29 aprile 2019

Assange e i suoi "fratelli": chi sono i cypherpunk

Julian Assange in una delle sue dichiarazioni rilasciate dal balcone dell'ambasciata
Julian Assange in una delle sue dichiarazioni rilasciate dal balcone dell'ambasciata

L'arresto del fondatore di WikiLeaks ha riacceso i riflettori sul leaking ma anche sulla realtà delle cyberwar. In Terris ne ha parlato con il generale Umberto Rapetto
U
na figura ambigua quella di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks e volto del fenomeno del leaking a livello mondiale. Il suo arresto a Londra chiude un capitolo avviato nel 2012, quando si rifugiò nell'ambasciata dell'Ecuador chiedendo asilo a seguito di un mandato di cattura spiccato contro di lui. In mezzo, sette anni di voci, inchieste, sospetti, opinione pubblica divisa tra sostenitori e oppositori. Dietro la figura di Assange, però, si cela un mondo informatico che, in qualche modo, va oltre il fenomeno del leaking,inserendosi nel più ampio contesto dei sistemi di software che, sempre di più, avvicinano l'utente medio ai lati più rischiosi della rete. Un universo virtuale fatto di dati, informazioni, anche personali, esposte alle leggi del web. Per questo, al di là dell'attività di WikiLeaks, si parla di cyberwar: una delicata sfida giocata su un filo sottile in cui, in un modo o nell'altro, entriamo tutti con i nostri dispositivi. In Terris ne ha parlato con il generale Umberto Rapetto, che ha servito lo Stato nella Guardia di Finanza ed esperto di sistemi informatici.

Dottor Rapetto, l'arresto a Londra di Julian Assange ha destato un rinnovato interesse per questa figura che, dal 2012, era rimasta in penombra. A distanza di diversi anni dall'esplosione dei casi che coinvolsero WikiLeaks, quanto peso ha ancora la sua figura e le questioni alle quali era connessa?
"La storia comincia a essere più o meno consolidata, al punto che, a dispetto di quello che si dice abitualmente, a WikiLeaks si sono affiancate altre organizzazioni come OpenLeaks e altre ancora. Il fenomeno del leaking, il fatto di far filtrare determinate informazioni, equivale letteralmente a fare un buco all'interno di una tubatura per far fuoriuscire l'acqua. WikiLeaks di fatto non esiste, è un'aggregazione spontanea di cui Julian Assange è solo il portavoce, l'unica faccia 'pubblica' di un movimento che è figlio dei cosiddetti cypherpunk, i quali sono stati governati da un vecchio architetto ora ultraottantenne, tale John Young, massimo esperto di Freedom of informaction act (Foia) e considerato il 'padre spirituale' di Julian Assange. La filosofia dei cypherpunk ritiene che il cittadino non sia un dipendente del Paese in cui vive ma un azionista e, come tale, non può essere controllato dalla struttura ma è lui che partecipa al controllo".

Quale fu l'ascendente di Young su Assange?
"Per John Young, la filosofia era di rendere pubblici documenti che altrimenti non erano accessibili. Non appena venivano desecretati, sul suo sito venivano pubblicati. Questo dal 1996, con pubblicazione di documenti anche scomodi, estratti secondo la legge od ottenuti in maniere meno chiare. Nel momento in cui si è accorto che si poteva dare voce a soggetti che non l'avevano, ha contribuito alla creazione di questo movimento fatto inizialmente di poca gente che aveva rapporti interlocutori ma che, poco alla volta, ha calamitato materialmente l'attenzione di tutti coloro che erano in possesso di qualche informazione. Il cardine era il totale anonimato delle fonti e la verifica della loro attendibilità, dopodiché la loro pubblicazione secondo criteri che venivano decisi di volta in volta. Questo network ha superato ormai le migliaia di aderenti e vi sono confluiti documenti che sono di carattere governativo o vengono dall'intelligence, dal mondo militare piuttosto che industriale, da tutta quella che può essere l'attività amministrativa o informativa. Di lì la connotazione internazionale: non ci sono ripartizioni di carattere geografico. Molte volte andiamo a lambire l'illegalità della documentazione che viene acquisita ma è chiaro che quello che viene raccolto ha un peso equivalente alla deflagrazione di un ordigno atomico, perché le fonti sono incastonate all'interno delle organizzazioni".

