15 aprile 2019

VACCINI / PIU’ UTILI E MENO CONTROLLI CON GLAXO NEL MOTORE


Il colosso farmaceutico britannico Glaxo SmithKline, leader nella produzione dei vaccini, è sempre più alla conquista del mercato e anche del territorio italiano.
E' stato infatti appena tenuto a battesimo (28 marzo) un centro di controllo qualità hi-tech a Rosia, in provincia di Siena, dove già esiste un grosso polo industriale per la produzione di vaccini.
Secondo gli esperti il nuovo impianto permetterà di ridurre sensibilmente i tempi di produzione dei vaccini stessi, soprattutto condensando i "controlli". I quali passeranno da una media di 120-125 a non più di 20-25: una riduzione molto drastica, che consentirà di far crescere il tasso di produttività degli impianti e quindi di aumentare i profitti. Il tutto – assicurano a GSK – senza intaccare la qualità dei prodotti.
E' noto che uno dei nodi fondamentali è proprio la qualità dei vaccini, spesso e volentieri messa in discussione da studi scientifici. Come è successo pochi mesi fa con una ricerca voluta dal Corvelva – un'associazione veneta che da oltre vent'anni si batte per un uso consapevole dei vaccini – e cofinanziata dall'Ordine Nazionale dei Biologi.
Sconvolgenti i primi risultati, attraverso cui si è scoperto che in due lotti di vaccini presi in esame c'era di tutto e di più: perfino erbicidi e glifosati!
Insorge il solito gruppo di soloncini capitanato dal numero uno dei Pro Vax, il massone Roberto Burioni, che parla di totale inattendibilità dello studio e dà come di consueto del "Somaro" a tutti.


Antonio Marfella

C'è chi osserva tra gli esperti non filo-Burioni: "La qualità dei vaccini è il primo tassello per una medicina che pensi alla salute più che ai profitti. Ridurre i tempi dedicati ai controlli, a parte le rassicurazioni di rito, non è un buon segnale".
Da anni si batte per la qualità dei vaccini l'oncologo del Pascale di Napoli Antonio Marfella, una vita a denunciare le crescenti patologie tumorali nella Terra dei Fuochi. Marfella da sempre auspica un ritorno alla produzione pubblica sul fronte dei vaccini, in modo da garantire la qualità più assoluta e i controlli più ferrei.
Alla GSK gonfiano il petto per il nuovo investimento da 40 milioni di euro. Osserva l'amministratore delegato di GSK Vaccine Italia Rino Ruoppoli: "Investire più di 40 milioni in un centro di questo genere vuol dire avere fiducia nel futuro: il nuovo edificio è all'avanguardia per i vaccini di adesso, ma soprattutto è pronto per la qualità del futuro".
Controbatte un giornalista in prima fila per una medicina a misura d'uomo, Marcello Pamio: "Vaccini sempre meno sicuri e sfornati a ritmo sempre più accelerato, perché se il nuovo centro in Toscana, per quanto hi-tech, ridurrà i tempi e il numero dei controlli, è ovvio che la sicurezza verrà meno".
Ma la Toscana si prepara ad ospitare un altro grosso investimento, stavolta promosso dalla svizzera KPMG International Cooperative, tra i 60 e gli 80 milioni di euro per dar vita ad un maxi centro specializzato nella revisione e organizzazione contabile, per fornire servizi professionali alle imprese. Quelle farmaceutiche in prima fila, come Eli Illy, GSK Vaccines e Kedrion (la corazzata di casa Marcucci con il renzianissimo Andrea capogruppo del Pd al Sentato).
A sua volta KPMG è riconducibile ad una serie di sigle olandesi. Come al solito gli intrecci societari sono tra i più variegati.
Nei piani, verrà attrezzata un'area di quasi 130 mila metri quadrati, di cui la metà adibiti a magazzini di stoccaggio per prodotti farmaceutici (in primis i vaccini) a temperature controllate.
La Toscana, secondo gli addetti ai lavori, si avvia a diventare uno dei poli industriali più importanti a livello nazionale, soprattutto sul versante farmaceutico. Del resto, fu proprio il governo guidato da Matteo Renzi a proporre l'Italia, nel 2014, come "capofila mondiale per le vaccinazioni".

