino ai nostri giorni. Per fare un solo esempio, gli ex commercialisti (e membri di collegi sindacali) della famiglia Pessina, Antonello e Giuseppe Prototipo, sono oggi praticamente sul lastrico, visto il fallimento di alcune società messe in piedi oltre un quarto di secolo fa, inizi anni '90, e finite in crac dopo una lenta agonia.
Ovviamente nessun grattacapo giudiziario per mister Pessina, che venne pure indagato a metà anni '90 dalla magistratura. Ma a rimetterci l'osso del collo i Prototipo, che hanno visto sfumare a botte di aste giudiziarie le loro proprietà immobiliari.
Oggi Pessina vola alto, altissimo, a bordo delle sue super sigle con la compagna Ornella. E chissenefrega di 'o passato.

I MENARINI, ORGOGLIO D'ITALIA
Così come se ne può fare un baffo di tutte le traversie giudiziarie dopo dieci anni finite in gloria la dinasty degli Aleotti, mamma Massimiliana e i rampolli Lucia e Giovanni Alberto.


Lucia Aleotti

Oggi Massimiliana può godersi il trono di regina d'Italia, la donna più ricca del Belpaese, con la 198esima posizione assegnatale da Forbes nella hit mondiale.
Così genuflessa dipinge Repubblica: "Una delle rare uscite pubbliche di lei risale quasi a sette anni fa. Quel giorno Massimiliana Landini Aleotti, oggi 76 anni, si fece fotografare sorridente accanto ai figli Lucia e Giovanni Alberto, e all'allora presidente della Fondazione Mps Gabriello Mancini. La famiglia Aleotti soccorreva la Fondazione senese nel tentativo di salvare la 'toscanità' dell'azionariato della Banca, con un'iniezione da 150 milioni di euro". "Purtroppo per gli Aleotti – commenta amaro l'agiografo Maurizio Bologni – l'investimento fu un flop".
E così conclude il tenero ritrattino familiare: "Massimiliana sempre discretamente accanto. Negli anni '90, quando Alberto Menarini fece uno dei suoi primi affari oltre confine, acquistando la Chemie Berlin, Massimiliana imparò il tedesco per tradurre al marito. E alla morte di Alberto, nel maggio 2014, ha ereditato insieme ai figli il colosso VivinC: 3,6 miliardi di fatturato e 1.700 dipendenti in tutto il mondo".
Quella campagna estera ai primi '90 disegna uno scenario molto simile a quello targato Pessina.
Ecco cosa pennellava il Corsera nel suo supplemento Economia di novembre 2017: "Menarini Farmaceutica, orgoglio d'Italia". Ottimo e abbondante articolo per tirar su il morale di famiglia, messo a dura prova da una pesantissima inchiesta condotta dalla procura di Firenze a botte di frode fiscale e non solo. Tanto che il primo grado del processo si concluse, a fine 2016, con una condanna da brividi: 10 anni e mezzo per la figlia Lucia e 7 anni e mezzo per Giovanni Alberto. Cui si aggiungeva un maxi confisca da 1 miliardo di euro, oltre all'interdizione nei rapporti con la pubblica amministrazione. Neanche per i tesorieri di Totò Riina.
Tutto ribaltato invece nel taumaturgico Appello, che a fine 2018 azzera tutto. Nessuna condanna, nessun reato, tutti santi subito. Avevamo scherzato. Immaginiamo la sconfinata causa civile per risarcimento ai danni d'immagine che i prodi Aleotti scateneranno contro lo Stato appena la Cassazione farà sentire la sua parola definitiva…
Passate le bufere, dunque, mamma Massimiliana e i felici rampolli possono far le capriole per l'incoronazione made in Forbes.
LADY D.
Peccato non possa fare altrettante capriole di gioia la lady di maggior peso nel panorama farmaceutico di casa nostra, Lady D., al secolo Diana Bracco, per anni al vertice di Assolombarda – la Confindustria dei vip padani – e presidente di Expo 2015 sotto braccio al super manager e poi sindaco meneghino Giuseppe Sala.


Diana Bracco

Non tanto perchè non è stata proclama reginetta da Forbes, ma soprattutto perché per lei la giustizia fa ancora cilecca. La condanna inflittale in primo grado per evasione fiscale, infatti, in Appello, sempre a fine 2018, è stata appena limata: ora si tratta di 1 anno e 9 mesi per aver evaso le tasse con la sua agile società di famiglia. Secondo le accuse dei pm della procura di Milano, la principessa in pillole ha trasferito le pingui spese sostenute per mantenere le sue ville ai mari e ai monti (nonché per la manutenzione del suo yacht) dai conti personali a quelli societari, con un'abile acrobazia dei suoi commercialisti. Si consola l'avvocato: "perlomeno è caduta l'ipotesi di appropriazione indebita". Contento lui.
Lei, Lady D., comunque non fa mai mancare la sua presenza di peso in tutte le occasioni eque & solidali: dalle sue casse, infatti, ogni anno escono palate di soldi per benedire iniziative per la ricerca scientifica, la cultura, la civiltà. Anche lei santa subito.

I RE DEGLI EMODERIVATI
E certo santi subito i Marcucci, la super dinasty che da decenni oligopolizza il ricchissimo mercato degli emoderivati in Italia e non solo. Oggi la star di casa è Kedrion, sul cui ponte di comando siede Paolo Marcucci, fratello di Marialina (coeditrice de L'Unità nel 2001-2002) e di Andrea Marcucci,   capogruppo del Pd al Senato ma in odore di defenestrazione con l'ascesa di Nicola Zingaretti alla segreteria Pd. Una carriera politica nata nel 1991 sotto i vessilli del PLI di Renato Altissimo e Francesco De Lorenzo.
Il fondatore del gruppo è stato Guelfo Marcucci, grande amico di Sua Sanità, tanto che il fratello dell'allora ministro, Renato De Lorenzo, a fine anni '80 entrò nel consiglio d'amministrazione della neo acquistata (dai Marcucci) Sclavo, altra società chiave nel settore degli emoderivati e prima di proprietà del gruppo Montedison.


Andrea Marcucci

Non ha fatto in tempo, Marcucci senior, a veder iniziare a Napoli lo storico giudizio per il "sangue infetto", perché è passato a miglior vita a dicembre 2015. Dopo qualche mese, aprile 2016, è partito il processo, che lo avrebbe visto alla sbarra in compagnia di un altro grande amico, l'ex re Mida della sanità ministeriale Duilio Poggiolini, oltre ad una dozzina di ex dirigenti e funzionari di ex aziende del gruppo Marcucci.
Una strage che ha fatto oltre 5 mila vittime, anche se il processo cominciato tre anni fa a Napoli e ora al rush finale (prossima udienza l'11 marzo) vede costituite solo 9 parti civili. 5 mila vittime che fino ad oggi rimangono senza lo straccio di una giustizia.
Ma la sentenza che verrà pronunciata il 25 marzo dal giudice monocratico Antonio Palumbo, presidente della sesta sezione penale del tribunale di Napoli, è "storica": per il rispetto di una memoria ignorata dai media e calpestata da una giustizia fino ad oggi del tutto assente.
E perché nel mondo della salute non prevalgano sempre gli interessi famelici di Big Pharma ma i diritti dei cittadini.

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