In Italia abbiamo avuto casi simili?
"Nel tempo hanno iniziato ad arrivare informazioni di ogni genere. Per quanto riguarda l'Italia, dobbiamo ad esempio a WikiLeaks la scoperta dell'attività posta in essere da Hacking Team, la società produttrice di un software utilizzato dalle procure, dietro il quale c'era il cosiddetto Rcs (Remote control system). E il tutto era stato scoperto da WikiLeaks perché qualcuno aveva girato la copia di tutto l'archivio di posta elettronica di Hacking Team, consentendo di scoprire come avesse venduto software di controllo da remoto indirizzato a colpire pc, telefonini e tablet, e comprato dai governi nordafricani che dovevano contrastare la primavera araba e trovare dissidenti o giornalisti che facevano inchieste che potevano risultare scomode".

Negli ultimi giorni il caso è riesploso: cosa è accaduto?
"Ieri WikiLeaks ha rilasciato una serie di documenti che dimostravano come il governo ecuadoregno, presso la cui ambasciata si era rifugiato Assange, era protagonista di un'attività di spionaggio globale particolarmente significativa. In meno di 24 ore, ad Assange è revocato lo status di rifugiato politico ma la cosa era già nell'aria. Nel mese di marzo si era già arrivati al blocco di internet e di altre tecnologie e, al tempo stesso, al veto a incontrare persone liberamente. Già nel 2012 c'era stato un mandato di cattura firmato dalla magistratura di Westminster. L'intelligence e le forze di Polizia britanniche avevano blindato tutta la zona, sorvegliando anche le cavità sottorranee rispetto alla sede dell'ambasciata dell'Ecuador. Lui ha avuto modo di dire la sua in pubblico dai balconi, poi gli è stato vietato".

Di cosa è accusato?
"Lui sarebbe stato privato dello status concesso perché avrebbe contravvenuto ripetutamente, secondo il presidente ecuadoregno, a quelle che erano le regole di convivenza all'interno della sede diplomatica. Su Assange pende poi una sorta di catalogo di reati commessi secondo gli americani, i quali dimostrerebbero come sia reo di cospirazione e di 'attentato' alla sicurezza nazionale. Ha pendente un procedimento per violenza sessuale, sul quale non c'è nessuna prova certa ma che sarebbe stato il grimaldello con cui la Svezia voleva aggiudicarsi, materialmente, quella che era ormai diventata una sorta di preda ambita che poteva garantire la posizione di potere contrattuale nei confronti degli americani".

C'è una sorta di ambivalenza attorno alla figura di Assange, chiavi di lettura diverse e connotazioni che gli vengono attribuite a seconda dei punti di vista, tra chi lo considera un importante rivelatore di informazioni e chi un uomo ambiguo...
"Assange per alcuni incarna il 'Robin Hood' del Terzo millennio, colui che ruba ai cattivi. Ma comunque ruba e questo è un elemento determinante, che presta il fianco a tutte le critiche che sono tanto legittime come più che degne di rispetto sono le manifestazioni di plauso di chi dice che, se non fosse stato per lui, determinate cose non sarebbero venute alla luce. Per qualcuno è una sorta di vendicatore nero. In molti casi, c'era il rischio che i documenti pubblicati non fossero così autentici da spostare gli equilibri. Sia lui che, forse in maggior modo, John Young, hanno dato una spallata a quella che era la granitica condinzione per la quale chi ha potere ne può disporre a piene mani. E' una rivoluzione quasi copernicana, un ribaltamento del tavolo per cui a comandare è chi ha le informazioni. Si tratta di una supremazia in termini quantitativi, qualitativi e temporali. Quello che è stato raccolto da WikiLeaks, al netto delle modalità più o meno condivisibili, ha segnato un passo nella storia fondamentale".

Il possibile utilizzo dell'elettronica come strumento di controllo ha generato tanta letteratura e cinematografia. L'impressione, però, è che non sia del tutto fantascienza. Esiste davvero la possibilità che attraverso tali mezzi possa essere esercitata una sorta di "vigilanza"?
"Riguarda la globalità del command and control, la filosofia che può aver appassionato il 1984 di Orwell. L'elettronica ha consentito di cancellare gli spazi, di aumentare le velocità, stoccare un maggior volume d'informazione. Questo, come strumento di successo, lo conosceva già Gengis Khan con i suoi cavalieri freccia. Prima però erano i governi o le corporation ad avere il controllo di questo settore, mentre adesso possono esserci altri attori che possono comportarsi come le grandi realtà. Abbiamo quindi una sorta di proletarizzazione del controllo delle informazioni. C'è chi lo fa con un animo orientato ai diritti civili e chi ne fa una manovra speculativa per motivi politici, di controllo. Abbiamo constatato che la democrazia digitale non esiste perché c'è sempre qualcuno più bravo e si avvantaggia dal gap che normalmente separa chi è davvero in condizione tecniche, culturali di andare avanti e chi purtroppo non lo è".