To see the article visit www.lavocedellevoci.it

12 aprile 2019

Magaldi: gialloverdi al 70% se osano sfidare il Deep State

Gioele Magaldi Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).
Non se ne esce mai, dal trappolone europeo? Certo, e non se ne uscirà fino a quando il cosiddetto Deep State sarà saldamente radicato in tutti i gangli vitali dello Stato. Burocrati e tecnocrati, servizi segreti pubblici e privati, banca centrale, uffici ministeriali, Quirinale. Ne ha parlato apertamente un parlamentare pentastellato, Pino Cabras, il 30 marzo a Londra. Eletto alla Camera in Sardegna lo scorso anno, Cabras – storico collaboratore di Giulietto Chiesa – ha partecipato al convegno “Un New Deal per l’Italia e per l’Europa”, promosso dal Movimento Roosevelt, soggetto meta-partitico fondato da Magaldi per rigenerare in senso democratico la politica italiana, stimolando i partiti a fare di più per recuperare la perduta sovranità popolare. Decisamente fuori programma l’esplicita ammissione di Cabras: a unire Lega e 5 Stelle, alleati ma sostanzialmente divisi su tutto, è l’impegno a resistere insieme alle “mostruose” pressioni del Deep State, che si è attivato per frenare il cambiamento promesso: dare più soldi agli italiani, ampliando il welfare e tagliando le tasse. Ed è intervenuto sin dal primo giorno, lo “Stato profondo”, inserendo le sue pedine nell’esecutivo Conte. Postilla: senza i “controllori di volo” (esempio, Tria al posto di Savona), il governo non sarebbe mai nato.
Di Maio e Salvini hanno accettato la sfida: meglio di niente, si sono detti, perché solo il governo gialloverde (benché azzoppato in partenza) avrebbe potuto almeno tentare di cambiare qualcosa, liberando l’Italia dall’incubo dell’austerity. Ce l’ha fatta? No, purtroppo. Si è visto bocciare persino la timida richiesta di portare il deficit al 2,4%, cioè ben al di sotto del famigerato tetto del 3% imposto da Maastricht (e che la Francia di Macron violerà, con l’alibi della protesta dei Gilet Gialli). Proprio i Gilet Jaunes, sostiene Magaldi, erano un regalo della massoneria progressista internazionale. Il piano: destabilizzare la Francia, sentinella dell’euro-rigore, proprio mentre l’Italia friggeva, per quel misero 2,4%, sulla graticola della Commissione Europea. Ma il governo Conte non ne ha saputo approfittare: raro caso di insipienza politica e di mancanza di coraggio, di assenza di Tsiprasvisione. Ora i pericoli sono dietro l’angolo: senza la necessaria benzina finanziaria per mantenere le promesse, i 5 Stelle sono già in picchiata nei sondaggi. Regge la Lega, ma solo per ora, grazie alla muscolarità (verbale) di Salvini. Però il tempo vola: in soli due anni, Matteo Renzi è passato dal 40% all’estinzione politica.
Si spera nelle europee, per erodere il potere dello “Stato profondo” neoliberista che utilizza come clava l’asse franco-tedesco? Pie illusioni: secondo Magaldi non cambierà proprio niente, fino a quando la bandiera della protesta sarà agitata dai sedicenti sovranisti, velleitari demagoghi delle piccole patrie. Per chi non se ne fosse accorto, impera la globalizzazione: tutto è fatalmente interconnesso. Nessun paese, da solo, può sperare di uscire indenne da una fiera diserzione. Parla per tutti la Grecia, che disse “no” all’euro-tagliola. Risultato: Tsipras fu intimidito e costretto a piegarsi, tradendo la volontà del popolo. Alla Grecia arrivarono aiuti finanziari, ma solo per soccorrere le banche tedesche e francesi esposte con Atene. Il paese è stato sventrato, svenduto e distrutto, riducendo i greci in povertà. E nessuno Stato europeo è intervenuto in suo soccorso. In Francia, era stato François Hollande a candidarsi come anti-Merkel, promettendo di allentare il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. Esito inglorioso: blandizie e minacce, compresi gli attentati terroristici targati Isis. In pochi mesi, Hollande ha ceduto su tutta la linea, rassegnandosi al ruolo di docile esecutore dell’ordoliberismo Ue.
Anni fa, proprio Magaldi sosteneva che solo l’Italia avrebbe potuto accendere la miccia del cambiamento. «L’Italia traccia le strade», diceva Rudolf Steiner, attribuendo al Belpaese un ruolo storico di battistrada. Una specie di destino: prima il “format” dell’Impero Romano, poi il Rinascimento e la democraziacomunale, le prime università, le prime banche. Italia caput mundi, nel bene e nel male: in fondo, Hitler si considerava allievo del maestro Mussolini. Proprio l’Italia primeggiò ancora una volta nel dopoguerra: fece il record mondiale di crescita, con il boom economico, anche se non tutti applaudivano. L’uomo-simbolo di quegli anni ruggenti, Enrico Mattei, fu disintegrato a bordo del suo aereo. Oggi, dopo mezzo secolo, l’Europa è ancora una volta alle prese con il “problema” Italia, grazie a un governo teoricamente non-allineato a Bruxelles. Esecutivo capace di firmare un memorandum d’intesa commerciale con la Cina, che irrita pericolosamente gli Usa e manda su tutte le furie Parigi Paul Krugmane Berlino, ovvero i due maggiori nazionalismi anti-europeisti su cui si regge l’infame Disunione Europea, quella che ha lasciato morire impunemente i bambini greci, negli ospedali rimasti senza medicine.
Non bastano più, dice Magaldi, le sole analisi degli economisti democratici che in questi anni hanno smascherato tutte le bugie del neoliberismo. La prima: tagliare il debito pubblico risana l’economia. Falso: lo dimostra la scienza economica, da Keynes in poi, e lo confermano Premi Nobel come Krugman e Stiglitz. Ovvero: il deficit strategico – a patto che sia massiccio, e investito con oculatezza – può valere anche il 400%, in termini di Pil. Tradotto: oggi spendo dieci, e domani incasserò quattro volte tanto (lavoro, salari, consumi, e infine anche tasse). Beninteso: lo sanno tutti, a cominciare da quelli che fingono di non saperlo. Come Mario Draghi, che fu allievo del maggior economista keynesiano europeo – italiano, tanto per cambiare: il professor Federico Caffè. Tesi di laurea del giovane Draghi: l’insostenibilità di una moneta unica europea. Farebbe ridere, se non ci fosse da piangere. Specie se si calcola che Draghi fu accolto a bordo del Britannia, all’epoca della grande spartizione della Penisola, alla vigilia delle privatizzazioni degli anni ‘90 che hanno sabotato la nostra florida economia. Lo stesso Draghi ha lasciato il segno anche in Grecia: prima come manager della Goldman Sachs, la banca-killer che gonfiava i bilanci di Atene, e poi – a disastro compiuto – come inflessibile censore della Bce, in seno alla spietata Troika europea.
Ancora lui, Mario Draghi, è l’uomo a cui risponde, di fatto, il governatore di Bankitalia. E proprio da Ignazio Visco, il presidente Mattarella – con una mossa senza precedenti – spedì l’allora premier incaricato, Conte, a prendere appunti su come non attuarlo affatto, il cambiamento appena promesso agli elettori. Pino Cabras lo chiama “Stato profondo”, e difende la strategia di Di Maio e Salvini: accettare la logica di una guerra di logoramento, dice Cabras, è l’unica soluzione praticabile. Non la pensa così Gioele Magaldi: a suo parere, è una tattica perdente. Nel libro “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, ridisegna la mappa del Deep State, presentandolo come interamente massonico. Un potere a due facce: quella progressista (da Roosevelt ai Kennedy, fino allo svedese Olof Palme) spinse avanti la modernità dei diritti sociali in senso democratico, nei decenni del grande benessere diffuso. L’altra faccia, oligarchica – Merkel e Macron, Prodi e D’Alema, lo stesso Draghi – ha Olof Palmechiuso i rubinetti della finanza pubblica, inaugurando la globalizzazione del rigore e quindi l’impoverimento generale della popolazione occidentale, fino alla quasi-sparizione della classe media (che infatti oggi in Italia vota Salvini e Di Maio).
Contro questo regime, insiste Magaldi, non valgono più né le pregevoli rivelazioni dei tanti economisti onesti, né i recenti tatticismi dei gialloverdi. Serve una rivoluzione, a viso aperto. Un paese che dica: “Adesso sforiamo il tetto di Maastricht. E se non vi va bene, sospendiamo la vigenza dei trattati europei”. Addirittura? Certo, altra via non esiste. Se ci si piega al racket, l’estorsione continua all’infinito. Anche in politica: la molla su cui fa leva il prevaricatore è sempre la stessa, la paura. Se invece si smette di avere paura, tutto il castello crolla. Perché quel ricatto è basato su un sortilegio psicologico, come quello che rende misteriosamente tenebroso l’invisibile Mago di Oz, in apparenza invincibile: in realtà è soltanto una bolla, che può dissolversi in un attimo. E’ già successo, nella storia. Sotto la sferza della Grande Depressione, la destra economica consigliò a Roosevelt di tagliare il debito – pena, l’apocalisse. Ma il presidente, ispirato da Keynes, fece l’esatto contrario: espansione smisurata del deficit. Risultato: l’America, che era alle prese con l’incubo quotidiano della fame, divenne una superpotenza. Non è che siano cambiate, le regole: il sistema è sempre quello capitalista. Non solo: è diventato universale, incorporando anche Russia e Cina (che infatti, così come gli Usa e il Giappone, non hanno nessuna paura di fare super-deficit, sapendo che è il solo modo per alimentare il mercato interno dei consumi, e quindi l’occupazione).