Forse il termine "attacchi" o cyberattacchi è poco calzante in casi come quello di WikiLeaks. Questo è un deterrente rispetto a un programma di prevenzione?
"Il problema, in realtà, è proprio che non si tratta di attacchi. Si parla di informazioni venute da dentro un certo ente, non carpite da fuori. Se fossero state rubate con un data breach, ovvero bucando il perimetro di sicurezza di queste realtà, si sarebbe potuto parlare di attacco informatico. Qui il discorso è diverso, si tratta di materiali ottenuti per via interna e recapitati a chi è in grado di memorizzarli, classificarli o anche pubblicarli".

Il nome di WikiLeaks emerse anche durante la recente inchiesta sulle presidenziali americane del 2016, nell'ambito del mailgate che coinvolse i due candidati. Oggi si torna a parlare di una possibile estradizione negli Usa di Assange: potrebbe esistere una connessione?
"Gli intrecci sono talmente viscerali che diventa difficile escludere qualcuno da qualunque circostanze. Se andiamo a tracciare linee di demarcazione tra i momenti in cui, sette anni fa, lui è stato 'costretto' a questa fuga statica, è ovvio che dal 2012 le sue responsabilità dirette sono di meno ma lui fa parte di un organismo vivente, dalla capacità multiforme, dalle potenzialità di riconfigurarsi".

Negli ultimi giorni è salito alla ribalta il caso italiano del software-spyware Exodus. Si tratta di questioni diverse?
"Ci sono delle differenze sostanziali. La dinamica di azione ha come target, per WikiLeaks, le grandi realtà e il committente è un 'privato'. Il software Exodus e il Remote control system sono qualcosa che mira a soggetti singoli e che nasce con una committenza perlopiù governativa, poiché si tratta di software pensati per il contrasto al terrorismo o altre questioni simili, quindi con Intelligence e magistratura che ne hanno alimentato la creazione. C'erano però da considerare le controindicazioni: mentre le dilatazioni del leaking di Assange o di altri hanno una riverberazione sociale in cui 'ci si impegna poco', è molto più preoccupante sapere che, su input di carattere governativo, altre realtà abbiano creato strumenti che possono entrare nella vita personale di ciascuno e coinvolgere anche soggetti estranei. Il sistema di eSurv, ad esempio, prevedeva che i soggetti destinati a finire nel mirino delle indagini ricevessero un messaggio da un numero che poteva risultare all'interno del proprio telefonino apparentemente proveniente da un conoscente, nel quale era proposto un link che rimandava a uno store o un'app per scaricarla. Dietro c'era però lo spyware e, se questo era inserito all'interno del sistema del meteo o della guida di un ristorante, molta gente non inserita nelle indagini è arrivata a scaricarlo. Questa è stata una controindicazione che, però, nessuno ha valutato".

www.interris.it

28 aprile 2019

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 27 aprile 2019


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
La falsa conversazione Macron-Zelenskiy
 