Il Mago di Oz ora si chiama Unione Europea, si chiama Eurozona. Una vergogna mondiale, senza più democrazia: comanda la Bce, insieme alla Commissione formata da tecnocrati non-eletti. Non c’è una vera Costituzione, e il Parlamento Europeo non può eleggere il governo europeo. Siamo precipitati nella barbarie di un neo-feudalesimo, una specie di Sacro Romano Impero. D’accordo, ma per volere di chi? Magaldi non ha esitazioni nell’indicare i responsabili: massoni reazionari. Militano nelle Ur-Lodges neoaristocratiche. Sono strutture segrete e trasversali, spregiudicate e apolidi, senz’altra patria che il denaro. Hanno deformato la stessa geopolitica: quando parliamo di Russia, Europa, Cina e Stati Uniti, dovremmo invece saper distinguere tra élite oligarchiche ed élite a vocazione democratica. Esistono anche quelle, infatti: sono di segno progressista. Negli ultimi decenni sono state costrette a cedere il passo alla plutocrazia neoliberista, ma adesso stanno rialzando la testa. Lo stesso Il Mago di OzMagaldi ammette di agire d’intelligenza con alcune di queste strutture, come la superloggia Thomas Paine. Problema pratico, innanzitutto: se è stata la supermassoneria a creare il problema, non può che essere la stessa supermassoneria (lato B, progressista) a contribuire a risolverlo.
Magaldi non demonizza le Ur-Lodges, non ne fa una speculazione complottistica. Se la massoneria sa di aver fondato la modernità – Stato di diritto, laicità delle leggi, suffragio universale democratico – è umano che pensi (sbagliando) di poter fare quello che vuole, della sua “creatura”. La distorsione è cominciata negli anni ‘70, con il saggio sulla “Crisi della democrazia” commissionato dalla Trilaterale, potente entità paramassonica. La tesi: troppa democrazia fa male. Dove siamo arrivati, oggi? Lo si è visto: un certo signor Pierre Moscovici, non votato da nessuno, ha il potere di bocciare il bilancio del governo italiano regolarmente eletto. Lo si può subire in silenzio, un affronto simile? Nossignore: la verità va gridata. Lo stesso Moscovici sa benissimo che un deficit robusto farebbe volare l’economia. Una volta, lo sapeva anche la sinistra (che oggi tace). Lega e 5 Stelle? Si limitano a brontolare, ma poi ingoiano il rospo. Peggio: sparano a vanvera contro la massoneria, fingendo di non sapere che sono proprio i supermassoni oligarchici a ostacolare il loro governo. Cosa aspettano a vuotare il sacco?
Magaldi è esplicito: le Ur-Lodges progressiste sono pronte ad aiutarli, se smetteranno di essere ipocriti sulla massoneria, come se non sapessero che persino il governo gialloverde pullula di massoni occulti, non dichiarati. Sperano nelle europee, leghisti e grillini? Errore grave: nessuno verrà in aiuto dell’Italia, se non sarà il nostro paese – per primo – ad alzare la testa. Come? Nell’unico modo possibile: una rivoluzione gandhiana, basata sull’obiezione ideologica. Può svanire in un attimo, la grande paura del Mago di Oz, se solo qualcuno avrà l’elementare coraggio democratico che oggi ancora manca, ai gialloverdi. Una rivoluzione potrebbe spazzarli via in un amen, i mammasantissima del peggior Deep State. Restano invece al loro posto, i boiardi dello “Stato profondo”, proprio perché a proteggerli – prima di ogni altra cosa – è proprio la nostra stessa paura. Per Magaldi, scontiamo anche un vuoto culturale: da riempire, per la precisione, ricorrendo al socialismo liberale teorizzato da Carlo Rosselli. Una corrente di pensiero illuminante ma rimasta in ombra, schiacciata dal fascismo e dallo stesso socialismo massimalista, prima ancora che dal comunismo. Poi venne l’atroce neoliberismo, nelle due versioni: quella sfrontata, della D'Alema e Blairdestra economica reaganiana, e quella – più ambigua nella forma ma identica della sostanza – del “terzismo” di Anthony Giddens adottato dall’ex-sinistra occidentale, da Blair fino a D’Alema, grandi protagonisti dell’attuale post-democrazia.
Il succo non cambia: Stato minimo, il privato ha sempre ragione. Nei fatti, il neoliberismo è un imbroglio: santifica l’impresa, ma a spese dello Stato. E quando scoppia Wall Street, è il bilancio pubblico a tenere in piedi le banche-canaglia. Turbo-globalizzazione mercantile, e addio diritti. Delocalizzazioni, privatizzazioni. Parola d’ordine, per i non privilegiati: arrangiarsi. Dogma assoluto: demolire l’impresa pubblica, che era il cemento armato del boom italiano. In Svezia, Olof Palme impegnò lo Stato nel salvare le aziende traballanti, a due condizioni: management statale, e lavoratori coinvolti come azionisti (con tanto di dividendi, a fine anno). Fu ucciso a Stoccolma nel 1986, all’uscita di un cinema. Tuttora sconosciuto il killer, ma non il mandante: possiamo chiamarlo Deep State. Con Palme, questa Europa cialtrona non sarebbe mai potuta nascere. Al leader svedese, il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano il 3 maggio. Sul podio altri due giganti, lo stesso Rosselli e l’africano Thomas Sankara, anch’essi assassinati. Non difettavano di coraggio: sapevano di dover combattere, sfidando il potere ostile a viso aperto. E’ quello che dovrebbe fare anche l’Italia, ribadisce Magaldi. Sapendo che, da sole, le élite possono fare poco. Se però si sveglia il popolo, allora non c’è Deep State che tenga. E’ così che funzionano, le rivoluzioni che mandano avanti, da sempre, la storia dell’umanità.
(Le riflessioni di Gioele Magaldi sono tratte dalla diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 1° aprile 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”).

11 aprile 2019

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 10 aprile 2019


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Londra ha deliberatamente consentito a una rete criminale di finanziare la jihad
 

 
Donald Trump propone un disarmo nucleare relativo
 

 
David Malpass elettro presidente della Banca Mondiale
 

 
La Svizzera vieterà la detenzione di armi da guerra?
 

 
Jihadisti trasferiti dalla Siria in Moldavia
 

 
Il Brunei applica la sharia
 

 
India, quarta potenza in grado di distruggere un satellite
 

 
Le banche cinesi e russe si rendono indipendenti dal sistema occidentale
 

 
Preparazione di attentati terroristi a Carcas
 

 
Juan Guaidó ha iniziato a saccheggiare le risorse venezuelane
 

 
Dichiarata la guerra elettromagnetica
 
Controversie

 
abbonamento    Reclami


Canapa: quel materiale scomodo per le lobby che in Puglia sta rinascendo “volevano farla sparire”


“Bene i controlli che stanno interessando il settore della canapa che in Puglia negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo importante che va salvaguardato da frodi e speculazioni. Sono numerose le imprese agricole che stanno segnalando e denunciando dal 2017 fenomeni distorsivi e speculativi. La Legge italiana c’è, va rispettata e fatta rispettata, magari completandola, in modo da renderla ancora più efficace e rispondente alle esigenze produttive e di mercato reali degli imprenditori agricoli”, è il commento del Presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia, a quanto disposto dalla Procura di Taranto.
Il boom della canapa in Puglia è stato registrato anche grazie alla legge regionale entrata in vigore il 14 gennaio 2017 che ha favorito – dice Coldiretti Puglia – il moltiplicarsi di terreni e produzione, oltre ad idee innovative nella trasformazione della ‘pianta’ dai mille usi, dalla birra alla ricotta e agli eco-mattoni isolanti, dall’olio antinfiammatorioalle bioplastiche, fino a semi, fiori per tisane, pasta, taralli, biscotti e cosmetici e ancora vernici, saponi, cere, detersivi, carta o imballaggi, oltre al pellet di canapa per il riscaldamento che assicura una combustione pulita.
“La nuova frontiera è la cannabis light con la coltivazione e la vendita di piante, fiori e semi a basso contenuto di principio psicotropo (Thc) – aggiunge il Direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti– attività regolamentate dalla legge numero 242 del 2 dicembre 2016 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” che ha disciplinato il settore. Con la nuova norma non è più necessaria, infatti, alcuna autorizzazione per la semina di varietà di canapa certificate con contenuto di Thc al massimo dello 0,2%, fatto salvo l’obbligo di conservare per almeno dodici mesi i cartellini delle sementi utilizzate. Resta il divieto  di utilizzo di foglie e fiori di canapa per scopo alimentare”.
La percentuale di Thc nelle piante analizzate potrà inoltre oscillare dallo 0,2% allo 0,6% senza comportare alcun problema per l’agricoltore. Al momento risulta consentita – precisa ColdirettiPuglia – solo la coltivazione delle varietà ammesse, l’uso industriale della biomassa, nonché la produzione per scopo ornamentale, mentre per la destinazione alimentare possono essere commercializzati esclusivamente i semi in quanto privi del principio psicotropo (Thc).