 
Beijing, Mosca e Washington di accordano in segreto sull'Afghanistan
 

 
In Sudan al potere la Forza di Reazione Rapida
 

 
Il parlamento iraniano dichiara il CentCom terrorista
 

 
Washington disorientato dalle reti finanziarie dello Hezbollah
 

 
Hassan Nasrallah smentisce le voci di guerra
 

 
USA-Iran: un passo avanti, uno indietro
 

 
Lo Tsahal inaugura i suoi Rampage contro la Siria
 

 
Il Sudan è passato sotto controllo saudita
 

 
In Libia Washington e Mosca uniti contro l'ONU
 

 
Gli Stati Uniti accettano il ritorno di rifugiati siriani
 

 
Francia ed Emirati Arabi bombardano la Libia
 

 
Il CSIS valuta l'utilizzo della forza militare contro il Venezuela
 

 
L'Unione Europea minaccia di ricorrere all'OMC contro gli Stati Uniti
 

 
Hamas prepara il rovesciamento di Mahmoud Abbas
 
Controversie

 
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26 aprile 2019

Geopolitica del petrolio al tempo di Trump di Thierry Meyssan


Gli Stati Uniti sono diventati i primi produttori mondiali di idrocarburi. Già ora sfruttano la posizione dominante esclusivamente per massimizzare i profitti, senza esitare a eliminare i grandi produttori rivali, sia pure a prezzo di precipitare intere popolazioni nella miseria. L’accesso al petrolio fu in passato, con Carter, Reagan e Bush senior, un bisogno vitale dell’economia; con Clinton fu un mercato da manovrare; con Bush junior e Obama una risorsa in via di esaurimento di cui controllare il rubinetto. Con Trump gli idrocarburi sono tornati a essere l’oro nero. Thierry Meyssan ripercorre le evoluzioni di questo sanguinoso mercato.


L’economia dipende innanzitutto dall’energia di cui dispone: un bisogno che da sempre è stato una delle principali cause di guerra. Un tempo si trattava di fare schiavi gli esseri umani per sfruttarli nei campi; nel XIX secolo di appropriarsi del carbone per alimentare le macchine; oggi di impadronirsi degli idrocarburi, ossia di petrolio e gas.
Per nascondere a sé stessi questa logica, gli uomini da sempre s’inventano buonissime ragioni per giustificare le proprie azioni. Così, noi pensiamo che:
-  l’Iran venga sanzionato per il suo programma militare nucleare, sebbene l’abbia bloccato nel 1988;
-  gli impianti e i beni della PDVSA [compagnia petrolifera statale vnezuelana, ndt] siano stati sequestrati per trasferirli dal dittatore Maduro a Juan Guaidò e compari, sebbene il primo sia il presidente del Venezuela costituzionalmente eletto e il secondo un usurpatore;
-  gli Stati Uniti mantengano le loro truppe in Siria per sostenere gli alleati kurdi di fronte al dittatore al-Assad, sebbene questi kurdi siano dei mercenari che non rappresentano il loro popolo, mentre al-Assad è stato democraticamente eletto.
Sono narrazioni che non corrispondono in alcun modo alla realtà. Vogliamo credervi pensando di trarne profitto.

Il mercato mondiale

Gli idrocarburi sono il primo mercato mondiale. Sopravanza quello alimentare, quello delle armi, quelli dei farmaci e delle droghe. Prima di diventare, negli anni Sessanta, riserva di caccia degli Stati, questo mercato era gestito da società private. Con il progresso economico, sono via via entrati nuovi attori e il mercato è diventato più imprevedibile. Dal crollo dell’URSS fino al ritorno della Russia, è diventato anche molto più speculativo e subisce oscillazioni da 1 a 4 nei prezzi di vendita.
Non si può anche non constatare che numerosi giacimenti, dopo essere stati a lungo sfruttati, si esauriscono. Alla fine degli anni Sessanta, i Rockefeller e il Club di Roma hanno reso popolare la teoria secondo cui gli idrocarburi, essendo energie fossili, sono limitati. Orbene, a smentita di questo assunto, l’origine degli idrocarburi è ignota. L’ipotesi è che probabilmente siano fossili, ma potrebbero anche non esserlo. Del resto, anche se gli idrocarburi fossero rinnovabili, questo non impedirebbe loro di esaurirsi per il super-sfruttamento (teoria del picco di Hubert). In particolare, il Club di Roma ha studiato il problema partendo da un’idea aprioristica malthusiana: doveva dimostrare che la popolazione mondiale deve essere limitata perché la Terra ha risorse limitate. L’assunto secondo cui il petrolio si esaurisce è solo un argomento per giustificare la volontà dei Rockefeller di limitare lo sviluppo demografico delle popolazioni povere. In mezzo secolo e per cinque volte di seguito si è creduto che il petrolio si sarebbe esaurito negli anni immediatamente a venire. Invece oggi è dimostrato che esistono riserve sufficienti per almeno un altro secolo.
I costi molto variabili dello sfruttamento (una gradazione che va da 1 in Arabia Saudita a 15 negli Stati Uniti), i progressi tecnici, le considerevoli oscillazioni dei prezzi, nonché il dibattito ideologico hanno a più riprese reso incerto il rendimento degli investimenti. Ora, tenuto conto dei tempi tecnici, ogni interruzione degli investimenti nella ricerca, nello sfruttamento e nel trasporto causa una penuria di prodotti nei successivi cinque anni. È quindi un mercato particolarmente caotico.