“L’affermarsi di stili di vita più ecologici ha favorito – precisa Claudio Natile, referente del comparto della canapa di Coldiretti Giovani Impresa Puglia  – la diffusione della canapa che è particolarmente versatile negli impieghi, ma anche in grado dal punto di vista colturale a basso impatto ambientale di ridurre il  consumo del suolo, la percentuale di desertificazione e la perdita di biodiversità. Considerata l’importanza economica del settore, occorre formare le aziende agricole per favorire la qualità della produzione nazionale e supportarle nella trasformazione del prodotto, scongiurando l’alterazione della legge italiana di riferimento anche attraverso un sistema di controllo nei confronti degli operatori delle filiere per favorire la legalità e prevenire truffe e comportamenti illeciti. Valorizzare la canapa italiana, di nostra tradizione, considerato che negli anni Quaranta eravamo il secondo Paese mondiale a produrla, dopo la Russia e promuoverla all’estero per sostenere le aziende italiane anche nelle esportazioni”.
Si tratta in realtà – rileva Coldiretti Puglia – del ritorno ad una coltivazione che fino agli anni ‘40 era più che familiare in Italia, tanto che il Belpaese con quasi 100mila ettari era il secondo maggior produttore di canapa al mondo (dietro soltanto all’Unione Sovietica). Il declino è arrivato per la progressiva industrializzazione e l’avvento del “boom economico” che ha imposto sul mercato le fibre sintetiche, ma anche dalla campagna internazionale contro gli stupefacenti che ha gettato un ombra su questa pianta.
ll Governo italiano nel 1961sottoscriveva una convenzione internazionale chiamata “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” (seguita da quelle del 1971 e del 1988), in cui la canapa sarebbe dovuta sparire dal mondo entro 25 anni dalla sua entrata in vigore mentre nel 1975 esce la “legge Cossiga” contro gli stupefacenti, e negli anni successivi gli ultimi ettari coltivati a canapa scompaiono. Il boom della coltivazione della canapa è un’ottima dimostrazione – conclude Coldiretti Puglia – della capacità delle imprese agricole di scoprire e sperimentare nuove frontiere e soddisfare i crescenti bisogni dei nuovi consumatori che proprio da queste esperienze di green economy si aprono opportunità di lavoro nelle campagne che possono contribuire alla crescita sostenibile e alla ripresa economica ed occupazionale del Paese. M5S a parte, ve lo ricordate lo spettacolo di Grillo “rivelatorio” del 1997? Guardate qua:

10 aprile 2019

L’antisionismo non è antisemitismo


I vecchi tabù di carattere sessuale e morale, nelle società occidentali, sono caduti e ne sono sorti di nuovi, il più inviolabile dei quali riguarda la questione israelo-palestinese. Il solo chiedere di parlarne, viene visto dai grandi media come una provocazione e quelli che conducono programmi di informazione politica, alla proposta di affrontarlo, reagiscono con un misto di timore e di costernazione di fronte a una richiesta tanto osé, similmente a come avrebbero reagito, al tempo della televisione di Bernabei, all’idea di un programma sui piaceri della pornografia.
LA PAROLA D’ORDINE è “evitate l’argomento”. Non si tratta di censura, piuttosto di elusione. Quando poi in rarissime occasioni, per distrazione, se ne parla, si evita accuratamente di far sentire le opinioni e le argomentazioni di coloro che criticano aspramente la politica del governo israeliano e la definiscono colonialismo, oppressione di un intero popolo, segregazionismo e razzismo. Gli oppositori di tale politica, se si esprimono con schiettezza, vengono immediatamente apostrofati e classificati con l’insultante epiteto di antisemita (!), I sedicenti amici di Israele hanno accolto l’equazione “critico del governo di Israele uguale antisionista, uguale antisemita”. Altrettali sono definiti quelli che chiedono piena dignità e diritti per il popolo palestinese. I meno accaniti di questa eletta schiera di sostenitori del sionismo e amici di Israele accusano i sostenitori delle legittime rivendicazioni palestinesi di diffondere l’antisemitismo perché le critiche allo Stato ebraico portano la pandemia antisemita. Falso! Il climax del veleno antisemita si manifestò » quando Israele non esisteva e gli ebrei vivevano in diaspora. In Israele peraltro, alcuni giornalisti coraggiosi e di altissimo profilo si esprimono senza alcun timore apertis verbis et ore rotundo. Gideon Levy su Haaretz (quotidiano israeliano pubblicato in Israele, da un editore israeliano, letto da lettori israeliani) in un suo articolo dal titolo palmare, In U.S. Media, Israelis Untouchable, scrive: “You can attack the Palestinians in America uninterrupted, call to expel them and deny their existence. Just don’t dare say a bad word about Israel, the holy of holies”. E a proposito della proliferazione dei sentimenti antisemiti nota: “Jews are not as hated as Israel would like: only 10 percent said they had any negative feelings about them”.
LA MIA OPINIONE, come quella di autorevoli esponenti della società israeliana, è che le classi dirigenti e il governo Netanyahu utilizzino strumentalmente l’accusa di antisemitismo al solo scopo di ricattare i paesi dell’Occidente per legittimare l’occupazione e la colonizzazione delle terre palestinesi e per annettere terre che la legalità internazionale assegna al popolo palestinese. Così, a proposito dell’equiparazione di antisionismo e antisemitismo, scrive lo storico israeliano Shlomo Sand: “Il tentativo del presidente francese Emmanuel Macron e del suo partito di criminalizzare oggi l’antisionismo come una forma di antisemitismo mostra di essere una manovra cinica e manipolatoria. Se l’antisionismo diventa un crimine, mi sento di raccomandare a Macron di far condannare con effetto retroattivo, il bundista Marek Edelman, che fu uno dei leader del ghetto di Varsavia e totalmente antisionista. Si potrebbe anche inviare a processo i comunisti antisionisti che, piuttosto che emigrare in Palestina, scelsero di combattere, armi in pugno, contro il nazismo. Se intende essere coerente nella condanna retroattiva di tutti i critici del sionismo, Macron dovrà aggiungere la mia insegnante Madeleine Rebérioux, che ha presieduto la Lega dei diritti umani, l’altro mio insegnante e amico Pierre Vidal-Naquet e, naturalmente, anche Eric Hobsbawm, Edward Said e molte altre eminenti figure, ora scomparse, ma i cui scritti sono ancora autorevoli. Se Macron desidera attenersi a una legge che reprime gli antisionisti ancora viventi, la cosiddetta futura legge dovrà applicarsi anche agli ebrei ortodossi di Parigi e New York che rifiutano il sionismo, a Naomi Klein, Judith Butler, Noam Chomsky e molti altri umanisti universalisti, in Francia e in Europa, che si autoidentificano come ebrei pur dichiarandosi antisionisti. Si troveranno, naturalmente, molti idioti antisionisti e giudeofobi, come non mancano pro-sionisti imbecilli, pure giudeofobi, ad augurare che gli ebrei lascino la Francia ed emigrino in Israele. Li includerà in questa grande impennata giudiziaria? Stia attento, signor Presidente, a non lasciarsi trascinare in questo ciclo infernale, proprio quando la popolarità è in declino!”. Personalmente ritengo che debbano cessare retoriche, propagande, calunnie insensate e strumentalizzazioni, che non sia più tollerabile tacere sulla crudele oppressione del popolo palestinese. E ora che i Paesi occidentali affrontino la questione con coraggio e onestà intellettuale.
Moni Ovadia
Fonte:
comedonchisciotte.org
www.ilfattoquotidiano.it

09 aprile 2019

Non date retta alla propaganda, l’Isis non è ancora stato sconfitto – Ecco perchè