La politica mondiale dell’energia

La creazione nel 1960 dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEP), per iniziativa del venezuelano Juan Pablo Pérez Alfonzo, ha progressivamente trasferito il potere di fissare i prezzi dalle compagnie petrolifere agli Stati esportatori. Questo passaggio si è manifestato durante la guerra di Egitto e Siria contro Israele del 1973, chiamata in Occidente “guerra del Kippur”, e la crisi petrolifera mondiale che ne seguì.
Gli Stati Uniti, che erano la prima potenza mondiale, hanno adottato nel tempo differenti politiche riguardo agli idrocarburi.
-  Il presidente Jimmy Carter ha ritenuto che per il Paese, che aveva assoluto bisogno di questa fonte energetica, l’accesso al petrolio del Medio Oriente fosse una questione di «sicurezza nazionale». Arabi e persiani non potevano rifiutarsi di vendergli l’oro nero e nemmeno alzarne smodatamente il prezzo.
-  Il presidente Donald Reagan creò il Comando degli Stati Uniti per il Medio Oriente (strutturato secondo la conoscenza dell’epoca dei giacimenti petroliferi), il CentCom. Per applicare la politica del suo predecessore negoziò basi militari permanenti e cominciò a inviare truppe nella regione.
-  Il presidente George Bush senior prese la testa di una coalizione, pressoché universale, e schiacciò l’Iraq, che aveva pensato di poter scegliersi gli sbocchi delle esportazioni e tentato di recuperare i pozzi del Kuwait, sottrattigli dai britannici.
-  Il presidente Bill Clinton e il suo vicepresidente Al Gore ereditarono un mondo unipolare, senza l’URSS. Delinearono una carta di corridoi con cui solcare il mondo (gasdotti, autostrade, ferrovie, linee internet) e di operazioni militari per costruirli e renderli sicuri. Un esempio: la guerra contro la Jugoslavia, necessaria per la costruzione dell’8° corridoio.
-  Il presidente George Bush iunior e il suo vicepresidente Dick Cheney, convinti che gli idrocarburi si sarebbero presto esauriti, lanciarono una serie di guerre non già per impadronirsi dell’oro nero, bensì per controllarne la produzione e il mercato. Ritornando alla teoria malthusiana della fine imminente delle risorse energetiche, volevano scegliere i Paesi che avrebbero avuto diritto di accedervi per far vivere le proprie popolazioni.
-  Il presidente Barack Obama colse l’opportunità del gas e del petrolio di scisto e decise di favorirne l’estrazione. Sperava così di sottrarre gli Stati Uniti alla maledizione malthusiana.
-  Il presidente Donald Trump arrivò al potere quando gli USA erano diventati il primo produttore mondiale di idrocarburi. Decise quindi di sconvolgerne la strategia.

La politica di Donald Trump

Quando il presidente Trump designò alla direzione della CIA il rappresentante del Kansas, Mike Pompeo, interpretammo questa inattesa nomina in ragione della difficoltà del presidente di trovare alleati nel Partito Repubblicano, che aveva appena preso d’assalto. Trascurammo che Pompeo, dal 2006 al 2010, fu a capo della fabbrica di componenti per idrocarburi Sentry International. Sapeva come funziona il mercato e ne conosceva personalmente i principali protagonisti a livello mondiale. Nello stesso momento il presidente Trump nominò segretario di Stato Rex Tillerson, amministratore delegato di una delle principali società di idrocarburi, Exxon-Mobil. Avremmo dovuto capire che la politica energetica sarebbe stata il cuore dell’amministrazione Trump.
È evidentemente impossibile tracciare un bilancio dell’azione di Pompeo a capo della CIA. Tuttavia si può pensare che gli obiettivi di allora non fossero lontani da quelli di oggi. Ebbene, si dà il caso che ora li abbia rivelati.
Una società di consulenza, creata dallo specialista incontestato del mercato degli idrocarburi Daniel Yergin, organizza ogni anno un incontro internazionale sull’evoluzione della situazione. il Congresso 2019 (CERAweek, tenutosi a Houston, Texas, dal 9 al 13 marzo scorsi) è stato la più vasta riunione internazionale sul tema della storia. Vi hanno partecipato i dirigenti esecutivi delle principali società di 78 Paesi. Il clou dello spettacolo è stato l’intervento del segretario di Stato Mike Pompeo. Tutti i partecipanti erano stati avvertiti dell’importanza del discorso di Pompeo, sicché è stato l’unico momento in cui l’immensa sala era stracolma.
Pompeo, dopo aver salutato gli ex colleghi, si è felicitato delle incredibili performance dell’industria petrolifera del Paese che, in sei anni, è diventata la prima produttrice al mondo di idrocarburi, grazie alle nuove tecniche di estrazione dallo scisto. Ha annunciato di aver istituito al dipartimento di Stato un ufficio speciale per la gestione delle risorse energetiche. A lui dovranno d’ora innanzi far capo i dirigenti delle società USA del settore: suo compito è aiutarle a espugnare mercati esteri, esse in cambio dovranno aiutare a portare avanti la politica energetica del Paese.
Politica che consisterà nel produrre il più possibile negli Stati Uniti, nonché a prosciugare parte dell’offerta mondiale per equilibrare il mercato. Solo in questo modo gli USA riusciranno a vendere gas e petrolio di scisto, la cui estrazione è particolarmente onerosa.
La dottrina Pompeo dice che non conviene ricondurre la produzione mondiale a livello della domanda per mezzo delle quote di produzione, come invece fa da due anni l’OPEP+, bensì chiudendo il mercato ad alcuni grandi esportatori: l’Iran, il Venezuela e la Siria (le cui gigantesche riserve sono state scoperte solo recentemente e non sono ancora sfruttate). Il progetto del NOPEC (No Oil Producing and Exporting Cartels Act) dovrebbe essere rispolverato. Questa proposta di legge, di cui in due decenni sono state depositate al Congresso molte varianti, mira a sopprimere l’immunità sovrana che i Paesi dell’OPEP reclamano per costituirsi in cartello, nonostante le leggi antitrust USA. Si potrebbero così perseguire nei tribunali statunitensi tutte le società degli Stati membri dell’OPEP+, benché nazionalizzate, per aver approfittato della posizione dominante e per aver concorso così al rialzo dei prezzi.
Si dà il caso che a fine 2016 la Russia, per far risalire i prezzi, si è associata all’OPEP e ha accettato di abbassare la produzione. Ciò è ancora più indispensabile per Mosca dal momento che la sua economia risente delle sanzioni occidentali e che le esportazioni di idrocarburi rappresentano, insieme alle armi, le principali fonti di entrata dell’export. Di conseguenza, nella situazione attuale gli interessi di Mosca e Washington non si confondono però coincidono: non inondare il mercato. Per questa ragione la Russia non fa niente per aiutare l’Iran a esportare petrolio, così come non sfrutta i giacimenti in Siria, di cui le società russe hanno acquisito il monopolio. È probabile che sotto questo aspetto non aiuterà nemmeno il Venezuela. Così il trasferimento a Mosca della sede europea della PDVSA è stato rinviato.
La Russia, che ha salvato la Siria dai mercenari jihadisti della NATO, non ha mai preso l’impegno di andare oltre. Così non muove un dito di fronte all’affossamento di questo Paese, un tempo prospero. In Siria non c’è ancora carestia, come nello Yemen, ma la strada imboccata è inesorabilmente questa.
Gli Stati Uniti però vogliono non solo stabilizzare l’offerta mondiale, ma anche determinarne i flussi; da qui le pressioni di Washington su Unione Europea e sui singoli Stati membri perché non portino a compimento il gasdotto North Stream 2. Washington vuole che l’UE si svincoli dalla dipendenza dagli idrocarburi russi. Se gli sforzi USA fossero coronati da successo, la Russia sposterebbe il flusso verso la Cina, che però non pagherebbe lo stesso prezzo.
Sin d’ora gli Stati Uniti, per soddisfare i bisogni dell’Unione Europea, vi fanno costruire il più celermente possibile porti metanieri, in grado di ricevere il loro gas di scisto. Da parte sua la Russia accelera invece la costruzione del gasdotto Turkish Stream, ossia un’altra via per raggiungere l’Unione europea.
Inoltre, il dipartimento del Tesoro USA blocca tutti i mezzi di trasporto di petrolio iraniano e venezuelano o verso la Siria. I dati in suo possesso dicono che la CIA ha iniziato a osservare in dettaglio questo commercio dall’elezione di Donald Trump, sin dal periodo di transizione, il che conferma la centralità dell’energia nella politica del presidente. Dal momento che la Siria non è oggi in grado di sfruttare da sé le proprie riserve e che la Russia soprassiede, l’atteggiamento della Casa Bianca verso questo Paese è differente: vuole impedirne la ricostruzione e rendere impossibile la vita al suo popolo. La CIA sta svolgendo un’intensa opera di sabotaggio contro ogni approvvigionamento energetico. Per esempio, la maggior parte della popolazione non ha più gas per riscaldarsi e cucinare. La CIA ha fatto anche di peggio: a febbraio una petroliera turca che trasportava un prodotto iraniano verso la Siria è stata sabotata al largo di Laodicea. È esplosa, l’equipaggio è morto e si è diffusa una marea nera di cui nessun media occidentale ha parlato.
Dato che lo Hezbollah partecipa al governo libanese e tutela al tempo stesso gli interessi iraniani, l’amministrazione USA ha esteso a Beirut il divieto di esportare petrolio. Non solo: Pompeo cerca anche d’imporre una nuova spartizione delle acque territoriali per far passare le riserve petrolifere libanesi sotto la sovranità israeliana.
Lo stesso accade con il Venezuela, che fornisce petrolio a Cuba in cambio dell’assistenza di esperti militari e dell’opera dei medici cubani. Il dipartimento di Stato cerca di sanzionare qualunque scambio fra i due Paesi, tanto più che gli esperti militari cubani sono considerati responsabili del sostegno dell’esercito venezuelano al presidente Maduro.