Dopo tutti i titoli sulla presunta sconfitta dell’Isis, chiunque non ne creda anche una sola parola potrebbe fare la figura del guastafeste. Ma, ogni volta che leggo che si è cantato vittoria, che si tratti della “missione compiuta” di Bush o delle fantasie sull’”ultima roccaforte dell’Isis in procinto di cadere,” io tiro un bel respiro. Perché, e potete tranquillamente scommetterci, non è vero.
Non solo perché i combattimenti attorno a Baghouz, di fatto, continuano ancora al di fuori della città ormai distrutta. Ma perché ci sono molti militanti dell’Isis ancora in armi e pronti a combattere nella provincia siriana di Idlib, insieme ai loro compagni di Hayat Tahrir al Sham, al-Nusra e al-Qaeda, quasi circondati dalle truppe del governo siriano, ma con uno stretto corridoio in cui poter fuggire in Turchia, sempre che il Sultano Erdogan glielo permetta. Ci sono avamposti di truppe russe all’interno di queste linee del fronte islamista, ed anche forze dell’esercito turco, ma il timido cessate il fuoco, che regge ormai da cinque mesi, nelle ultime settimane è diventato molto più fragile.
Forse è un fallimento della nostra memoria istituzionale, o, in pratica, è più facile seguire la storia più semplice, ma Idlib è stata per tre anni la discarica di tutti i nemici islamici della Siria, o, almeno, degli antagonisti che non si erano arresi quando erano fuggiti dalle grandi città, sotto i bombardamenti siriani e russi.
Lo scorso settembre, anche se mi sembra che ce siamo dimenticati, Trump e le Nazioni Unite avevano messo in guardia sull’imminente “ultima battaglia” per Idlib, temendo (così dicevano) che i Siriani e i Russi avrebbero usato armi chimiche nel loro assalto all’Isis e ai suoi sodali. Persino l’esercito siriano aveva annunciato l’imminente scontro (non gli agenti chimici) in un sito web dell’esercito chiamato “Alba ad Idlib.”
Mi ero così imbarcato in un lungo viaggio lungo tutte le linee del fronte siriano di Idlib, dalla frontiera turca, poi a sud, ad est e a nord, e di nuovo fino ad Aleppo e non avevo visto convogli di carri armati, nessun trasporto truppe, pochi elicotteri siriani, nessuna colonna di rifornimenti e avevo concluso, anche se gli avvertimenti sullo ‘sterminio finale’ continuavano, che questa particolare “ultima battaglia” era ancora molto lontana. Il giorno in cui ero arrivato a sud di Jisr al-Shughur, al-Nusra e l’Isis avevano sparato alcuni colpi di mortaio contro le posizioni dell’esercito siriano, i Siriani avevano risposto al fuoco e la cosa era finita lì.
Un complicato accordo di tregua, che aveva coinvolto sia Turchi che Russi, era riuscito a scongiurare la carneficina che tutti avevano previsto. Si era parlato molto degli uomini dell’Isis, di al-Nusra e di al-Qaeda, alcuni dei quali sauditi, che, muniti di lasciapassare, venivano inviati dai Turchi nelle terre selvagge dell’Arabia Saudita per una sorta di “rieducazione.” Avevo sempre sperato che questo potesse essere quel desolato pezzo di deserto [Empty Quarter], dove la loro surriscaldata teologia sarebbe finalmente diventata bella croccante.
Ma sono ancora ad Idlib, felici, senza dubbio, di sapere che l’Occidente pensa di aver conseguito la sua “vittoria finale” sull’Isis. La battaglia per Baghouz, naturalmente, è sempre stata quella che ha fatto notizia. Gli attacchi aerei americani e la presenza degli alleati (e molto coraggiosi) Curdi hanno reso la faccenda molto più abbordabile [al pubblico], sebbene [la situazione] sia ancora pericolosa. E ha distolto l’attenzione da altre problematiche: per esempio su chi ha inventato la denominazione “Forze Democratiche Siriane,” che, in realtà, sono prevalentemente curde, dove molti dei suoi membri preferirebbero non essere considerati siriani e sicuramente non hanno mai visto un’elezione democratica in tutta la loro vita.
Se, alla fine, gli Americani se ne andranno, i Curdi saranno traditi ancora una volta e rimarranno alla mercé dei loro nemici, siano essi la Turchia o il governo siriano (con cui i Curdi hanno avuto, con scarso successo, alcuni colloqui lo scorso anno). Un buon momento per gli Americani, quindi, per farla finita davanti a Baghouz, ovviamente cantando vittoria, e andarsene. Sperando che il mondo si dimentichi di Idlib.
Ma non penso che lo farà. La guerra siriana non è ancora finita, anche se è questo è ciò che crede il mondo (compreso, sembra, il governo siriano). Idlib rimane un territorio con decine di migliaia di rifugiati e legioni di combattenti, un luogo di miseria, con ferrovie interrotte, autostrade distrutte e gruppi islamici che a volte si scontrano l’un l’altro con molto più entusiasmo di quello che mostrano nel combattere l’esercito siriano.
Ma questa diventerà ora la possibilità per la Russia di dimostrare di saper sconfiggere l’Isis. Naturalmente ci sono contatti tra Mosca e i vari gruppi coinvolti nella guerra siriana. I combattenti dell’Isis, negli ultimi due anni, hanno lasciato le città siriane sotto la protezione dell’esercito russo. La cosa potrebbe ripetersi. Putin ha permesso alle donne dell’Isis e ai bambini di ritornare a casa. C’è ancora una possibilità che Isis, Nusra/al-Qaeda e i loro compagni siano in grado di andarsene sani e salvi, anche se il tempo suggerisce che potrebbero ancora dover combattere un’ultima, vera battaglia per Idlib.
Ma, anche allora, potrebbe essere una buona idea mettere un freno ai titoloni che cantano “vittoria.”
Robert Fisk
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org