Gli sviluppi futuri

Per il momento la politica di Trump può avere successo solo diminuendo la domanda interna. Siccome gli idrocarburi sono usati soprattutto per i mezzi di trasporto, ecco allora fiorire progetti di auto elettriche. Consumare petrolio per produrre elettricità costa agli Stati Uniti molto meno che versarlo direttamente nei motori delle autovetture. Senza contare che sul territorio statunitense l’elettricità può essere prodotta da fonti diverse, a basso costo e a prezzo stabile.
Si noti che lo sviluppo di vetture elettriche non è affatto in rapporto con l’ideologia che vuole diminuire la produzione di CO2 per abbassare la temperatura della Terra: la produzione di batterie può essa stessa emettere molto CO2, mentre l’elettricità può essere molto più responsabile dell’inquinamento da CO2 di quanto lo sia il petrolio quando viene prodotta, come in Germania e in Cina, con il carbone.
Del resto, il consumo di petrolio evolve. Su scala mondiale non è più prioritariamente destinato ai trasporti, bensì alla fabbricazione della plastica.
Gli Stati Uniti consentiranno a Iran, Venezuela e Siria di esportare idrocarburi soltanto a partire dal 2023 o 2024, ossia dal momento in cui, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), la produzione statunitense da scisto comincerà ad abbassarsi rapidamente. Ancora una volta la situazione geopolitica ne sarà sconvolta.

25 aprile 2019

Festeggia la Giornata della Terra con Tesla

Ogni anno, oltre un miliardo di persone in 193 Paesi celebra la Giornata della Terra e la promessa di un pianeta più pulito.
Per festeggiare, ci uniamo ai nostri proprietari in tutto il mondo.
I proprietari Tesla hanno guidato oltre 10 miliardi di miglia elettriche, supportate da una rete globale di oltre 12.800 punti di ricarica Supercharger.
Di conseguenza, sono state evitate le emissioni inquinanti di centinaia di migliaia di veicoli termici, risparmiando l'equivalente di oltre 283 milioni di litri di benzina.
Le installazioni Tesla Energy hanno prodotto oltre 13 Terawattora di energia pulita al 100%.
Unisciti a noi, contribuisci nell'impegno di Tesla per accelerare la transizione verso un mondo di energia sostenibile e sperimentare uno stile di vita a zero emissioni.
L T I Y
Tesla | Tutti i Diritti Riservati | Piazza Gae Aulenti 4 20154 Milano Italia
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24 aprile 2019

MOBY PRINCE / UNO SPIRAGLIO DI VERITA’ DOPO 28 ANNI DI DEPISTAGGI


Voilà, stiamo arrivando alla verità. A 28 anni esatti dal rogo del Moby Prince, si sveglia il Fatto quotidiano e annuncia la quasi lieta novella: “Il patto segreto tra Snam e Moby. La terza inchiesta 28 anni dopo quella firma”.
Meritorio, Il Fatto, perché almeno squarcia l’assordante silenzio mediatico intorno alla tragedia del 10 aprile 1991 in cui persero la vita 140 innocenti. Per il resto tivvù e giornali allineati e coperti nella disinformazione più totale.
E permette di alzare il velo sul ruolo del tutto assente, anzi omissivo e quindi complice, della magistratura, che in questi 28 anni non ha cavato neanche una formica dal buco: due inchieste flop, altrettante richieste di archiviazioni, motivazioni da brividi e – ora sta emergendo – concrete ipotesi di depistaggio. Come è successo nel caso di Ilaria Alpi Miran Hrovatin, e nella strage di via D’Amelio che ha massacrato Paolo Borsellino e la sua scorta.
Ma procediamo con ordine.
Titola il Fatto online del 6 aprile: “Il patto segreto tra Snam Moby Prince. La terza inchiesta 28 anni dopo quella firma”. E spiega: “Due anni dopo la tragedia del 10 aprile 1991 un accordo narcotizzò tutte le inchieste”. “Una patto segreto siglato il 18 giugno 1991 (dopo 2 mesi e 8 giorni) tra Snam e Navarma, del gruppo Onorato”.
Quella rivelazione era tra l’altro contenuta nella relazione finale stilata dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince.

Vincenzo Onorato
Relazione completata un anno e mezzo fa, a dicembre 2018, nella quale venivano soprattutto denunciati i tanti buchi neri della storia, la totale inerzia – nel migliore dei casi – della magistratura e una serie di altre coperture istituzionali.
Sorgono spontanee le prime domande. Come mai è passato un altro anno e mezzo prima che la circostanza ritornasse a galla?
Come mai i media hanno dormito?
Ancora di più: come mai la magistratura ha ficcato la testa sotto la sabbia per la terza volta?
Per finire: perché l’esecutivo gialloverde se ne è abbondantemente fregato, come del resto le (sic) opposizioni?
A seguire vi riproponiamo l’articolo pubblicato nella sezione ‘Misteri’ della Voce il 18 gennaio 2018, dal titolo che parla da solo: “Moby Prince – Le non indagini su Navarma e Snam”.
Proprio come il Fatto oggi.
Una notte, quella del 10 aprile di 28 anni fa, durante le quale la visibilità era ottima e non c’era alcuna nebbia né nebbiolina. Al contrario di quanto hanno sempre sostenuto gli inquirenti. Depistaggi anche sul meteo!
La prima notte di pace, visto che era appena terminato il conflitto in Iraq, o meglio la guerra assassina e di conquista (per il petrolio) degli Usa contro Saddam, che non disponeva neanche di un temperino di “distruzione di massa”, come solo dopo una dozzina d’anni ha ammesso l’allora premier britannico Tony Blair, complice degli statunitensi in tutta la tragica sceneggiata e nel più tremendo depistaggio internazionale di sempre.

Carlo Palermo
Nella rada di Livorno quella notte c’erano strani movimenti, con un misterioso via vai di imbarcazioni. E i carichi erano più che sospetti: soprattutto a base di armi, armi che provenivano da quel conflitto e che andavano “ricollocate”.
Il magistrato-coraggio Carlo Palermo, anni dopo, ha ricostruito i dettagli di quella tragica notte, i movimenti in rada, svariati taroccamenti delle prove, il folle andamento dei due processi finiti in flop, una serie di depistaggi: lo stesso Palermo che per primo, da giudice istruttore a Trento ad inizio anni ‘80, aveva ricostruito i traffici di armi in tempo di pace, le trame a base di fondi neri, le maxi tangenti di Stato. E ora cerca di far luce, con gli avvocati Antonio e Giovanni D’Amati, sul giallo Alpi, in cui traffici di armi si incrociano con quelli di rifiuti super tossici, il tutto condito con i miliardi della cooperazione internazionale.
A scrivere in modo magistrale della tragedia sulla Voce che per la prima volta usciva a livello nazionale come Voce delle Voci e non più (se non nella regione) come Voce della Campania, è stato Sandro Provvisionato.
Abbiamo avuto la fortuna di inaugurare con lui sulla Voce, a giugno 2007, la rubrica “Misteri d’Italia” che ci ha accompagnato per tutti gli anni seguenti. Cercando di seguire le orme del suo mitico sito, “Misteri d’Italia”, appunto, un must per tutti i giornalisti d’inchiesta.
Riproduciamo il pezzo di Sandro dal titolo “Il Derby della Morte”, proprio perché l’avamposto strategico a stelle e strisce acquartierato nella zona era quello di Camp Derby, al centro di tanti, troppi misteri. E sul quale la magistratura ha sempre chiuso gli occhi. Solo per non disturbare i manovratori Usa?




Fonte www.lavocedellevoci.it

A seguire potere leggere l’articolo pubblicato dalla Voce il 28 gennaio 2018.